"La solitudine di Amato e un programma per l’Ulivo che non c’è"
Di Michele Salvati
Come mai si è parlato così poco del programma redatto dal gruppo di lavoro coordinato da Giuliano Amato per la Lista Prodi? Non perché sia malfatto o contenga il solito bla-bla elettoralistico: al contrario, è scritto bene e fa proposte serie, incisive persino, nella misura in cui si può essere incisivi essendo al tempo stesso ragionevoli e realisti. Come «biglietto da visita» di un ceto politico riformista è dunque eccellente : in esso si respira la stessa aria che circola nel rapporto Sapir ( Europa: un'agenda per la crescita ), un bellissimo documento, appena tradotto dal Mulino, sulle ragioni del ristagno europeo e nel contempo un articolato insieme di raccomandazioni per superarlo. Parte della risposta me la sono appena data: per come le cose vanno nel nostro bipolarismo sgangherato, il programma Amato è «troppo» civile, ragionevole, europeo, cosmopolita. A cominciare dallo stile, dove i riferimenti critici all'attuale governo sono molto contenuti e per lo più espressi in modo indiretto; dove tutto ciò che può unire è approvato e ciò che divide è criticato. E continuando con le proposte, che sono fatte per persone colte e ragionevoli, che non credono ai miracoli, a tagli delle tasse che non si sa come finanziare e a contratti con gli italiani che nessun notaio sottoscriverebbe. Si tratta di misure quasi sempre condivisibili sia sotto il profilo dell'efficienza, sia sotto quello della giustizia sociale; di suggerimenti discussi in tutta Europa, anche se non facili da attuare; di politiche che nel medio periodo possono migliorare questo Paese e avvantaggiare un gran numero di persone, ma nel breve ne scontentano non poche, e soprattutto molto reattive e ben organizzate. (Per non parlare solo in termini generali: ciò che il programma Amato propone per l'Università e la ricerca - molto simile a quanto consiglia il rapporto Sapir - non è certo facile da digerire per l'organizzazione localistica e poco competitiva dei nostri studi superiori: le risorse sono scarse e dovranno essere concentrate sul serio, non a parole, nei punti d'eccellenza. E se in Italia ce ne sono pochi, le risorse europee, anche quelle che derivano dalla nostra contribuzione, non saremo in grado di recuperarle e andranno fuori del nostro paese, destinate da commissioni imparziali ai veri punti di eccellenza esteri). Ma questa è solo una parte, e la parte minore, della risposta alla domanda: perché si parla poco del programma Amato? Alla parte maggiore ci si arriva se ci chiediamo: va bene, un programma è un biglietto da visita, ma il biglietto da visita di chi? Più sopra ho detto: di un ceto politico riformista, e non è poca cosa che Amato sia riuscito a far sottoscrivere un programma di chiaro stampo liberal-solidaristico (forse espressione più adatta di «liberal-socialista», nel caso dell'Ulivo) a numerosi esponenti politici, di Margherita e dei Ds, che liberali certo non sono. C'è riuscito bene, non rendendo confuse le proposte che ha scritto, ma omettendone alcune che in un programma per le prossime elezioni poteva anche omettere (ad esempio, bioetica e famiglia) o restando sul vago su altre che invece, in un programma europeo, dovevano essere meglio definite (ad esempio la guerra in Iraq). Ma il ceto politico riformista di cui il programma dovrebbe essere il biglietto da visita, anche se numeroso e diffuso tra i principali partiti della Lista Prodi, ancora non agisce come un soggetto politico autonomo: il carro (il biglietto da visita, il programma) è stato messo innanzi ai buoi, forse come stimolo affinché i buoi comincino a tirarlo. I buoi non sembrano tirare con molta forza, tuttavia, e la Lista Prodi dà ancora l'impressione di essere una coalizione elettorale momentanea il cui futuro è incerto e dipendente dallo stesso esito elettorale. In parte per la concomitanza con le elezioni amministrative, i cui soggetti principali sono chiaramente i singoli partiti; in parte per il metodo di voto, proporzionale e non maggioritario; ma soprattutto per la presenza di disegni diversi sul dopo-voto, non esiste ancora il nucleo di un soggetto riformista chiaramente riconoscibile dall'opinione pubblica. Di questo nucleo esiste il capo, Romano Prodi e nei partiti coalizzati esistono molti disposti a seguire Prodi nella sua avventura; ma non pochi sono in varia misura riluttanti. Se è ancora incompleta, a quanto sembra, la conoscenza dello stesso simbolo elettorale della lista «Uniti nell'Ulivo», come si può pretendere che ne sia noto il programma? Peccato. Perché lo spirito che aleggia su questo programma - forse fin troppo irenico ed europeistico - è lo stesso che è emerso con forza nelle dichiarazioni di questi giorni di Montezemolo, Fazio, Bazoli, dei principali esponenti della nostra economia, oltre che nei continui interventi del Presidente della Repubblica. Uno spirito insofferente verso le polemiche corrosive tra i poli e al loro interno, verso la rissosità della nostra politica. Una disponibilità ad assumersi responsabilità collettive, di fronte ai rischi di declino del nostro paese. E soprattutto un invito rivolto alle forze politiche ad assecondare questa domanda, a fare squadra, sistema, rete.