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    Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus"

    di Sandro Magister

    Tokyo, 18 giugno 2003


    Ci sono eventi che Giovanni Paolo II ha voluto, e lui solo. Li ha voluti e
    li ha posti in essere, unico nella storia dei papi e contro molti della
    stessa Chiesa del suo tempo, cardinali, vescovi, preti, fedeli. È verosimile
    che dopo di lui nessun altro papa li riproporrà più. Almeno nel suo stesso
    modo.

    Il primo di questi suoi atti specialissimi lo compì ad Assisi il 27 ottobre
    1986. Chiamò attorno a sé rappresentanti delle più varie religioni del mondo
    e chiese loro di pregare per la pace. Ciascuno il proprio Dio. Potentemente
    simbolica era la visione, sulla piazza di san Francesco, di quella fila
    multicolore di uomini religiosi, con il papa biancovestito allineato tra
    loro.

    Simbolo pericoloso, però. Anche se Giovanni Paolo II era lontanissimo dal
    volerlo, il messaggio che ne usciva per molti era quello di una Onu delle
    fedi. Di una coesistenza multireligiosa nella quale ciascuna fede valeva l'
    altra. E alla quale anche la Chiesa cattolica si iscriveva, alla pari.

    Anni dopo, infatti, il 6 agosto del 2000, papa Karol Wojtyla e il cardinale
    Joseph Ratzinger si sentirono in dovere di emettere una dichiarazione che
    facesse da antidoto a questo veleno relativista. Era intitolata "Dominus
    Iesus" e richiamava un'elementare e fondante verità cristiana: quella
    secondo cui è solo in Gesù che tutti gli uomini hanno salvezza. La
    dichiarazione generò un terremoto. Da fuori, i paladini della laicità
    accusarono la Chiesa di intolleranza. E da dentro scattarono accuse di
    antiecumenicità. Segno che la "Dominus Iesus" aveva centrato un reale
    malessere della Chiesa. Che ad Assisi era stato portato allo scoperto. E che
    aveva il suo elemento scatenante in Asia, e ancor più nel subcontinente
    indiano. Ma andiamo per ordine.

    Assisi, 1986

    Il primo atto, dunque, di questo percorso accidentato va in scena nel 1986
    nel borgo di san Francesco. Giovanni Paolo II ne diede l'annuncio il 25
    gennaio e le reazioni critiche furono immediate, specie nella curia
    vaticana. Ma il papa non se ne fece imbrigliare, affidò la regia dell'evento
    a un cardinale di sua fiducia, uno dei pochissimi concordi su questo con
    lui, il francese Roger Etchegaray, presidente del pontificio consiglio per
    la giustizia e la pace. Della parte rituale si occupò il cardinale Virgilio
    Noé, già maestro delle cerimonie del papa. E per gli aspetti scenografici e
    organizzativi fu dato mandato alla comunità di Sant'Egidio e al movimento
    dei Focolari, l'una e l'altro sperimentati costruttori di eventi mediatici e
    già al centro di una rete internazionale di rapporti con esponenti di
    religioni non cristiane.

    Il 27 ottobre, le televisioni trasmisero così in tutto il mondo le immagini
    di quell'evento fortemente voluto dal papa: pellegrinaggio, digiuno,
    preghiera, pace tra i popoli e le religioni. Giovanni Paolo II rinverdì
    anche una tradizione medievale invocando per quel giorno una "tregua di Dio"
    , un arresto nell'uso delle armi su tutti i fronti di guerra del globo.
    Risultò poi che quasi nessun combattente vi si attenne, ma il simbolo
    sovrastò la realtà e la visione del papa orante a fianco dei capi di tante
    religioni diverse si impose da quel giorno come uno dei marchi più forti
    dell'intero pontificato.

    Ma insieme presero corpo anche le riserve critiche, su quello stesso evento.
    La giornata di Assisi non mancò di darvi alimento, in alcuni suoi gesti
    eccessivi. A buddisti, a induisti, ad animisti africani furono concesse per
    le loro preghiere alcune chiese della città, come fossero involucri neutri,
    privi d'irrinunciabile valenza cristiana. E sull'altare della locale chiesa
    di San Pietro i buddisti sistemarono una reliquia di Buddha. L'assenza da
    Assisi del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione vaticana
    per la dottrina della fede, fu interpretata non a torto come una presa di
    distanza del cardinale che per ufficio è il custode della retta dottrina
    cattolica. Lo stesso papa non sfuggì alle critiche. Vi fu chi ricordò che
    quel medesimo anno, in febbraio, durante un suo viaggio in India, aveva
    fatto discorsi di inaudita apertura verso le religioni del luogo e a Bombay
    s'era persino fatta ungere la fronte da una sacerdotessa di Shiva, con un
    segno di forte simbolismo sacro induista. A brontolare erano stati anche
    alcuni vescovi indiani. Uno di essi, dell'Andra Pradesh, disse: "Il papa
    conosce l'induismo dai libri, ma noi che ci viviamo dentro e vediamo i danni
    che produce nel buon popolo, non faremmo mai certi discorsi".

    "Redemptoris Missio", 1990

    Delle critiche Giovanni Paolo II era consapevole. Ma non solo. Di quelle di
    un Ratzinger o di altri della sua levatura coglieva e condivideva il senso
    profondo. La conferma è in un'enciclica che il papa mette in cantiere poco
    dopo l'incontro di Assisi e che vedrà la luce nel 1990: la "Redemptoris
    Missio". Come dicono le sue prime parole latine, le stesse che le fanno da
    titolo, questa enciclica ha per tema la missione evangelizzatrice della
    Chiesa, quella che obbedisce al comando di Gesù risorto ai discepoli di
    andare ad ammaestrare e a battezzare tutte le creature fino ai confini della
    terra. E come spesso avviene per le encicliche, anche questa non nasce nel
    vuoto, ma in risposta a una deriva reale o temuta: come un colpo di timone
    del successore di Pietro per rimettere la navicella della Chiesa sulla
    giusta rotta.

    La deriva è precisamente l'impoverirsi della vitalità missionaria cattolica,
    la sua diluizione in un dialogo indistinto con le altre religioni e culture,
    o peggio, in un dialogo spogliato della volontà d'annunciare la verità e di
    chiedere la conversione a Cristo unico salvatore. In effetti, partendo dall'
    affermazione del Concilio Vaticano II nel decreto "Nostra Aetate" secondo
    cui "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle
    religioni", s'era largamente affermata nel dopoconcilio l'idea di
    trasformare la missione in semplice impegno a far maturare i "semi di
    verità" presenti nelle diverse religioni - in altre parole ad aiutare l'
    induista a essere un bravo induista o il musulmano ad adorare il suo unico
    Dio - come se questi semi fossero essi stessi vie autonome di salvezza, al
    di fuori di Cristo e a maggior ragione al di fuori della Chiesa.

    La "Redemptoris Missio" contrasta con decisione questa "mentalità
    indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra i cristiani,
    spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un
    relativismo religioso che porta a ritenere che una religione vale l'altra"
    (n. 36). Riafferma la necessità e l'urgenza dell'annuncio della Buona
    Novella di Gesù. Annuncio esplicito. Annuncio proclamato nella certezza che
    nessuna altra religione può salvare al di fuori di Cristo unica "via,
    verità, vita". Pochi all'epoca notarono la centralità di questa enciclica
    nel magistero di Giovanni Paolo II. Ma dieci anni dopo, nel 2000, quando
    papa Wojtyla riterrà necessario e urgente ritornare su questi temi, numerose
    sue citazioni troveranno posto puntualmente nella "Dominus Iesus", ancora
    più definitoria della "Redemptoris Missio" nel ribadire l'irrinunciabilità e
    l'insostituibilità dell'annuncio di Cristo alle genti.

    La questione asiatica

    Nel 1994 Giovanni Paolo II torna a spiegare la sua visione del rapporto tra
    la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane nel libro-intervista da lui
    stesso intitolato "Varcare la soglia della speranza", pubblicato
    contemporaneamente in più lingue.

    Il papa sostiene che vi sono religioni per loro natura "particolarmente
    vicine al cristianesimo", come quelle animiste dell'Africa, dalle quali è
    più facile che avvengano conversioni al Vangelo. Opposto invece è il
    giudizio che egli formula sulle "grandi religioni dell'Estremo Oriente",
    buddismo, induismo, confucianesimo, taoismo, shintoismo. Esse "possiedono
    carattere di sistema", quindi sono molto meno penetrabili, e questo spiega
    perché in queste regioni "l'attività missionaria della Chiesa ha portato
    frutti, dobbiamo riconoscere, modestissimi".

    Ma è soprattutto al buddismo che papa Wojtyla dedica attenzione e
    preoccupazione. Esso, dice, "è come il cristianesimo una religione di
    salvezza", ma le dottrine di salvezza dell'uno e dell'altro sono tra loro
    "contrarie". Quella del buddismo è "negativa", si fonda sulla convinzione
    che "il mondo è cattivo, è fonte di male e di sofferenza per l'uomo", e "per
    liberarsi da questo male bisogna liberarsi dal mondo". Senza che ciò
    comporti alcun avvicinamento a Dio: "La pienezza del distacco non è l'unione
    con Dio, ma il cosiddetto nirvana, ovvero uno stato di perfetta indifferenza
    nei riguardi del mondo". Insomma, "il buddismo è in misura rilevante un
    sistema ateo", nonostante il fascino che esercita. "Non è perciò fuori luogo
    mettere sull'avviso quei cristiani che con entusiasmo si aprono a certe
    proposte provenienti dalle tradizioni religiose dell'Estremo Oriente".

    Questi giudizi inaspettatamente taglienti espressi dal papa sulla religione
    del Buddha suscitarono proteste in campo buddista, ma anche da parte di
    teologi cattolici all'avanguardia nel dialogo con le religioni. Vi fu chi
    vide Giovanni Paolo II fare retromarcia, rispetto ai passi di dialogo
    compiuti ad Assisi. In realtà, nello stesso capitolo del suo
    libro-intervista, papa Wojtyla ricordava l'incontro interreligioso del 1986
    con parole che, semmai, avrebbero potuto suggerire sospetti opposti. Lo
    "storico" incontro di Assisi, diceva, l'aveva più che mai convinto che "lo
    Spirito Santo opera efficacemente anche fuori dell'organismo visibile della
    Chiesa". E "opera in base a 'semina Verbi' che costituiscono quasi una
    comune radice soteriologica di tutte le religioni".

    L'enigma dei 'semina Verbi'

    Ai non specialisti l'ultima frase può suonare enigmatica. "Radice
    soteriologica" vuol dire capacità di salvezza eterna. Il 'Verbum', in greco
    'Logos', è il Figlio di Dio fatto uomo del primo capitolo del Vangelo
    secondo Giovanni, per il quale il mondo è stato creato e tutti gli uomini
    sono salvati. Quanto ai 'semina Verbi', i semi del Verbo, l'espressione è
    antichissima, è stata coniata da Giustino attorno al 150 d.C. ed è ritornata
    nei documenti del Concilio Vaticano II per designare ciò che di "vero e
    santo" ci può essere anche nelle religioni non cristiane.

    Propriamente, secondo i Padri della Chiesa dei primi secoli, Agostino
    compreso, i 'semina Verbi' non fecondano le religioni pagane, sulle quali il
    giudizio è radicalmente negativo, quanto piuttosto la filosofia greca e la
    sapienza dei poeti e delle Sibille. Ma nella sua ripresa moderna la formula
    è applicata proprio alle religioni non cristiane, secondo due significati.
    Il primo è anche quello del Concilio Vaticano II: ove i 'semina Verbi' sono
    la misteriosa presenza di Cristo salvatore in tutte le religioni, in quanto
    esse possono avere di "vero e santo" e quindi anche di salvifico, sempre
    però attraverso Cristo per vie che solo lui conosce.

    Il secondo significato è quello adottato da alcune correnti teologiche della
    seconda metà del XX secolo. A giudizio di queste correnti le religioni non
    cristiane avrebbero capacità salvifica non mediata ma propria, tutte
    esprimerebbero molteplici esperienze del divino, indipendenti e
    complementari, e Cristo sarebbe simbolo di questa molteplicità di percorsi
    più che l'unica via necessaria.

    L'oscillazione tra l'uno e l'altro di questi significati non è solo materia
    di disputa teologica. Influisce sulla pratica pastorale, sulla missione, sul
    profilo pubblico della Chiesa. Il secondo di questi significati ha preso
    forma, in particolare, in una precisa proposta religiosa al confine tra
    cristianesimo e induismo, creata in India alla metà del XX secolo da tre
    maestri di spirito venuti dall'Europa.

    L'ashram Saccidananda

    I tre sono il francese Jules Monchanin (1895-1957), l'altro francese Henri
    Le Saux (1910-1973) e l'inglese Bede Griffiths (1906-1993), tutti sacerdoti
    e gli ultimi due monaci benedettini. Monchanin e Le Saux, emigrati in India,
    vi fondarono nel 1950 un ashram, un luogo di meditazione e di preghiera,
    dedicato alla contemplazione indocristiana della Trinità. E infatti diedero
    all'ashram il nome di Saccidananda, parola sanscrita tripartita che evoca la
    trinità della fede Veda: origine del tutto, sapienza, beatitudine.

    L'ashram Saccidananda sorge tutt'ora nel cuore boscoso dello Stato indiano
    del Tamil Nadu, presso uno sperduto villaggio di nome Thannirpalli, 300
    miglia a sud di Madras. Eppure, questo remoto luogo dello spirito divenne in
    breve un polo d'attrazione straordinario e cosmopolita. Nel 1968, usciti di
    scena Monchanin e Le Saux, ne diventò guida spirituale per un quarto di
    secolo Bede Griffiths e l'ashram entrò a far parte della famiglia
    benedettina camaldolese. Vi passarono lunghi soggiorni alcuni dei più famosi
    teologi cattolici impegnati nel dialogo interreligioso: dal sacerdote
    indospagnolo Raimon Panikkar al gesuita belga Jacques Dupuis, dal singalese
    Aloysius Pieris, anche lui gesuita, all'americano Thomas Matus, benedettino
    di Camaldoli.

