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Discussione: SS. Trinità

  1. #11
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    Predefinito Le Processioni In Dio

    Sempre dal sito UNAM SANCTAM

    LE PROCESSIONI IN DIO
    Esistenza delle processioni reali in Dio


    La parola processione nel linguaggio comune ha vari significati. Etimologicamente (πρόβασις da προβαίνέιν ) indica il moto locale, cioè il passaggio da un luogo all'altro. In senso più largo può significare qualsiasi mutazione o successione, anche se non implica moto locale. Può infine significare l'origine di una cosa da un'altra sia nell'ordine fisico che in quello morale. Ha questo senso nelle frasi: il raggio procede dal sole, l'effetto dalla causa, l'atto dalla facoltà, il generato dal generante.

    In Dio, poiché non vi può - essere né moto locale, né mutazione, la parola processione significa l'origine di una persona dall'altra. Nel creato distinguiamo un duplice modo di procedere o di aver origine. Ci sono infatti azioni, che procedono dal principio operante, come l'intendere dal soggetto intelligente; e operati o effetti, che procedono dal soggetto operante, come la statua dal1'artefice. Vi è dunque 1'origine come operazione e come operato. Questa ultima si dice anche secondo 1'operazione, in quanto l'operato procede in ragione dell'operazione, della quale è il termine. L'origine come operato è duplice: immanente, se l'operato resta nel principio da cui procede, come ad esempio l'idea, operato del nostro intendere, rimane nell'intelletto; transeunte, se l'operato è al di fuori del principio da cui procede, come la statua è al di fuori dello scultore (1).
    Questa suddivisione vale solo per l'origine come operato, perché le origini come operazioni sono sempre immanenti, in quanto l'agire è sempre nel soggetto.
    In ogni processione reale, ciò che procede si distingue realmente dal principio da cui procede. Nella processione di operazione, tale distinzione è accidentale; nella processione di operato invece la distinzione tra agente c operato può essere sostanziale o accidentale, secondo che l'operato sia una sostanza estrinseca al soggetto, come ad esempio la statua, oppure un accidente intrinseco al soggetto, come il nostro verbo mentale.
    Noi consideriamo qui le processioni divine immanenti: quelle ad extra sono studiate negli altri trattati teologici.

    TESI. In Dio ci sono processioni reali immanenti. Esse però non sono processioni di operazioni o di operati, ma devono intendersi come processioni per modo di operato.

    Valore: de fide catholica.

    La tesi contiene due problemi: l'esistenza c il modo di concepire le processioni divine.

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    Errori. Negarono l'esistenza in Dio di processioni reali immanenti tutti gli eretici, che non ammettono la distinzione reale c la consustanzialità delle persone divine. Due sono gli errori principali del tutto opposti.

    Per il sabellianesimo 1'unica persona divina è diversamente denominata secondo i rapporti a extra, è detta cioè Padre in quanto creatore, Figlio in quanto redentore, Spirito Santo in quanto santificatore. Non vi sono dunque in Dio processioni reali.

    L'arianesimo e il macedonianesimo invece intesero in senso transeunte le processioni divine, delle quali parla la S. Scrittura. Negarono pertanto la divinità del Verbo e dello Spirito Santo: il Verbo sarebbe la prima creatura del Padre c lo Spirito Sarto sarebbe una creatura del Verbo.

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    Che in Dio vi siano processioni reali immanenti e che tali processioni non debbano essere concepite come processioni di operato è una verità di fede cattolica. I simboli Quicumque c niceno-costantinopolitano affermano la processione del Figlio dal Padre e la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Inoltre professano la consostanzialità delle tre persone divine: il Figlio e lo Spirito Santo procedono, ma non sono creati.

    Simbolo Quicumque: "Questa è la fede cattolica, che adoriamo un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell'unità, senza confusione di persone e senza distinzione di sostanza; altra è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo; ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo una sola è la divinità, uguale la gloria, coeterna la maestà... il Figlio è dal Padre solo, non fatto, nè creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non fatto, né creato, ma procedente"(DB. 39).

    Simbolo niceno-costantinopolitano: "Crediamo ... in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato dal Padre... Dio vero da Dio vero: nato, non fatto, consustanziale al Padre. E nello Spirito Santo, Signore e vivificatore, procedente dal Padre (che procede dal Padre e dal Figlio) (DB. 86). Cfr., il conc. IV del Laterano (DB. 428) c il conc. di Firenze (DB. 691).

    Dimostrazione

    1. Sono in Dio processioni reali immanenti.

    a) La S. Scrittura, parlando di Dio, usa i termini generazione c processione (Mt. 3, 17; Gv. 15, 16; 15, 26 ecc.), che significano processioni. Orbene tali processioni debbono intendersi come reali ed immanenti. Intendendole infatti modalisticamente, si verrebbe a negare la pluralità delle persone divine, chiaramente affermata dalla S. Scrittura. Inoltre se tali processioni non fossero immanenti, verrebbe distrutta la consustanzialità delle persone divine, la quale si trova asserita con uguale chiarezza nella S. Scrittura. Bisogna dunque porre in Dio processioni reali ed immanenti.

    b) La Tradizione cattolica non solo ha sempre professato le processioni divine del Figlio e dello Spirito Santo, ma ha anche strenuamente difeso la realtà di tali processioni e la consustanzialità delle tre persone contro le negazioni degli eretici.

    c) Ragioni di convenienza. Per la giusta valutazione degli argomenti, che stiamo per esporre, notiamo, che essi hanno valore se si suppone la rivelazione del mistero trinitario.

