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LE PROCESSIONI IN DIO
Esistenza delle processioni reali in Dio
La parola processione nel linguaggio comune ha vari significati. Etimologicamente (πρόβασις da προβαίνέιν ) indica il moto locale, cioè il passaggio da un luogo all'altro. In senso più largo può significare qualsiasi mutazione o successione, anche se non implica moto locale. Può infine significare l'origine di una cosa da un'altra sia nell'ordine fisico che in quello morale. Ha questo senso nelle frasi: il raggio procede dal sole, l'effetto dalla causa, l'atto dalla facoltà, il generato dal generante.
In Dio, poiché non vi può - essere né moto locale, né mutazione, la parola processione significa l'origine di una persona dall'altra. Nel creato distinguiamo un duplice modo di procedere o di aver origine. Ci sono infatti azioni, che procedono dal principio operante, come l'intendere dal soggetto intelligente; e operati o effetti, che procedono dal soggetto operante, come la statua dal1'artefice. Vi è dunque 1'origine come operazione e come operato. Questa ultima si dice anche secondo 1'operazione, in quanto l'operato procede in ragione dell'operazione, della quale è il termine. L'origine come operato è duplice: immanente, se l'operato resta nel principio da cui procede, come ad esempio l'idea, operato del nostro intendere, rimane nell'intelletto; transeunte, se l'operato è al di fuori del principio da cui procede, come la statua è al di fuori dello scultore (1).
Questa suddivisione vale solo per l'origine come operato, perché le origini come operazioni sono sempre immanenti, in quanto l'agire è sempre nel soggetto.
In ogni processione reale, ciò che procede si distingue realmente dal principio da cui procede. Nella processione di operazione, tale distinzione è accidentale; nella processione di operato invece la distinzione tra agente c operato può essere sostanziale o accidentale, secondo che l'operato sia una sostanza estrinseca al soggetto, come ad esempio la statua, oppure un accidente intrinseco al soggetto, come il nostro verbo mentale.
Noi consideriamo qui le processioni divine immanenti: quelle ad extra sono studiate negli altri trattati teologici.
TESI. In Dio ci sono processioni reali immanenti. Esse però non sono processioni di operazioni o di operati, ma devono intendersi come processioni per modo di operato.
Valore: de fide catholica.
La tesi contiene due problemi: l'esistenza c il modo di concepire le processioni divine.
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Errori. Negarono l'esistenza in Dio di processioni reali immanenti tutti gli eretici, che non ammettono la distinzione reale c la consustanzialità delle persone divine. Due sono gli errori principali del tutto opposti.
Per il sabellianesimo 1'unica persona divina è diversamente denominata secondo i rapporti a extra, è detta cioè Padre in quanto creatore, Figlio in quanto redentore, Spirito Santo in quanto santificatore. Non vi sono dunque in Dio processioni reali.
L'arianesimo e il macedonianesimo invece intesero in senso transeunte le processioni divine, delle quali parla la S. Scrittura. Negarono pertanto la divinità del Verbo e dello Spirito Santo: il Verbo sarebbe la prima creatura del Padre c lo Spirito Sarto sarebbe una creatura del Verbo.
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Che in Dio vi siano processioni reali immanenti e che tali processioni non debbano essere concepite come processioni di operato è una verità di fede cattolica. I simboli Quicumque c niceno-costantinopolitano affermano la processione del Figlio dal Padre e la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Inoltre professano la consostanzialità delle tre persone divine: il Figlio e lo Spirito Santo procedono, ma non sono creati.
Simbolo Quicumque: "Questa è la fede cattolica, che adoriamo un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell'unità, senza confusione di persone e senza distinzione di sostanza; altra è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo; ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo una sola è la divinità, uguale la gloria, coeterna la maestà... il Figlio è dal Padre solo, non fatto, nè creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non fatto, né creato, ma procedente"(DB. 39).
Simbolo niceno-costantinopolitano: "Crediamo ... in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato dal Padre... Dio vero da Dio vero: nato, non fatto, consustanziale al Padre. E nello Spirito Santo, Signore e vivificatore, procedente dal Padre (che procede dal Padre e dal Figlio) (DB. 86). Cfr., il conc. IV del Laterano (DB. 428) c il conc. di Firenze (DB. 691).