    Il luogo stesso mostra visibilmente l'intreccio tra la fede cristiana e
    quella induista. Anche oggi, chi visitasse l'ashram rimarrebbe colpito dalla
    somiglianza tra la chiesa dove i monaci pregano e un tempio indù, non privo
    di richiami al buddismo. Il 'sancta sanctorum' è buio, misterioso come la
    caverna della madre terra da cui risorge la nuova creazione. E questa appare
    nella cupola colorata e popolata, con i suoi santi, con i quattro Gesù
    simili a Buddha, con il fior di loto, con i simboli dei cinque elementi, su
    su fino alla cuspide della divinità infinita. All'inizio di ogni preghiera i
    monaci fanno risuona la sacra sillaba sanscrita "Om", il suono primordiale
    da cui è nata la terra. Ogni liturgia è riplasmata e riflette spazi
    interreligiosi senza confini immediatamente riconoscibili.

    C'è però un elemento di sorpresa che balza all'occhio del visitatore, e oggi
    ancor più che nei decenni passati. I pochi monaci dell'ashram sono indiani,
    ma gli uomini e le donne che cercano ospitalità nel monastero no: arrivano
    nella quasi totalità dall'Europa e del Nordamerica. Concepito da maestri
    spirituali del Vecchio Continente proprio per gettare un ponte tra la fede
    cristiana e quella del subcontinente indiano, l'ashram Saccidananda sembra
    mancare il suo dichiarato obiettivo. Sembra riflettere un problema irrisolto
    tutto interno alla cattolicità d'Occidente.

    Entra in campo Ratzinger

    È il problema che il cardinale Ratzinger ha sottoposto a critica serrata in
    un impegnativo discorso del maggio 1996, tenuto in Messico ai vescovi
    sudamericani ma con l'intenzione di parlare a tutto il mondo cattolico. Fu
    un discorso spartiacque, quello. Ratzinger, col pieno consenso del papa,
    indicò nel relativismo interreligioso "il problema fondamentale della fede
    dei nostri giorni". Seguì pochi mesi dopo un documento della Commissione
    teologica internazionale, anch'essa facente capo alla congregazione per la
    dottrina della fede. Seguì il processo al teologo Dupuis, il più esposto tra
    i cultori della "teologia pluralista delle religioni". Seguì la
    dichiarazione "Dominus Iesus". Tutto per riorientare la Chiesa rispetto a
    una deriva giudicata pericolosissima.

    Nel suo discorso del 1996, Ratzinger descrive il relativismo religioso come
    "un prodotto tipico del mondo occidentale", tanto più insidioso quanto più
    "si pone in contatto con le intuizioni filosofiche e religiose dell'Asia,
    soprattutto con quelle del subcontinente indiano". E perché? Perché nel
    corso della sua storia il cristianesimo si è confrontato con varie sfide
    religiose e antireligiose, dal politeismo grecoromano all'islam, alla
    modernità secolare. Ma oggi che le religioni d'Oriente sono il nuovo nome di
    questa sfida, il cristianesimo occidentale si scopre più vulnerabile. Le
    religioni d'Oriente hanno infatti una naturale prossimità col relativismo
    secolare che in Occidente già impera. E quindi esercitano un fascino
    contagioso, che sgretola gli stessi fondamenti della Chiesa.

    Alla sfida la Chiesa ha cercato negli ultimi decenni di rispondere in più
    modi, che il documento della Commissione teologica del 1996 riconduce a tre
    principali. C'è una corrente "esclusivista", o neoortodossa, che in campo
    cattolico fa capo al magistero tradizionale e in campo protestante al grande
    teologo Karl Barth. Questa corrente difende la tesi che il cristianesimo è
    la sola fede salvifica ed è depositario dell'unica rivelazione diretta di
    Dio all'umanità. Per gli esclusivisti l'antico detto "Extra Ecclesiam nulla
    salus", fuori della Chiesa non c'è salvezza, continua a valere intatto.

    Poi c'è la corrente degli "inclusivisti", che nel campo della teologia
    cattolica sono ben rappresentati da Karl Rahner. Per essi la massima si
    rovescia: "Ubi salus ibi Ecclesia", dove c'è salvezza lì c'è la Chiesa. E
    chiamano Chiesa una comunità vasta come il mondo, fatta di battezzati, di
    cristiani consapevoli, ma anche di masse di "cristiani anonimi": i credenti
    che trovano la salvezza nelle rispettive religioni, anche in quelle dell'
    Asia, senza sapere di entrare misteriosamente, per queste vie tortuose,
    nell'unica Chiesa di Cristo.

    Sono infine arrivati i "pluralisti". Il più agguerrito è il teologo
    presbiteriano inglese John Hick. Ma anche in campo cattolico questa corrente
    ha validi difensori, in testa l'americano Paul Knitter, e poi Panikkar,
    Pieris e i maestri spirituali dell'ashram Saccidananda. Per i pluralisti il
    cristianesimo non ha il diritto di rivendicare l'esclusiva della verità. Lo
    stesso Cristo è una realtà trascendente, anteriore a tutte le sue
    incarnazioni storiche, di cui Gesù non è la sola né forse l'ultima. Hanno
    capacità salvifica propria, per i pluralisti, sia lo "Shemà Israel" degli
    ebrei, sia il "Credo" dei cristiani, sia l'atto di fede dei musulmani "Non
    c'è altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta", sia la
    credenza buddista secondo cui al centro della realtà si trova il vuoto del
    Nirvana.

    Ma hanno anche pari verità, i diversi atti di fede? La questione è seria.
    Dal "tutte le fedi valgono" per la salvezza, i pluralisti passano
    rapidamente al "tutte le fedi sono vere". Ma la verità può essere così
    relativizzata? Si può capire che il cardinale Ratzinger, il custode della
    verità dottrinale nella Chiesa, veda nella teologia pluralista delle
    religioni un pericolo di prima grandezza. Il fatto poi che il relativismo
    laico e religioso dell'Europa e dell'America riceva dall'Oriente questa
    specie di consacrazione, accresce ancor di più la sua forza persuasiva.

    Il caso Dupuis

    Fino alla metà degli anni Novanta, tuttavia, le teorizzazioni pluraliste
    erano limitate a cenacoli intellettuali. Le cose cambiarono quando uno dei
    frequentatori dell'ashram Saccidananda, il teologo gesuita Dupuis, lasciò l'
    India e prese cattedra a Roma alla Gregoriana, retta dai gesuiti, la più
    autorevole delle università pontificie, quella che da secoli forma i quadri
    dirigenti della Chiesa cattolica mondiale. Nel 1997 Dupuis pubblico un libro
    che era anche la traccia del suo insegnamento, col titolo "Verso una
    teologia cristiana del pluralismo religioso".

    Fino ad allora, Dupuis aveva fama di teologo ortodosso. In Vaticano l'
    avevano chiamato a far da consulente del pontificio consiglio per il dialogo
    interreligioso. L'allora segretario e oggi presidente di questo consiglio,
    Michael L. Fitzgerald, parlando ad Assisi nel decennale dell'incontro di
    Giovanni Paolo II con gli esponenti delle religioni, lo presentò come "un
    teologo cattolico che evita il pluralismo e si oppone con forza allo
    svuotamento di Cristo". E quando il libro tanto annunciato uscì, alla
    Gregoriana lo raccomandarono con tutte le lodi: presenti Fitzgerald e l'
    allora rettore dell'ateneo Giuseppe Pittau, già rettore a Tokyo della Sophia
    University e oggi segretario della congregazione vaticana per l'educazione
    cattolica.

    Ma pochi mesi dopo il vento girò. Il 14 aprile 1998 "Avvenire", il
    quotidiano della conferenza episcopale italiana, pubblicò un'inattesa
    stroncatura del libro, scritta da un teologo ben introdotto in Vaticano,
    Inos Biffi, nessuna parentela con l'omonimo cardinale. Sempre in aprile la
    congregazione per la dottrina della fede, quella presieduta da Ratzinger,
    aprì un fascicolo preliminare su Dupuis e il suo libro. E il 10 giugno
    Ratzinger e gli altri cardinali della congregazione decisero l'avvio di un'
    indagine segreta.

    Neppure a Dupuis, l'indagato, fu detto alcunché. Ma a metà estate, ecco un
    altro segnale. "La Civiltà Cattolica", il quindicinale dei gesuiti di Roma,
    esce con una recensione critica del libro di Dupuis. La critica ha il peso
    di chi la scrive, lo stimato gesuita Giuseppe De Rosa. Ma ha anche il valore
    aggiunto che ha ogni articolo della "Civiltà Cattolica": quello d'essere
    previamente letto e autorizzato dalla segreteria di Stato vaticana. E il
    finale della recensione è una sequela di capi d'accusa in veste di
    "interrogativi". Anzitutto su Gesù Cristo: "La cristologia di padre Dupuis
    rende pienamente giustizia ai dati del Nuovo Testamento e della Tradizione?"
    .. Poi sulla Chiesa: "È dato il giusto rilievo alla mediazione della Chiesa
    nell'opera della salvezza?". Infine sulla necessità di convertire gli
    infedeli: "Se le altre tradizioni religiose hanno le proprie figure
    salvifiche, i propri profeti, le proprie sacre scritture, se sono già popolo
    di Dio e fanno già parte del regno di Dio, perché dovrebbero essere chiamate
    a divenire discepole di Cristo?".

    Il 2 ottobre 1999 Dupuis è finalmente avvisato d'essere sotto indagine. Il
    padre generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, gli trasmette l'elenco
    dei punti controversi, stabilito dalla Congregazione per la dottrina della
    fede. Ha tempo tre mesi per presentare una memoria difensiva. Intanto però
    ha l'obbligo di non parlare con nessuno dei temi contestati. Ossia non deve
    nemmeno più insegnare, essendo il suo corso alla Gregoriana attinente a quei
    temi.

    Ed è proprio l'avviso della cessazione del corso, affisso alla Gregoriana, a
    dar notizia pubblica del processo a Dupuis, con immediata stura delle
    polemiche. A difesa dell'inquisito scende in campo, con un articolo sul
    periodico cattolico inglese "The Tablet", nientemento che l'ultranovantenne
    cardinale austriaco Franz König, colonna del Concilio Vaticano II. Ma le
    reazioni più risentite vengono dall'India. L'arcivescovo di Calcutta, Henry
    D'Souza, accusa il Vaticano di voler mettere il bavaglio ai teologi,
    colpendone uno "stimato per la sua ortodossia" al fine di far tacere tutti,
    e di prendere di mira soprattutto l'India. E, in effetti, che l'India fosse
    sotto tiro era vero. Prima dello scoppio del caso Dupuis, i due ultimi
    condannati dalla congregazione vaticana per la dottrina della fede
    appartengono anch'essi al subcontinente. Il primo è Tissa Balasuriya, un
    religioso dello Sri Lanka, scomunicato nel 1996 per un suo arruffato libro
    in cui faceva a pezzi importanti articoli del "Credo", poi riammesso nella
    Chiesa previo pentimento. Il secondo è Anthony De Mello, un gesuita indiano
    autore di best seller fortunatissimi, tuttora venduti in decine di lingue,
    condannato 'post mortem' il 24 giugno 1998 con l'accusa d'aver dissolto Dio,
    Gesù e la Chiesa cattolica in una religiosità cosmica di sapore orientale,
    un po' new age.

    "Dominus Iesus", 2000

    Si avvicina l'Anno Santo del 2000, ideato e preparato con somma cura da
    Giovanni Paolo II, e la Chiesa sembra voler far chiarezza in casa. L'
    inaugurazione del Giubileo, in verità, rinfocola alcune critiche. La
    cerimonia dell'apertura della porta santa è audacemente nuova, rispetto alla
    tradizione, e vagamente interreligiosa: al papa ammantato di colori
    rutilanti fanno corona danzatrici in vesti indiane e volute di profumi d'
    Oriente. Ma che il pensiero del papa sia tutt'altro che cedevole a
    concordismi è dimostrato dai gesti forti con i quali scandisce l'anno
    giubilare: dai "mea culpa" per i peccati dei cristiani nella storia, alla
    memoria dei martiri di ieri e di oggi, alla riaffermazione solenne della
    dottrina secondo cui "Gesù Cristo e nessun altro può darci la salvezza"
    (Atti 12, 4).

    Questa riaffermazione prende corpo in una dichiarazione della congregazione
    per la dottrina della fede in data 6 agosto 2000, cui danno titolo le prime
    parole latine: "Dominus Iesus". Essa non si presenta come una trattazione
    organica del rapporto tra la fede cristiana e le altre religioni. Si limita
    a definire gli errori da correggere e a ribadire le verità essenziali. Il
    tono è assertivo, definitorio. Uno dei suoi passaggi centrali dice: "È
    contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere limitato,
    incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo, che sarebbe
    complementare a quella presente nelle altre religioni. [.] Questa posizione
    contraddice radicalmente le affermazioni di fede secondo le quali in Gesù
    Cristo si dà la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio"
    (n.6).

    La "Dominus Iesus" si fa scudo di abbondanti citazioni dei testi del
    Concilio Vaticano II. Eppure, appena pubblicata, va incontro a una mole di
    critiche, da dentro e fuori la Chiesa, seconda solo a quella che salutò nel
    1968 la criticatissima enciclica "Humanae Vitae". Il più celebre dei
    teologi, il tedesco Hans Küng, la bolla come "una miscela di arretratezza
    medievale e megalomania vaticana". La respingono esponenti di altre
    confessioni cristiane e religioni. Protestano i difensori della laicità,
    della tolleranza, dell'ecumenismo, del dialogo.

    Ma il fatto che più colpisce è che tra le voci critiche spiccano anche
    quelle di alti esponenti della gerarchia ecclesiastica. L'arcivescovo Karl
    Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, oggi cardinale,
    contesta la mancanza nella dichiarazione "dello stile dei grandi testi
    conciliari". L'altro arcivescovo tedesco Walter Kasper, anch'egli futuro
    cardinale, lamenta "problemi di comunicazione". E gli fa eco il cardinale
    Carlo Maria Martini auspicando che "poco a poco le cose saranno chiarite".
    Ma è clamorosa soprattutto la presa di distanza del cardinale australiano
    Edward Cassidy, all'epoca presidente del pontificio consiglio per la
    promozione dell'unità dei cristiani. Da Lisbona, dove sta partecipando a un
    incontro interreligioso nello stile di Assisi, Cassidy contrappone alla
    sensibilità ecumenica dell'ufficio da lui presieduto l'insensibilità della
    congregazione per la dottrina della fede diretta da Ratzinger: "Noi, nella
    pratica ecumenica che abbiamo, possediamo un orecchio sensibile che si
    accorge se si sta urtando qualcosa. Loro invece hanno un modo scolastico per
    dire 'questo è vero, questo non è vero'. Il testo ha creato equivoci e noi
    ora dobbiamo cercare di evitare interpretazioni non precise". A
    rassicurazione dei critici, Cassidy aggiunge che comunque la "Dominus Iesus"
    non porta la firma del papa. Come dire che è di debole autorevolezza ed è
    più facilmente rimediabile.