    Dall'analogia delle processioni immanenti nelle creature ragionevoli. "In chiunque intende, per ciò stesso che intende, c'è qualcosa che procede in lui ed è il concetto (1'idea) della cosa intesa" (2): alla conoscenza poi segue un impulso per cui l'oggetto amato è nel soggetto amante: tale impulso procede dall'amato come termine dell'amore. Ma Dio si conosce e si ama perfettamente. Quindi bisogna porre in Lui le processioni immanenti del verbo e dell'amore.

    Il Verbo e l'Amore procedenti in Dio, oltre ad essere intimamente uniti a Lui, debbono essere sostanziali, perché nulla di accidentale può essere in Dio. Se siano però persone distinte, può dedursi dall'argomento esposto, solo se si suppone già la rivelazione del mistero trinitario.

    Dalla pluralità delle persone divine. Dalla rivelazione conosciamo che in Dio vi sono tre persone. Orbene questa pluralità non si può spiegare senza le processioni immanenti, perché non può provenire dalla natura divina, la quale è unica. Con le processioni invece si spiega la distinzione personale, perché le processioni implicano opposte relazioni di origine è conseguentemente la distinzione tra il principio e il termine. Si comprende così che il Padre, in quanto principio, del Figlio, è a Lui opposto ed è una persona distinta dal Figlio. Similmente il Padre c il Figlio, in quanto principio dello Spirito Santo, sono a Lui opposti c distinti da Lui.

    Dalla fecondità divina. In Dio vi è, in modo eminente, Ogni perfezione delle creature; ma la fecondità, che si esplica con la processione di un vivente da un altro vivente, è una perfezione o almeno un indizio di perfezione. Bisogna dunque porla in Dio, escludendo però le imperfezioni proprie delle creature. Nelle creature corporee la processione è transeunte ed il termine è sostanziale, come ad esempio nella generazione. Nelle creature spirituali la processione è immanente ed il termine è accidentale, come ad esempio il nostro verbo mentale.
    In Dio la processione è immanente ed il termine è sostanziale.
    Cirillo Alessandrino a quelli che negavano l'esistenza del Figlio in Dio, perché Dio è già perfetto senza il Figlio, così rispondeva: "Invero è perfetto il Padre nella sua maestà.... ed è perfetto non solo perché è Dio, ma anche perché è Padre. Infatti se togli a Dio l'essere padre, togli alla natura divina la fecondità, e non sarebbe perfetto, essendo privo del potere di generare. Pertanto una prova della perfezione è la fecondità ed il segno che dimostra la perfezione del Padre è il Figlio, che fin dall'eternità procede da Lui... Adunque la fecondità è naturale al Padre, il quale è perfetto, perché genera, pur senza essere bisognoso di alcun bene" (3).

    2. Le processioni divine non sono processioni di operazioni, né di operati, ma sono processioni per modo di operato.

    Dimostrata in Dio l'esistenza di processioni reali, passiamo a determinare il modo, nel quale debbono intendersi. E' necessario infatti escludere le imperfezioni, che si riscontrano nelle creature.

    a) Innanzitutto le processioni divine non possono intendersi come vere processioni di operazioni, perché queste implicano imperfezione nel loro, principio o soggetto. L'operazione infatti è l'attuazione della facoltà operativa, la quale passa dalla potenza all'atto c si muove ad acquistare la sua perfezione, che prima di agire non aveva. Ora, Dio, per la sua infinita perfezione, per la sua attualità (cioè il suo essere atto puro scevro di potenza, n.d.r.) ed immutabilità, non può passare dalla potenza all'atto. Essendo infinitamente perfetto, Egli possiede già attualmente ogni perfezione. In Lui quindi non può verificarsi una vera processione di operazione. In Dio l'essere, l'intendere e il volere si identificano realmente.

    b) Le processioni divine non possono intendersi come vere processioni di operato, perché ogni operato è causato e nulla di causato o prodotto può essere in Dio. Ad evitare il pericolo di errori, significhiamo le processioni divine con l'espressione per modo di operato, per indicare che il procedente in Dio, senza essere causato, corrisponde a quello che in noi è l'operato.
    La processione divina pertanto dice solo ordine di origine del termine al principio, senza alcuna dipendenza e inferiorità, e importa una reale distinzione delle persone nell'unica essenza.

    La processione divina quindi si suole definire: l'origine di una persona dall'altra, come da puro principio (senza alcuna dipendenza), con la comunicazione della stessa unica essenza.

    La ragione umana, con le sole sue forze, senza la rivelazione, non può arrivare a concepire la processione immanente per modo di operato e anche dopo di averne ricevuto la conoscenza dalla rivelazione, non riesce ancora a comprenderla. Possiamo però illustrarla mediante le analogie, prese dalle processioni di operato secondo le operazioni immanenti dell'intelletto e della volontà. "Ora, essendo Dio al disopra di tutte le cose, ciò che si dice di Lui non va inteso per analogia con le creature inferiori, ma con le superiori, cioè con le sostanze intellettuali; e per di più anche le similitudini desunte da esse sono insufficienti a rappresentare le cose divine. Perciò la processione (divina) non va presa nella stesso senso di quella che si verifica nei corpi con moto locale, o con la azione transitiva di una causa su oggetti esteriori, come quella del fuoco sulla cosa scaldata; ma piuttosto come una emanazione intellettuale, quale è quella del verbo mentale che resta nella mente che lo esprime (4). Illustreremo in seguito queste analogie psicologiche.

