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Discussione: SS. Trinità

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    Predefinito SS. Trinità - Domenica dopo Pentecoste

    Dai poemi dogmatici di san Gregorio Nazianzeno.
    Carmina Arcana I, I-II. PG 37, 397-411


    So che affrontiamo su piccole barche una lunga traversata e ci muoviamo verso il cielo trapunto di stelle servendoci di deboli ali, quando l'animo ci spinge a cantare Dio e le vie dell'Onnipotente, governatore dell'universo. Nemmeno gli abitanti del cielo sono capaci di onorarlo come conviene. E tuttavia - spesso, infatti, neppure a Dio piace tanto il dono che proviene dalla mano di un ricco quanto quello che gli offre una mano a lui amica e povera - proprio per questo farò risuonare audacemente la mia parola. Uno solo è Dio, senza principio né causa, non circoscritto da cosa alcuna preesistente o futura, infinito che abbraccia il tempo, grande Padre del grande e santo Figlio unigenito: purissimo spirito, nulla ha sofferto nel Figlio di quanto egli ha patito nella carne.

    Unico Dio, distinto nella persona, ma non nella divinità, è il Verbo divino: Egli è la viva impronta del Padre, unico Figlio di Colui ch'è senza principio, l'assolutamente unico Figlio dell'Essere unico, a lui uguale. Così, mentre quegli rimane pienamente genitore, egli, il Figlio, è anche lui creatore e reggitore del mondo, la potenza e l'Intelletto del Padre E vi è un solo Spirito, che è Dio, e proviene da Dio, che è buono. Il Figlio, senza nulla perdere della sua divinità, mi salvò, chinandosi, medico misericordioso, sulle mie ferite purulente.

    Era mortale, ma Dio; discendente di Davide, ma creatore di Adamo; rivestito di corpo, ma non partecipe della carne. Ebbe una madre, ma vergine, circoscritto, ma immenso. Fu vittima, ma anche sommo sacerdote; sacrificatore, eppure era Dio. Offerse a Dio il suo sangue, per cui purificò il mondo intero. Una croce lo tenne sollevato da terra, ma rimase confitto ai chiodi il peccato. Andò dai morti, ma risorse dall'inferno e prima risuscitò molti che erano morti. Il primo evento - la sua morte - è proprio della miseria umana, il secondo - la risurrezione - si addice alla ricchezza dell'essere incorporeo. Non gridare allo scandalo, come se la vicenda umana fosse disdicevole a Dio, ma onora ancor più la tua forma terrena che il Figlio immortale ha assunto su di sé, perché ti vuol bene.

    Mio cuore, che aspetti? Anche dello Spirito tu devi cantare la gloria. Non separare con le tue parole ciò che non è estraneo a Dio per natura. Tremiamo davanti alla grandezza dello Spirito Santo. Egli è senza dubbio Dio e grazie a lui io ho conosciuto Dio. Lo Spirito è Dio che si manifesta, colui che fa nascere Dio quaggiù. È onnipotente, concede i doni più svariati. Lo cantano negli inni i cori dei santi; è donatore di vita agli esseri che sono in cielo e in terra. Risiede nell'alto; procede dal Padre; è la potenza del Figlio; non è sottomesso a nessuno.

    Non è il Figlio - uno solo è il Figlio dell'Uno, Figlio buono dell'ottimo Padre - eppure non è estraneo all'invisibile natura divina, ma riceve la sua stessa gloria. Chiunque nelle Lettere divinamente ispirate desidera cogliere la divinità dello Spirito celeste, vedrà molte e frequenti strade raccogliersi insieme, purché lo voglia, se nel suo cuore ha attinto qualcosa dello Spirito Santo e se la sua vista è acuta.

    In un primo tempo la Parola antica aveva manifestato l'intera divinità del Padre, ma fece soltanto intravedere la gloria immensa di Cristo a pochi mortali dal cuore prudente. Così, più tardi, rivelando in modo più chiaro la natura divina del Figlio, fece risplendere velata la natura del fulgido Spirito. Ma allora fu soltanto un barlume, perché la pienezza dell'illuminazione era riservata a noi. Per noi lo Spirito, quindi, si divise in un secondo momento in lingue di fuoco, mostrando il segno della sua natura divina, quando il Salvatore fu assunto in alto nel cielo. Infatti io so che Dio è fuoco per i malvagi, così come è luce per i buoni.

    Ecco: ti ho presentato le varie Persone della divinità. Bada di non disdegnare nessun aspetto di essa, ponendo qualcosa, al suo interno, su di un piano superiore e qualcos'altro su di un piano inferiore. Una sola è la natura divina: sostanza smisurata, increata, fuori del tempo, ottima, libera, degna di uguale onore; un solo Dio che nei suoi tre splendori fa muovere il mondo.

    Da tutti e tre col battesimo io vengo rigenerato nell'uomo nuovo; distrutta la morte, avanzo nella luce, risorto a nuova vita. La triplice Deità mi ha elevato in alto e mi ha fatto portatore di luce.







    Theodor Van Thulden, SS. Trinità, XVII sec., Museo di Grenoble


  2. #2
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    Predefinito Dalla "Esposizione della predicazione apostolica" di sant'Ireneo di Lione

    Démonstration de la prédication apostolique, 6-8.41. SC 62, 38-43.96-97.

    Ecco l'ordine della nostra fede, il fondamento dell'edificio e la base della nostra condotta. Dio Padre, increato, incircoscritto, invisibile, unico Dio, creatore dell'universo. Tale è il primo e principale articolo della nostra fede. Il secondo è: il Verbo di Dio, Figlio di Dio, Gesù Cristo nostro Signore, è apparso ai profeti secondo il disegno della loro profezia e secondo il modo disposto dal Padre; per suo mezzo è stato creato l'universo. Inoltre alla fine dei tempi per ricapitolare tutte le cose si è fatto uomo tra gli uomini, visibile e tangibile, per debellare la morte, far risplendere la vita e ristabilire la comunione di Dio e dell'uomo.

    Il terzo articolo della nostra fede è lo Spirito Santo. Per virtù dello Spirito i profeti hanno pronunciato le loro profezie, i padri hanno appreso ciò che riguarda Dio e i giusti sono stati condotti per la via della giustizia; alla fine dei tempi lo Spirito è stato diffuso in modo nuovo sull'umanità per tutta la terra rinnovando l'uomo per Dio.

    Il battesimo, che ci fa nascere di nuovo, passa attraverso questi tre articoli e ci consente di rinascere a Dio Padre tramite suo Figlio e nello Spirito Santo. Perciò coloro che portano lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, cioè al Figlio, che li accoglie e li presenta al Padre e il Padre dona loro l'incorruttibilità. Senza lo Spirito Santo non si può vedere il Verbo di Dio e senza il Figlio nessuno può accostarsi al Padre, perché il Figlio è la conoscenza del Padre e la conoscenza del Figlio avviene tramite lo Spirito Santo. Ma il Figlio, secondo la benevolenza del Padre, dispensa come ministro lo Spirito a chi vuole e come il Padre vuole.

    Lo Spirito chiama il Padre Altissimo, Onnipotente, e Signore degli eserciti per insegnarci che tale è Dio, cioè creatore del cielo della terra e di tutto l'universo, creatore degli angeli e degli uomini, Signore di tutti. Per mezzo di lui tutto esiste ed è mantenuto in vita; egli è misericordioso, compassionevole, pieno di tenerezza, buono, giusto, Dio di tutti, dei Giudei, dei pagani e dei credenti.

    Di questi è Padre, perché alla fine dei tempi ha aperto il testamento dell'adozione filiale; dei Giudei invece è Signore e legislatore, perché quando nei tempi intermedi quegli uomini dimenticarono Dio allontanandosi e ribellandosi a lui, li ricondusse all'obbedienza mediante la legge, affinché imparassero che avevano un Signore che è creatore; a lui che dona il soffio vitale dobbiamo prestare culto giorno e notte; dei pagani poi è creatore e signore onnipotente.

    Gli apostoli, con la potenza dello Spirito Santo mandati per tutta la terra, realizzarono la chiamata dei pagani additando agli uomini la via di Dio per stornarli dagli idoli, dalla fornicazione e dall'avarizia. Purificarono le loro anime e i loro corpi col battesimo d'acqua e di Spirito Santo, distribuendo e somministrando ai credenti questo Spirito Santo, che avevano ricevuto dal Signore. Così istituirono e fondarono le chiese.

    Con la fede, la carità e la speranza gli apostoli attuarono la chiamata dei pagani, che già i profeti avevano preannunziata come loro rivolta secondo la misericordia di Dio; e gli apostoli manifestarono questa chiamata con il loro ministero, accogliendoli nella promessa fatta ai patriarchi.

    A coloro che crederanno e ameranno Dio, in cambio della santità, della giustizia e della pazienza, il Dio di tutti accorderà, mediante la risurrezione dei morti, la vita eterna per merito di colui che è morto e risuscitato, Gesù Cristo. A lui Dio ha dato il dominio su tutti gli esseri della terra, l'autorità sui vivi e sui morti, e il giudizio finale.

  3. #3
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    Predefinito Dal Libro della più alta verità di Giovanni Ruusbroec

    scritto per i monaci della Certosa di Herinnes, Livre de la plus haute verité, 8‑11. Oeuvres, Bruxelles‑Paris, 1921, t. I1, 211‑ 218

    Vi descriverò come l'uomo interiore fa l'esperienza dell'unione con Dio non mediata.

    Quando un uomo si eleva verso Dio con tutto se stesso con tutte le sue forze, e vi si consacra con amore vivo operante, sente nel fondo del suo essere un amore dilettevole e senza limiti. Egli prova una gioia estrema in questo fondo donde proviene e ove ritorna questo amore.

    Se poi con il suo amore operante egli vuole penetrare più addentro in quell'amore dilettevole, allora tutte le potenze della sua anima devono cedere e accettare di patire la verità e la bontà di Dio, cioè Dio stesso.

    Sapete che l'aria è bagnata dalla lucentezza e dal calore del sole; vi è noto che Il ferro, quando è tutto penetrato dal fuoco, scalda e illumina come il fuoco stesso. Anche l'aria, se fosse dotata di ragione, potrebbe dire: "Rischiaro e illumino il mondo intero". Tuttavia, ogni elemento conserva la propria natura e il fuoco non diventa ferro, cosi come il ferro non diventa fuoco.

    L'unione non avviene tramite elementi intermedi, perché il ferro è nel fuoco e il fuoco nel ferro; ugualmente, l'aria è nella luce del sole e la luce del sole nell'aria.

    Dio è sempre presente nell'essenza dell'anima. Quando le potenze superiori dell'anima rientrano in se stesse con amore attivo, sono unite a Dio in modo non mediato.

    Questa unione è una conoscenza semplice della verità, un sentimento e un gusto essenziale per il bene. Possediamo questa conoscenza e questa esperienza semplici di Dio nell'amore dilettevole ed essenziale, e le esercitiamo mediante l'amore attivo.

    Questa conoscenza ed esperienza di Dio, a cui si accede per le potenze dell'anima, supera poi queste potenze, perché il ritorno interiore a Dio esala nell'amore. Eppure le potenze sono necessarie, perché dimorano sempre nella parte essenziale dell'anima.

    Ecco perché dobbiamo sempre far ritorno all'amore e rinnovarci in esso, se vogliamo trovare l'amore con l'amore. Ce lo insegna san Giovanni, quando scrive: Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.