    Ritorno alle origini

    In effetti è Ratzinger che l'ha firmata. Ma in fondo alla dichiarazione c'è
    anche scritto che Giovanni Paolo II l'ha "ratificata e confermata con certa
    scienza e con la sua autorità apostolica, e ne ha ordinata la pubblicazione"
    .. E a fugare ogni equivoco, domenica 1 ottobre 2000 interviene pubblicamente
    il papa in persona a ribadire che la "Dominus Iesus" è stata da lui voluta e
    "approvata in forma speciale".

    Quanto alle specifiche accuse di parte ecclesiastica, è lo stesso Ratzinger
    a controbatterle, in un'intervista alla "Frankfurter Allgemeine Zeitung"
    riprodotta l'8 ottobre dall'"Osservatore Romano". La "Dominus Iesus", dice
    il cardinale, ha ripreso i testi conciliari "senza aggiungere o togliere
    nulla". Sia Cassidy che Kasper "hanno partecipato attivamente alla stesura
    del documento" e "quasi tutte le loro proposte sono state accolte". Se un
    problema di comprensibilità c'è, "il testo va tradotto, non disprezzato". Ma
    soprattutto, "con questa dichiarazione, la cui redazione ha seguito fase per
    fase con molta attenzione, il papa ha voluto offrire al mondo un grande e
    solenne riconoscimento di Gesù Cristo come Signore nel momento culminante
    dell'Anno Santo, portando così con fermezza l'essenziale della fede
    cristiana al centro di questo evento".

    Le polemiche sulla "Dominus Iesus", conclude Ratzinger, non devono oscurare
    il suo vero obiettivo, che è quello di riaffermare con forza "l'essenza del
    cristianesimo", riassunta dall'apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinti
    (12, 3) nella formula di fede "Gesù è il Signore".

    Ed è proprio quest'ultimo richiamo a lasciare il segno. Un cardinale
    teologo, l'arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, lo riprende e rilancia con
    parole appuntite: "Che la congregazione per la dottrina della fede abbia
    ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione 'Dominus Iesus' circa 'l'
    unicità e l'universalità salvifica di Gesù e della Chiesa' è di una gravità
    senza precedenti: perché in duemila anni mai si era sentito il bisogno di
    richiamare e difendere verità così elementari".

    Il seguito dei fatti dà conforto sia a Ratzinger che a Biffi, oltre che al
    papa. Nell'autunno del 2001, tra i maggiori cardinali e vescovi di tutto il
    mondo riuniti in sinodo a Roma, nessuno più torna a polemizzare con la
    "Dominus Iesus". Anzi, i più concordano nel giudicare davvero in pericolo l'
    ortodossia della fede e doveroso il richiamo delle sue verità fondanti.
    Dupuis ha fatto ammenda e ha sottoscritto un pronunciamento vaticano nel
    quale si riafferma che "è contrario alla fede cattolica considerare le varie
    religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla
    salvezza". Al vertice della congregazione per la dottrina della fede, come
    primo collaboratore di Ratzinger, è promosso il teologo Angelo Amato,
    specialista in cristologia e in religioni orientali, vissuto molti anni in
    India, autore materiale della traccia della "Dominus Iesus".

    E così Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2003, può ritornare con più
    tranquillità ad Assisi per un meeting interreligioso di preghiera simile a
    quello del 1986. Simile ma non uguale. Con la cura di evitare ogni apparenza
    di sincretismo e confusione. Ratzinger, che l'altra volta s'era tenuto
    lontano, questa volta ci va. La sua convinzione, che è anche la convinzione
    del papa, è che "va protetta la fede dei semplici". È questa la funzione del
    magistero della Chiesa: "È il 'Credo' del battesimo, nella sua ingenua
    letteralità, la misura di tutta la teologia. E la Chiesa deve poter dire ai
    suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla fede e quali no".

    Insomma, tra il primo e l'ultimo dei suoi viaggi ad Assisi, Giovanni Paolo
    II ha accompagnato l'intera Chiesa a riscoprire la sua sorgente di vita, la
    ragione del suo essere: "Dominus Iesus", Gesù è il Signore.

  2. #2
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    Predefinito Extra Ecclesiam Nulla Salus

    Contro coloro che ritengono che tutte le fedi sono uguali e che una vale l'altra; contro l'indifferentismo religioso e l'irenismo; contro il relativismo religioso, noi professiamo la fede di sempre, che cioè solo nella Chiesa Cattolica ed Apostolica Romana vi è salvezza.

    Augustinus

    *****
    dal sito UNAM SANCTAM:

    Extra Ecclesiam nemo omnino salvatur

    Fuori dalla Chiesa nessuno si salva


    Valore. Di fede definita.

    Fuori dalla Chiesa cattolica non v'è nessuna redenzione, né remissione dei peccati, e cioè gli uomini che messi in condizione di aderire a Cristo non lo fanno non ottengono il perdono dei peccati, sono schiavi del diavolo, del peccato e della carne e non si salvano. L'eccezione esiste per coloro che non sono in grado di accettare Cristo per evidenti motivazioni oggettive: se si vive, cioè, nell'ignoranza di Cristo, non avendone mai sentito parlare, si vive in un'ignoranza incolpevole. Essi, sempre per l'unica mediazione di Gesù Cristo Figlio di Dio e per l'applicazione dei suoi meriti infiniti, se seguono il dettame della propria coscienza aderendo alla legge morale naturale almeno, saranno salvati, anche se per loro la visione beatifica sarà aperta nel Giorno del Giudizio.

    Per la salvezza è indispensabile la fede, è indispensabile il battesimo per mezzo del quale

    -------------------------------------------------------------------------------

    Dalla Sacra Scrittura

    -------------------------------------------------------------------------------

    Vangelo di Matteo. Giovanni predica un battesimo di penitenza, ma annuncia un avvento: "Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" (Mt 3,11). Di tale battesimo nello Spirito Santo egli afferma la necessità, quando dice a Gesù: "Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?" (Mt 3,13). E rimprovererà i farisei sottilmente implicitamente, perché non credevano, chiedendo loro l'origine del battesimo di Giovanni: "Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". Ed essi riflettevano tra sé dicendo: "Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?" (Mt 21,25). La fede si costituisce come elemento fondamentale il rapporto con Dio, e questa fede è la fede in Gesù. Persino i miracoli che sono manifestazione teoforica della Onnipotenza e della Bontà di Dio e teofanie del Verbo esigono la fede, cioè la risposta dell'uomo. E' questa la fede del centurione davanti alla quale Gesù rimprovera Israele di non possederne una così grande: "All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. E Gesù disse al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì" (Mt 8,10.13), è la fede che guarisce il paralitico: "Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mt 9,2). Inoltre nell'episodio del paralitico si vede come la guarigione è veicolo per far intendere che il potere del Figlio di Dio, e dunque la sua missione fra gli uomini, è quella di rimettere i peccati, di far ottenere la Grazia e la riconciliazione con l'Onnipotente. E ciò segue alla fede, sine qua non est remissio peccatorum. E ancora:

    9,22 Gesù, voltatosi, la vide e disse: "Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita". E in quell'istante la donna guarì.
    9,29 Allora toccò loro gli occhi e disse: "Sia fatto a voi secondo la vostra fede".
    14,31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?".
    15,28 Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.
    17,20 Ed egli rispose: "Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.
    21,21 Rispose Gesù: "In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà.
    21,22 E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete".

    Gesù stesso dirà nell'affidamento della missione:"Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo" (Mt 28,19). Insegnare a tutti il Figlio di Dio e fare partecipi tutti dell'unica fede che salva. Ma ciò avviene per mezzo del battesimo, espressione concreta della fede come accettazione del dono di Dio, il battesimo come porta d'accesso a Cristo. Da qui l'ordine di Cristo. Se il battesimo fosse inutile Gesù non l'avrebbe imposto come primario obbligo da assolvere.

    -------------------------------------------------------------------------------

    Vangelo di Marco: Anche qui il valore della fede in Gesù Cristo, Verbo di Dio, che salva, è indispensabile per ogni cosa:

    2,5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".
    4,40 Poi disse loro: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?".
    5,34 Gesù rispose: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male".
    5,36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, continua solo ad aver fede!".
    10,52 E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

    Il Vangelo di Marco è catechetico, procede per gradi verso la scoperta di Gesù Cristo. Inizia come Matteo col presentare Giovanni e il battesimo di penitenza, invita alla conversione verso l'opera di Dio che poi si manifesta: Cristo Gesù. La fede deve essere riposta in lui. Marco poi con tutti i miracoli per i quali è necessaria la fede nel Figlio di Dio, che è messa in evidenza dall'esclamazione del centurione:, vuole giungere alla fine asserendo: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" (Mt 16,16). C'è un cammino per la salvezza eterna che vuole per forza la fede in Cristo Gesù - il riconoscerlo Figlio del Dio vivente Unico e Onnipotente - accettare la salvezza con la comunicazione della Grazia nel battesimo. Questo passo della scrittura alcuni esegeti moderni vorrebbero toglierlo perché secondo loro c'è qualche probabilità che sia stato aggiunto dalla comunità di Marco ma non è opera di Marco direttamente. Ovviamente queste cose non le sappiamo, ma comunque il Concilio Tridentino l'ha definito ispirato e quindi è da considerarsi massimamente come veritiero ed è da ritenere.

    -------------------------------------------------------------------------------

    Vangelo di Luca: Si parte anche qui da Giovanni il Battista. "Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: "Maestro, che dobbiamo fare?". Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. (Lc 3,12.16) Chi è costui il cui battesimo è anelato, desiderato? E' Gesù Cristo. Giovanni ne vuole e ne ottiene la conferma quando vedrà lo Spirito Santo discendere e restare su Gesù e quando manderà i suoi discepoli a chiedere a Cristo: "Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?" (Lc 7,20).

    Il battesimo di Giovanni è preludio per il battesimo di Cristo, perché la conversione posta come premessa da Giovanni diventa conversione a Cristo. Tale premessa è essenziale, senza la quale non c'è salvezza. "Tutto il popolo che lo ha ascoltato, e anche i pubblicani, hanno riconosciuto la giustizia di Dio ricevendo il battesimo di Giovanni. Ma i farisei e i dottori della legge non facendosi battezzare da lui hanno reso vano per loro il disegno di Dio" (Lc 7,29-30)

    Essenziale per la remissione dei peccati e per il successivo battesimo è la conversione a Cristo, cioè la fede in Lui, vero e reale Figlio di Dio:

    5,20 Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi".
    7,9 All'udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!".
    7,50 Ma egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!".
    8,25 Allora disse loro: "Dov'è la vostra fede?". Essi intimoriti e meravigliati si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui che da' ordini ai venti e all'acqua e gli obbediscono?".
    8,48 Egli le disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata, va' in pace!".
    8,50 Ma Gesù che aveva udito rispose: "Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata".
    17,6 "Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.
    17,19 "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".
    18,8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
    18,42 E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato".
    22,32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli".

    E tale fede è fede che esclama: Tu sei il Figlio di Dio.

    22,70 Allora tutti esclamarono: "Tu dunque sei il Figlio di Dio?". Ed egli disse loro: "Lo dite voi stessi: io lo sono".

    Negli Atti degli Apostoli è solo nel nome di Gesù che è percepibile la salvezza, e per nome si intendeva nel mondo ebraico la stessa Persona. Nel caso di Gesù la partecipazione per fede e poi per Grazia accettata alla sua Persona Divina è causa di remissione di peccato, di salvezza e di vita eterna. Ecco infatti che si evince ciò dalla predicazione degli apostoli.

    2,21 'Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato'.
    2,38 E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo.
    3,16 Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.
    4,12 In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".

    E tale salvezza è acquisibile e fruibile solo mediante il battesimo e la fede in Cristo.

    1,5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni".
    2,38 E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo.
    2,41 Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone.
    8,12 Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare.
    8,13 Anche Simone credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo. Era fuori di sé nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.
    8,36 Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse: "Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?". (Qui la nuova bibbia per moderni studi filologici afferma che il versetto è aggiunta successiva ma poiché il Concilio Tridentino ha dogmaticamente stabilito che è un versetto ispirato, dobbiamo ritenerlo vero e ispirato non importandocene di altro: "Disse allora Filippo: se credi con tutto il cuore, si può. E rispondendo rispose quegli: Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio!") 8,38 Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò.
    9,18 E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato,
    10,48 E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
    11,16 Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: 'Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo'.
    16,33 Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi;
    18,8 Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare.
    19,4 Disse allora Paolo: "Giovanni ha amministrato un battesimo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù".
    19,5 Dopo aver udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù
    22,16 E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome.

    -------------------------------------------------------------------------------

    Vangelo di Giovanni: Qui il discorso è traumaticamente esplicitissimo. Giovanni non usa mezzi termini e afferma a ogni piè sospinto che extra Christo nulla salus. Inizia col Prologo famosissimo, in cui annuncia che il Verbo che è Dio si è fatto carne ed è disceso nella tenebra del mondo. E per far cosa? Per donarci la Grazia. Ma non è stato accolto. "A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome" (Gv 1,12), e come diventano figli di Dio le creature create da Dio? "non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono generati" (Gv 1,13). Tale figliolanza nel Figlio, che si accetta nella fede, è per grazia."E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14) e il Figlio di Dio è pieno di Grazia, a chi crede, dunque, è l'accesso gratuito al Figlio e alla sua pienezza, "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia, perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,16-17)

    La fede è la prima cosa: accettare Gesù Cristo: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me" (Gv 14,1). Poi avere accesso alla sua Grazia, mediante il battesimo che conferisce la Grazia, mediante la cristificazione per cui l'uomo di carne diventa partecipe dell'uomo celeste: Cristo Gesù. Comincia con narrare di Giovanni Battista: "Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26) il quale indica colui che battezzerà con Spirito Santo. In tutti e quattro i Vangeli c'è questa sottolineatura davvero imponente, quasi esagerata, su questo battesimo nello Spirito Santo: il battesimo essenziale. La sua importanza è abnorme nella Chiesa primitiva, dunque. E' indispensabile e fondamentale. "Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo" (Gv 1,31.33).