    Per le obiezioni contro le processioni divine cfr. S. Tommaso, 1, q. 27, a. 1

    NOTA

    Benché in Dio, essere semplicissimo, l'operazione dell'intelletto non si distingua da quella della volontà, tuttavia Egli è eminenter intelligente e volente. La ragione formale però dell'intendere si distingue da quella dell'amare. Quindi nell'essere eminenter intelligente e volente bisogna distinguere una duplice virtualità, quella cioè dell'intelletto e quella della volontà. Orbene non ripugna che un atto, nel quale si distinguano formalmente due virtualità, abbia due termini realmente distinti. Ciascuna virtualità infatti può essere la ragione sufficiente di ciascun termine (5).

    da un trattato sulla Trinità di Antonio Piolanti.

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    (1) "Essendo ogni processione la conseguenza di qualche azione, come dalla azione che tende a un oggetto esteriore deriva una processione all'esterno; così dall'azione che resta nell'agente si ha una processione che resta nell'interno stesso dell'agente. E questo si vede molto chiaramente nell'intelletto, la cui azione, cioè l'intendere, rimane in chi intende. Difatti, in chiunque intende, per ciò stesso che intende, c'è qualcosa che procede in lui, ed è il concetto (l'idea) della cosa intesa, la quale sgorga dall'attività della mente e alla nozione (specie impressa) della cosa intesa. E' questo concetto, o idea, che viene espresso esternamente con la voce: e vien detto verbo mentale e ne è segno il verbo orale o parola". S. TOMMASO, 1, q. 27, a. 1.

    2) Cfr. S. TomMASO, 1, q. 27, a. 1. Le parole dell'Angelico non vanno intese di qualsiasi conoscenza, bensì della conoscenza connaturale, mediante la quale la creatura intellettuale intende se stessa (CONET, disp. 11, a. 1, n. 6).

    (3) Thesaurus de sancta et consubstantiali Trinitate, 5 (MG. 75, 64).

    (4) S. TOMMASO, 1, q. 27, a. 1.

    (5) CALTIFR, op. cit., P. 167.

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    V. anche per approfondimenti Sul «Filioque»

  2. #12
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    Predefinito S. Tommaso, Summa theologica, 1, q. 27, a. 1

    Quaestio 27

    Proœmium

    Consideratis autem his quae ad divinae essentiae unitatem pertinent, restat considerare de his quae pertinent ad Trinitatem personarum in divinis. Et quia personae divinae secundum relationes originis distinguuntur, secundum ordinem doctrinae prius considerandum est de origine, sive de processione, secundo, de relationibus originis; tertio, de personis. Circa processionem quaeruntur quinque. Primo, utrum processio sit in divinis. Secundo, utrum aliqua processio in divinis generatio dici possit. Tertio, utrum praeter generationem aliqua alia processio possit esse in divinis. Quarto, utrum illa alia processio possit dici generatio. Quinto, utrum in divinis sint plures processiones quam duae.

    Articulus 1

    arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Deo non possit esse aliqua processio. Processio enim significat motum ad extra. Sed in divinis nihil est mobile, neque extraneum. Ergo neque processio.

    arg. 2 Praeterea, omne procedens est diversum ab eo a quo procedit. Sed in Deo non est aliqua diversitas, sed summa simplicitas. Ergo in Deo non est processio aliqua.

    arg. 3 Praeterea, procedere ab alio videtur rationi primi principii repugnare. Sed Deus est primum principium, ut supra ostensum est. Ergo in Deo processio locum non habet.

    Sed contra est quod dicit dominus, Ioan. VIII, ego ex Deo processi.

    Respondeo dicendum quod divina Scriptura, in rebus divinis, nominibus ad processionem pertinentibus utitur. Hanc autem processionem diversi diversimode acceperunt. Quidam enim acceperunt hanc processionem secundum quod effectus procedit a causa. Et sic accepit Arius, dicens filium procedere a patre sicut primam eius creaturam, et spiritum sanctum procedere a patre et filio sicut creaturam utriusque. Et secundum hoc, neque filius neque spiritus sanctus esset verus Deus. Quod est contra id quod dicitur de filio, I Ioan. ult., ut simus in vero filio eius, hic est verus Deus. Et de spiritu sancto dicitur, I Cor. VI, nescitis quia membra vestra templum sunt spiritus sancti? Templum autem habere solius Dei est. Alii vero hanc processionem acceperunt secundum quod causa dicitur procedere in effectum, inquantum vel movet ipsum, vel similitudinem suam ipsi imprimit. Et sic accepit Sabellius, dicens ipsum Deum patrem filium dici, secundum quod carnem assumpsit ex virgine. Et eundem dicit spiritum sanctum, secundum quod creaturam rationalem sanctificat, et ad vitam movet. Huic autem acceptioni repugnant verba domini de se dicentis, Ioan. V, non potest facere a se filius quidquam; et multa alia, per quae ostenditur quod non est ipse pater qui filius. Si quis autem diligenter consideret, uterque accepit processionem secundum quod est ad aliquid extra, unde neuter posuit processionem in ipso Deo. Sed, cum omnis processio sit secundum aliquam actionem, sicut secundum actionem quae tendit in exteriorem materiam, est aliqua processio ad extra; ita secundum actionem quae manet in ipso agente, attenditur processio quaedam ad intra. Et hoc maxime patet in intellectu, cuius actio, scilicet intelligere, manet in intelligente. Quicumque enim intelligit, ex hoc ipso quod intelligit, procedit aliquid intra ipsum, quod est conceptio rei intellectae, ex vi intellectiva proveniens, et ex eius notitia procedens. Quam quidem conceptionem vox significat, et dicitur verbum cordis, significatum verbo vocis. Cum autem Deus sit super omnia, ea quae in Deo dicuntur, non sunt intelligenda secundum modum infimarum creaturarum, quae sunt corpora; sed secundum similitudinem supremarum creaturarum, quae sunt intellectuales substantiae; a quibus etiam similitudo accepta deficit a repraesentatione divinorum. Non ergo accipienda est processio secundum quod est in corporalibus, vel per motum localem, vel per actionem alicuius causae in exteriorem effectum, ut calor a calefaciente in calefactum; sed secundum emanationem intelligibilem, utpote verbi intelligibilis a dicente, quod manet in ipso. Et sic fides Catholica processionem ponit in divinis.

    Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de processione quae est motus localis, vel quae est secundum actionem tendentem in exteriorem materiam, vel in exteriorem effectum, talis autem processio non est in divinis, ut dictum est.

    Ad secundum dicendum quod id quod procedit secundum processionem quae est ad extra, oportet esse diversum ab eo a quo procedit. Sed id quod procedit ad intra processu intelligibili, non oportet esse diversum, imo, quanto perfectius procedit, tanto magis est unum cum eo a quo procedit. Manifestum est enim quod quanto aliquid magis intelligitur, tanto conceptio intellectualis est magis intima intelligenti, et magis unum, nam intellectus secundum hoc quod actu intelligit, secundum hoc fit unum cum intellecto. Unde, cum divinum intelligere sit in fine perfectionis, ut supra dictum est, necesse est quod verbum divinum sit perfecte unum cum eo a quo procedit, absque omni diversitate.

    Ad tertium dicendum quod procedere a principio ut extraneum et diversum, repugnat rationi primi principii, sed procedere ut intimum et absque diversitate, per modum intelligibilem, includitur in ratione primi principii. Cum enim dicimus aedificatorem principium domus, in ratione huius principii includitur conceptio suae artis, et includeretur in ratione primi principii, si aedificator esset primum principium. Deus autem, qui est primum principium rerum, comparatur ad res creatas ut artifex ad artificiata.

    Articulus 2

    Ad secundum sic proceditur. Videtur quod processio quae est in divinis, non possit dici generatio. Generatio enim est mutatio de non esse in esse, corruptioni opposita; et utriusque subiectum est materia. Sed nihil horum competit divinis. Ergo non potest generatio esse in divinis.

    Praeterea, in Deo est processio secundum modum intelligibilem, ut dictum est. Sed in nobis talis processio non dicitur generatio. Ergo neque in Deo.

    Praeterea, omne genitum accipit esse a generante. Esse ergo cuiuslibet geniti est esse receptum. Sed nullum esse receptum est per se subsistens. Cum igitur esse divinum sit esse per se subsistens, ut supra probatum est, sequitur quod nullius geniti esse sit esse divinum. Non est ergo generatio in divinis.

    Sed contra est quod dicitur in Psalmo II, ego hodie genui te.

    Respondeo dicendum quod processio verbi in divinis dicitur generatio. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod nomine generationis dupliciter utimur. Uno modo, communiter ad omnia generabilia et corruptibilia, et sic generatio nihil aliud est quam mutatio de non esse ad esse. Alio modo, proprie in viventibus, et sic generatio significat originem alicuius viventis a principio vivente coniuncto. Et haec proprie dicitur nativitas. Non tamen omne huiusmodi dicitur genitum, sed proprie quod procedit secundum rationem similitudinis. Unde pilus vel capillus non habet rationem geniti et filii, sed solum quod procedit secundum rationem similitudinis, non cuiuscumque, nam vermes qui generantur in animalibus, non habent rationem generationis et filiationis, licet sit similitudo secundum genus, sed requiritur ad rationem talis generationis, quod procedat secundum rationem similitudinis in natura eiusdem speciei, sicut homo procedit ab homine, et equus ab equo. In viventibus autem quae de potentia in actum vitae procedunt, sicut sunt homines et animalia, generatio utramque generationem includit. Si autem sit aliquod vivens cuius vita non exeat de potentia in actum, processio, si qua in tali vivente invenitur, excludit omnino primam rationem generationis; sed potest habere rationem generationis quae est propria viventium. Sic igitur processio verbi in divinis habet rationem generationis. Procedit enim per modum intelligibilis actionis, quae est operatio vitae, et a principio coniuncto, ut supra iam dictum est, et secundum rationem similitudinis, quia conceptio intellectus est similitudo rei intellectae, et in eadem natura existens, quia in Deo idem est intelligere et esse, ut supra ostensum est. Unde processio verbi in divinis dicitur generatio, et ipsum verbum procedens dicitur filius.

    Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de generatione secundum rationem primam, prout importat exitum de potentia in actum. Et sic non invenitur in divinis, ut supra dictum est.

    Ad secundum dicendum quod intelligere in nobis non est ipsa substantia intellectus, unde verbum quod secundum intelligibilem operationem procedit in nobis, non est eiusdem naturae cum eo a quo procedit. Unde non proprie et complete competit sibi ratio generationis. Sed intelligere divinum est ipsa substantia intelligentis, ut supra ostensum est, unde verbum procedens procedit ut eiusdem naturae subsistens. Et propter hoc proprie dicitur genitum et filius. Unde et his quae pertinent ad generationem viventium, utitur Scriptura ad significandam processionem divinae sapientiae, scilicet conceptione et partu, dicitur enim ex persona divinae sapientiae, Proverb. VIII, nondum erant abyssi, et ego iam concepta eram; ante colles ego parturiebar. Sed in intellectu nostro utimur nomine conceptionis, secundum quod in verbo nostri intellectus invenitur similitudo rei intellectae, licet non inveniatur naturae identitas.