    Tuttavia, benché quest'unione tra lo spirito amante e Dio sia senza modi intermedi, i due esseri rimangono perfettamente distinti. La creatura non diventa Dio ne Dio diventa creatura, così come ho spiegato sopra nell'esempio del ferro e del fuoco o dell'aria e del sole.

    Abbiamo detto che le cose materiali create da Dio, come il ferro e il fuoco, potevano unirsi senza elementi medianti. A maggior ragione, Dio stesso può unirsi in modo non mediato con i suoi diletti, purché questi si applichino e si preparino a ciò, aiutati dalla grazia.

    Per rendere possibile quest' unione, Dio ha ornato di virtù l'uomo interiore e lo ha innalzato alla vita contemplativa. Nell'atto supremo del ritorno verso Dio, l'uomo non sperimenta nessun'altra funzione intermediaria tra 1 (Gv 4,16) se e Dio, se non la sua ragione illuminata e il suo amore operante. Tramite queste attività, egli aderisce a Dio o, per dirla con san Bernardo, è uno con Dio.

    Oltre la ragione e l'amore operante, l'uomo è elevato fino all'amore essenziale in una visione pura e scevra di attività. Egli è un solo spirito e un solo amore con Dio, come vi descrissi. Quest'unione‑ è abituale per i contemplati vi e trascende l'intelligenza.

    Finché l'uomo permane in questo stato, è capace di contemplare e di avvertire l'unione non mediata. Sente in se quel tocco di Dio che è un rinnovamento della grazia e di tutte le virtù divine.

    Dovete sapere che tale grazia di Dio penetra pure nelle potenze inferiori dell'anima. Essa tocca il cuore dell'uomo, vi produce un amore tenero e provoca un'attrattiva sensibile per Dio.

    Il sentimento di questa unione è la nostra beatitudine sovra essenziale. Dio gode allora dei suoi eletti ed essi godono di lui. Questa beatitudine è silenzio nelle tenebre, è quiete. Tale silenzio appartiene all'essenza stessa di Dio, ma è sovra essenziale a ogni creatura.

    In quella quiete le persone divine ritornano nell'amore essenziale e vi s'inabissano come in un'unione fruitiva; eppure rimangono sempre distinte, secondo le loro proprietà personali e le loro operazioni.

    Secondo il modo delle persone divine, la Trinità è eternamente attiva, mentre secondo la semplicità della sua essenza dimora eternamente nella quiete e senza modo. Ecco perché tutto quello che Dio ha eletto e accolto nel suo amore eterno e personale, lo gode perfettamente nell'unità dell'amore essenziale.

    Infatti le persone divine si abbracciano in una reciproca compiacenza eterna. Nella loro unità esse condividono un amore infinito e operoso che si rinnova senza posa nella sorgente viva della Trinità. Infatti, in seno a essa vi è sempre nuova generazione e nuova conoscenza, nuova compiacenza e nuova ispirazione in nuovo amplesso, nuovo torrente d'amore eterno.

    Tutti gli eletti, angeli e uomini, dal primo all'ultimo, sono coinvolti in questa compiacenza. Da essa dipendono il cielo e la terra, la vita, l'essere, l'attività e la conservazione di tutte le creature.

    Dall'amore divino però è escluso il peccato, che proviene dalla cieca perversità propria alla creatura e che la allontana da Dio.

    Dalla compiacenza divina derivano la grazia, la gloria, tutti i doni in cielo e in terra. Questa compiacenza si manifesta in ogni essere con modo differente, secondo la necessità e le capacità che gli sono proprie. Infatti la grazia di Dio si offre ad ogni uomo e aspetta che ogni singolo peccatore faccia ritorno.

    Quando, soccorso dalla grazia, il peccatore consente ad avere pietà di se stesso e ad implorare Dio con fiducia, si scopre sempre perdonato da lui. La compiacenza amorosa lo conduce fino all'eterna compiacenza di Dio, per cui egli è afferrato e risucchiato nell'amore infinito che è Dio stesso.

    L'uomo così abbracciato da Dio, va rinnovandosi in amore e in virtù, perché esercita l'amore e partecipa alla vita eterna non appena si compiace in Dio e Dio si compiace in lui.

    Se capissimo davvero che l'amore di Dio e la sua compiacenza sono eterne, il nostro amore e la nostra compiacenza verso di lui si rinnoverebbero senza posa, ad immagine delle relazioni tra le persone divine. In esse infatti vi è sempre nuova compiacenza nell'unità, e nuova emanazione d'amore in nuovo amplesso.

    L'amplesso divino è fuori del tempo, senza prima ne dopo, in un eterno presente. Tutto è consumato nell'unità di questo abbraccio; tutto si attua nell'effusione di questo amore, e tutto riceve l'esistenza nella natura viva e feconda della Trinità.

    In questa natura viva e feconda, il Figlio è nel Padre, il Padre nel Figlio e lo Spirito Santo in entrambi, L'unità trinitaria è all'inizio di ogni vita e all'origine di ogni divenire. In Dio tutte le creature sono presenti come nella loro causa eterna, condividendo cosi una medesima essenza e una medesima vita con Dio.

    La distinzione delle persone divine proviene dalla loro reciproca emanazione. Il Figlio è generato dal Padre e lo Spirito Santo procede dall'uno e dall'altro.

    Grazie all'emanazione del Figlio nello Spirito, il Padre crea e ordina ogni cosa, ciascuna nella sua essenza propria. Là, per quanto dipende da lui, Dio ricrea l'uomo mediante le sue grazie e la sua morte in croce; lo adorna d'amore e di virtù, e lo riconduce con se nell'unità divina.

    Nella Trinità, tutti gli eletti sono afferrati e risucchiati nel vincolo dell'amore con il Padre e il Figlio, cioè nell'unità dello Spirito Santo. L'unità trinitaria feconda l'emanazione delle persone divine e nel loro ritorno è legame d'amore eterno e indissolubile.

    Tutti coloro che hanno l'esperienza di quel legame d'amore posseggono una beatitudine eterna; sono ricchi in virtù, illuminati nella loro contemplazione e semplici nel loro riposo fruitivo. Quando infatti ritornano nel loro fondo interiore, vedono l'amore di Dio effondersi in essi con tutti i beni e attirarli nell'unità divina. Essi avvertono questo amore come sovra essenziale e senza modo in una quiete eterna.

    Ecco perché i beati sono uniti a Dio in modo non mediato, mediato e anche senza differenza. I giusti avvertono l'amore di Dio come un bene comune che si espande in cielo e sulla terra, e sentono la santissima Trinità china su di loro e presente in loro con la pienezza di grazie.

  4. #4
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    Predefinito Dal trattato Contro Noeto di sant'Ippolito di Roma

    Contra Haeresim Noeti, 9‑14. PG 10, 816‑821.

    Fratelli, uno solo è Dio, che conosciamo per l'unica via delle Scritture. Se qualcuno volesse praticare la sapienza di questo mondo, dovrebbe per forza valersi egli insegnamenti dei filosofi. E se vogliamo adorare Dio, ascolteremo la sua parola. Dobbiamo dunque sapere tutto quello che annunziano le divine Scritture e conoscere quanto esse ci insegnano. Crediamo al Padre, come egli vuole che in lui crediamo, glorifichiamo il Figlio, come lui vuole essere glorificato, riceviamo lo Spirito Santo, come egli vuole donarsi. Non cerchiamo di giungere a una comprensione delle realtà divine secondo il nostro intelletto, quasi facendo violenza ai doni di Dio, ma comprendiamo Dio come egli stesso volle rivelarsi nelle sacre Scritture.

    Nel tempo fissato da lui, Dio ci rivelò la sua Parola, per mezzo di cui crea tutte le cose. Questa Parola, il Verbo, fa tutto secondo il volere del Padre, porta a compimento il pensiero di Dio, quando crea; manifesta le parole di Dio, quando parla; esprime la sapienza di Dio, quando plasma le creature.

    Tutte le cose vengono create mediante la parola e la sapienza: con la parola Dio crea, con la sapienza adorna, secondo la sua volontà, perché è Dio.

    Dio genera il Verbo, perché sia guida, consigliere e artefice di tutto il creato. Prima dell'incarnazione il Verbo era presente in Dio, ma inaccessibile al mondo creato. Pronunziando la sua unica Parola e generando luce da luce, Dio presentò alla creazione come Signore il proprio Pensiero; egli rese visibile colui che fino allora era invisibile al mondo creato. Dio lo rivelò, perché il mondo lo vedesse e cosi potesse essere salvato. Perciò il Verbo sta vicino a Dio. Ma parlando di un altro, non nomino due dei: Il Verbo è come luce che nasce da luce, come acqua da fonte, come raggio da sole. Unica è la potenza, che emana da tutto; questo tutto è il Padre, e da lui emana la sua potenza: il Verbo.

    Noi vediamo il Verbo incarnato e per lui conosciamo il Padre. Crediamo allora al Figlio, e adoriamo lo Spirito Santo. Scrutiamo dunque la Scrittura che proclama la manifestazione del Verbo e la sua apparizione nel mondo. San Pietro lo attesta cosi Questa e la Parola che Dio ha inviato ai figli d'Israele,recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che il Signore di tutti(At 10, 36).

    Se dunque il Verbo è mandato per mezzo di Gesù Cristo, Gesù Cristo è la volontà del Padre. Ecco quanto ci manifesta la Scrittura, fratelli. Anche san Giovanni ci rivela quest'economia divina, attraverso la testimonianza del suo vangelo. Egli confessa la divinità del Verbo, dicendo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1, 1).

    Se il Verbo era presso Dio ed era Dio, si dirà forse che Giovanni parla di due dei? Non dirò due divinità, ma piuttosto due persone divine a cui si aggiunge una terza disposizione, la grazia dello Spirito Santo. Dio è unico, in due persone divine, Padre e Figlio, da cui procede una terza, lo Spirito Santo. Il Padre manda la sua Parola in missione, il Figlio la porta a compimento, manifestandosi al mondo, perché si creda nel Padre.

    L'economia trinitaria è l'opera del Dio unico. Vi è soltanto un Dio che comanda nella persona del Padre, che obbedisce nella persona del Figlio, e che insegna nella persona dello Spirito Santo. Il Padre domina tutto, e tutto si fa per il Figlio nello Spirito Santo.

    Non possiamo concepire un solo Dio, senza credere realmente al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Il Verbo conosce il disegno e la volontà del Padre e sa che il Padre non vuole essere glorificato in altro modo. Ecco come: dopo la sua risurrezione, Gesù disse ai discepoli: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Con queste parole Cristo mostra che non può glorificare perfettamente Dio chi ometta una delle tre persone divine. Quindi proprio dall'economia trinitaria è glorificato Dio: il Padre volle, il Figlio compì, lo Spirito Santo rese manifesto. Tutta la Scrittura parla cosi.

  5. #5
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    Predefinito Dalle «Lettere» di S. Atanasio, vescovo (Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26, 594-595.599)

    Non sarebbe cosa inutile ricercare l'antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s'intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale.
    La nostra fede é questa: la Trinità santa e perfetta é quella che é distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma é tutta potenza creatrice e forza operativa. Una é la sua natura, identica a se stessa. Uno é il principio attivo e una l'operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, é mantenuta intatta l'unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che é al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed é in tutte le cose (cfr. Ef 4, 6). E' al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo.
    L'apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo é lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo é il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo é Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6).
    Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito é in noi, é anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi é anche il Padre, e così si realizza quanto é detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dove infatti vi é la luce, là vi é anche lo splendore; e dove vi é lo splendore, ivi c'è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia.
    Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia é il dono che viene dato nella Trinità, é concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l'amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.