    E' esplicito Gesù, ponendo un serio e ineliminabile discriminante, quando afferma senza mezzi termini e compromessi che il battesimo nella fede in Lui, è assolutamente essenziale: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito". Replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?". Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna". Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, e battezzava. Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché c'era là molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare" (Gv 3,3.6-23)
    Osserviamo i punti nodali del discorso. Chi non rinasce dal battesimo di acqua e Spirito Santo (il battesimo di Gesù Cristo) non entra assolutamente nel Regno di Dio in quanto afferma l'assoluta differenza tra l'uomo senza la Grazia e l'uomo con la Grazia, il quale ha accesso allo Spirito di Dio che fluisce dalla pienezza di Cristo. Discriminante è la fede in Cristo che fa accettare il battesimo, e chi ha tale fede non sarà condannato (in più deve però fare le opere della fede seguenti la fede, come specifica dopo) ma chi non crede si è condannato. Davanti a tale discorso, come si fa a dire che tutte le religioni sono uguali, che anche i non credenti si salvano? E' manipolazione contraddire l'extra ecclesia,e non è che i primi Padri se lo sono inventati! E' l'elemento fondante ed è di fede divina e cattolica, è qualcosa che Dio stesso ha definito. Si dice che Dio trascende anche il battesimo, e ciò sarebbe anche vero e concedibile, ma Dio ha scelto il battesimo perché vuole che la redenzione offerta universalmente a tutti sia soggettivamente accettata proprio per rispettare la libertà dell'uomo.

    La potestà di Cristo si trasmette agli apostoli come da Gv 3,23. E gli apostoli sono costituiti sua Chiesa. Attenzione a ciò che segue, e che Giovanni pone sulle labbra del Battista: "Giovanni, infatti, non era stato ancora imprigionato. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione. Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui". Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire. Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza; chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero. Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui". (Gv 3,24-36).

    Concetto espresso e chiaro: la sposa che è la Chiesa è posseduta dallo sposo (Gesù si dirà tale in Mt 9,15:"Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno) e ciò che è dello sposo è della sposa e gli amici della sposa e dello sposo partecipano di loro. Lo sposo poi è il Figlio di Dio. Il Padre ha posto nel Figlio la pienezza della divinità e il Figlio dice le Parole di Dio e dona lo Spirito. Chi partecipa del Figlio partecipa dello Spirito e del Padre. E' un concetto che ritorna anche nelle lettere di Giovanni. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna. Qui l'extra ecclesiam è così chiarissimo da essere una verità scontata. Quanti vogliono eliminare questa divisione tra la fede vera e le idolatrie del mondo si ingannano. La Sacra Scrittura è chiara a questo proposito.

    Nella prima lettera Giovanni insisterà:

    2,12 Scrivo a voi, figlioli, perché vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome.

    2,22 Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio.
    2,23 Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre.
    2,24 Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quel che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre.
    2,28 E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo aver fiducia quando apparirà e non veniamo svergognati da lui alla sua venuta.

    4,9 In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
    4,10 In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
    4,14 E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.
    4,15 Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio.
    5,5 E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?
    5,9 Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio.
    5,10 Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio.
    5,11 E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio.
    5,12 Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita.
    5,13 Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.
    5,20 Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l'intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna.
    5,21 Figlioli, guardatevi dai falsi dèi!

    Nella seconda lettera di Giovanni:

    5,9 Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio.

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    Nelle lettere cattoliche. Nella prima lettera di Pietro:

    1,5 che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi.
    1,7 perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo:
    1,9 mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime.
    1,21 E voi per opera sua credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio.
    5,9 Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi.

    In Giuda:

    1,3 Carissimi, avevo un gran desiderio di scrivervi riguardo alla nostra salvezza, ma sono stato costretto a farlo per esortarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte.
    1,20 Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo.

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    Nella lettera agli Ebrei:

    3,12 Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.
    3,19 In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede.

    4,2 Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato.
    4,14 Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede.
    6,12 e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
    10,22 accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.
    10,39 Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
    11,1 La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.
    11,6 Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano.

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    Nell'epistolario paolino:

    1,17 È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: 'Il giusto vivrà mediante la fede'.
    3,22 giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono.
    3,25-26.28 Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù...Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge.
    3,30-31 Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge.
    4,14-16 poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa...Eredi quindi si diventa per la fede.
    5,1-2 Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.
    10,10 Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
    16,26 ...ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio, a tutte le genti perché obbediscano alla fede...
    3,20.24.26 Infatti in virtù delle opere della legge 'nessun uomo sarà giustificato davanti a lui', perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato...ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù... Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù.
    4,25 il quale (Gesù) è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
    5,1 Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo;
    5,9 A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui.
    5,18 Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita.

    La Redenzione si ha solo e soltanto con il battesimo, per mezzo del quale ognuno accetta ed entra nel mistero di morte e risurrezione redentore di Gesù Cristo.

    6,3-4 O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.

    Così e solo così avviene la giustificazione, mediante l'incorporazione a Cristo, che ci lava dai peccati col suo sangue e ci comunica la vita divina e il Suo Spirito. In Lui siamo figli. Così è espresso nella lettera ai Romani:

    8,10 E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione.

    8,14-18 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

    8,30 quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

    Nella prima lettera ai Corinzi l'incorporazione a Cristo avviene per mezzo del battesimo, che ci rende partecipi di un unico Spirito e forma di noi con Cristo un solo corpo.

    12,12-27 Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: "Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre.
    Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

    Questo è il mistero, nel processo fede-battesimo-partecipazione allo Spirito e alla Grazia che giustifica, che santifica, mediante l'incorporazione a Cristo.

    6,11 E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!

    e così via.

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    La fede vera e autentica della Chiesa cattolica apostolica

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    Sottolineiamo prima di procedere che questa che esporremo e che è desunta dalla Scrittura sopra e dalla Tradizione e dal Magistero è la fede della Chiesa da duemila anni ed è dogma definito da Gesù Cristo stesso, per questo chi lo rifiuta invece di accettarlo compie peccato mortale gravissimo contro una verità di fede che si lega saldamente con uno dei due misteri fondamentali della nostra religione cristiana.

    Nel Credo confessiamo: "credo in Dio Padre.. in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio... nello Spirito Santo. Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, professo un solo battesimo per la remissione dei peccati".

    Il Credo Quicumque o Atanasiano recita: "Chiunque vuol essere salvo, prima di tutto deve posseder la fede cattolica, la quale, se non la conserverà integra e inviolata, certamente perirà in eterno"...."Così, in tutte le cose, com'è stato detto, bisogna adorare sia la Trinità nell'Unità, sia l'Unità nella Trinità. Così occorre considerare la Trinità, se si vuole essere salvati.Per la salvezza eterna è però anche necessario credere fedelmente all'Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo. Una fede corretta consiste nel credere e nel confessare che il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio è ugualmente Dio e uomo. È Dio essendo generato dalla sostanza del Padre prima dell'inizio del tempo; e uomo, essendo nato dalla sostanza di sua madre nel tempo. Egli è perfettamente Dio e perfettamente uomo, essendo composto di un'anima razionale e di carne umana. Egli è uguale al Padre, in quanto Dio; inferiore al Padre, in quanto uomo. Benché egli sia Dio è anche uomo, è un Cristo solo, non due."..."Questa è la fede cattolica. Se uno non vi crede con fede e con fermezza, non potrà essere salvato".

    I Santi Padri poi mettono così in evidenza che nella sola Chiesa si ha la salvezza e fuori della Chiesa non v'è salvezza, che sarebbe persino superfluo parlarne. Tuttavia porrò qui alcuni esempi:

    S. Ireneo afferma: "..ascese al Padre e siede dalla sua Destra, attendendo che i suoi nemici siano posti sotto i suoi piedi. ...e similmente il Padre suo risusciterà in Gesù Cristo anche noi che crediamo in Lui, e senza di Lui non abbiamo la vera vita".

    Alla Chiesa è stato, infatti, affidato il dono di Dio, come il soffio alla creatura plasmata, affinché tutte le membra, partecipandone siano vivificate; in lei è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, pegno di incorruttibilità, conferma della nostra fede e scala della nostra ascesa a Dio. Infatti “nella Chiesa -dice- Dio pose apostoli, profeti e dottori” (1 Corinzi 12,28) e tutta la restante opera dello Spirito. Di Lui non sono partecipi tutti quelli che non corrono alla Chiesa ma si privano della vita a causa delle loro false dottrine ed azioni perverse. Perché dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa ed ogni grazia. Ora lo Spirito è verità. Perciò quelli che non partecipano di Lui, non si nutrono al seno della madre per la vita, né attingono alla purissima sorgente che sgorga dal corpo di Cristo ma “si scavano cisterne screpolate” (Geremia 2,13) fatte da fosse di terra e bevono l’acqua fetida di un pantano; essi fuggono la fede della Chiesa (1 Timoteo 6,20 e 2 Timoteo 1,14) per non essere smascherati e respingono lo Spirito per non essere istruiti [Ireneo, Contro le Eresie, III, 24, 1].

    Rufino: "Perciò coloro che sopra hanno appreso a credere in un solo Dio nel mistero della Trinità, debbono credere anche questo: che una soltanto è la santa Chiesa, nella quale una sola è la fede, uno solo il battesimo, nella quale si crede in un solo Dio Padre e in un solo Signore Gesù Cristo Figlio suo e in un solo Spirito Santo. Questa perciò è la santa Chiesa, che non ha macchia né ruga (Ef 5, 27)".

    S. Agostino: La fede in Cristo è la medicina di tutte le ferite dell'anima, e l'unica propiziazione per i peccati degli uomini; nessuno può essere del tutto purificato sia dal peccato originale, che contrasse da Adamo, nel quale tutti hanno peccato, e sono diventati di natura figli d'ira, sia dei peccati che hanno aggiunto personalmente, non opponendo resistenza alla concupiscenza carnale, ma assecondandola ed asservendosi ad essa, nelle azioni cattive e nelle turpitudini. Questo, a meno che, per mezzo della fede, non siano portati a connettersi e non siano compaginati al corpo di lui, il quale fu concepito senza alcun allettamento carnale e mortifero godimento, né la madre lo fece crescere in grembo nelle colpe ed egli non commise peccato né si trovò inganno nella sua bocca (1 Pt 2, 22.). Diventano davvero figli di Dio coloro che credono in lui, in quanto nascono da Dio per la grazia dell'adozione, che è nella fede del Signore nostro Gesù Cristo. Pertanto, carissimi, il medesimo Signore e Salvatore nostro giustamente dice che questo è il solo peccato del quale lo Spirito Santo convince il mondo: non credere in lui. Io - dice - vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada. Se infatti io non me ne sarò andato, non verrà a voi il consolatore; ma se me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia, al giudizio. E proprio quanto al peccato, perché non hanno creduto in me, quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato già giudicato (Gv 16, 7-11.). In conseguenza, ha voluto che il mondo fosse convinto di questo solo peccato, per il quale non credono in lui; evidentemente perché, credendo in lui, tutti i peccati sono rimessi, ha voluto che si imputasse questo solo al quale possono collegarsi tutti gli altri. E, poiché per la fede nascono da Dio, diventano anche figli di Dio. Dice infatti: A coloro che credono in lui ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1, 12.). Perciò, chi crede nel Figlio di Dio in tanto non pecca in quanto è unito a lui, ed anch'egli diventa, per adozione, figlio ed erede di Dio, quindi coerede di Cristo. Al riguardo dice Giovanni: Chi è nato da Dio non commette peccato (1 Gv 3, 9). E pertanto il peccato che viene imputato al mondo è questo: non credono in lui. Questo è il peccato del quale dice parimenti: Se non fossi venuto non avrebbero alcun peccato (Gv 15, 22). E che, non avevano gli altri innumerevoli peccati? Ma con la venuta di lui si appose ai non credenti solo questo peccato a causa del quale sono ritenuti tutti gli altri. Nell'ambito della fede, invece, perché è venuto meno solo questo peccato, si è realizzato che ai credenti venissero rimessi tutti gli altri. Non per altro l'apostolo Paolo dice: Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); perché non resti confuso chi avrà creduto in lui (Rm 9, 33); come si esprime il Salmo: Guardate a lui e sarete illuminati, e non saranno confusi i vostri volti (Sal 33, 6). Chi si gloria in se stesso sarà confuso: non si troverà infatti senza peccato. Pertanto non sarà confuso unicamente chi si gloria nel Signore. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria del Signore. Perciò, parlando dell'incredulità dei Giudei, non ha affermato: Poiché, se alcuni di loro hanno peccato, forse che il loro peccato annullerà la fedeltà di Dio? Come poteva dire infatti: Se alcuni di loro hanno peccato, quando egli stesso aveva detto: Tutti, infatti, hanno peccato? Ma afferma: Se alcuni di loro non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?(Rm 3, 3) Per far conoscere più chiaramente questo peccato, l'unico per il quale si preclude, verso tutti gli altri, la possibilità che siano rimessi per la grazia di Dio. Con la venuta dello Spirito Santo, cioè per il dono della grazia di lui che è dato ai fedeli, il mondo è convinto di questo solo peccato, secondo la parola del Signore: Proprio riguardo al peccato, perché non hanno creduto in me (Gv 16, 10) [dal discorso 143 su Gv 7,11]

    Chiunque fa peccato, commette anche una iniquità (1 Gv 3, 4). Nessuno dica: il peccato non è una iniquità; non si dica: io sono peccatore ma non una persona iniqua. Perché: chiunque fa peccato, commette anche una iniquità. Il peccato è una iniquità. Che faremo dunque dei nostri peccati e delle nostre iniquità? Ascolta che cosa aggiunge Giovanni: Voi sapete che Gesù si è rivelato per togliere via il peccato e che in lui non c'è peccato (1 Gv 3, 5). Proprio colui nel quale non c'è peccato, è venuto a togliere il peccato. Se il peccato si trovasse anche in lui, occorrerebbe toglierlo da lui; ed egli non sarebbe in grado di toglierlo agli altri. Chiunque rimane in lui non pecca. Nella misura in cui uno rimane in lui, non pecca. Chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce (1 Gv 3, 6). Qui sorge un grande problema. Nessuna meraviglia che Giovanni affermi: chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce. Noi ora non lo vediamo ma lo vedremo un giorno; noi non lo conosciamo ma lo conosceremo; noi crediamo in uno che ancora non conosciamo. Forse vuol dire che lo conosciamo per fede ma non lo conosciamo ancora nella visione? No, perché nella fede noi lo vediamo e lo conosciamo. Se non lo vedessimo per mezzo della fede, perché mai siamo detti illuminati? C'è una illuminazione che si attua con la fede e c'è una illuminazione che si attua nella visione diretta. Finché dura il pellegrinaggio terreno, noi non camminiamo nella visione ma nella fede (cf. 2 Cor 5, 7). Anche la nostra giustizia si attua dunque nella fede, non già nella visione, e sarà perfetta quando raggiungeremo la visione. Non dobbiamo abbandonare la giustizia che proviene dalla fede, perché il giusto vive di fede (Rm 1, 17), ci dice l'Apostolo. Chiunque rimane in lui non pecca; infatti chi pecca, né lo vede, né lo conosce. Chi pecca è uno che non crede, perché se credesse, per quanto dipendesse dalla sua fede, egli non peccherebbe. [dall'Omelia 4]