    Ad tertium dicendum quod non omne acceptum est receptum in aliquo subiecto, alioquin non posset dici quod tota substantia rei creatae sit accepta a Deo, cum totius substantiae non sit aliquod subiectum receptivum. Sic igitur id quod est genitum in divinis, accipit esse a generante, non tanquam illud esse sit receptum in aliqua materia vel subiecto (quod repugnat subsistentiae divini esse); sed secundum hoc dicitur esse acceptum, inquantum procedens ab alio habet esse divinum, non quasi aliud ab esse divino existens. In ipsa enim perfectione divini esse continetur et verbum intelligibiliter procedens, et principium verbi; sicut et quaecumque ad eius perfectionem pertinent, ut supra dictum est.

    Articulus 3

    Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sit in divinis alia processio a generatione verbi. Eadem enim ratione erit aliqua alia processio ab illa alia processione, et sic procederetur in infinitum, quod est inconveniens. Standum est igitur in primo, ut sit una tantum processio in divinis.

    Praeterea, in omni natura invenitur tantum unus modus communicationis illius naturae, et hoc ideo est, quia operationes secundum terminos habent unitatem et diversitatem. Sed processio in divinis non est nisi secundum communicationem divinae naturae. Cum igitur sit una tantum natura divina, ut supra ostensum est, relinquitur quod una sit tantum processio in divinis.

    Praeterea, si sit in divinis alia processio ab intelligibili processione verbi, non erit nisi processio amoris, quae est secundum voluntatis operationem. Sed talis processio non potest esse alia a processione intellectus intelligibili, quia voluntas in Deo non est aliud ab intellectu, ut supra ostensum est. Ergo in Deo non est alia processio praeter processionem verbi.

    Sed contra est quod spiritus sanctus procedit a patre, ut dicitur Ioan. XV. Ipse autem est alius a filio, secundum illud Ioan. XIV, rogabo patrem meum, et alium Paracletum dabit vobis. Ergo in divinis est alia processio praeter processionem verbi.

    Respondeo dicendum quod in divinis sunt duae processiones, scilicet processio verbi, et quaedam alia. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod in divinis non est processio nisi secundum actionem quae non tendit in aliquid extrinsecum, sed manet in ipso agente. Huiusmodi autem actio in intellectuali natura est actio intellectus et actio voluntatis. Processio autem verbi attenditur secundum actionem intelligibilem. Secundum autem operationem voluntatis invenitur in nobis quaedam alia processio, scilicet processio amoris, secundum quam amatum est in amante, sicut per conceptionem verbi res dicta vel intellecta, est in intelligente. Unde et praeter processionem verbi, ponitur alia processio in divinis, quae est processio amoris.

    Ad primum ergo dicendum quod non est necessarium procedere in divinis processionibus in infinitum. Processio enim quae est ad intra in intellectuali natura, terminatur in processione voluntatis.

    Ad secundum dicendum quod quidquid est in Deo, est Deus, ut supra ostensum est, quod non contingit in aliis rebus. Et ideo per quamlibet processionem quae non est ad extra, communicatur divina natura, non autem aliae naturae.

    Ad tertium dicendum quod, licet in Deo non sit aliud voluntas et intellectus, tamen de ratione voluntatis et intellectus est, quod processiones quae sunt secundum actionem utriusque, se habeant secundum quendam ordinem. Non enim est processio amoris nisi in ordine ad processionem verbi, nihil enim potest voluntate amari, nisi sit in intellectu conceptum. Sicut igitur attenditur quidam ordo verbi ad principium a quo procedit, licet in divinis sit eadem substantia intellectus et conceptio intellectus; ita, licet in Deo sit idem voluntas et intellectus, tamen, quia de ratione amoris est quod non procedat nisi a conceptione intellectus, habet ordinis distinctionem processio amoris a processione verbi in divinis.

    Articulus 4

    Ad quartum sic proceditur. Videtur quod processio amoris in divinis sit generatio. Quod enim procedit in similitudine naturae in viventibus, dicitur generatum et nascens. Sed id quod procedit in divinis per modum amoris, procedit in similitudine naturae, alias esset extraneum a natura divina, et sic esset processio ad extra. Ergo quod procedit in divinis per modum amoris, procedit ut genitum et nascens.

    Praeterea, sicut similitudo est de ratione verbi, ita est etiam de ratione amoris, unde dicitur Eccli. XIII, quod omne animal diligit simile sibi. Si igitur ratione similitudinis verbo procedenti convenit generari et nasci, videtur etiam quod amori procedenti convenit generari.

    Praeterea, non est in genere quod non est in aliqua eius specie. Si igitur in divinis sit quaedam processio amoris, oportet quod, praeter hoc nomen commune, habeat aliquod nomen speciale. Sed non est aliud nomen dare nisi generatio. Ergo videtur quod processio amoris in divinis sit generatio.

    Sed contra est quia secundum hoc sequeretur quod spiritus sanctus, qui procedit ut amor, procederet ut genitus. Quod est contra illud Athanasii, spiritus sanctus a patre et filio non factus nec creatus nec genitus, sed procedens.

    Respondeo dicendum quod processio amoris in divinis non debet dici generatio. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod haec est differentia inter intellectum et voluntatem, quod intellectus fit in actu per hoc quod res intellecta est in intellectu secundum suam similitudinem, voluntas autem fit in actu, non per hoc quod aliqua similitudo voliti sit in voluntate, sed ex hoc quod voluntas habet quandam inclinationem in rem volitam. Processio igitur quae attenditur secundum rationem intellectus, est secundum rationem similitudinis, et intantum potest habere rationem generationis, quia omne generans generat sibi simile. Processio autem quae attenditur secundum rationem voluntatis, non consideratur secundum rationem similitudinis, sed magis secundum rationem impellentis et moventis in aliquid. Et ideo quod procedit in divinis per modum amoris, non procedit ut genitum vel ut filius, sed magis procedit ut spiritus, quo nomine quaedam vitalis motio et impulsio designatur, prout aliquis ex amore dicitur moveri vel impelli ad aliquid faciendum.