    Miniaturista olandese, pagina Très Belles Heures de Notre Dame di Jean de Berry, SS. Trinità, 1380 circa, Museo Civico d'Arte Antica, Palazzo Madama, Torino

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    Andrea Del Castagno, SS. Trinità con S. Girolamo e due Sante, 1453 circa, Chiesa della SS. Annunziata, Cappella Corboli, Firenze

    Andrea del Sarto, Disputa sulla SS. Trinità, 1517-20, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze


    Hendrick van Balen, SS. Trinità, 1620 circa, Sint-Jacobskerk, Antwerp

    Domenico Beccafumi, SS. Trinità, 1513, Pinacoteca Nazionale, Siena

    Orazio Borgianni, S. Carlo Borromeo in adorazione della SS. Trinità, 1611-12, Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, Roma

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    Pieter Coecke van Aelst, SS. Trinità, Museo del Prado, Madrid

    Lucas Cranach il Vecchio, SS. Trinità, Museum der Bildenden Künste, Leipzig

    Lucas Cranach il Vecchio, SS. Trinità, 1515-18, Kunsthalle, Brema

    Albrecht Dürer, Adorazione della SS. Trinità, Altare di Matthäus Landauer, 1511, Kunsthistorisches Museum, Vienna

    Albrecht Dürer, SS. Trinità, 1511, British Museum, Londra

    Masaccio, SS. Trinità, 1425-28, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

  8. #8
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    El Greco, SS. Trinità, 1577, Museo del Prado, Madrid

    Maestro di Flémalle, SS. Trinità, 1410 circa, Städelsches Kunstinstitut, Francoforte

    Maestro di Flémalle, SS. Trinità, 1433-35, Hermitage, San Pietroburgo


    Franz Anton Maulbertsch, SS. Trinità, Museum of Fine Arts, Budapest

    Antonio de Pereda, SS. Trinità, Museum of Fine Arts, Budapest

    Andrey Rublyov o Rublev, SS. Trinità, 1411 circa, Tretyakov Gallery, Mosca

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    Jusepe de Ribera, SS. Trinità, 1635-36, Museo del Prado, Madrid

    Francesco Solimena, SS. Trinità, Vergine Maria S. Domenico in gloria, Sacrestia di S. Domenico Maggiore, Napoli

    Giambattista Tiepolo, Papa S. Cliemente I in adorazione della SS. Trinità, 1737-38, Alte Pinakothek, Monaco

    Guercino, SS. Trinità, XVII sec., Collezione privata

    Sebastiano Vini, SS. Trinità tra i SS. Giacomo Maggiore e Sebastiano e un donatore, 1571, Cerreto Guidi (FI)

    Raffaello Sanzio, Disputa sul SS. Sacramento, 1510-11, Stanza della Segnatura, Palazzi Pontifici, Vatican

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    Predefinito Deus Trinus et Unus

    Dal sito UNAM SANCTAM (non più attivo):

    Deus Trinus et Unus
    Unità e Trinità di Dio


    Il primo mistero fondamentale della nostra fede è l'Unità e Trinità di Dio. Dio è Tre Persone Uguali e distinte, Trino nelle persone ed Uno nella sostanza. Di fede definita.


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    Da premettere: definizione dei termini natura, sostanza, supposito, ipostasi, persona, sussistenza.

    Sostanza. E' una realtà considerata come esistente in sè e non in altro. Aristotele direbbe che è l'ente spogliato degli accidenti, cioè di qualità e attributi predicabili ma non costitutivi essenziali. Si definisce: "id cui competit esse in se et non in alio tamquam in subjecto" [un essere destinato ad esistere in sè]. La sostanza si divide in prima e seconda. La sostanza prima esiste in concreto nell'individuo stesso nei suoi elementi costitutivi; la sostanza seconda è quella astratta, ossia la ragione universale, comune a più individui.

    Essenza. E' ciò per cui un essere è costituito in una specie determinata. Si definisce: "Id quo res aliqua est id quod est" [ciò per cui una qualche cosa è ciò che è]. E' detta anche quidditas, perché risponde alla domanda: quid sit res, cos'è la cosa. Significa il che cosa è quell'essere, cioè la ragione specifica dell'essere.

    Natura. E' la stessa sostanza vista dal punto di vista dinamico, come ciò che si sviluppa e agisce secondo le proprie caratteristiche essenziali, quelle caratteristiche che lo rendono una essenza determinata.

    Supposito. Da Boezio è definito "l'individuo nel genere della sostanza" e da San Tommaso: "distinto sussistente in una natura". E' definito anche quale sussistenza, in quanto esiste in sè e non in altro; res naturae, in quanto fa da supposito ad una natura considerata nella sua universalità: un uomo è detto res naturae dalla natura umana e ipostasi dal momento che fa da supposito agli accidenti.

    Individuo. E' un ente concreto, relae di predicati che è in sè indiviso e diviso da altro: "in se indivisum et divisum ab alio".

    Ipostasi. Ypòstasis significa, letteralmente, “ciò che sta sotto”, ovvero “sostegno”,”appoggio”, “base”, “fondamento” e, dunque, nel linguaggio della metafisica (specie nei platonici, negli stoici e nei tardi aristotelici), l’ipostasi passa a significare l’essenza e/o la sostanza. Ma il termine classico per indicare la sostanza è ousìa (presente in Platone e in Aristotele). Plotino determinerà tecnicamente il significato specifico della ipostasi in rapporto alla sostanza (ousìa): egli, infatti, considera l’ipostasi un particolare modo d’essere della sostanza e, precisamente, la sostanza nel momento in cui (tramite l’irradiazione) dà vita al processo produttivo e, dunque, diviene “altro” rispetto al principio da cui deriva. Tale voce non appare dall'inizio della cristianità con lo stesso significato in uso nella teologia successiva a sant'Agostino e quale poi avrà definitivamente con la Scolastica. Negli scrittori pagani compare in opposizione al significato di apparenza. Nell'uso del linguaggio ecclesiastico prima del Concilio Niceno I ipostasi, natura, sostanza ed essenza (greco ousia) sono utilizzati indifferentemente. Dal Concilio di Calcedonia in poi ipostasi significa costantemente sussistenza o supposito. La nozione di persona differisce da quella di ipostasi perché nessuna ipostasi è detta persona se non è razionale. Nel nome di ipostasi è designata "substantia quae tota in se et sibi est et nulla ratione alterius vel in alio" (quella sostanza che è tutta in se stessa e per sé e non ha la ragione del suo essere di altro o in un altro). In primo luogo tuttavia l'ipostasi non solo realmente è tale ma intellettualmente "quoque tota in se est", in quanto per mezzo della coscienza di se (conscientia sui) perfettamente può ritornare in sè stessa e dirsi "IO";in secondo luogo perché essendo razionale non solo compie operazioni vitali nell'esecuzione e nella forma, ma è in grado di determinare l'esecuzione, la forma e il fine della propria azione. Infine l'ipostasi intellettuale increata (Dio) è il fine ultimo verso il quale tutto l'universo si muove e le ipostasi create sono capaci di partecipazione all'increata da cui hanno origine, quindi sono capaci di Dio. Come corollario l'ipostasi razionale creata è anche subjectum iuris.

    Dunque, per riassumere, la persona è "una sostanza individua di natura razionale" o, in In 3 Sent., d. 5,q.1,a.3: "distinto sussistente nella natura intellettuale". Implica quindi la natura individuata, la sussistenza per cui la natura sussiste e gli accidenti che ineriscono alla sostanza individuata.

    Le caratteristiche principali della persona sono tre: sostanza completa, incomunicabile, centro di attribuzione delle operazioni e passioni. Natura e persona, dunque, sono distinte con una inadeguata distinzione reale.

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    Per comprenderlo meglio leggiamo il De Trinitate di S. Agostino, il miglior scritto sull'argomento che influenzò tutti i suoi successori.

    Omnes quos legere potui qui ante me scripserunt de Trinitate quae Deus est, divinorum Librorum veterum et novorum catholici tractatores, hoc intenderunt secundum Scripturas docere, quod Pater et Filius et Spiritus Sanctus unius eiusdemque substantiae inseparabili aequalitate divinam insinuent unitatem, ideoque non sint tres dii sed unus Deus, quamvis Pater Filium genuerit, et ideo Filius non sit qui Pater est; Filiusque a Patre sit genitus, et ideo Pater non sit qui Filius est; Spiritusque Sanctus nec Pater sit nec Filius, sed tantum Patris et Filii Spiritus, Patri et Filio etiam ipse coaequalis et ad Trinitatis pertinens unitatem. Non tamen eamdem Trinitatem natam de virgine Maria et sub Pontio Pilato crucifixam et sepultam tertio die resurrexisse et in caelum ascendisse , sed tantummodo Filium. Nec eamdem Trinitatem descendisse in specie columbae super Iesum baptizatum , aut die Pentecostes post ascensionem Domini sonitu facto de caelo quasi ferretur flatus vehemens et linguis divisis velut ignis sedisse super unumquemque eorum, sed tantummodo Spiritum Sanctum . Nec eamdem Trinitatem dixisse de caelo: Tu es Filius meus , sive cum baptizatus est a Iohanne sive in monte quando cum illo erant tres discipuli , aut quando sonuit vox dicens: Et clarificavi et iterum clarificabo, sed tantummodo Patris vocem fuisse ad Filium factam quamvis Pater et Filius et Spiritus Sanctus sicut inseparabiles sunt, ita inseparabiliter operentur. Haec et mea fides est, quando haec est catholica fides.

    Filius verus Deus, eiusdem cum Patre substantiae.

    6. 9. Qui dixerunt Dominum nostrum Iesum Christum non esse Deum, aut non esse verum Deum, aut non cum Patre unum et solum Deum, aut non vere immortalem quia mutabilem, manifestissima divinorum testimoniorum et consona voce convicti sunt. Unde sunt illa: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Manifestum enim quod Verbum Dei Filium Dei unicum accipimus, de quo post dicit: Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis, propter nativitatem incarnationis eius quae facta est in tempore ex Virgine. In eo autem declarat non tantum Deum esse, sed etiam eiusdem cum Patre substantiae, quia cum dixisset: Et Deus erat Verbum. Hoc erat, inquit, in principio apud Deum; omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil. Neque enim dicit omnia "nisi quae facta sunt", id est omnem creaturam. Unde liquido apparet ipsum factum non esse per quem facta sunt omnia. Et si factus non est, creatura non est; si autem creatura non est, eiusdem cum Patre substantiae est. Omnis enim substantia, quae Deus non est, creatura est; et quae creatura non est, Deus est. Et si non est Filius eiusdem substantiae cuius Pater, ergo facta substantia est; si facta substantia est, non omnia per ipsum facta sunt; at si omnia per ipsum facta sunt, unius igitur eiusdemque cum Patre substantiae est. Et ideo non tantum Deus sed et verus Deus. Quod idem Ioannes apertissime in Epistula sua dicit: Scimus quod Filius Dei venerit et dederit nobis intellectum ut cognoscamus verum Deum et simus in vero Filio eius Iesu Christo. Hic est verus Deus et vita aeterna .