    Quando si paragona la Chiesa al paradiso (Cf. CYPR., Ep. 73, 10, 3.) terrestre si vuole mostrare che gli uomini possono, sì, ricevere il battesimo anche fuori della Chiesa (parla degli eretici e scismatici che si sono separati dalla vera Chiesa, nd.r.), ma nessuno può ricevere e conservare la salvezza della beatitudine fuori di essa. In effetti, i fiumi che scaturivano dalla sorgente del paradiso, come ci attesta la Scrittura, scorrevano abbondantemente anche fuori. Se ne citano i nomi, si conoscono le regioni che attraversano, e tutti sappiamo che erano fuori del paradiso (Cf. Gn 2, 10-14.). Eppure, né nella Mesopotamia e né nell'Egitto, dove arrivavano i fiumi, si trova la vita felice che viene menzionata nel paradiso. Pertanto, mentre l'acqua del paradiso si trova anche fuori del paradiso, la beatitudine sta solo nel paradiso. Lo stesso è per il battesimo della Chiesa: si può trovare fuori della Chiesa, mentre il dono della vita beata non si trova che nella Chiesa che è anche fondata sulla pietra e che ha ricevuto le chiavi per sciogliere e per legare (Cf. Mt 16, 18-19.). Essa è la sola che detiene e possiede tutto il potere del suo Sposo e Signore e che, in virtù di questo potere coniugale, può generare figli perfino dalle ancelle, i quali, se non si insuperbiscono, sono chiamati a partecipare all'eredità; se invece si insuperbiscono, resteranno fuori.

    Fuori della Chiesa, non c'è salvezza. E chi lo nega? Per questo tutti i beni che abbiamo della Chiesa, fuori della Chiesa non giovano alla salvezza. Ma un conto è non averli affatto e un conto non averli utilmente. Chi non li ha, per averli deve farsi battezzare, mentre, chi non li ha utilmente, per averli utilmente deve correggersi. [Libro IV, sul battesimo, contro i donatisti]

    S. Cipriano, che ha coniato l'espressione Extra Ecclesiam nulla salus: La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura... Lei ci conserva per Dio. Lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre... Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12, 30). Chi spezza la concordia, la pace di Cristo è contro Cristo e chi raccoglie fuori della Chiesa disperde la Chiesa di Cristo. II Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10, 30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno (1 Giovanni 5,7) ». Ebbene può forse esserci qualcuno che crederà si possa dividere l'unità della Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà. Chi non si tiene in questa unità non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza. Questo mistero dell'unità. questo vincolo di concordia stretto alla perfezione, ci è indicato nel vangelo là dove si parla della tunica del Signore Gesù Cristo: essa non è per niente divisa né strappata; ma si gettano le sorti sulla veste di Cristo, sicché chi dovrà rivestirsi di Cristo riceva la veste intatta e possieda indivisa e integra quella unica. Cosi leggiamo nella divina Scrittura: «Quanto poi alla tunica, poiché era senza cuciture dall'alto al basso e tessuta d'un pezzo, si dissero a vicenda: non stracciamola ma tiriamola a sorte a chi tocchi» (Giovanni 19, 23). Lui porta l'unità che viene dall'alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre: tale unità non poteva essere affatto divisa da chi la ricevesse in possesso, conservandosi tutta intera e assolutamente indissolubile. Non può possedere la veste di Cristo chi divide e separa la Chiesa di Cristo [Cipriano, L’Unità della Chiesa Cattolica, VI e VII].

    Papa Bonifacio VIII: Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei, come lo sposo proclama nel Cantico: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice", che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c'è "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo". Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè, raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un sola braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: "Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l’unica mia". Egli pregava per l’anima, cioè per Se stesso (per la testa e il corpo nello stesso tempo) il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia "la veste senza cuciture" del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: "Pasci il mio gregge". (bolla Unam Sanctam).

    "Crediamo con i nostri cuori e confessiamo con le nostre labbra una sola Chiesa, non quella degli eretici, ma la Santa Romana, Cattolica, e Apostolica Chiesa, all'infuori della quale crediamo che nessuno sia salvato" (Papa Innocenzo III).

    "Chi è separato dalla Chiesa Cattolica non avrà la vita. Chi è separato dal corpo della Chiesa Cattolica, per quanto lodevole possa apparire la sua condotta, non godrà mai la vita eterna, e l'ira di Dio resta su di lui a causa del crimine di cui si è macchiato vivendo lontano da Cristo... Tutti quelli che sono separati dalla santa Chiesa universale non saranno salvati" (Papa Gregorio XVI).

    "Deve essere accettata come questione di fede che al di fuori della Chiesa Romana Apostolica nessuno può essere salvato, che la Chiesa è la sola Arca di Salvezza, e che chiunque non entra in essa morirà nel Diluvio. È un peccato credere che ci sia salvezza al di fuori della Chiesa Cattolica! Dovete riconoscere che i fedeli hanno fissato fermamente le loro menti sull'assoluta necessità della fede Cattolica per ottenere la salvezza. Il protestantesimo è la Grande Rivolta contro Dio" (Papa Pio IX).

    "Quelli al di fuori della Chiesa non posseggono lo Spirito Santo. Solo la Chiesa Cattolica è il Corpo di Cristo" (Papa Paolo VI).

    "Nessuno, anche se versa il proprio sangue per il nome di Cristo, può esseer salvato a meno che egli rimanga in seno e nell'unità della Chiesa Cattolica" (Papa Eugenio IV).

    A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine. È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: "Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo , colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At 4,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc 16,16). [Pio VIII, Traditi humilitati, 1829]

    "Sento nelle mie membra una legge che ripugna alla legge della mia mente". Se dunque è certo che per la macchia d’origine tramandata in tutti i figli d’Adamo venne affievolito il lume della ragione ed il genere umano decadde infelicissimamente dal pristino stato di giustizia e d’innocenza, chi mai crederà che la ragione basti a conseguire la verità? chi negherà essergli necessari, fra sì gravi pericoli e in tanta sua debolezza di forze, gli aiuti della religione divina e della celeste grazia per non cadere in rovina e per salvarsi? I quali aiuti, però, benignamente Iddio distribuisce a coloro che, con umile preghiera, li chiedono, essendo scritto: "Dio resiste ai superbi, ma concede la grazia agli umili". Perciò Gesù Cristo Signor Nostro, rivolgendosi una volta al Padre, affermò che i sublimissimi arcani di verità non vengono manifestati ai prudenti ed ai sani di questo secolo, i quali, superbi di loro ingegno e dottrina, ricusano di prestare l’omaggio della fede, ma bensì agli umili ed ai semplici che all’oracolo della fede divina s’appoggiano e si acquetano. È opportuno che inculchiate questo salutare precetto a coloro i quali tanto esagerano la potenza della ragione umana, che osano con le sue forze scrutare e spiegare gli stessi misteri: di ciò non v’è più stolto ardimento, né più assurdo. Sforzatevi di redimerli da così grande perversione di mente, esponendo loro che la provvidenza divina non ha concesso agli uomini dono più eccellente che l’autorità della fede divina, che questa è per noi come fiaccola fra le tenebre, questa la guida, seguendo la quale giungeremo alla vita: questa perciò è del tutto necessaria alla salute, poiché "senza fede è impossibile piacere a Dio, e chi non crederà sarà condannato". Un altro errore non meno pernicioso abbiamo con dolore inteso aver pervaso alcune parti del mondo cattolico ed occupato le menti di molti cattolici, i quali pensano che si possa sperare la salute eterna anche da parte di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo. Perciò usano spesso chiedere quali siano, dopo morte, il destino e la condizione di coloro che non aderiscono alla fede cattolica, e dopo aver allegato vanissime ragioni stanno aspettando una risposta che favorisca codesta storta opinione. Tolga Iddio, Venerabili Fratelli, che Noi osiamo por termini alla misericordia divina che è infinita o che vogliamo scrutare gli arcani consigli e giudizi di Dio, i quali sono un abisso profondo, impenetrabile ad umano pensiero, ma bensì per dovere del Nostro ufficio apostolico vogliamo eccitare la vostra sollecitudine e vigilanza episcopale, affinché con ogni sforzo v’adoperiate a bandire dalla mente degli uomini quella parimenti empia e funesta opinione, che in ogni religione, cioè, possa trovarsi la via dell’eterna salute, e ai popoli affidati alla vostra cura dimostriate con la vostra egregia dottrina e solerzia, che i dogmi della fede cattolica non si oppongono punto alla misericordia ed alla giustizia divina. Poiché si deve tener per fede che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa Apostolica Romana, questa è l’unica arca di salvezza; chiunque non sia entrato in essa perirà nel diluvio. Ma nel tempo stesso si deve pure tenere per certo che coloro che ignorano la vera religione, quando la loro ignoranza sia invincibile, non sono di ciò colpevoli dinanzi agli occhi del Signore. Ora, chi si arrogherà tanto da poter determinare i limiti di codesta ignoranza secondo l’indole e la varietà dei popoli, delle regioni, degl’ingegni e di tante altre cose? Quando, sciolti da questi lacci corporei, vedremo Dio qual è, allora sì intenderemo certamente lo stretto e nobile vincolo che collega la misericordia e la giustizia divina; ma finché restiamo in terra gravati di questa massa mortale che appesantisce l’anima, teniamo per fermissimo, secondo la dottrina cattolica, che esiste un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo. L’andar più oltre investigando è empio. [Pio IX, enciclica Singulari quadam, 1854]

    Il Concilio Lateranense, sotto Innocenzo III, nel 1215, afferma dogmaticamente: "Una, inoltre, è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva. In essa lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima... Il sacramento del battesimo, poi, che si compie nell'acqua, invocando la indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, da chiunque conferito secondo le norme e la forma usata dalla chiesa, giova alla salvezza sia dei bambini che degli adulti. Se uno, dopo aver ricevuto il battesimo, è nuovamente caduto nel peccato, può sempre riparare attraverso una vera penitenza".

    Il Concilio di Vienne 1311-12 conferma: Bisogna anche che tutti ammettono fedelmente un unico battesimo che rigenera tutti i battezzati in Cristo, come vi è un solo Dio e un'unica fede. E crediamo che esso, amministrato con l'acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sia un perfetto e comune mezzo di salvezza tanto per gli adulti quanto per i bambini.

    Il Sacrosanto Concilio Tridentino dogmaticamente stabilisce e definisce ancora: Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio, rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina dal momento che l’antico, famoso serpente , sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale. 1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio; e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema. [...] Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue, diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione; o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi. Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo. 4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato, se non nel senso in cui la chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio. 5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte, i quali non camminano secondo la carne, ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo, che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo; di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo. [SESSIONE V, I7 giugno 1546]

    Ma benché egli sia risorto per tutti, tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione. Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti. Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati. [...] Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio, per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio. [SESSIONE VI, capitoli III-IV,13 gennaio I547]

    E' dunque dogma di fede. Non si può cambiare. Assolutamente. Ed è valido per tutto il genere umano. Da qui l'esigenza della sottomissione alla Chiesa, cioè il far parte della Chiesa sotto un unico pastore, il Sommo Pontefice:

    "Noi dichiariamo, diciamo, definiamo, e pronunziamo che è una necessità assoluta per la salvezza di ogni creatura umana essere soggetta al Pontefice di Roma" (Papa Bonifacio VIII).

    "In questo gregge di Gesù Cristo nessun uomo può entrare se non è guidato dal Sommo Pontefice, e soltanto se è unito a lui [al Pontefice] può essere salvato" (Papa Giovanni XXIII).

    "Coloro che si ostinano contro l'autorità della Chiesa e del Pontefice di Roma... non possono ottenere la salvezza eterna" (Papa Pio IX).

    Pio XII però pose quella clausola che non intacca il dogma ma lo completa poiché prende in considerazione che bisogna comunque che la risposta soggettiva dell'uomo sia possibile, cioè sia messo in grado oggettivamente di acconsentire e di convertirsi. Coloro i quali vivono un'ignoranza indefettibile e incolpevole, cioè che proprio non conoscevano Cristo ed erano oggettivamente messi in grado di non poter conoscerlo, potevano effettivamente salvarsi con un voto implicito, che significa essere disposti alla ricerca di Dio, desiderare Dio ovviamente umanamente, con desiderio umano. Ciò per avviene sempre con l'unica mediazione di Cristo. L'opposizione del gesuita americano Leonard Feeney, con l'esclusivistico senso della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', fu stroncata da una lettera del sant'Uffizio all'arcivescovo di Boston dell'8 agosto 1949, la quale respinge l'interpretazione di Feeney e appoggia l'insegnamento di Sua Santità eminentissima Pio XII. La lettera distingue tra la necessità dell'appartenenza alla chiesa per la salvezza ('necessitas praecepti') e la necessità di mezzi indispensabili all'eterna salute ('intrinseca necessitas'). Riguardo a tali mezzi, la chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile e incolpevole però è sufficiente il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, il desiderio implicito di voler conoscere in verità Dio e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio (Denz 3870). La fede però, nel senso di Eb 11,6, e l'amore sono sempre necessari con necessità intrinseca (Denz 3872).

    Anche quando la Chiesa dal Vaticano II riformata assume la Chiesa come universale sacramentum salutis, sacramento universale di salvezza, è sempre in questi termini, perché ciò che è dogmatico non può essere cambiato dopo, ormai è definito. Il documento Lumen Gentium deve essere necessariamente interpretato alla luce del passato magistero in continuità con la vera fede. E' falso e bugiardo il comportamento di molti mondani di oggi. Essi vorrebbero insegnare che anche le altre religioni si salvano. Ciò è esiziale e rovinoso, falso, e frutto della menzogna del diavolo.

