di Biagio Marzo


La lista Prodi, trovata di una notte di mezza estate, sta dimostrando la sua improvvisazione proprio nel corso della campagna elettorale. In politica non si improvvisa, bensì si costruisce dopo lunghe ed estenuanti discussioni di tesi, antitesi e sintesi. Questa lista è invece uscita come un coniglio dal cilindro del prestigiatore Prodi mentre il programma elettorale “L’Europa che vogliamo” è spuntato come Minerva dal cervello di Giove-Amato. Una cosa seria che hanno letto in pochi intimi: tre milioni di copie e pochi lettori. Per di più la lucida analisi è accompagnata da proposte concrete di cultura riformista. Nennianamente parlando, le idee camminano sulle gambe degli uomini. In questo caso mancano uomini che le diffondano.

L’opuscolo, scritto con il cervello, ha un difetto: è privo di cuore. Non scatena passioni, mentre il riformismo ha bisogno tanto di idee quanto di passioni. Senza le une e le altre i riformisti non hanno voce in capitolo e vivono in solitudine, proprio come l’autore del programma della Lista Prodi. In genere di questa situazione si avvantaggiano i massimalisti: poche idee, molto rumore e condanna alla sconfitta. Inutile dire che nemmeno il leader a cui la lista fa riferimento ha mai fatto cenno al programma di Amato, tantomeno al riformismo e ai riformisti. Il primo termine dovrebbe essere il suo cavallo di battaglia, il secondo la razza politica di cui detiene la leadership.

Per Prodi, la sua lista e l’Ulivo sono un grande disegno per dare stabilità al Paese, senza però spiegare la natura dei due soggetti. Non trova di meglio che riscoprire i guelfi e i ghibellini e la sua variante novecentesca tra cattolici e laici. Secondo lui, la lista unitaria e l’Ulivo dovrebbero porre fine alla disputa tra gli uni e gli altri e, alla fine della storia, “la gente si mette insieme per il futuro e non per il passato. Non per le radici, ma per i frutti. Conservatori con i conservatori, progressisti con i progressisti”. Cosa centri la querelle tra guelfi e ghibellini e il resto della tiritera, Dio solo lo sa. Ha affermato di guardare al futuro e non al passato eppure nella sua analisi è partito dalle lotte del Medioevo.

Per realizzare il futuro è necessario conservare il passato. Nella fattispecie, un movimento e un partito senza radici sono senza storia. Sono espressioni della caducità del momento politico. Romano Prodi ignora i riformisti e la cultura riformista perché è alleato dei massimalisti. Ecco perché gli conviene parlare di quant’altro per non evidenziare le contraddizioni della sua lista e nell’Ulivo. Non avendo una chiara e forte identità non riesce a calamitare gli elettori e i gruppi dirigenti rimangono senza passione politica. La politica con la ‘P’ maiuscola non si costruisce senza leadership. E il professore con la politica non ha molto a che fare.

Probabilmente dopo le elezioni ci sarà una resa dei conti, visto che ha voluto imporre il proprio punto di vista nella formazione delle liste europee. Per dirne una, l’esclusione di Piero Fassino come capolista non è stata per nulla digerita dai Ds. Massimo D’Alema, per ora, gli tiene bordone per bloccare ogni gioco che potrebbe penalizzarlo. I due si sono legati, metaforicamente, per la vita e per la morte. Non a caso la politica, si dice, è l’arte del possibile.