    Unus solus Deus quod est ipsa Trinitas habet immortalitatem.

    6. 10. Hinc etiam consequenter intellegitur non tantummodo de Patre dixisse apostolum Paulum: Qui solus habet immortalitatem, sed de uno et solo Deo, quod est ipsa Trinitas. Neque enim ipsa vita aeterna mortalis est secundum aliquam mutabilitatem; ac per hoc Filius Dei, quia vita aeterna est, cum Patre etiam ipse intellegitur ubi dictum est: Qui solus habet immortalitatem. Eius enim vitae aeternae et nos participes facti , pro modulo nostro immortales efficimur. Sed aliud est ipsa cuius participes efficimur vita aeterna, aliud nos qui eius participatione vivemus in aeternum. Si enim dixisset: Quem temporibus propriis ostendit Pater beatus et solus potens, Rex regum et Dominus dominantium, qui solus habet immortalitatem, nec sic inde separatum Filium oporteret intellegi. Neque enim quia ipse Filius alibi loquens voce Sapientiae (ipse est enim Dei Sapientia ), ait: Gyrum caeli circuivi sola , separavit a se Patrem. Quanto magis ergo non est necesse ut tantummodo de Patre praeter Filium intellegatur quod dictum est: Qui solus habet immortalitatem, cum ita dictum sit: Ut serves, inquit, mandatum sine macula, irreprehensibile, usque in adventum Domini nostri Iesu Christi, quem temporibus propriis ostendet beatus et solus potens, Rex regum et Dominus dominantium, qui solus habet immortalitatem et lucem habitat inaccessibilem; quem nemo hominum vidit nec videre potest; cui est honor et gloria in saecula saeculorum, amen . In quibus verbis nec Pater proprie nominatus est nec Filius nec Spiritus Sanctus, sed beatus et solus potens, Rex regum et Dominus dominantium, quod est unus et solus et verus Deus, ipsa Trinitas.

    Invisibilis Filius et Trinitas.

    6. 11. Nisi forte quae sequuntur perturbabunt hunc intellectum, quia dixit: Quem nemo hominum vidit nec videre potest, cum hoc etiam ad Christum pertinere secundum eius divinitatem accipiatur quam non viderunt Iudaei, qui tamen carnem viderunt et crucifixerunt. Videri autem divinitas humano visu nullo modo potest, sed eo visu videtur quo iam qui vident non homines sed ultra homines sunt. Recte ergo ipse Deus Trinitas intellegitur beatus et solus potens, ostendens adventum Domini nostri Iesu Christi temporibus propriis. Sic enim dictum est: Solus habet immortalitatem, quomodo dictum est: Qui facit mirabilia solus . Quod velim scire de quo dictum accipiant. Si de Patre tantum, quomodo ergo verum est quod ipse Filius dicit: Quaecumque enim Pater facit, haec eadem et Filius facit similiter ? An quidquam est inter mirabilia mirabilius quam resuscitare et vivificare mortuos? Dicit autem idem Filius: Sicut Pater suscitat mortuos et vivificat, sic et Filius quos vult vivificat. Quomodo ergo solus Pater facit mirabilia, cum haec verba nec Patrem tantum nec Filium tantum permittant intellegi, sed utique Deum unum verum solum, id est Patrem et Filium et Spiritum Sanctum?

    Per Filium omnia facta sunt.

    6. 12. Item dicit idem Apostolus: Nobis unus Deus Pater ex quo omnia, et nos in ipso; et unus Dominus Iesus Christus per quem omnia, et nos per ipsum. Quis dubitet eum omnia "quae creata sunt" dicere, sicut Ioannes: Omnia per ipsum facta sunt ? Quaero itaque de quo dicit alio loco: Quoniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt omnia; ipsi gloria in saecula saeculorum . Si enim de Patre et Filio et Spiritu Sancto ut singulis personis singula tribuantur, ex ipso, ex Patre; per ipsum, per Filium; in ipso, in Spiritu Sancto; manifestum quod Pater et Filius et Spiritus Sanctus unus Deus est, quando singulariter intulit: Ipsi gloria in saecula saeculorum. Unde enim coepit hunc sensum; non ait: O altitudo divitiarum "sapientiae et scientiae Patris aut Filii aut Spiritus Sancti", sed sapientiae et scientiae Dei! Quam inscrutabilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius! Quis enim cognovit mentem Domini? Aut quis consiliarius eius fuit? Aut quis prior dedit illi, ut retribuetur ei? Quoniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt omnia; ipsi gloria in saecula saeculorum. Amen. Si autem hoc de Patre tantummodo intellegi volunt, quomodo ergo omnia per Patrem sunt sicut hic dicitur, et omnia per Filium sicut ad Corinthios ubi ait: Et unus Dominus Iesus Christus per quem omnia, et sicut in Evangelio Ioannis: Omnia per ipsum facta sunt? Si enim alia per Patrem, alia per Filium, iam non omnia per Patrem nec omnia per Filium. Si autem omnia per Patrem et omnia per Filium, eadem per Patrem quae per Filium. Aequalis ergo est Patri Filius, et inseparabilis operatio est Patris et Filii. Quia si vel Filium fecit Pater quem non fecit ipse Filius, non omnia per Filium facta sunt. At omnia per Filium facta sunt. Ipse igitur factus non est ut cum Patre faceret omnia quae facta sunt. Quamquam nec ab ipso verbo tacuerit Apostolus et apertissime omnino dixerit: Qui cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse aequalis Deo, hic Deum proprie Patrem appellans, sicut alibi: Caput autem Christi Deus .

    Spiritus Sanctus est verus Deus, Patri et Filio prorsus aequalis.

    6. 13. Similiter et de Spiritu Sancto collecta sunt testimonia quibus ante nos qui haec disputaverunt abundantius usi sunt, quia et ipse Deus et non creatura. Quod si non creatura, non tantum Deus (nam et homines dicti sunt dii ), sed etiam verus Deus. Ergo Patri et Filio prorsus aequalis et in Trinitatis unitate consubstantialis et coaeternus . Maxime vero illo loco satis claret quod Spiritus Sanctus non sit creatura ubi iubemur non servire creaturae sed Creatori , non eo modo quo iubemur per caritatem servire invicem , quod est graece , sed eo modo quo tantum Deo servitur, quod est graece . Unde idolatrae dicuntur qui simulacris eam servitutem exhibent quae debetur Deo. Secundum hanc enim servitutem dictum est: Dominum Deum tuum adorabis et illi soli servies . Nam hoc distinctius in graeca Scriptura invenitur, enim habet. Porro si tali servitute creaturae servire prohibemur quandoquidem dictum est: Dominum Deum tuum adorabis et illi soli servies - unde et Apostolus detestatur eos qui coluerunt et servierunt creaturae potiusquam Creatori -, non est utique creatura Spiritus Sanctus cui ab omnibus sanctis talis servitus exhibetur dicente Apostolo: Nos enim sumus circumcisio, Spiritui Dei servientes, quod est in graeco . Plures enim codices etiam latini sic habent: qui Spiritui Dei servimus; graeci autem omnes aut paene omnes. In nonnullis autem exemplaribus latinis invenimus non: Spiritui Dei servimus; sed: Spiritu Deo servimus. Sed qui in hoc errant et auctoritati graviori cedere detractant, numquid et illud varium in codicibus reperiunt: Nescitis quia corpora vestra templum in vobis est Spiritus Sancti quem habetis a Deo? Quid autem insanius magisque sacrilegum est quam ut quisquam dicere audeat membra Christi templum esse creaturae minoris secundum ipsos quam Christus est? Alio enim loco dicit: Corpora vestra membra sunt Christi. Si autem quae membra sunt Christi templum est Spiritus Sancti, non est creatura Spiritus Sanctus, quia cui corpus nostrum templum exhibemus necesse est ut huic eam servitutem debeamus qua non nisi Deo serviendum est, quae graece appellatur . Unde consequenter dicit: Glorificate ergo Deum in corpore vestro .

    Filius in forma servi minor Patre ac se ipso.

    7. 14. His et talibus divinarum Scripturarum testimoniis quibus, ut dixi, priores nostri copiosius usi expugnaverunt haereticorum tales calumnias vel errores, insinuatur fidei nostrae unitas et aequalitas Trinitatis. Sed quia multa in sanctis Libris propter incarnationem Verbi Dei, quae pro salute nostra reparanda facta est ut mediator Dei et hominum esset homo Christus Iesus , ita dicuntur ut maiorem Filio Patrem significent vel etiam apertissime ostendant, erraverunt homines minus diligenter scrutantes vel intuentes universam seriem Scripturarum, et ea quae de Christo Iesu secundum hominem dicta sunt ad eius substantiam quae ante incarnationem sempiterna erat et sempiterna est transferre conati sunt. Et illi quidem dicunt minorem Filium esse quam Pater est quia scriptum est ipso Domino dicente: Pater maior me est . Veritas autem ostendit secundum istum modum etiam se ipso minorem Filium. Quomodo enim non etiam se ipso minor factus est qui semetipsum exinanivit formam servi accipiens ? Neque enim sic accepit formam servi ut amitteret formam Dei in qua erat aequalis Patri. Si ergo ita accepta est forma servi ut non amitteretur forma Dei, cum et in forma servi et in forma Dei idem ipse sit Filius unigenitus Dei Patris, in forma Dei aequalis Patri , in forma servi mediator Dei et hominum homo Christus Iesus, quis non intellegat quod in forma Dei etiam ipse se ipso maior est, in forma autem servi etiam se ipso minor est? Non itaque immerito Scriptura utrumque dicit, et aequalem Patri Filium, et Patrem maiorem Filio. Illud enim propter formam Dei, hoc autem propter formam servi sine ulla confusione intellegitur. Et haec nobis regula per omnes sacras Scripturas dissolvendae huius quaestionis ex uno capitulo Epistulae Pauli apostoli promitur ubi manifestius ista distinctio commendatur. Ait enim: Qui cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse aequalis Deo, sed semetipsum exinanivit formam servi accipiens, in similitudine hominum factus et habitu inventus ut homo. Est ergo Dei Filius Deo Patri natura aequalis, habitu minor. In forma enim servi quam accepit minor est Patre; in forma autem Dei in qua erat etiam antequam hanc accepisset aequalis est Patri. In forma Dei Verbum per quod facta sunt omnia; in forma autem servi factus ex muliere, factus sub lege ut eos qui sub lege erant redimeret. Proinde in forma Dei fecit hominem; in forma servi factus est homo. Nam si Pater tantum sine Filio fecisset hominem, non scriptum esset: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram. Ergo quia forma Dei accepit formam servi, utrumque Deus et utrumque homo; sed utrumque Deus propter accipientem Deum, utrumque autem homo propter acceptum hominem. Neque enim illa susceptione alterum eorum in alterum conversum atque mutatum est; nec divinitas quippe in creaturam mutata est ut desisteret esse divinitas, nec creatura in divinitatem ut desisteret esse creatura.

    Filius subiectus Patri suscepta humana natura.