    Non è possibile anche per una certa procedura di ragione. Se io dico contemporaneamente che il battezzato e il non battezzato si salvano contraddico un principio base del pensiero: il principio di non contraddizione. Quindi vanifico ogni ragionamento perché mi contraddico, ergo è falso.

    Guardiamoci perciò da coloro che proclamano la salvezza raggiungibile da altre cose che non sono la Chiesa. La Chiesa infatti non è salvifica perché associazione umana, ma perché è l'unica intimamente unita a Cristo mediante il battesimo: è unita nella Grazia e alla Grazia al Suo Capo che è Cristo unica salvezza e diventa salvezza in virtù della Grazia che lo Sposo unico comunica alla sua sola sposa. Altre religioni non sono la sposa di Cristo, non hanno la Grazia, le anime dei suoi membri non si salvano. Punto e basta.

    E' vero che il Vaticano II usa le parole di Pio XII parlando di votum solo per i cristiani, ma non dice affatto che tutti si salvano. Dei non cristiani si dice che, in modo diverso, sono ordinati al popolo di Dio. Tale essere ordinati significa che sono più o meno facilitati, grazie ai Semi del Verbo nelle culture, alla ricezione del Vangelo e della Vera e Unica Fede. Tuttavia se non l'accettano non si salvano. Il loro essere ordinati indica una maggiore o minore predisposizione, un terreno più o meno fertile, ma poi la fede deve essere comunque accettata. Secondo i vari modi in cui la volontà salvifica di Dio abbraccia i non cristiani, il concilio distingue quattro gruppi: in primo luogo gli ebrei; in secondo luogo i musulmani; in terzo luogo quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e non conoscono la chiesa, ma cercano Dio con cuore sincero e si sforzano di compiere la sua volontà attraverso la coscienza; in quarto luogo quelli che, senza colpa, non sono ancora giunti a conoscere espressamente Dio, ma ciò nonostante si sforzano di condurre una vita retta ('Lumen gentium', n. 16). I primi due gruppi sono più o meno ordinati a Cristo, gli ultimi due gruppi se vivono in un'ignoranza invincibile e incolpevole, mediante un votum implictum possono salvarsi. Possono...

    I doni che Dio offre a tutti gli uomini per condurli alla salvezza si fondano, secondo il concilio, sulla sua volontà salvifica universale ('Lumen gentium', nn. 2.3.16; 'Ad gentes', n. 7). Tale volontà salvifica ha predisposto le culture per recepire la fede, e questi sono i doni, cioè i semi del Verbo, che il Padre ha fatto alle varie culture. Tali doni non devono scambiarsi con i doni di Grazia e dello Spirito Santo che solo nella Chiesa di Cristo Gesù, Unica e Vera, Una e Santa, CAttolica e Apostolica, si trovano. Vorremmo essere più aperti, ma è dogmatico. Quindi si impone di non accettare compromessi.

    L'errore nasce quando si affermano frasi del genere: "Quando i non cristiani, giustificati mediante la grazia di Dio, sono associati al mistero pasquale di Gesù Cristo, lo sono pure al mistero del suo corpo, che è la chiesa". Il problema e l'errore è qui, proprio nel considerare che i non cristiani sono giustificati. Il dogma è che proprio la giustificazione avviene dopo aver abbracciato la fede e nel battesimo o il suo desiderio in assenza di mezzi ordinari per ottenerlo. L'errore è proprio considerare che la giustificazione si estenda indistintamente fuori della Chiesa.

    La Chiesa è un germe di salvezza, perché è la salvezza universalmente offerta. Ma è appunto un germe, che non germoglia se non lo accetta l'uomo e che cresce nell'anima del singolo quando costui si converte e si acectta, divenendo oggetto raggiunto dalla giustificazione. "Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini e apparendo talora come piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo" ('Lumen gentium', n. 9).

    Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

    Il magistero attuale si è espresso con la Declaratio Dominus Jesus del 6 agosto 2000.

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    Sempre dal suddetto sito:

    ...

    Sono tutti cristiani? Questo è importante?

    Alcuni pensieri teologici attuali, indubbiamente influenzati dalle teorie politiche dell'uguaglianza e della democrazia, nonché da un'errata interpretazione di Dignitatis humanae, quando si tratta della salvezza desiderano una parità di risultato piuttosto che una parità di opportunità. Ossia: alcuni sono scontenti di trovare tutti gli uomini uguali davanti a Dio nella loro libertà umana; desiderano invece vedere tutti gli uomini uguali davanti a Dio nella giustificazione. Tuttavia, negando le conseguenze della libertà umana di accettare il Salvatore e della collaborazione dell'uomo alla propria salvezza, essi negano gli effetti del battesimo e affermano che tutti gli uomini, battezzati e non, possono vedere realizzate le promesse fatte da Cristo ai battezzati. In altri termini, anche se qualcuno ha rifiutato Cristo nella propria vita, sarà con Lui nel regno di Dio. Sapendo che questi pensieri sono contrari alle Scritture e alla tradizione, si cerca di risolvere il problema dell'incorporazione in Cristo e nella Sua Chiesa in due modi distinti.
    Il primo consiste nell'affermare che tutti gli esseri umani sono cristiani, sia che essi scelgano di esserlo, sia che non lo scelgano, sia che lo sappiano, sia che non lo sappiano. Il secondo modo consiste nel rigettare le esigenze del cristianesimo, ossia nell'affermare che esse valgono per gli uni ma non per gli altri, che vi sono altre vie di salvezza al di fuori di Cristo.
    La nozione del "cristiano anonimo" è legata strettamente all'opera di Karl Rahner. In poche parole, Rahner ha esposto la tesi secondo cui alcuni uomini, che non sono stati battezzati e che non hanno vincolo o conoscenza alcuna del cristianesimo, in qualche modo sono cristiani anonimi. Poiché tutti gli uomini per loro natura sono ordinati a Dio e capaci di percepire la Sua grazia santificante che opera in loro, coloro che esistenzialmente accettano tale grazia manifestano il desiderio implicito di essere incorporati in Cristo e nella Sua Chiesa. Giacché vivono giustamente e secondo coscienza, essi sono, in effetti, cristiani e quindi uomini redenti. Sebbene Rahner abbia avuto l'accortezza di precisare che non tutti i non cristiani sono cristiani anonimi e che chiunque venga salvato, viene salvato attraverso il mistero pasquale di Cristo, in molte menti è sorto il concetto che ogni persona che sia fondamentalmente di buona volontà e orientata a Cristo venga salvata: in realtà tutti, nel profondo del proprio cuore, sarebbero cristiani.
    Sebbene questo cristianesimo anonimo possa apparire confortante a taluni, altri, le cui riflessioni li hanno portati a considerare il cristianesimo anonimo indebitamente trionfalistico, in quanto presume di porre il cristianesimo al di sopra delle altre religioni , lo considerano un abominio. Fondamentalmente, le teorie del cristianesimo anonimo vogliono mantenere l'aspirazione della Chiesa, includendo nei suoi confini (in)visibili il maggior numero possibile di persone. Tuttavia, tra il cristianesimo implicito come cammino per la salvezza e le religioni non cristiane come cammino per la salvezza il passo è breve. Perché Cristo dovrebbe essere l'unico mediatore della salvezza? Quando si tratta della salvezza, è importante essere o non essere cristiano? Non sorprende, quindi, scoprire che la breve distanza tra i due concetti viene superata da tutti coloro che vorrebbero rendere il cristianesimo una specie di primus inter pares tra le religioni, come ad esempio Jacques Dupuis . Il libro di Dupuis ha già ricevuto grande attenzione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, e non ci soffermeremo qui su tale testo, soprattutto in considerazione del fatto che la dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione ha già risposto alle difficoltà in questione.
    In effetti, non tutti gli uomini sono - in modo implicito o esplicito - cristiani. E il cristianesimo, l'incorporazione in Cristo e nella Sua Chiesa attraverso il sacramento del battesimo, in ultimo e alla fine dei tempi, sarà importante. Pensarla diversamente significa sbagliare. Fino a che punto può arrivare un tale errore? Quanto profondamente può influire sullo sforzo missionario della Chiesa? Riflettiamo sulle osservazioni di un sacerdote missionario americano in Bangladesh sulle persone che egli serve: "Non m'interessa che diventino cristiani. Voglio che siano i migliori musulmani possibili".
    Questo modo di pensare non può conciliarsi con il comandamento del Signore: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Matteo 28, 19-20)

    Tutti vengono salvati?

    Pur volendo ammettere, per amor di discussione, che tutti gli uomini, cristiani e non, sono giustificati, resterebbe sempre il problema dei reprobi. Sebbene i diversi determinismi sembrerebbero escludere ogni colpevolezza, gli Stalin del secolo scorso e i Domiziani del primo secolo fanno esitare. Nondimeno, la teoria della salvezza universale, secondo cui tutti gli uomini alla fine godranno della visione beatifica, è certamente di moda. Tale nozione è radicata nel concetto di una apokatastasis pant*n (restaurazione di tutte le cose) alla fine dei tempi. Esso è stato introdotto come eresia da San Clemente d'Alessandria , e spesso si afferma che sia stato sostenuto da Origene. In breve, la teoria dell'apokatastasis afferma l'eventuale rinnovamento di tutte le persone e di tutte le cose in Cristo; anche gli angeli caduti saranno reintegrati e ovviamente l'inferno finirà. Per ovvie ragioni, l'apokatastasis è stata ampiamente criticata nella Chiesa primordiale .
    Attualmente la nozione della salvezza universale è strettamente associata all'opera di Hans Urs von Balthasar, il cui universalismo continua a ispirare dibattiti. Sebbene abbia prontamente distinto le sue riflessioni dall'apokatastasis, il modo di pensare di Balthasar è abbastanza simile. Secondo lui, la misericordia di Dio ci obbliga a sperare che tutti siano salvati e che l'inferno sia riservato soltanto agli angeli caduti. Per quanto riguarda gli uomini, che sono diversi nell'ordine creato e incapaci di prendere le decisioni finali degli angeli, Balthasar sostiene la possibilità dell'inferno solo come teoria (che però deve essere conservata in quanto aiuta a motivare l'uomo al bene). Balthasar afferma: "L'amore misericordioso può quindi discendere su tutti. Riteniamo che lo faccia. E ora, possiamo assumere che vi siano anime che rimangono perpetuamente chiuse a tale amore? Si tratta di una possibilità che per principio non può essere respinta. Nella realtà essa può diventare infinitesimale - proprio per ciò che la grazia preparatoria può realizzare nell'anima". In altre parole, la grazia continua ad operare nell'anima, nella vita presente e futura, finché l'anima non si predispone alla redenzione. Poiché non vi sono limiti alla misericordia e all'amore divini, non possono esservi limiti alla nostra speranza di redenzione per tutte le anime. Secondo Balthasar, è nostro dovere mantenere la speranza teologica che nessun'anima sarà dannata. In termini semplici, possiamo nutrire una speranza umana che tutte le anime siano salvate, ma la speranza teologica viene esclusa dalla rivelazione divina. Come ha domandato C. S. Lewis: "Sarei disposto a pagare qualsiasi cifra per poter dire sinceramente 'tutti saranno salvati'. Ma la mia ragione risponde 'per loro volontà o senza di essa?'. Se dico 'senza la loro volontà', scorgo subito una contraddizione: come può l'atto volontario supremo dell'arrendevolezza essere involontario? Se dico 'per loro volontà', la mia ragione risponde: 'in che modo, se non si arrendono?'" .
    In sostanza, Balthasar afferma l'esistenza dell'inferno, ma nega che un uomo possa andarvi, affermando che una tale probabilità è infinitesimale. Ciò equivale a respingere la dottrina dell'inferno e a negare il libero arbitrio dell'uomo. Balthasar aggira la questione dell'esistenza dell'inferno lasciandovi gli angeli caduti. Per quanto riguarda invece l'arbitrio dell'uomo, egli affronta il problema parlando della contrapposizione della volontà divina che tutti siano salvati e il libero arbitrio dell'uomo, facendolo però in modo inadeguato. Balthasar afferma: "La libertà dell'uomo non può essere infranta o neutralizzata dalla libertà divina, ma può benissimo essere, per così dire, superata in astuzia". Superata in astuzia? Per quanto tale affermazione possa essere intelligente, essa non è né esplicativa né illuminante. Sembrerebbe che il modo di intendere la misericordia e l'amore divini di Balthasar calpesti la giustizia divina e la libertà umana. Non ha senso parlare di libertà umana se il fine ultimo di ogni uomo è determinato in partenza , ma è quasi un inganno divino che gli uomini vengano manovrati abilmente nelle loro scelte più importanti (anche se attraverso una specie di perpetua purgazione divina). Inoltre, la tesi di Balthasar ignora un'intuizione espressa in modo molto eloquente da John Henry Newman che, nel commentare la Lettera agli Ebrei 12, 14, ha affermato che "anche supponendo che si accettasse che un uomo che non abbia condotto una vita santa entri in cielo, egli non vi sarebbe felice; non sarebbe quindi un atto di misericordia permettergli di entrarvi". La misericordia divina, per come ne parla Balthasar, sembra essere o un annullamento della libertà dell'uomo o un'inosservanza della sua volontà. Newman prosegue: "Oserei anche andare oltre - fa paura, ma è giusto dirlo - se volessimo immaginare una punizione per un'anima empia, reproba, forse non potremmo immaginarne una maggiore che chiamarla in cielo".
    Di fatti, esiste un inferno - non solo per gli angeli caduti, ma anche per i peccatori impenitenti, cristiani e non, che prendono le loro decisioni in questa vita - e alcuni vi andranno. La parabola di Gesù su Lazzaro ed Epulone (Luca 16, 19-31) mette sufficientemente in guardia dalla possibilità di andare all'inferno e le osservazioni di Gesù sulla porta stretta (Matteo 7, 13-14) non fanno che accrescere tale possibilità. Sebbene Balthasar e tutti coloro che sostengono la teoria della salvezza universale abbiano ragione quando affermano che la Chiesa non ha mai formalmente parlato di una persona che è all'inferno come invece fa delle singole persone in cielo di fronte al processo di canonizzazione, sostenere che all'inferno non vi sia nessuno è tutt'altra cosa. La "seconda morte" (Apocalisse 2, 11; 20, 6,14; 21, 8), è una possibilità reale. Come afferma il Santo Padre, "le parole di Cristo sono inequivocabili. Nel Vangelo di Matteo Egli parla chiaramente di coloro che andranno al supplizio eterno (cfr. Matteo 25, 46)". Pensarla diversamente significa sbagliare. Fino a che punto può arrivare un simile errore? Quanto profondamente può influire sul ministero pastorale della Chiesa? Si pensi alle omelie, ora molto comuni, che spesso vengono pronunciate ai funerali cristiani, secondo cui il defunto è passato direttamente da questo mondo a quello celeste, senza che venga fatta menzione del peccato, del giudizio particolare o dell'inferno, e nemmeno del purgatorio. Tale modo di pensare non può essere conciliato con le parole del Signore relative ai malvagi: "E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Matteo 25, 46).