Dimostrazione
1. Sono in Dio processioni reali immanenti.
a) La S. Scrittura, parlando di Dio, usa i termini generazione c processione (Mt. 3, 17; Gv. 15, 16; 15, 26 ecc.), che significano processioni. Orbene tali processioni debbono intendersi come reali ed immanenti. Intendendole infatti modalisticamente, si verrebbe a negare la pluralità delle persone divine, chiaramente affermata dalla S. Scrittura. Inoltre se tali processioni non fossero immanenti, verrebbe distrutta la consustanzialità delle persone divine, la quale si trova asserita con uguale chiarezza nella S. Scrittura. Bisogna dunque porre in Dio processioni reali ed immanenti.
b) La Tradizione cattolica non solo ha sempre professato le processioni divine del Figlio e dello Spirito Santo, ma ha anche strenuamente difeso la realtà di tali processioni e la consustanzialità delle tre persone contro le negazioni degli eretici.
c) Ragioni di convenienza. Per la giusta valutazione degli argomenti, che stiamo per esporre, notiamo, che essi hanno valore se si suppone la rivelazione del mistero trinitario.
Dall'analogia delle processioni immanenti nelle creature ragionevoli. "In chiunque intende, per ciò stesso che intende, c'è qualcosa che procede in lui ed è il concetto (1'idea) della cosa intesa" (2): alla conoscenza poi segue un impulso per cui l'oggetto amato è nel soggetto amante: tale impulso procede dall'amato come termine dell'amore. Ma Dio si conosce e si ama perfettamente. Quindi bisogna porre in Lui le processioni immanenti del verbo e dell'amore.
Il Verbo e l'Amore procedenti in Dio, oltre ad essere intimamente uniti a Lui, debbono essere sostanziali, perché nulla di accidentale può essere in Dio. Se siano però persone distinte, può dedursi dall'argomento esposto, solo se si suppone già la rivelazione del mistero trinitario.
Dalla pluralità delle persone divine. Dalla rivelazione conosciamo che in Dio vi sono tre persone. Orbene questa pluralità non si può spiegare senza le processioni immanenti, perché non può provenire dalla natura divina, la quale è unica. Con le processioni invece si spiega la distinzione personale, perché le processioni implicano opposte relazioni di origine è conseguentemente la distinzione tra il principio e il termine. Si comprende così che il Padre, in quanto principio, del Figlio, è a Lui opposto ed è una persona distinta dal Figlio. Similmente il Padre c il Figlio, in quanto principio dello Spirito Santo, sono a Lui opposti c distinti da Lui.
Dalla fecondità divina. In Dio vi è, in modo eminente, Ogni perfezione delle creature; ma la fecondità, che si esplica con la processione di un vivente da un altro vivente, è una perfezione o almeno un indizio di perfezione. Bisogna dunque porla in Dio, escludendo però le imperfezioni proprie delle creature. Nelle creature corporee la processione è transeunte ed il termine è sostanziale, come ad esempio nella generazione. Nelle creature spirituali la processione è immanente ed il termine è accidentale, come ad esempio il nostro verbo mentale.
In Dio la processione è immanente ed il termine è sostanziale.
Cirillo Alessandrino a quelli che negavano l'esistenza del Figlio in Dio, perché Dio è già perfetto senza il Figlio, così rispondeva: "Invero è perfetto il Padre nella sua maestà.... ed è perfetto non solo perché è Dio, ma anche perché è Padre. Infatti se togli a Dio l'essere padre, togli alla natura divina la fecondità, e non sarebbe perfetto, essendo privo del potere di generare. Pertanto una prova della perfezione è la fecondità ed il segno che dimostra la perfezione del Padre è il Figlio, che fin dall'eternità procede da Lui... Adunque la fecondità è naturale al Padre, il quale è perfetto, perché genera, pur senza essere bisognoso di alcun bene" (3).