    8. 15. Illud autem quod ait idem Apostolus: Cum autem ei omnia subiecta fuerint, tunc et ipse Filius subiectus erit ei qui illi subiecit omnia, aut ideo dictum est ne quisquam putaret habitum Christi, qui ex humana creatura susceptus est, conversum iri postea in ipsam divinitatem vel, ut certius expresserim, deitatem, quae non est creatura sed est unitas Trinitatis incorporea et incommutabilis, et sibimet consubstantialis et coaeterna natura. Aut si quisquam contendit, ut aliqui senserunt, ita dictum: Et ipse Filius subiectus erit ei qui illi subiecit omnia, ut ipsam subiectionem, commutationem et conversionem credat futuram creaturae in ipsam substantiam vel essentiam Creatoris, id est, ut quae fuerat substantia creaturae fiat substantia Creatoris, certe vel hoc concedit quod non habet ullam dubitationem nondum hoc fuisse factum cum Dominus diceret: Pater maior me est. Dixit enim hoc non solum antequam ascendisset in caelum, verum etiam antequam passus resurrexisset a mortuis. Illi autem qui putant humanam in eo naturam in deitatis substantiam mutari atque converti, et ita dictum: Tunc et ipse Filius subiectus erit ei qui illi subiecit omnia, ac si diceretur: "Tunc et ipse Filius hominis et a Verbo Dei suscepta humana natura commutabitur in eius naturam qui ei subiecit omnia", tunc futurum putant cum (post diem iudicii) tradiderit regnum Deo et Patri. Ac per hoc etiam secundum istam opinionem adhuc Pater maior est quam servi forma quae de Virgine accepta est. Quod si et aliqui hoc affirmant, quod iam fuerit in Dei substantiam mutatus homo Christus Iesus, illud certe negare non possunt quod adhuc natura hominis manebat quando ante passionem dicebat: Quoniam Pater maior me est. Unde nulla cunctatio est secundum hoc esse dictum quod forma servi maior est Pater, cui in forma Dei aequalis est Filius. Nec quisquam cum audierit quod ait Apostolus: Cum autem dixerit quia omnia subiecta sunt, manifestum quia praeter eum qui subiecit illi omnia, ita existimet de Patre intellegendum quod subiecerit omnia Filio ut ipsum Filium sibi omnia subiecisse non putet. Quod Apostolus ad Philippenses ostendit dicens: Nostra autem conversatio in caelis est; unde et Salvatorem exspectamus Dominum Iesum Christum, qui transfigurabit corpus humilitatis nostrae conforme ut fiat corpori gloriae suae, secundum operationem suam qua possit etiam sibi subicere omnia. Inseparabilis enim est operatio Patris et Filii. Alioquin nec ipse Pater sibi subiecit omnia, sed Filius ei subiecit qui ei regnum tradidit et evacuat omnem principatum et omnem potestatem et virtutem. De Filio quippe ista dicta sunt: Cum tradiderit, inquit, regnum Deo et Patri, cum evacuaverit omnem principatum et omnem potestatem et virtutem. Ipse enim subiecit qui evacuat.

    Filius non sic traditurus regnum Patri, ut adimat sibi.

    8. 16. Nec sic arbitremur Christum traditurum regnum Deo et Patri ut adimat sibi. Nam et hoc quidam vaniloqui crediderunt. Cum enim dicitur: Tradiderit regnum Deo et Patri, non separatur ipse quia simul cum Patre unus Deus est. Sed divinarum Scripturarum incuriosos et contentionum studiosos fallit verbum quod positum est, donec. Ita namque sequitur: Oportet enim illum regnare donec ponat omnes inimicos suos sub pedibus suis, tamquam cum posuerit non sit regnaturus. Nec intellegunt ita dictum sicut est illud: Confirmatum est cor eius; non commovebitur donec videat super inimicos suos. Non enim cum viderit, iam commovebitur. Quid ergo est: Cum tradiderit regnum Deo et Patri, quasi modo non habeat regnum Deus et Pater? Sed quia omnes iustos in quibus nunc regnat ex fide viventibus mediator Dei et hominum homo Christus Iesus perducturus est ad speciem quam visionem dicit idem Apostolus facie ad faciem, ita dictum est: Cum tradiderit regnum Deo et Patri, ac si diceretur: "Cum perduxerit credentes ad contemplationem Dei et Patris". Sicut enim dicit: Omnia mihi tradita sunt a Patre meo; et nemo novit Filium nisi Pater, neque Patrem quis novit nisi Filius et cui voluerit Filius revelare; tunc revelabitur a Filio Pater cum evacuaverit omnem principatum et omnem potestatem et virtutem, id est ut necessaria non sit dispensatio similitudinum per angelicos principatus et potestates et virtutes. Ex quarum persona non inconvenienter intellegitur dici in Cantico canticorum ad sponsam: Similitudines auri faciemus tibi cum distinctionibus argenti quoadusque rex in recubitu suo est; id est quoadusque Christus in secreto suo est, quia vita nostra abscondita est cum Christo in Deo. Cum Christus, inquit, apparuerit vita vestra, tunc et vos cum ipso apparebitis in gloria. Quod antequam fiat, videmus nunc per speculum in aenigmate, hoc est in similitudinibus; tunc autem facie ad faciem.

    Contemplatio Dei nobis promittitur ut actionum omnium finis.

    8. 17. Haec enim nobis contemplatio promittitur actionum omnium finis atque aeterna perfectio gaudiorum. Filii enim Dei sumus, et nondum apparuit quid erimus. Scimus quia cum apparuerit, similes ei erimus quoniam videbimus eum sicuti est. Quod enim dixit famulo suo Moysi: Ego sum qui sum; haec dices filiis Israel: Qui est misit me ad vos ; hoc contemplabimur cum vivemus in aeternum. Ita quippe ait: Haec est autem vita aeterna ut cognoscant te unum verum Deum et quem misisti Iesum Christum. Hoc fiet cum venerit Dominus et illuminaverit occulta tenebrarum, cum tenebrae mortalitatis huius corruptionisque transierint. Tunc erit mane nostrum de quo in Psalmo dicitur: Mane adstabo tibi et contemplabor . De hac contemplatione intellego dictum: Cum tradiderit regnum Deo et Patri, id est, cum perduxerit iustos in quibus nunc ex fide viventibus regnat mediator Dei et hominum homo Christus Iesus ad contemplationem Dei et Patris. Si desipio hic, corrigat me qui melius sapit; mihi aliud non videtur. Neque enim quaeremus aliud cum ad illius contemplationem pervenerimus, quae nunc non est quamdiu gaudium nostrum in spe est. Spes autem quae videtur non est spes. Quod enim videt quis, quid et sperat? Si autem quod non videmus speramus, per patientiam exspectamus , quoadusque rex in recubitu suo est. Tunc erit quod scriptum est: Adimplebis me laetitia cum vultu tuo. Illa laetitia nihil amplius requiretur quia nec erit quod amplius requiratur. Ostendetur enim nobis Pater et sufficiet nobis. Quod bene intellexerat Philippus ut diceret: Domine, ostende nobis Patrem et sufficit nobis. Sed nondum intellexerat eo quoque modo idipsum se potuisse dicere: "Domine, ostende nobis te et sufficit nobis". Ut enim hoc intellegeret, responsum est ei a domino: Tanto tempore vobiscum sum et non cognovistis me? Philippe, qui me vidit, vidit et Patrem. Sed quia volebat eum ex fide vivere antequam illud posset videre, secutus est et ait: Non credis quia ego in Patre et Pater in me? Quamdiu enim sumus in corpore, peregrinamur a Domino. Per fidem enim ambulamus, non per speciem. Contemplatio quippe merces est fidei, cui mercedi per fidem corda mundantur, sicut scriptum est: Mundans fide corda eorum. Probatur autem quod illi contemplationi corda mundentur illa maxime sententia: Beati mundicordes quoniam ipsi Deum videbunt. Et quia haec est vita aeterna, dicit Deus in Psalmo: Longitudinem dierum replebo eum, et ostendam illi salutare meum. Sive ergo audiamus: "Ostende nobis Filium", sive audiamus: Ostende nobis Patrem, tantundem valet quia neuter sine altero potest ostendi. Unum quippe sunt, et ipse ait: Ego et Pater unum sumus. Denique propter ipsam inseparabilitatem sufficienter aliquando nominatur vel Pater solus vel Filius solus adimpleturus nos laetitia cum vultu suo.

    Spiritus solus sufficit ad beatitudinem nostram, quia separari a Patre et Filio non potest.

    8. 18. Nec inde separatur utriusque Spiritus, id est, Patris et Filii Spiritus. Qui Spiritus Sanctus proprie dicitur: Spiritus veritatis quem hic mundus accipere non potest. Hoc est enim plenum gaudium nostrum quo amplius non est, frui Trinitate Deo ad cuius imaginem facti sumus. Propter hoc aliquando ita loquitur de Spiritu Sancto tamquam solus ipse sufficiat ad beatitudinem nostram; et ideo solus sufficit quia separari a Patre et Filio non potest, sicut Pater solus sufficit quia separari a Filio et Spiritu Sancto non potest, et Filius ideo sufficit solus quia separari a Patre et Spiritu Sancto non potest. Quid enim sibi vult quod ait: Si diligitis me, mandata mea servate, et ego rogabo Patrem, et alium advocatum dabit vobis ut vobiscum sit in aeternum, Spiritum veritatis quem hic mundus accipere non potest, id est dilectores mundi? Animalis enim homo non percipit quae sunt Spiritus Dei. Sed adhuc videri potest ideo dictum: Et ego rogabo Patrem, et alium advocatum dabit vobis, quasi non sufficiat solus Filius. Illo autem loco ita de illo dictum est tamquam solus omnino sufficiat: Cum venerit ille Spiritus veritatis, docebit vos omnem veritatem. Numquid ergo separatur hinc Filius tamquam ipse non doceat omnem veritatem, aut quasi hoc impleat Spiritus Sanctus quod minus potuit docere Filius? Dicant ergo, si placet, maiorem esse Filio Spiritum Sanctum quem minorem illo solent dicere. An quia non dictum est: "Ipse solus", aut: "Nemo, nisi ipse, vos docebit omnem veritatem"; ideo permittunt ut cum illo docere credatur et Filius? Apostolus ergo separavit Filium ab sciendis his quae Dei sunt, ubi ait: Sic et quae Dei sunt nemo scit nisi Spiritus Dei! ut iam isti perversi possint ex hoc dicere quod et Filium non doceat quae Dei sunt nisi Spiritus Sanctus, tamquam maior minorem; cui Filius ipse tantum tribuit ut diceret: Quia haec locutus sum vobis, tristitia cor vestrum implevit. Sed ego veritatem dico: Expedit vobis ut ego eam; nam si non abiero, advocatus non veniet ad vos.

    In una persona interdum intelleguntur omnes.