    Conclusione.

    L'ammonimento di nostro Signore, secondo cui quanti hanno fatto il bene avranno una risurrezione della vita e quanti hanno fatto il male avranno una risurrezione di condanna (Giovanni 5, 29) è un articolo della fede. Ci serve a ricordare che la nostra è una religione di rivelazione divina e non di razionalizzazione umana. Mentre noi potremmo avere difficoltà a conciliare la misericordia e la giustizia di Dio, per Lui non è così. Giacché la Chiesa è il "sacramento della salvezza", essa non può tirarsi indietro nella sua missione di salvare il mondo attraverso la proclamazione della verità su Gesù Cristo come Salvatore e Giudice dell'umanità, unico e universale. Attualmente sono sorte numerose ambiguità circa la fine dei tempi, ma nessuna di queste è più pericolosa ed errata di quelle che negano la necessità del battesimo per la salvezza e affermano la salvezza di tutti. Tale negazione è deleteria per gli sforzi missionari della Chiesa; tale affermazione è deleteria per il ministero pastorale della Chiesa. Dobbiamo sempre ricordare che la fede in Cristo e il comportamento morale in questa vita sono vincolati inesorabilmente alla vita futura e all'eschaton. Dobbiamo sempre ricordare che ciò che crediamo e ciò che facciamo alla fine conterà. In caso contrario, rischiamo di diluire la fede in un pluralismo e una presunzione tali, da doverci far temere la peggior risposta possibile alla domanda del Signore in Luca 18, 8: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".

    Abraham Bloemaert, I quattro Padri della Chiesa latina, 1632, Londra

  3. #3
    Ludovico
    Ospite

    Predefinito Si prova che la chiesa cattolica romana è l'unica vera, e tutte le altre sono false e

    (Sant'Alfonso Maria de' Liguori)