    Ad primum ergo dicendum quod quidquid est in divinis, est unum cum divina natura. Unde ex parte huius unitatis non potest accipi propria ratio huius processionis vel illius, secundum quam una distinguatur ab alia, sed oportet quod propria ratio huius vel illius processionis accipiatur secundum ordinem unius processionis ad aliam. Huiusmodi autem ordo attenditur secundum rationem voluntatis et intellectus. Unde secundum horum propriam rationem sortitur in divinis nomen utraque processio, quod imponitur ad propriam rationem rei significandam. Et inde est quod procedens per modum amoris et divinam naturam accipit, et tamen non dicitur natum.

    Ad secundum dicendum quod similitudo aliter pertinet ad verbum, et aliter ad amorem. Nam ad verbum pertinet inquantum ipsum est quaedam similitudo rei intellectae, sicut genitum est similitudo generantis, sed ad amorem pertinet, non quod ipse amor sit similitudo, sed inquantum similitudo est principium amandi. Unde non sequitur quod amor sit genitus, sed quod genitum sit principium amoris.

    Ad tertium dicendum quod Deum nominare non possumus nisi ex creaturis, ut dictum est supra. Et quia in creaturis communicatio naturae non est nisi per generationem, processio in divinis non habet proprium vel speciale nomen nisi generationis. Unde processio quae non est generatio, remansit sine speciali nomine. Sed potest nominari spiratio, quia est processio spiritus.

    Articulus 5

    Ad quintum sic proceditur. Videtur quod sint plures processiones in divinis quam duae. Sicut enim scientia et voluntas attribuitur Deo, ita et potentia. Si igitur secundum intellectum et voluntatem accipiuntur in Deo duae processiones, videtur quod tertia sit accipienda secundum potentiam.

    Praeterea, bonitas maxime videtur esse principium processionis, cum bonum dicatur diffusivum sui esse. Videtur igitur quod secundum bonitatem aliqua processio in divinis accipi debeat.

    Praeterea, maior est fecunditatis virtus in Deo quam in nobis. Sed in nobis non est tantum una processio verbi, sed multae, quia ex uno verbo in nobis procedit aliud verbum; et similiter ex uno amore alius amor. Ergo et in Deo sunt plures processiones quam duae.

    Sed contra est quod in Deo non sunt nisi duo procedentes, scilicet filius et spiritus sanctus. Ergo sunt ibi tantum duae processiones.

    Respondeo dicendum quod processiones in divinis accipi non possunt nisi secundum actiones quae in agente manent. Huiusmodi autem actiones in natura intellectuali et divina non sunt nisi duae, scilicet intelligere et velle. Nam sentire, quod etiam videtur esse operatio in sentiente, est extra naturam intellectualem, neque totaliter est remotum a genere actionum quae sunt ad extra; nam sentire perficitur per actionem sensibilis in sensum. Relinquitur igitur quod nulla alia processio possit esse in Deo, nisi verbi et amoris.

    Ad primum ergo dicendum quod potentia est principium agendi in aliud, unde secundum potentiam accipitur actio ad extra. Et sic secundum attributum potentiae non accipitur processio divinae personae, sed solum processio creaturarum.

    Ad secundum dicendum quod bonum, sicut dicit Boetius in libro de Hebd., pertinet ad essentiam et non ad operationem, nisi forte sicut obiectum voluntatis. Unde, cum processiones divinas secundum aliquas actiones necesse sit accipere, secundum bonitatem et huiusmodi alia attributa non accipiuntur aliae processiones nisi verbi et amoris, secundum quod Deus suam essentiam, veritatem et bonitatem intelligit et amat.

    Ad tertium dicendum quod, sicut supra habitum est, Deus uno simplici actu omnia intelligit, et similiter omnia vult. Unde in eo non potest esse processio verbi ex verbo, neque amoris ex amore, sed est in eo solum unum verbum perfectum, et unus amor perfectus. Et in hoc eius perfecta fecunditas manifestatur.


  3. #13
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    Predefinito Santa Caterina da Siena; "Dialogo della Divina Provvidenza", cap. 167

    O Trinità eterna, o deità, natura divina che avvalorò il prezzo del sangue del Figlio tuo! Tu, Trinità eterna, Sei un mare profondo, in cui quanto più ci si immerge, più lo si trova, e quanto più lo si trova, più lo si cerca. Tu sei insaziabile, perché tuffandosi l'anima nel tuo abisso, non si sazia, ma in te permane nella fame di te, e di te ha sete, Trinità eterna, desiderando vederti, con il lume, nella tua luce. Come il cervo brama la fonte d'acqua viva, così l'anima desidera uscire dal carcere oscuro del corpo e vedere te in verità. O quanto tempo ancora sarà nascosta ai miei occhi la tua faccia?

    O Trinità eterna, fuoco e abisso di carità, dissolvi ormai la nube del mio corpo! La conoscenza di te, che mi hai donato nella tua verità, mi costringe a desiderare di lasciare la gravezza del mio corpo e di dare la vita a gloria e lode del tuo nome. Perché io ho gustato e veduto, con il lume dell'intelletto, nel tuo lume, l'abisso tuo, Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura

    Per questo, guardando me in te, vidi che io sono tua immagine, partecipe, per tuo dono, della potenza tua, Padre eterno, e della sapienza tua nel mio intelletto, sapienza che è appropriata al tuo unigenito Figliuolo. Lo Spirito Santo, poi, che procede da te e dal Figliuolo tuo, mi ha data la volontà con cui posso amarti.