    9. 18. Hoc autem dixit non propter inaequalitatem Verbi Dei et Spiritus Sancti, sed tamquam impedimento esset praesentia Filii hominis apud eos quominus veniret ille qui minor non esset quia non semetipsum exinanivit sicut Filius formam servi accipiens. Oportebat ergo ut auferretur ab oculis eorum forma servi quam intuentes hoc solum esse Christum putabant quod videbant. Inde est et illud quod ait: Si diligeretis me, gauderetis utique quoniam eo ad Patrem, quia Pater maior me est, id est propterea me oportet ire ad Patrem quia dum me ita videtis, et ex hoc quod videtis aestimatis minor sum Patre, atque ita circa creaturam susceptumque habitum occupati aequalitatem quam cum Patre habeo non intellegitis. Inde est et illud: Noli me tangere; nondum enim ascendi ad Patrem meum. Tactus enim tamquam finem facit notionis. Ideoque nolebat in eo esse finem intenti cordis in se ut hoc quod videbatur tantummodo putaretur. Ascensio autem ad Patrem erat ita videri sicut aequalis est Patri ut ibi esset finis visionis quae sufficit nobis. Aliquando item de Filio solo dicitur quod ipse sufficiat et in eius visione merces tota promittitur dilectionis et desiderii nostri. Sic enim ait: Qui habet mandata mea et custodit ea, ille est qui me diligit. Qui autem me diligit, diligetur a Patre meo; et ego diligam eum et ostendam me ipsum illi. Numquid hic quia non dixit: "Ostendam illi et Patrem", ideo separavit Patrem? Sed quia verum est: Ego et Pater unum sumus, cum Pater ostenditur, et Filius ostenditur qui in illo est; et cum Filius ostenditur, etiam Pater ostenditur qui in illo est. Sicut ergo cum ait: Et ostendam illi me ipsum, intellegitur quia ostendit et Patrem, ita et in eo quod dicitur: Cum tradiderit regnum Deo et Patri, intellegitur quia non adimit sibi. Quoniam cum perducet credentes ad contemplationem Dei et Patris, profecto perducet ad contemplationem suam qui dixit: Et ostendam illi me ipsum. Et ideo consequenter cum dixisset illi Iudas: Domine, quid factum est quia ostensurus es te nobis et non huic mundo? Respondit Iesus et dixit illi: Si quis me diligit, sermonem meum servabit; et Pater meus diliget illum, et ad illum veniemus et mansionem apud illum faciemus. Ecce quia non solum se ipsum ostendit ei a quo diligitur, quia simul cum Patre venit ad eum et mansionem facit apud eum.

    TRADUZIONE

    Tutti gli interpreti cattolici dei Libri sacri dell’Antico Testamento e del Nuovo che hanno scritto prima di me sulla Trinità di Dio e che io ho potuto leggere, questo intesero insegnare secondo le Scritture: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo con la loro assoluta parità in una sola e medesima sostanza mostrano l’unità divina e pertanto non sono tre dèi, ma un Dio solo , benché il Padre abbia generato il Figlio e quindi non sia Figlio colui che è Padre; benché il Figlio sia stato generato dal Padre e quindi non sia Padre colui che è Figlio; benché lo Spirito Santo, non sia né Padre né Figlio ma solo lo Spirito del Padre e del Figlio, pari anch’egli al Padre e al Figlio, appartenente con essi all’unità della Trinità Tuttavia non la Trinità medesima nacque dalla vergine Maria, fu crocifissa e sepolta sotto Ponzio Pilato, risorse il terzo giorno ed ascese al cielo , ma il Figlio solamente. Così non la Trinità medesima scese in forma di colomba su Gesù nel giorno del suo battesimo o nel giorno della Pentecoste, dopo l’ascensione del Signore, si posò su ciascuno degli Apostoli, con il suono che scendeva dal cielo come fragore di vento impetuoso e mediante distinte lingue di fuoco, ma lo Spirito Santo solamente . Né infine la medesima Trinità pronunciò dal cielo le parole: Tu sei il Figlio mio , quando Gesù fu battezzato da Giovanni, o sul monte quando erano con lui i tre discepoli , oppure quando risuonò la voce dicendo: L’ho glorificato e ancora lo glorificherò , ma era la voce del Padre solamente che si rivolgeva al Figlio, sebbene il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo operino inseparabilmente, come sono inseparabili nel loro stesso essere. Questa è la mia fede, perché questa è la fede cattolica.

    Chi disse che il Signore Dio nostro Gesù Cristo non è Dio o non è vero Dio o non è unico e solo Dio con il Padre o non è veramente immortale perché mutevole, fu convinto d’errore dalla evidentissima e unanime testimonianza delle Scritture, dove leggiamo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio . È chiaro che nel Verbo di Dio noi riconosciamo il Figlio unico di Dio, del quale Giovanni dice più avanti: E il Verbo si fece carne ed abitò fra noi , perché si è incarnato nascendo nel tempo dalla Vergine. In questo passo Giovanni afferma non soltanto che il Verbo è Dio ma anche che è consustanziale al Padre, perché dopo aver detto: E il Verbo era Dio, aggiunge: Questi era in principio presso Dio e tutte le cose per mezzo di lui furono fatte e niente fu fatto senza di lui . E poiché quando dice: tutte le cose, intende significare tutte le cose che furono fatte, ossia tutte le creature, si può con certezza affermare che non è stato fatto Colui per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. E se non è stato fatto, non è creatura; se non è creatura, è consustanziale al Padre. Infatti ogni sostanza che non è Dio è creatura, e quella che non è creatura è Dio. Ma, se il Figlio non è della medesima sostanza del Padre, evidentemente è una sostanza creata; ma se è tale, non tutte le cose furono fatte per mezzo di lui. Se però ogni cosa per mezzo di lui fu fatta, allora egli è una sola e medesima sostanza con il Padre. E perciò non è soltanto Dio ma anche vero Dio. È quanto Giovanni dice con somma chiarezza nella sua Epistola: Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza perché conosciamo il vero Dio, e siamo nel suo vero Figlio Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna.

    Da ciò consegue che l’apostolo Paolo non si riferiva solo al Padre quando disse: Il solo che possiede l’immortalità, ma parlava dell’unico e solo Dio, che è la Trinità stessa. Infatti la vita eterna non può essere mortale per mutazione, ma il Figlio di Dio è la vita eterna; perciò anch’egli è compreso con il Padre nelle parole: Il solo che possiede l’immortalità E noi stessi, fatti partecipi della sua vita eterna, diventiamo immortali nel modo a noi concesso. Ma una cosa è la vita eterna di cui diventiamo partecipi, altra cosa siamo noi che, per quella partecipazione, vivremo in eterno. Nemmeno se l’apostolo Paolo avesse scritto: "Nei tempi stabiliti lo manifesterà il Padre, beato e solo sovrano, Re dei re, Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità", dovremmo escludere il Figlio. Infatti il Figlio dicendo in veste di Sapienza (egli è infatti la Sapienza di Dio ): Da sola ho percorso la volta del cielo , non ha escluso il Padre. Quanto meno è dunque necessario intendere come dette solo del Padre e non anche del Figlio le parole: Il solo che possiede l’immortalità, parole che fanno parte del seguente passo: Osserva questi precetti senza macchia e senza rimprovero fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo che nei tempi stabiliti sarà manifestato dal beato ed unico sovrano, Re dei re, il Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità ed abita in una luce inaccessibile, che nessun uomo ha visto né mai può vedere. A lui onore e gloria nei secoli dei secoli . In questo passo non si nomina propriamente né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo, ma il beato ed unico sovrano, il Re dei re, il Signore dei signori, cioè l’uno e solo vero Dio, la Trinità medesima.

    Invisibilità del Figlio e di tutta la Trinità

    6. 11. Tuttavia ciò che segue farà forse nascere difficoltà contro questa interpretazione. L’Apostolo infatti aggiunge: Colui che nessun uomo vide né può vedere . Ma anche queste parole vanno riferite a Cristo considerato nella sua divinità, che non fu visibile ai Giudei, sebbene essi abbiano visto e crocifisso la sua carne. La divinità infatti da nessun occhio umano può essere vista. La vede solo l’occhio che si possiede quando non si è più uomini ma superiori agli uomini. Giustamente dunque si riconosce il Dio Trinità nelle parole: Beato e solo potente che manifesta la venuta del Signore nostro Gesù Cristo nei tempi stabiliti. Dice infatti l’Apostolo: Il solo che possiede l’immortalità nello stesso senso in cui è stato scritto nei Salmi: Colui che solo opera meraviglie . Vorrei sapere a chi riferiscano i miei avversari questa affermazione. Se infatti si tratta solamente del Padre, in che modo può essere vero ciò che dice il Figlio: Qualunque cosa fa il Padre, la fa similmente anche il Figlio ? Forse vi è tra le meraviglie cosa più prodigiosa che risuscitare e vivificare i morti? E lo stesso Figlio tuttavia dice: Come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole In che modo dunque il Padre solo opera meraviglie, se queste parole non permettono il riferimento a lui solo né al Figlio soltanto, ma all’unico solo vero Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo?

    Il Figlio creatore di tutte le cose

    6. 12. Così, quando il medesimo Apostolo dice: Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale provengono tutte le cose e noi siamo in lui, e un solo Signore Gesù Cristo per mezzo del quale tutte le cose sono state create, e noi siamo per mezzo di lui , chi potrebbe dubitare che si riferisce a tutte le cose create nello stesso senso in cui Giovanni dice: Tutte le cose per mezzo di lui sono state fatte ? Domando dunque di chi parli l’Apostolo in un altro passo: Poiché da lui, per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose: a lui la gloria nei secoli dei secoli . Se infatti egli vuol parlare del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo in modo che le singole parole si riferiscano alle singole Persone: cioè da lui, dal Padre, per mezzo di lui, per mezzo del Figlio, in lui, nello Spirito Santo, è chiaro che Padre, Figlio e Spirito Santo sono un Dio solo, giacché conclude al singolare: a lui gloria nei secoli dei secoli. E all’inizio di questo passo non dice: O abisso della ricchezza, della sapienza e della scienza, riferendosi al Padre o al Figlio o allo Spirito Santo, ma della sapienza e della scienza di Dio! E quanto imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! Chi conobbe il pensiero del Signore? E chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo per aver diritto ad essere retribuito? Poiché da lui e per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose: a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen . Se pretendono di intendere questo testo come se parlasse unicamente del Padre, come mai allora secondo queste parole le cose sono state create dal Padre, mentre secondo l’Epistola ai Corinti furono create dal Figlio: Un solo Signore Gesù Cristo per mezzo del quale tutte le cose sono , e come dice Giovanni nel suo Vangelo: Tutte le cose per mezzo di lui furono fatte ? Se infatti alcune cose sono state fatte per mezzo del Padre ed altre per mezzo del Figlio, non si può affermare che tutte sono state fatte per mezzo del Padre né tutte per mezzo del Figlio. Ma se tutte sono state fatte per mezzo del Padre e tutte per mezzo del Figlio, le stesse cose sono state fatte per mezzo del Padre e per mezzo del Figlio. Il Figlio è dunque uguale al Padre e l’operare del Padre è inseparabile da quello del Figlio: perché, se il Padre ha fatto perfino il Figlio dal quale non è stato fatto il Padre, non tutte le cose sono state fatte per mezzo del Figlio, ma è attestato invece che tutte le cose sono state fatte per mezzo del Figlio. Egli dunque non è stato fatto, ed ha fatto insieme al Padre tutte le cose che sono state fatte. In verità l’Apostolo non tacque queste parole decisive, poiché disse nel modo più aperto: Colui che, sussistendo in natura di Dio, non considerò rapina la sua uguaglianza con Dio . E qui con il termine Dio designa propriamente il Padre, nel senso in cui altrove dice: Il Capo di Cristo è Dio .