    1. Per ben intendere che la chiesa cattolica romana è l'unica vera, bisogna supporre due cose per certe. La prima, che siccome vi è un solo vero Dio, così non può esservi che una sola vera fede ed una vera chiesa di Gesù Cristo: Una fides, unum baptisma, unus Deus1. Onde di due chiese che insegnano cose opposte circa i dogmi o precetti della legge, una sola può esser la vera; e fuori di questa chiesa ch'è l'unica arca di salute, niuno può salvarsi, come confessò lo stesso Calvino. La seconda cosa certa è che la chiesa cattolica romana è stata la prima chiesa cristiana. Chi volesse negarlo, dica qual è stata la prima. Ma no, perché niuna setta ciò nega. Ecco come parla l'eretico Gerardo: Certum quidem est primis quingentis annis veram fuisse, et apostolicam doctrinam tenuisse2. Né può negarsi, perché è noto a tutti che la chiesa romana è stata la prima fondata da Gesù Cristo, propagata poi dagli apostoli, ed indi data ad esser coltivata e retta da' pastori, che dagli stessi apostoli discendono per legittima e continuata successione, secondo quel che scrisse s. Paolo: Ipse dedit quosdam quidem apostolos... alios autem pastores et doctores ad consummationem sanctorum in opus ministerii, in aedificationem corporis Christi3. E questo carattere non può trovarsi che solamente nella chiesa romana, dove non può negarsi che i loro pastori traggono la loro origine immediatamente dagli apostoli, come attestano s. Cipriano, s. Girolamo, s. Agostino, e prima di essi s. Ireneo scrivendo così: Per Romae fundatae ecclesiae eam, quam habet ab apostolis traditionem et fidem, per successionem episcoporum provenientem usque ad nos, confundimus omnes eos, qui per caecitatem et malam conscientiam aliter quam oportet colligunt4. Scrisse s. Ottato milevitano: Bono unitatis b. Petrus praeferri omnibus apostolis meruit, et claves regni coelorum communicandas ceteris solus accepit. Lo stesso scrisse Tertulliano5. il quale dice che quella società cristiana che non potesse dimostrare d'essere stata la prima per farsi conoscere vera e legittima, almeno dovrebbe provare di aver l'origine da alcuno degli apostoli. Ma ciò era quel che assicurava s. Agostino, a tenere fermamente che la romana fosse la vera chiesa di Gesù Cristo: Tenet me, dicea, in ipsa ecclesia ab ipsa sede Petri usque ad praesentem episcopatum successio sacerdotum6. Dunque la costante e perpetua successione de' pontefici da s. Pietro sino a' tempi nostri prova senza dubbio che la chiesa romana è la vera chiesa di Gesù Cristo.
    2. Ma a noi basta che gli eretici ammettano che la chiesa romana sia la prima: perché, ammesso che sia la prima, ella non può esser vera; mentre scrisse l'apostolo che la chiesa fondata da Gesù Cristo è vera chiesa di Dio, ed è la colonna e la base della verità: Scias quomodo oporteat te in domo Dei conversari, quae est ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis1. Se dunque la chiesa romana è vera chiesa di Dio, tutte le altre da lei uscite e separate sono false ed eretiche. Ex hoc ipso, scrisse s. Girolamo, quod postea instituti sunt, eos se esse iudicant, quos apostolus futuros praenuntiavit, cioè falsi profeti.
    3. Oppongono gli eretici pretesi riformati, e dicono che la chiesa romana fu vera sino al terzo secolo (altri dicono sino al quarto ed altri sino al quinto) e che poi non è stata più sposa, ma è divenuta adultera, poiché è stata corrotta da' cattolici, che hanno corrotti i dogmi. Ma come è mancata la nostra chiesa? Ed in quali dogmi può dirsi corrotta, mentr'ella ha ritenuti gli stessi dogmi che tenne sin dal principio in cui fu fondata da Gesù Cristo? Ella è stata sempre la medesima in tutt'i tempi, sicché quelle verità che oggi noi crediamo, furono già credute ne' primi secoli, come la libertà dell'arbitrio, la virtù de' sacramenti, la presenza reale di Gesù Cristo nell'eucaristia, l'esistenza del purgatorio, l'invocazione de' santi, la venerazione delle loro reliquie ed immagini. I novatori, queste verità che noi teniamo esser di fede, ardiscono di chiamarle errori; ma dicono, siccome ci avvisa il Bellarmino2, che tali errori furono certi nei nel volto della chiesa nascente. Dunque l'adorar Gesù Cristo come presente nell'eucaristia, l'adorar la croce, il venerare le immagini dei santi ne' primi secoli non furono che semplici nei? E come poi oggidì questi nei son diventate orrende idolatrie, com'essi le appellano? Forse le idolatrie sono semplici nei? Inoltre come ha potuto Iddio permettere questi errori così enormi per tanti secoli nella sua chiesa, sino che venissero questi novelli riformatori Lutero, Zuinglio e Calvino a dissiparli? E se la vera chiesa è mancata almeno per nove secoli, secondo dicono, come Dio ha potuto permettere che gli uomini fossero stati per tanto tempo senza chiesa, finché venissero questi nuovi illuminati maestri?
    4. Stretti gli avversarj da questi argomenti, han trovato l'invenzione di dire che sia mancata la chiesa visibile, ma non l'invisibile: asserendo che la chiesa è composta de' soli predestinati, come vogliono i calvinisti, o dei soli giusti, come vogliono i luterani confessionisti: cose tutte contrarie agli evangeli, dove abbiamo che la chiesa militante è composta di giusti e peccatori; e perciò ella è figurata ora coll'aia dove vi è frumento e paglia, ora colla rete che ritiene pesci d'ogni genere, ora col campo dove vi è grano e zizzania. Dicono i novatori: almeno non è necessario che la chiesa sia sempre visibile. Ma si risponde in primo luogo che ciò dovrebbero provarlo, ma non lo provano. Giovan Battista Croffio (come riferisce il p. Pichler nella sua teologia dogmatica) palesò in una sua scrittura, data fuori nell'anno 1695. , aver pregato più volte i predicanti ad additargli qualche testo di scrittura, dove s'indicasse questa chiesa invisibile, e non averlo potuto ottenere. Quandoché all'incontro è chiaro dal vangelo che la chiesa non può essere invisibile: Non potest abscondi civitas supra montem posita3. Siccome, dice il Signore, una città posta sopra d'un monte non può esser celata agli occhi di chi vi passa; così la chiesa non può esser nascosta agli uomini che vivono in questa terra. Come potea parlare più chiaro Gesù Cristo? Quindi abbiamo che il medesimo Salvatore disse a s. Pietro: Et tibi dabo claves regni coelorum. Et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in coelis; et quodcumque solveris super terram, erit solutum et in coelis1. Per qualunque cosa che qui s'intenda il legare e lo sciogliere, o per l'assoluzione sacramentale (come l'intendono i cattolici), o per le censure, o per la predicazione (come l'intendono gli eretici), tutti senza dubbio son ministerj esterni della chiesa visibile e patente; sicché, come scrisse monsignor Bossuet nella sua conferenza avuta col signor Claudio, e data poi alle stampe, quella fu dichiarata vera chiesa di G. Cristo, che confessa Gesù Cristo esternamente, e che esercita il ministero esterno delle chiavi.
    5. Che poi quindi la chiesa fosse visibile in ogni tempo, è stato e sarà sempre necessario, acciocché ognuno in ogni tempo possa apprendere la vera dottrina de' pastori ecclesiastici, ricevere i sacramenti, ed esser indirizzato per la buona via, se mai ha errato. Altrimenti se in qualche tempo la chiesa fosse nascosta ed invisibile, a chi allora dovrebbero gli uomini ricorrere per sapere ciò che han da credere e da operare per conseguire l'eterna salute? Quomodo credent ei, dice s. Paolo, quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante2? Di più scrisse il medesimo apostolo agli ebrei: Obedite praepositis vestris, et subiacete eis. Ipsi enim pervigilant, quasi rationem pro animabus vestris reddituri3. Or come potrebbero i fedeli osservar questa ubbidienza a' loro prelati, se la chiesa fosse nascosta, sicché non potessero conoscere chi fossero i loro prelati? Quindi scrisse lo stesso s. Paolo che il Signore ha posti visibilmente nella sua chiesa i pastori e i dottori, acciocché non restiamo ingannati da' falsi maestri, che insegnano errori: Et ipse dedit quosdam quidem apostolos... alios autem pastores et doctores etc., ut iam non simus parvuli fluctuantes, et circumferamur omni vento doctrinae in nequitia hominum, in astutia ad circumventionem erroris4.
    6. Si risponde in secondo luogo che la chiesa cattolica, essendo stata vera nel suo principio, non ha potuto mai mancare neppure per un momento; poiché questa fu la promessa di Gesù Cristo, che non mai le porte dell'inferno (s'intendono le eresie) avrebbero avuta forza di abbatterla. Ecco quel che disse s. Pietro: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam5. Ed un'altra volta promise agli apostoli, e per essi a tutti i fedeli, che non mai gli avrebbe abbandonati sino alla fine del mondo: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi6. Posto dunque per certo che la chiesa romana è stata la prima fondata da G. Cristo, se ella è stata vera una volta, attese le promesse di Gesù Cristo, dee necessariamente tenersi ch'è stata sempre vera, e sarà sempre vera. Con questo argomento s. Agostino confutò i donatisti, i quali parimente diceano che a' tempi loro, cioè nel quinto secolo, era mancata la chiesa. Quindi saggiamente dice un dotto autore (Pichler7) che per convincere gli eretici non vi è strada più breve e più accertata che il far loro vedere che la nostra chiesa cattolica è stata la prima chiesa fondata da Gesù Cristo; perché, provato ciò, resta provato ch'ella è l'unica vera chiesa, e che tutte le altre che da essa si son separate, e discordano ne' punti di fede, vanno certamente errate. Ecco come scrisse il re Carlo II. d'Inghilterra in un suo foglio, che dopo la di lui morte fu ritrovato chiuso in una sua cassettina: Cristo non può avere qui in terra se non una chiesa (il che pare a me evidente); e quest'unica chiesa non può esser altra che la romana cattolica. Onde stimo che l'unica questione è di sapere dove sia quella chiesa che noi professiamo di credere; e poi dobbiamo credere tutto ciò ch'ella ci propone. E quindi finalmente egli abbracciò la fede cattolica.
    7. Il calvinista Jurieu convinto appunto da questa verità, e vedendo non potersi negare che la vera chiesa di G. Cristo non può risedere tra le società separate dalla chiesa romana, ch'è la più antica di tutte, ha inventato un nuovo sistema, il quale al presente è stato abbracciato specialmente dalle sette calviniste, dicendo che tutte le società che non discordano ne' punti fondamentali, elle non sono già uscite dalla chiesa romana, ma sono la chiesa medesima. Siccome, dice, nella chiesa romana vi son diverse sentenze secondo le diverse scuole de' tomisti, scotisti, agostiniani e d'altri, e contuttociò professano la stessa fede; così tra noi la fede e la chiesa è la stessa, benché diversi siano i canoni e le discipline. E dicendo così, avviene a costoro quel che scrisse s. Agostino agli eretici del suo tempo: Quod vultis, creditis: quod non vultis, non creditis: vobis potius, quam evangelio creditis1. Ma rispondiamo agli avversarj: è vero che tra' cattolici vi sono diverse scuole e diverse sentenze; ma però le loro questioni si aggirano solamente circa alcuni punti non definiti dalla chiesa: ma tutti convengono poi circa i dogmi, o siano articoli principali di fede e dalla chiesa già decisi. Per esempio tutte le scuole confessano la necessità della grazia ad ogni atto buono e la libertà dell'arbitrio nell'uomo, cose che noi teniamo per articoli di fede. Come poi sia efficace la grazia, se pel concorso del libero consenso umano, o efficace per se stessa: se poi quest'efficacia sia nella predeterminazione fisica, o nella dilettazione vittrice: e se nella dilettazione vittrice relativa, o vittrice morale; queste son controversie non ancor decise, e che non si oppongono alla fede.
    8. Ma vediamo pure quali sono i punti che il signor Jurieu tiene per soli fondamentali. Egli non gli spiega, o gli spiega troppo confusamente, dicendo: Articolo fondamentale è quello, da cui dipende la rovina della gloria di Dio e 'l distruggimento dell'ultimo fine dell'uomo. Onde, per quel che può ricavarsi da' suoi scritti, i punti fondamentali sono quattro: il mistero della Trinità, il mistero dell'Incarnazione, il premio eterno de' giusti e la pena eterna de' peccatori dopo la presente vita. Ma noi diciamo che oltre a cotesti articoli, tutti gli altri, proposti dalla chiesa come di fede, tutti debbono credersi fermamente da' fedeli con eguale assenso, e tutti sono fondamentali; e perciò le sette discordanti nella credenza di tali articoli sono state sempre giudicate come separate dalla chiesa cattolica così da' padri, come dai concilj e specialmente dal Niceno I. can. 8. , dal Costantinopolitano I. can. 6. e Costantinopolitano II. act. 3. Quindi s. Vittore papa nel secolo II. separò dalla comunione della chiesa romana gli asiatici, detti Quartodecimani, che voleano celebrar la pasqua nel giorno decimoquarto della luna di marzo, non nella domenica seguente. Nel Cartaginese II. furono condannati i novaziani, che negavano la remissione a' caduti nelle persecuzioni. Nel Costantinopolitano II. furono separati dalla chiesa quei che diceano essere state le anime prodotte prima della formazione de' corpi, can. 1. e quei che diceano che i cieli e le stelle erano animate, can. 6. Inoltre noi leggiamo nel vangelo di s. Matteo2: Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus. Basta dunque il non voler sentire le definizioni della chiesa per esser fuori della chiesa, la quale, dice s. Paolo, non essendo che un solo corpo, non può aver che un solo spirito3.
    9. Ma dice Jurieu: Il distinguere i punti fondamentali da' non fondamentali è una questione spinosa e difficile a risolversi. Di più dice: Non appartiene alla chiesa il definire quali siano i punti fondamentali; ma sono eglino tali di lor natura. Ma chi, dimandiamo, definirà quali punti son fondamentali e quali no? Il giudizio forse privato di ciascheduno? Ma se dovesse esser così, quante definizioni contrarie vi sarebbero? Mille. Ed ecco allora tante chiese quante sono le definizioni diverse de' punti. No, replica il Jurieu, non appartiene ad alcuno il definire quali punti di fede sieno fondamentali; poiché questi punti fondamentali son tali di lor natura. Ma se son tali di lor natura, perché egli dice poi che il distinguere i punti fondamentali da' non fondamentali è una questione spinosa e difficile a risolversi? E chi definirà quali sieno questi punti fondamentali di lor natura? Questi punti fondamentali di lor natura o sono manifesti da sé, o sono oscuri: se sono manifesti, essi non debbono esser soggetto di questione spinosa e difficile; o sono oscuri, ed han bisogno di definizione.
    10. Da tutto ciò che si è detto si vede quanto è insussistente questo nuovo sistema del Jurieu, nuovo a tutti gli stessi protestanti, i quali prima di lui, non già si son chiamati uniti alla chiesa romana, ma più presto si son vantati di essersi da lei separati, per esser ella dopo il secolo quarto o quinto divenuta chiesa adultera (come dicono) e fede dell'Anticristo, infetta di errori e d'idolatrie. Inoltre come il signor Jurieu può dire che le loro chiese riformate sieno una sola e medesima chiesa, che professa la medesima fede, quando sappiamo che i teologi di Zurigo nella prefazione apologetica diretta alle chiese riformate nel 1578. asseriscono che tra loro vi erano più controversie circa i punti fondamentali, come d'intorno alla persona di Gesù Cristo, circa l'unione e distinzione delle due nature divina ed umana ed altre simili. Indi soggiungono che le loro discordie erano giunte a segno che si erano tra essi ripigliate molte eresie che prima erano state già condannate. Ecco le loro parole: Tanto furore contenditur, ut non paucae veterum haereses, quae olim damnatae fuerunt, quasi ab inferis revocatae, caput attollant. Di più Giovanni Sturmio protestante, parlando similmente delle controversie che v'erano tra le loro chiese, dice: Praecipui articuli in dubium vocantur; multae haereses in ecclesiam Christi invehuntur; plana ad atheismum paratur via. E questo autore può dirsi profeta; perché in fatti oggidì buona parte de' protestanti sono caduti nell'ateismo, siccome si scorge da' libri che continuamente caccian fuori. Poiché in verità col tempo le cose si sono ben dicifrate, sì che i medesimi protestanti han conosciuta l'insussistenza del loro sistema e della loro dottrina; onde han cercato poi di abbandonarsi all'estremo dell'ateismo, o sia materialismo, con negare ogni massima di fede, e dire che ogni cosa è materia: e perciò si avanzano a dire che non vi è né Dio, né anima, né altra vita per noi che la presente, e così han cercato di liberarsi da ogni rimorso nella vita brutale che menano. Ma per quanto pensano e faticano, affin di rimuover dalle loro coscienze questo rimorso, sarà sempre impossibile che vi giungano. Al più che potranno giungere, sarà di mettersi a dubitare se vi è Dio e vita eterna: ma il pienamente persuaderselo non è, né sarà mai loro possibile; perché la stessa ragion naturale ci detta che vi è un Dio creatore del tutto e giusto rimuneratore, e che le anime nostre sono eterne ed immortali. Pretendono gli infelici di trovar pace col dubitare se vi è Dio, per non avere alcun censore e punitore delle loro iniquità; ma non troveranno mai questa pace; perché il solo dubbio che vi sia, seguirà a tormentarli sempre col timore della divina vendetta.
    11. Ma ritorniamo al punto. Al detto dunque di essi medesimi novatori, mettonsi in dubbio tra loro anche gli articoli principali della fede. Ed infatti, come riferisce il cardinal Gotti nella sua dotta opera: La vera chiesa1, i luterani riconoscono una persona in Cristo; ma Calvino e Beza ne mettono due, uniformandosi in ciò a Nestorio. Lutero ed altri suoi discepoli dicono che in Cristo la stessa natura divina patì e morì; ma Beza giustamente riprova questa esecranda bestemmia. Calvino fa Dio autore del peccato; i Luterani all'incontro dicono questa esser bestemmia. Lutero dice che Cristo, anche secondo l'umanità, è in ogni luogo; ma Zuinglio e Calvino lo riprovano. Calvino dice che i bambini de' fedeli, benché muoiano senza battesimo, pure si salvano; ma lo nega Lutero. Di più Lutero ammette tre soli sacramenti: battesimo, eucaristia e penitenza; Calvino ammette il battesimo e l'eucaristia, e nega la penitenza; ma poi ammette l'ordine, che nega Lutero. Zuinglio all'incontro nega così la penitenza, come l'ordine, ed ammette il battesimo e l'eucaristia. Di più Lutero confessa doversi adorare nell'eucaristia la presenza reale di Gesù Cristo nell'attual comunione, ma Calvino ciò chiama un'idolatria. Melantone (a cui si unì poi anche Lutero) dice esser necessarie le opere buone per la salute eterna; ma i calvinisti assolutamente lo negano. Ora dimando: come questi articoli non sono fondamentali, quando dal crederli o negarli, secondo gli stessi riformatori, dipende l'esser noi o salvi o dannati, o fedeli o idolatri? Bisogna dunque dire che queste chiese dette evangeliche nel contraddirsi in tali articoli errano circa i mezzi necessarj alla salute e circa i punti principali della fede. Ed infatti, come abbiam detto di sopra, Calvino chiama i Luterani falsarj, empj, calunniatori ed anche idolatri, perché adorano Gesù Cristo nell'eucaristia. E per la stessa ragione Zuinglio (presso il cardinal Gotti nel luogo citato) chiama Lutero seduttore e negatore di Gesù Cristo. All'incontro Lutero chiama i zuingliani e gli altri sacramentarj sette dannate, bestemmiatori ed anche eretici, dicendo: Haereticos censemus omnes sacramentarios, qui negant corpus Christi ore carnali sumi in eucharistia1.
    12. Scrive un dotto autore, ben inteso, della ruina della fede che fanno nel presente secolo gl'indipendenti ed i latudinarj, i quali sotto il pretesto di unione hanno introdotta una dissoluzione di quasi tutti i misterj della fede, e così han data l'ultima mano all'opera incominciata da' falsi riformatori de' due secoli passati, facendo della religion cristiana quel che fecero i romani di Gerusalemme, nella quale non lasciarono pietra sopra pietra: sicché in quanto a costoro tutto è andato a terminare in un generale indifferentismo, sino ad ammettere il giudaismo e 'l maomettismo. Ben ciò fu preveduto da monsignor Bossuet, che dal disprezzo che faceano i riformati dell'autorità della chiesa cattolica doveano passare a non far conto neppure dell'autorità de' lor riformatori. Invano han preteso i ministri protestanti di rimediare al disordine di veder ridotta a nulla la religion cristiana, col tenere per articoli non essenziali, e così giungere anche a negare la divinità di Gesù Cristo e dello Spirito santo, la verità delle sacre scritture, la necessità della soddisfazione di Cristo, del battesimo, della grazia, l'immortalità dell'anima e l'eternità delle pene infernali. Cercarono di riparare con prediche, decreti, minaccie, deposizioni e scomuniche, come appunto si fece nel sinodo Vallone, che tennero i protestanti nell'anno 1690 in Amsterdam; ma a poco a poco l'empia indipendenza e l'esterminatrice libertà di coscienza si son fatte amare dal partito riformato. Diceano i latudinarj: Noi siamo mille contro ad uno. Soggiungeano che i decreti e le censure spettavano al papismo, non già alla riforma, che gode il privilegio della libertà di coscienza. Ma non vedono che da questa libertà di coscienza son nate poi innumerabili sette diverse, che hanno riempita l'Inghilterra, l'Olanda e la Germania di eretici, di deisti e di atei?
    13. Lutero e Calvino furono già i primi ad aprir la porta a questo perverso libertinaggio. Indi Zanchio, i due Socini, Arminio ed Episcopio allargarono la porta, e pensarono di toglier le difficoltà col ritrovato della generale indifferenza. Il d'Huisseau ministro di Saumur, Chillingworth co' suoi teologi di Oxford, Cromwel co' suoi Liberi Muratori allargarono più la via. Altri poi, come le accademie di Duisburg e dello stato di Brandeburg, e l'università di Francfort co' suoi due eroi Corrado e Giovanni Berg, e con Samuello Strimesio e Gregorio Franco ed altri amici, come Ugone Grozio, Martino Hundio, Calisto, Paion, Burneto, Locke ed altri si sono adoperati ad avanzar la grande opera, ch'è giunta finalmente, come si vede nel famoso Comentario Filosofico ed in tanti altri libri moderni pestilenziali, ad un tal indifferentismo, che si riduce ad un puro deismo e deismo tale, ch'è pronto a vivere in pace coll'ateismo. Il ministro Papin (il quale fu ricondotto alla chiesa da monsignor Bossuet) fu talmente atterrito dalla vista di sì formidabili conseguenze, a cui vedeasi strascinato dalla forza della libertà di coscienza, che coll'aiuto della divina grazia diede in dietro, e ritornò all'antica madre la santa chiesa cattolica, la quale si ride di tutte queste religioni che non s'accordano con loro stesse, ed in somma non sono che un gruppo di confusioni e di opinioni particolari, che ciascuno adatta a se medesimo e muta secondo gli piace, sì che finalmente si riducono questi tali a fare una vita rilasciata, e a non credere più niente. Scrisse bene il vescovo di Londra Edmondo Gibson in una sua lettera pastorale: Tra la rilassatezza e l'empietà vi è troppo gran vicinanza. E monsignor di Fénélon arcivescovo di Cambrai disse che tra il cattolicismo e l'ateismo non vi è via di mezzo. E ciò in fatti la sperienza lo dimostra.



    1 Ephes. 4. 5.

    2 De eccl. c. 11. Sect. 6.

    3 Eph. 1. 11. et 12.

    4 L. 3. c. 3.

    5 L. de praescr. c. 20.

    6 S. Aug. epist. fundatum. c. 4. n. 5.

    1 1. Tim. 3. 15.

    2 De Notis eccl. c. 5.

    3 Matth. 5. 14.

    1 Matth. 16. 18.

    2 Rom. c. 10. 14.

    3 Hebr. 13. 17.

    4 Ephes. 4. 11.

    5 Matth. 16. 18.

    6 Matth. 28. 19.

    7 Teol. dogm. controv. 3. de eccl. in praef.

    1 L. 13. contra Faust. c. 3.

    2 Cap. 18.

    3 Ephes. c. 4. 4.

    1 C. 8. §. 1. n. 9.

    1 Apud Ospin. part. 2. histor. sacram. p. 326.

  4. #4
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    Ti ringrazio caro Giuseppe (Ludovico) del tuo intervento, che riunisco all'apposito thread, dando così un po' di ordine. Almeno qui.

    Francesco

  5. #5
    Ludovico
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    Predefinito

    Originally posted by Augustinus
    Ti ringrazio caro Giuseppe (Ludovico) del tuo intervento, che riunisco all'apposito thread, dando così un po' di ordine. Almeno qui.

    Francesco

    Hai fatto bene, caro Francesco.

    Un saluto

  6. #6
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    Francesco Albani, Allegoria del Papato, Palazzo Orsini, Roma

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    Predefinito Dio protegge la sua Chiesa ed i suoi figli

    Simeon Solomon, Shadrach, Meschach e Abednego preservati dal fuoco della fornace ardente, Collezione privata

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    Catechismo di Pio X

    «No, fuori della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come niuno poté salvarsi dal diluvio fuori dell'Arca di Noè, che era figura di questa Chiesa» (art. 169)

    Catechismo del Concilio di Trento

    «Quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell'arca» (art. 114 sulla cattolicità della Chiesa)

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    Allegoria del pontificato di Leone XIII, XIX sec., Palazzo del Laterano, Roma

    S. Pietro in trono con ai piedi il Beato Pio IX, XIX sec., Palazzo del Laterano, Roma

 

 
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