    Tu, Trinità eterna, sei creatore e io, che sono tua creatura, ho conosciuto, nella rigenerazione che hai fatto di me nel sangue del tuo Figlio, che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura. O abisso, deità eterna, mare profondo! E che potevi darmi di più, se mi hai dato te stesso?

    Tu sei fuoco che sempre ardi e non consumi; fuoco che incenerisci nel tuo calore ogni amor proprio dell'anima; fuoco che togli ogni freddezza, fuoco che illumini. Con il tuo lume mi hai fatto conoscere la tua verità: tu sei quel lume superiore a ogni altra luce che illumini l'occhio dell'intelletto, con tanta abbondanza e perfezione da accrescere in chiarezza il lume della fede. In questa fede vedo che la mia anima ha vita, e in questa luce riceve te, fonte di luce.

  4. #14
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    Predefinito Messaggio di Gesù a Santa Brigida di Svezia; "Rivelazioni", Libro III, 26

    Sono il Creatore del cielo e della terra, Dio vero con il Padre e con lo Spirito Santo, perché il Padre è Dio e lo Spirito Santo è Dio: non tre divinità, bensì tre Persone in un Dio. Potresti domandarmi: "Perché ci sono tre Persone e un Dio solo?" Rispondo che non c'è altro Dio se non la potenza, la sapienza e la bontà stesse, da cui derivano qualsiasi forma di potenza sotto il cielo e nel cielo, e qualsiasi forma concepibile o immaginabile di saggezza e di pietà.

    Ora, Dio è uno e trino, uno in natura e trino nelle Persone, perché il Padre è la potenza e la saggezza da cui ogni cosa deriva ed è preceduta; egli è potente, non perché riceva potenza da qualcos'altro, ma perché la riceve da se stesso, da sempre. Anche il Figlio, come il Padre, è potenza e saggezza, ma trae potenza non da se stesso bensì dal Padre, in modo vigoroso e ineffabile, ed è principio del Principe che non è mai separato dal Padre. Anche lo Spirito Santo è potenza e saggezza, e poiché procede dal Padre e dal Figlio, ha pari potenza e maestà.

    Dunque, ci sono un Dio e tre Persone, e un'operazione di tre Persone, una volontà, una gloria e una potenza. Egli è talmente un'essenza unica che esiste comunque una distinzione fra le Persone, in quanto tutto il Padre è nel Figlio e nello Spirito Santo, il Figlio è nel Padre e nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo è in entrambi, in una natura divina, non anteriore o posteriore, ma in un modo ineffabile dove non esistono né precedenza né posteriorità e dove nessuno è maggiore dell'altro. Per questo sta scritto, a ragion veduta, che Dio è mirabile e sommamente lodevole.

  5. #15
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    Predefinito Santa Faustina Kowalska; "Diario di Suor Faustina Kowalska", pag. 327-328

    Un certo momento la presenza di Dio penetrò in tutto il mio essere. La mia mente venne singolarmente illuminata in modo da conoscere la Sua Essenza; Dio mi fece conoscere la Sua vita interiore. Vidi in ispirito le Tre Persone Divine, ma la loro Essenza è unica. Egli è Solo, Uno, Unico, ma in Tre Persone, ognuna delle quali non è più piccola né più grande; non c'è fra Loro differenza né in bellezza né in santità, poiché sono Uno. Uno, sono assolutamente Uno. il Suo amore mi ha portato a questa conoscenza e mi ha unito a Sé. Quando ero unita con una, ero unita anche con la seconda e con la terza, poiché quando ci uniamo con una, per ciò stesso ci uniamo anche con le altre due Persone, così come lo siamo con una. Una è la Loro volontà, Uno Dio, benché Trino nelle Persone. Quando Una delle Tre Persone si dona ad un'anima, in forza dell'unica volontà, è unita con le Tre Persone ed è inondata di felicità, che proviene dalla Santissima Trinità. Di tale felicità si nutrono i Santi. La felicità che scaturisce dalla SS.ma Trinità rende felice tutto il creato, fa sgorgare la vita, che vivifica ed anima ogni essere che ha inizio da Lui. In quei momenti la mia anima ha provato delizie divine così intense, che mi è difficile esprimere.

  6. #16
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    Predefinito Santa Margherita Maria Alacoque; Autobiografia, par. 59

    ...si presentarono a me le tre persone della Santa Trinità, che riempirono di grande consolazione la mia anima. Non sono in grado di spiegare quel che mi accadde; posso solo dire che mi parve che il Padre eterno, mostrandomi una grandissima croce irta di spine, insieme a tutti gli altri strumenti della passione, mi disse: "Tieni, figlia mia, ti faccio lo stesso dono che ho fatto al mio amato Figlio". " E io", mi disse il mio signore Gesù Cristo, "ti ci crocifiggerò come io sono stato crocifisso e ti terrò compagnia". La terza di quelle adorabili persone mi disse che lui era solo amore e che mi avrebbe consumata purificandomi. Il mio animo rimase in una pace e in una gioia inconcepibili e l'impressione che mi fecero quelle divine Persone non si è cancellata mai più. Mi apparvero sotto forma di tre giovani vestiti di bianco risplendenti di luce, tutti della stessa età, grandezza e bellezza. Allora non capii, come ho capito in seguito, le grandi sofferenze che tutto ciò comportava.