    Anche lo Spirito Santo è vero Dio, perfettamente uguale al Padre e al Figlio

    6. 13. Anche per quanto riguarda lo Spirito Santo si raccolsero testimonianze - e quelli che ci precedettero nella trattazione di questi argomenti se ne sono largamente serviti - secondo le quali lo Spirito Santo è Dio, non una creatura. E se non è una creatura, non soltanto è Dio (anche gli uomini furono detti dèi ) ma anche vero Dio. Pertanto perfettamente uguale al Padre e al Figlio e consustanziale e coeterno ad essi nell’unità della Trinità . Che lo Spirito Santo non sia una creatura risulta chiaramente soprattutto da quel passo importantissimo in cui ci viene comandato di servire non alla creatura ma al Creatore . Non si tratta di un servizio come quello che la carità ci impone gli uni verso gli altri - in greco - ma di quello che è dovuto al solo Dio e che in greco si esprime con , vocabolo da cui deriva il nome idolatra, attribuito a chi presta agli idoli il culto dovuto a Dio. A questo culto si riferisce il comandamento: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai . Il testo greco è più espressivo ed usa . Ora, se ci è proibito di rendere alla creatura questa specie di culto per il comandamento: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai - di qui l’esecrazione dell’Apostolo per coloro che adorano e servono la creatura invece del Creatore - non può essere assolutamente creatura lo Spirito Santo al quale tutti i cristiani prestano tale tipo di servizio, come attesta l’Apostolo: I circoncisi siamo noi che serviamo lo Spirito di Dio , dove il testo greco usa . Anche molti codici latini hanno: Noi che serviamo lo Spirito di Dio; quelli greci tutti o quasi. Però in alcuni esemplari latini non si trova: Serviamo lo Spirito di Dio, ma: Serviamo Dio con lo spirito. Ma coloro che qui cadono in errore e si rifiutano nei riguardi di questo testo di dar credito ad una lezione più autorevole trovano forse variato nei codici anche questo passo: Non sapete che i vostri corpi sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che voi ricevete da Dio ? Ora che cosa di più insensato e sacrilego che qualcuno osi dire che le membra di Cristo sono il tempio di una creatura che secondo i nostri avversari è inferiore a Cristo? Infatti in un altro passo l’Apostolo afferma: I vostri corpi sono le membra di Cristo . Se dunque quelle che sono le membra di Cristo sono il tempio dello Spirito Santo, lo Spirito Santo non è una creatura, perché colui al quale offriamo quale tempio il nostro corpo deve ricevere necessariamente quell’adorazione che si deve solo a Dio, e che è precisata dalla lingua greca con il vocabolo . Per questo motivo l’apostolo Paolo conclude: Glorificate dunque Dio nel vostro corpo.

    Il Figlio come uomo inferiore al Padre ed anche a se stesso

    7. 14. Queste testimonianze ed altre di tale natura hanno permesso ai nostri predecessori che, come ho detto, ne hanno fatto largo uso, di sgominare le imposture e gli errori degli eretici; esse rivelano alla nostra fede l’unità e l’uguaglianza della Trinità. Ma nelle Sacre Scritture vi sono molti passi a motivo dell’incarnazione del Verbo di Dio - incarnazione avvenuta per la nostra salvezza cosicché il mediatore tra Dio e gli uomini fosse l’uomo Gesù Cristo - passi che fanno pensare o anche esplicitamente affermano che il Padre è superiore al Figlio. Per questo alcuni troppo poco attenti nello scrutare il senso e nell’afferrare l’insieme delle Scritture hanno tentato di riferire ciò che fu detto di Gesù Cristo in quanto uomo alla sua natura che era eterna prima dell’incarnazione e che è sempre eterna. Su questa base essi pretendono che il Figlio sia inferiore al Padre, poiché il Signore stesso ha detto: Il Padre è più grande di me. Ma la verità mostra che in questo senso il Figlio è inferiore anche a se stesso. Come infatti non sarebbe divenuto tale colui che umiliò sè stesso assumendo la natura di servo? Infatti non assunse la natura di servo così da perdere quella di Dio nella quale era uguale al Padre. Pertanto, se la natura di servo fu assunta in modo tale che egli non perdette la sua natura divina - poiché come servo e come Dio egli è lo stesso e unico Figlio di Dio Padre, uguale al Padre nella sua natura divina, e mediatore di Dio e degli uomini nella sua natura di servo, l’uomo Gesù Cristo - è chiaro che considerato nella sua natura divina anche lui è superiore a se stesso, mentre è a se stesso inferiore se considerato nella natura di servo. La Scrittura molto giustamente dunque si esprime in duplice modo, affermando che il Figlio è uguale al Padre e che il Padre è superiore al Figlio. Nel primo caso riconosce una conseguenza della sua natura divina, nel secondo una conseguenza della sua natura di servo, fuori d’ogni confusione. Un capitolo di una Epistola dell’apostolo Paolo fornisce questa regola da seguire per risolvere il problema in questione attraverso tutto il complesso delle Sante Scritture. In quel capitolo si raccomanda molto chiaramente la distinzione accennata: Colui che sussistendo in natura di Dio, non considerò rapina la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò sé stesso prendendo la natura di servo, divenuto simile agli uomini, ritrovato in stato d’uomo. Per natura dunque il Figlio di Dio è uguale al Padre, per stato inferiore a lui. Nella natura di servo, che ha assunto, è inferiore al Padre, nella natura divina nella quale sussisteva, anche prima di assumere quella di servo, è uguale al Padre. Nella natura di Dio è il Verbo per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, nella natura di servo fu formato da donna, formato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano soggetti alla Legge. Perciò nella natura di Dio ha fatto l’uomo, nella natura di servo si è fatto uomo. Se il Padre solamente e non anche il Figlio avesse fatto l’uomo, non sarebbe scritto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Poiché dunque la natura di Dio ha assunto la natura di servo, Dio è l’uno e l’altro, come l’uomo è l’uno e l’altro. Ma Dio lo è, perché ha assunto l’uomo; l’uomo lo è perché è stato assunto da Dio. Infatti nell’incarnazione nessuna delle due nature si è mutata nell’altra: la divinità non fu certamente mutata nella creatura, cessando di essere divinità, né la creatura divenne divinità, cessando di essere creatura.

    Il Figlio come uomo è sottomesso al Padre

    8. 15. Le parole dello stesso Apostolo: Quando tutte le cose gli saranno state sottomesse, allora il Figlio stesso si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise, possono servire contro l’opinione secondo cui lo stato preso da Cristo nella natura umana si sarebbe poi convertito nella stessa divinità, o meglio deità, la quale non è creatura ma la stessa unità incorporea, immutabile e per natura consustanziale e coeterna con se stessa, della Trinità; oppure se qualcuno pretende che le parole: allora il Figlio di Dio si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise possano intendersi, come alcuni hanno inteso, nel senso che questa sottomissione sarà la trasformazione e conversione della creatura nella stessa sostanza o essenza del Creatore, cioè che quella che era la sostanza della creatura diverrebbe la sostanza del Creatore, allora costui conceda almeno questo che è certissimo: tale trasformazione non era ancora avvenuta quando il Signore diceva: Il Padre è maggiore di me. Infatti egli disse queste parole non solo prima di ascendere al cielo ma anche prima della sua passione e risurrezione dai morti. Ora chi ammette che in Cristo la natura umana si muti e si trasformi nella sostanza della deità e chi sostiene che le parole: Allora il Figlio stesso si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise significhino: Allora lo stesso Figlio dell’uomo e la natura umana assunta dal Verbo di Dio si trasformerà nella natura di colui che tutto gli sottomise, suppone che ciò avverrà quando (dopo il giorno del giudizio) avrà consegnato il regno a Dio Padre . Ma anche a stare a questa interpretazione, resta ben fermo che il Padre è superiore alla natura di servo, che il Figlio ha ricevuto dalla Vergine. Anche se alcuni sostengono che l’uomo Gesù Cristo si è già mutato nella sostanza di Dio, costoro non possono certamente negare che la natura umana sussisteva ancora, prima della passione, quando diceva: Il Padre è più grande di me, per cui ci pare non ci sia più alcun motivo di esitazione circa il senso di quelle parole: il Padre è superiore alla natura di servo del Figlio, che è uguale al Padre nella natura divina. Leggendo queste parole dell’Apostolo: Quando dice che tutto è stato sottomesso, è chiaro che si deve eccettuare colui che tutto gli ha sottomesso, nessuno pensi di interpretarle nel senso che il Padre abbia sottomesso tutte le cose al Figlio, come se anche lo stesso Figlio non avesse sottomesso a sé tutte le cose. Lo spiega chiaramente l’Apostolo ai Filippesi: La nostra dimora è nei cieli, da dove aspettiamo, come Salvatore, il Signore Gesù Cristo che trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria, secondo l’operazione con cui può rendere a sé soggette tutte le cose. L’operare del padre e l’operare del Figlio sono inseparabili; altrimenti neppure il Padre ha sottomesso a sé tutte le cose. Gliele ha sottomesse il Figlio che ha consegnato a lui il regno e distrugge ogni principato, ogni potestà, ogni virtù. Proprio del Figlio fu detto: Quando consegnerà il regno a Dio Padre dopo aver distrutto ogni principato, ogni potestà, ogni virtù. Colui che sottomette è lo stesso che distrugge.

    Il Figlio non consegnerà il regno al Padre, privandosene lui stesso

    8. 16. Non cadremo nell’errore di credere che Cristo consegnerà il regno a Dio Padre per privarsene lui stesso, anche se alcuni sciocchi l’hanno creduto. La Scrittura che dice: Consegnerà il regno a Dio Padre, non indica una separazione del Figlio dal Padre, perché il Figlio è un solo Dio con il Padre. Ma a trarre in inganno chi è indifferente alle Scritture ma per contro è amico delle dispute, c’è l’espressione: fino a che. Infatti il testo continua così: È necessario che egli regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi, quasi che il suo regno dovesse aver fine quando ciò sarà accaduto. Questi non vedono che questa frase ha lo stesso senso di quest’altra: Il suo cuore è stabile e non temerà finché vedrà abbattuti i suoi nemici, dove non si vuol dire evidentemente che da quel momento egli dovrà incominciare a temere. Che significa dunque: Quando consegnerà il regno a Dio Padre? Che questi ancora non lo possiede? No, di certo. Significa invece che l’uomo Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, condurrà tutti i giusti, sui quali ora regna, per la loro vita nella fede, a quella contemplazione che lo stesso Apostolo chiama visione a faccia a faccia. Perciò l’espressione: Quando consegnerà il regno a Dio Padre, equivale a quest’altra: "Quando condurrà i credenti a contemplare Dio Padre". Come infatti dice il Signore: Ogni cosa mi fu consegnata dal Padre mio: nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo vorrà rivelare; allora il Figlio rivelerà il Padre, quando avrà abbattuto ogni principato, ogni potestà e virtù, quando cioè non sarà più necessario distribuire i simboli per mezzo degli ordini angelici, dei principati, delle potestà, delle virtù. È di essi che si può convenientemente intendere questo testo del Cantico dei cantici: Ti faremo ornamenti d’oro ageminati d’argento, fino a che il re è nel suo convito, cioè finché Cristo rimane nascosto perché la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi pure apparirete con lui nella gloria Prima che ciò avvenga, noi vediamo per specchio, in enigma, cioè per mezzo di simboli, ma allora vedremo a faccia a faccia