2. Le processioni divine non sono processioni di operazioni, né di operati, ma sono processioni per modo di operato.
Dimostrata in Dio l'esistenza di processioni reali, passiamo a determinare il modo, nel quale debbono intendersi. E' necessario infatti escludere le imperfezioni, che si riscontrano nelle creature.
a) Innanzitutto le processioni divine non possono intendersi come vere processioni di operazioni, perché queste implicano imperfezione nel loro, principio o soggetto. L'operazione infatti è l'attuazione della facoltà operativa, la quale passa dalla potenza all'atto c si muove ad acquistare la sua perfezione, che prima di agire non aveva. Ora, Dio, per la sua infinita perfezione, per la sua attualità (cioè il suo essere atto puro scevro di potenza, n.d.r.) ed immutabilità, non può passare dalla potenza all'atto. Essendo infinitamente perfetto, Egli possiede già attualmente ogni perfezione. In Lui quindi non può verificarsi una vera processione di operazione. In Dio l'essere, l'intendere e il volere si identificano realmente.
b) Le processioni divine non possono intendersi come vere processioni di operato, perché ogni operato è causato e nulla di causato o prodotto può essere in Dio. Ad evitare il pericolo di errori, significhiamo le processioni divine con l'espressione per modo di operato, per indicare che il procedente in Dio, senza essere causato, corrisponde a quello che in noi è l'operato.
La processione divina pertanto dice solo ordine di origine del termine al principio, senza alcuna dipendenza e inferiorità, e importa una reale distinzione delle persone nell'unica essenza.
La processione divina quindi si suole definire: l'origine di una persona dall'altra, come da puro principio (senza alcuna dipendenza), con la comunicazione della stessa unica essenza.
La ragione umana, con le sole sue forze, senza la rivelazione, non può arrivare a concepire la processione immanente per modo di operato e anche dopo di averne ricevuto la conoscenza dalla rivelazione, non riesce ancora a comprenderla. Possiamo però illustrarla mediante le analogie, prese dalle processioni di operato secondo le operazioni immanenti dell'intelletto e della volontà. "Ora, essendo Dio al disopra di tutte le cose, ciò che si dice di Lui non va inteso per analogia con le creature inferiori, ma con le superiori, cioè con le sostanze intellettuali; e per di più anche le similitudini desunte da esse sono insufficienti a rappresentare le cose divine. Perciò la processione (divina) non va presa nella stesso senso di quella che si verifica nei corpi con moto locale, o con la azione transitiva di una causa su oggetti esteriori, come quella del fuoco sulla cosa scaldata; ma piuttosto come una emanazione intellettuale, quale è quella del verbo mentale che resta nella mente che lo esprime (4). Illustreremo in seguito queste analogie psicologiche.
Per le obiezioni contro le processioni divine cfr. S. Tommaso, 1, q. 27, a. 1
NOTA
Benché in Dio, essere semplicissimo, l'operazione dell'intelletto non si distingua da quella della volontà, tuttavia Egli è eminenter intelligente e volente. La ragione formale però dell'intendere si distingue da quella dell'amare. Quindi nell'essere eminenter intelligente e volente bisogna distinguere una duplice virtualità, quella cioè dell'intelletto e quella della volontà. Orbene non ripugna che un atto, nel quale si distinguano formalmente due virtualità, abbia due termini realmente distinti. Ciascuna virtualità infatti può essere la ragione sufficiente di ciascun termine (5).
da un trattato sulla Trinità di Antonio Piolanti.
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(1) "Essendo ogni processione la conseguenza di qualche azione, come dalla azione che tende a un oggetto esteriore deriva una processione all'esterno; così dall'azione che resta nell'agente si ha una processione che resta nell'interno stesso dell'agente. E questo si vede molto chiaramente nell'intelletto, la cui azione, cioè l'intendere, rimane in chi intende. Difatti, in chiunque intende, per ciò stesso che intende, c'è qualcosa che procede in lui, ed è il concetto (l'idea) della cosa intesa, la quale sgorga dall'attività della mente e alla nozione (specie impressa) della cosa intesa. E' questo concetto, o idea, che viene espresso esternamente con la voce: e vien detto verbo mentale e ne è segno il verbo orale o parola". S. TOMMASO, 1, q. 27, a. 1.
2) Cfr. S. TomMASO, 1, q. 27, a. 1. Le parole dell'Angelico non vanno intese di qualsiasi conoscenza, bensì della conoscenza connaturale, mediante la quale la creatura intellettuale intende se stessa (CONET, disp. 11, a. 1, n. 6).
(3) Thesaurus de sancta et consubstantiali Trinitate, 5 (MG. 75, 64).
(4) S. TOMMASO, 1, q. 27, a. 1.
(5) CALTIFR, op. cit., P. 167.
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V. anche per approfondimenti Sul «Filioque»