  7. #17
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    Predefinito Beata Elisabetta Canori Mora, Diario - La mia vita nel cuore della Trinità, II, 26, 1

    Per mezzo di intellettuale intelligenza, volle Dio darmi in qualche maniera a conoscere l’augustissimo mistero della sua Trinità sacrosanta. Accomodandosi, per sua infinita bontà, al mio scarso talento, mi si fece vedere sotto la seguente figura. Stavo tutta intenta a quell’angolo anzidetto, sperando ogni momento il felice ingresso in quella seconda mansione, quando ad un tratto Dio, di propria mano, mi sollevò sopra l’alto di un muro. Sollevata sopra di questa altura, Dio mi si manifestò sotto la figura di una immensa luce. Era questa luce immensa figurata in tre globi, di una bellezza senza pari; in questa immensa luce la povera anima mia conosceva, per quanto ne è capace, l’infinita essenza di Dio uno e trino. Nel conoscere cose tanto alte e magnifiche, che non ho termini per spiegare, la povera anima mia, piena di rispetto e venerazione e di santo timore, si annientava in se stessa, e profondamente venerava l’augustissimo mistero della santissima Trinità. Questa immensa luce generava fuori di sé cose tanto belle, che io, per la mia insufficienza, non so ridire; ma quello che con mio stupore osservai, era che le opere generate da questa luce tornavano alla medesima luce. Per mezzo di interna illustrazione conobbi che queste sono le opere meravigliose della sua infinita potenza, della sua infinita sapienza, della sua infinita bontà. Per mezzo della suddetta luce Dio mi degnò di un grado molto particolare di unione.

    Nel tempo che l’anima era sopraffatta e dall’ammirazione e dalla compiacenza, nell’atto che gli rendeva gli ossequi più veraci, l’amore mi stemperava affatto in lacrime di dolcezza e di santo affetto. In questo tempo vidi dai tre globi anzidetti scoppiare tre raggi di luce purissima, che venne ad investirmi; nell’investirmi generò nel mio cuore gli effetti più puri, più santi, più giusti che mai dir si possa. Al momento trasformarono il mio spirito in Dio. Prodotto che Dio ebbe in me questo bene, tornò a farlo suo, e in questa maniera fu medesimato il mio spirito in Dio. I buoni effetti che sperimentai non mi è possibile manifestarli. Credo certo però che sarà più facile a vostra paternità reverendissima il comprenderli di quello che io, per la mia insufficienza, spiegarli; giacché, a gloria del mio Dio, devo confessare che dopo che avessi detto quanto mai si possa dire da qualunque dottore, mai dirò quanto è in realtà.

    Oh, quanto è mai grande l’amore che mi dimostrò il mio Dio in questa comunicazione! Non è spiegabile.

  8. #18
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    Predefinito Suor Lucia Dos Santos; "Memórias e Cartas da Irmã Lúcia", pagg. 462 e 464

    Il 13 giugno 1929, suor Lucia ebbe una visione della santissima Trinità: «Una notte sola mi inginocchiai alla balaustra, in mezzo alla cappella a recitare prostrata le preghiere dell'Angelo. Sentendomi stanca, mi alzai e continuai a recitarle con le braccia incrociate. L'unica luce era quella della lampada. Improvvisamente tutta la cappella si illuminò di una luce soprannaturale, e sull'altare apparve una Croce di luce che arrivava fino al tetto. In una luce più chiara, nella parte superiore della Croce, si vedeva un volto di uomo con il corpo fino alla cintola [il Padre], sul petto una colomba di luce [lo Spirito Santo], e inchiodato sulla croce il corpo di un altro uomo [il Figlio]. Un poco sotto la cintola, sospesi nell'aria si vedevano un calice e una grande Ostia sulla quale cadevano alcune gocce di sangue che scorrevano sul volto del Crocifisso e da una ferita del costato. Scivolando sull'Ostia, queste gocce cadevano nel calice. Sotto il braccio destro della croce stava la Madonna (era la Madonna di Fátima con il suo Cuore Immacolato nella mano sinistra, senza spada né rose, ma con una corona di spine e fiamme)... Sotto il braccio sinistro [della croce] alcune grandi lettere, come fossero di acqua cristallina che scorreva sull'altare, formavano queste parole: Grazia e Misericordia. Compresi che mi veniva mostrato il mistero della santissima Trinità, e ricevetti su questo mistero lumi che non mi è permesso rivelare.

  9. #19
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    Predefinito Santa Teresa d'Avila; "Libro della vita", cap. 39, par. 25

    Un giorno, mentre recitavo il salmo "Quicumque vult", riuscii a capire così chiaramente esservi un Dio solo in tre Persone, che ne rimasi assai sorpresa e consolata. Ciò mi aiutò molto a meglio conoscere la grandezza di Dio e le sue meraviglie; così, quando penso alla santissima Trinità o ne sento parlare, mi sembra di capirne qualcosa e ne sono felice.

  10. #20
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    Predefinito Santa Teresa d'Avila, "Castello interiore", VII mansioni, cap. I, par. 6

    ...il nostro buon Dio vuole ormai levarle [all'anima; N.d.R.] le squame dagli occhi, affinché veda e comprenda qualcosa della grazia che egli le concede, ma in un modo singolare. Una volta che essa sia introdotta in questa mansione, per mezzo di una visione intellettuale, tutt’e tre le Persone della Santissima Trinità le si mostrano per una certa rappresentazione della verità, nel divampare di un incendio che investe subito il suo spirito come una nube risplendente. Le tre Persone si vedono distintamente e l’anima, per una nozione ammirabile che le viene comunicata, comprende con assoluta certezza che tutt’e tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Così, ciò che crediamo per fede, l’anima qui lo percepisce, si può dire, con la vista, anche se non si vede nulla né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, perché non si tratta di visione immaginaria. Allora tutt’e tre le divine Persone si comunicano ad essa, le parlano e le fanno intendere le parole dette dal Signore nel Vangelo: che egli verrà, con il Padre e lo Spirito santo, a dimorare nell’anima che lo ama e osserva i suoi comandamenti.

 

 
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