    La contemplazione di Dio ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni

    8. 17. Questa contemplazione ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni e pienezza eterna del nostro gaudio. Infatti siamo figli di Dio ed ancora non è stato mostrato ciò che saremo. Ma sappiamo che quando ciò sarà manifesto, saremo simili a lui, perché lo vedremo come è veramente . Ciò che ha dichiarato al suo servo Mosè: Io sono colui che sono; e annuncerai questo ai figli d’Israele: Colui che è mi ha mandato a Voi, questo contempleremo quando vivremo eternamente. Similmente disse il Signore: La vita eterna è questa, che conoscano te unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Questo avverrà quando il Signore sarà venuto e avrà illuminato ciò che si nasconde nelle tenebre, quando sarà dissipata l’oscurità di questo stato mortale e corruttibile. Sarà il nostro mattino, quello di cui parla il Salmista: Al mattino mi disporrò dinanzi a te e ti contemplerò. Le parole dell’Apostolo: Quando consegnerà il regno a Dio Padre si riferiscono, mi sembra, a questa contemplazione, cioè al momento in cui l’uomo Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, avrà condotto tutti i giusti, sui quali ora regna per la loro vita nella sua fede, alla contemplazione di Dio Padre. Se qui cado in errore mi corregga chi ha meglio compreso. A me non sembra che ci siano altre interpretazioni. Tuttavia non cercheremo altro quando saremo giunti alla contemplazione che non possiamo avere ora, finché la nostra gioia è tutta riposta nella speranza. Ma la speranza che si scorge non è speranza: come infatti ciò che uno scorge può anche sperarlo? Ma se speriamo in ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo , finché il re si trova nel suo convito . Si compirà allora quanto è scritto: Mi riempirai di gioia con la tua presenza . Dopo questa gioia non si cercherà più nulla, perché non vi sarà altro da cercare; il Padre si mostrerà a noi e questo ci basterà. È ciò che aveva ben capito Filippo quando diceva: Signore, mostraci il Padre e questo ci basterà . Ma non aveva ancora capito che avrebbe potuto dire allo stesso modo: "Signore, mostraci te stesso e questo ci basterà". E perché capisse questo il Signore gli rispose: Da tanto tempo sono con voi e non mi conoscete? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre . Ma poiché voleva che egli vivesse di fede prima che la visione gli fosse possibile, aggiunse: Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre in me? Infatti finché siamo presenti nel corpo, noi siamo lontani dal Signore, perché camminiamo per fede, non per visione. La contemplazione è certamente la ricompensa della fede, è il premio a cui i cuori si preparano purificandosi con la fede, come è scritto: Avendo purificato i loro cuori per mezzo della fede . Che i cuori si purifichino per quella contemplazione è testimoniato soprattutto da questo passo: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio . E poiché questa è la vita eterna, Dio dice nel Salmo: Lo sazierò di una lunga durata di giorni e gli mostrerò la mia salvezza Pertanto allorché ascoltiamo: "Mostraci il Figlio", ascoltiamo: Mostraci il Padre . È la stessa cosa, perché nessuno dei due può essere mostrato senza l’altro. Sono appunto una sola cosa, così come ha detto anche il Signore: Io e il Padre siamo una sola cosa Per questa inseparabilità può essere sufficiente attribuire talvolta alla sola presenza del Padre o del Figlio la pienezza della nostra felicità .

    Lo Spirito Santo basta alla nostra beatitudine, perché inseparabile dal Padre e dal Figlio

    8. 18. Da questa unità non può essere separato lo Spirito di ambedue, cioè lo Spirito del Padre e del Figlio. È questo lo Spirito Santo, che la Scrittura propriamente chiama: Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Ora la nostra gioia perfetta della quale nulla c’è di più alto, è godere di Dio Trinità che ci ha fatto a sua immagine. Per questo talvolta si parla dello Spirito Santo come se bastasse lui solo alla nostra beatitudine, e davvero basta, in quanto non può essere separato dal Padre e dal Figlio, allo stesso modo in cui basta il Padre solo, perché indivisibile dal Figlio e dallo Spirito Santo, e basta il Figlio solo, perché non si può separare dal Padre e dallo Spirito Santo. Che senso hanno queste parole del Signore: Se mi amate, osservate i miei comandamenti ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un nuovo difensore perché sia con voi in eterno, lo Spirito di verità che questo mondo (cioè chi ama questo mondo) non può ricevere ? L’uomo carnale infatti non comprende le cose dello Spirito di Dio. Ma ancora può sembrare che in base all’espressione: Ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un nuovo difensore il Figlio solo non basti per la nostra felicità. In un altro passo poi si dice dello stesso Spirito, come se solo bastasse pienamente: Quando verrà lo Spirito di verità, vi insegnerà tutta la verità. Ma forse si vuole con questo testo escludere il Figlio come se non insegnasse egli stesso tutta la verità, o come se lo Spirito Santo dovesse colmare le lacune dell’insegnamento del Figlio? I nostri avversari sostengano pure, allora, se così loro piace, che lo Spirito Santo è superiore al Figlio, mentre sono soliti considerarlo inferiore. Forse concedono che si debba credere che anche il Figlio insegna insieme con lo Spirito Santo, in quanto la Scrittura non dice: "Lo Spirito solamente", oppure: "Nessuno all’infuori di lui vi insegnerà la verità"? L’Apostolo ha dunque escluso il Figlio dalla conoscenza di queste cose di Dio quando disse: Così nessuno conosce le cose di Dio, eccetto lo Spirito di Dio, cosicché a questo punto questi insensati possano concludere affermando che il Figlio per quanto riguarda i segreti di Dio va a scuola dallo Spirito Santo come uno più piccolo da uno più grande. Il Figlio stesso spinge la sua deferenza verso lo Spirito Santo fino a dire: Perché vi ho detto queste cose la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io me ne vada; se non me ne andrò il difensore non verrà a voi.

    A volte quando si parla di una Persona divina si intendono implicitamente anche le altre

    9. Ma il Signore ha detto questo non a motivo dell’ineguaglianza tra il Verbo di Dio e lo Spirito Santo, ma perché la presenza del Figlio dell’uomo tra i discepoli impediva, per così dire, la venuta di Colui che non gli era inferiore perché non si era esinanito prendendo la natura di servo, come ha fatto invece il Figlio. Era necessario dunque che fosse sottratta ai loro sguardi la natura di servo la cui vista faceva loro credere che Cristo non fosse nient’altro che quello che vedevano. Ecco perché Gesù dice: Se mi amate, vi rallegrerete con me che io vada al Padre, perché il Padre è più grande di me, che era quanto dire: bisogna che io vada al Padre perché fino a quando mi vedete in questa condizione e, basandovi su ciò che vedete, mi giudicate inferiore al Padre e pertanto, distolti dalla creatura che sono e dall’aspetto esterno da me assunto, non potete comprendere la mia uguaglianza con il Padre. È per questo che il Signore dice: Non mi toccare, ancora non sono salito al Padre mio . Infatti il tatto in un certo modo segna il limite della nostra conoscenza; pertanto il Signore non voleva che lo slancio del cuore verso di lui si fermasse a quello, così da ritenere vero solo ciò che si vedeva. Invece l’ascendere al Padre equivaleva per lui ad apparire uguale al Padre, così com’è, per divenire in cielo l’oggetto di quella visione che ci basta. A volte la Scrittura si esprime come se il Figlio solo bastasse e tutta la ricompensa del nostro amore e del nostro desiderio consistesse nella visione di lui. Così egli dice infatti: Chi accoglie ed osserva i miei comandamenti, questi mi ama. E chi ama me sarà amato dal Padre mio e io pure lo amerò e gli manifesterò me stesso. E forse, perché non ha detto: "Gli mostrerò anche il Padre", ha separato il Padre da sé? Ma poiché è vero che: Io e il Padre siamo una cosa sola, allorché si manifesta il Padre è manifestato anche il Figlio che è in lui, e quando si manifesta il Figlio è manifestato anche il Padre che è nel Figlio. Perciò, come quando dice: Gli manifesterò me stesso, intendiamo che manifesta anche il Padre, così quando è scritto altrove: Quando consegnerà il regno a Dio Padre, si intende che Cristo non si priva del regno perché quando condurrà i fedeli alla contemplazione di Dio Padre li condurrà certamente anche alla contemplazione di se stesso, egli che dice: Gli manifesterò me stesso. È per questo che alla domanda di Giuda: Come mai ti manifesti a noi e non al mondo? Gesù rispose: Se uno mi ama, osserverà le mie parole ed il Padre mio lo amerà ed a lui verremo e dimoreremo in lui. Ecco che non mostra solo se stesso a chi lo ama, perché viene a lui e vi prende dimora con il Padre.

    [S. AUGUSTINUS AURELIUS HYPPONIENSIS, De Trinitate, Liber I]

    Ineccepibile la expositio fidei di S. Gregorio Taumaturgo: “Un solo Dio, Padre del Verbo vivente, della sapienza sussistente, della potenza, dell’impronta eterna, perfetto Genitore di perfetto, Padre del Figlio Unigenito. Un solo Signore, unico dall’unico, Dio da Dio… Figlio vero da vero Dio, invisibile dall’invisibile, incorruttibile dall’incorruttibile, immortale dall’immortale, eterno dall’eterno. Ed un solo Spirito Santo, che riceve la sostanza da Dio e che per il Figlio apparve agli uomini, immagine del Figlio, perfetta del perfetto, vita, principio dei viventi, santità che conferisce la santificazione; nel quale si manifestano Dio Padre e Dio Figlio. Trinità perfetta, indivisa nella gloria, nell’eternità e nel regno. Non vi è dunque nella Trinità alcunché di creato, di inferiorità o di aggiunto dall’esterno, come se prima non esistesse e dopo sia venuto all’esistenza, perché né il Figlio fu mai assente al padre, né lo Spirito Santo al Figlio, ma vi fu sempre la stessa Trinità senza trasformazione e cambiamento”.

    Dio che la mente umana poteva immaginare come una Monade sempiterna, si rivela come Una Triade indivisa: il Padre fonte e origine della divinità genera eternamente il Figlio, e da entrambi procede eternamente lo Spirito Santo. E Sant’Atanasio completa quel suo compendio di splendida sintesi sulla consostanzialità del Figlio: “la generazione del Verbo non è come quella umana, la quale è posteriore all’esistenza del Padre; né come un uomo da un uomo è stato generato il Figlio, sì da essere posteriore all’esistenza del Padre, ma è il generato di Dio, ed essendo il Figlio proprio di Dio sempre esistente, anche egli esiste dall’eternità. E’ proprio degli uomini generare nel tempo, perché la loro natura è imperfetta, ma il generato di Dio è eterno, perché sempre perfettissima fu la natura di Dio”; terminando con l’esposizione sulla medesima natura dello Spirito Santo, Dio da Dio: “Se con la partecipazione dello Spirito Santo noi diveniamo partecipi della natura divina (2Pt 1,4), ben insensato sarebbe chiunque dicesse che lo Spirito appartiene alla natura creata e non a quella di Dio. Per questo, infatti, coloro in cui esso si trova sono divinizzati. Se Egli divinizza, nessuno può dubitare che la sua natura non sia quella di Dio”.

    Il Padre è nel Figlio, il Figlio nello Spirito, lo Spirito nel Padre nel pervadersi l’un l’altro della propria essenza, pur restando Padre, Figlio, Spirito Santo. Le tre ipostasi consustanziali vivono una comunione così intensa, mettendo in comune tutto, tranne l’essere Padre, Figlio e Spirito Santo, a tal punto da essere un solo Dio, una sola “carne” (si passi l’espressione impropria).

 

 
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