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  1. #11
    SENATORE di POL
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    dal quotidiano l'Arena

    " Europa in cerca di modello



    Di Carlo Pelanda



    Le elezioni europee di sabato e domenica prossimi cadono nel momento in cui l’Unione europea è in bilico tra modelli diversi come mai lo è stata in precedenza. Ritengo utile dare ai lettori-elettori i termini di riferimento per valutare meglio questa situazione.

    Sul piano politico l’alternativa è tra un modello federale ed uno intergovernativo. Nel primo le nazioni dovrebbero progressivamente conferire la loro sovranità ad un governo unico europeo. Nel secondo mantengono la sovranità conferendone dei pezzi ad un agente europeo in cui, però, pretendono una rappresentanza nazionale con diritto di veto. La formazione dell’Unione europea si è interrotta perché le nazioni non hanno voluto passare dal secondo modello al primo. Infatti, con una battuta, si può dire che oggi l’Europa è molto più di un’alleanza, ma molto meno di un’unione. La Costituzione europea in discussione, in realtà, non crea un’Europa federale, ma cerca solo di dare un minimo di coesione in più al modello intergovernativo. Un sintomo della rinuncia di fatto a quello federale viene dal fatto che i poteri delle istituzioni sovranazionali europee sono sempre di più ridotti (Commissione) o non attivati (europarlamento) mentre quelli dei tavoli intergovernativi (Consiglio dei governi, Ecofin, ecc.) sono in aumento. Quindi si potrebbe dire che l’Unione si sta trasformando in un’alleanza tra nazioni che è vincolante su molti temi, ma senza vero trasferimento di sovranità ad un governo sopranazionale.

    Tale tendenza già emerse nel 1997 (Trattato di Amsterdam) quando si cercò di definire il sistema di governo politico dell’economia europea che si stava per dare una moneta unica. Le nazioni non vollero accettare un governo centrale dell’economia e per questo dovettero ricorrere ad un meccanismo molto rigido di controlli per difendere la stabilità dell’euro: il Patto di stabilità che semplicemente impedisce il deficit pubblico alle nazioni qualsiasi cosa succeda ed una missione solo restrittiva, cioè senza quella stimolativa, alla Banca centrale europea. Quando si dice che il “Patto” è stupido si intende questo: l’impossibilità di dare un governo politico all’economia europea ha reso necessaria l’adozione di un meccanismo poco modulabile e repressivo. Quindi impoverente. E tale impossibilità è dipesa dalla non scelta tra modello federativo ed intergovernativo. In quegli anni si disse che proprio le esigenze di gestione della moneta unica avrebbero costretto i governi ad optare per un modello federale. Ma ciò non è successo.

    In sintesi, dopo la moneta unica non è possibile solo un’alleanza tra nazioni, ma queste non riescono e non vogliono formare un governo unico europeo. Si tenta ora di risolvere tale problema creando un più forte accordo tra nazioni solo per l’economia in sede di tavolo intergovernativo. Quindi lo scenario probabile a partire da queste osservazioni è quello di un’Europa che si darà solo strutture minime di coesione, ma non massime. Che implica l’idea di rendere l’Europa un’area economica, ma non una di unione politica. Vuol dire che le nazioni collaboreranno sul serio per evitare disastri monetari, ma su tutto il resto si negozierà volta per volta . La valutazione tecnica di tale tendenza non è negativa. L’Europa non riesce a darsi un modello, ma dimostra una notevole capacità pragmatica di trovare accordi che tengono stabile in qualche modo il sistema. Tuttavia, l’assenza di un modello o in un senso o nell’altro impedisce lo sviluppo dei potenziali massimi dell’area economica europea: mercato unico, sinergie di sviluppo, forza negoziale per immettere regole favorevoli nel sistema del commercio globale, ecc. Questa, in sintesi, è la situazione concreta dell’Europa che sarà l’oggetto del voto di sabato e domenica prossimi.

    www.carlopelanda.com
    "


    Saluti liberali

  2. #12
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    Predefinito Re: i costi sociali della crescita

    [QUOTE]In origine postato da tucidide
    [B]
    In origine postato da Pieffebi
    dal quotidiano IL GIORNALE


    " [i] il Giornale del 11/06/2004


    --------------------------------------------------------------------------------

    L'economia italiana torna a crescere
    Aumentano produzione, investimenti e consumi. La Bce e l'Istat: la ripresa si rafforzerà nel 2005
    Antonio Signorini
    --------------------------------------------------------------------------------

    In Europa l'economia rialza la testa e anche in Italia si riaccendono i motori della produzione, soprattutto grazie alle famiglie che consumano di più e agli investitori che sono tornati sui mercati.etc-

    ...............

    L'Italia magari a fine anno andrà benino, però ancora oggi i segnali sono contradditori:

    dal sito del Corriere (Ultim'ora)

    Economia

    11 giu 12:01 Ocse: superindice, +0,3% in aprile. In controtendenza l'Italia


    PARIGI - Cresce con qualche segnale di debolezza l'economia nei Paesi dell'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Il superindice ad aprile segna un aumento dello 0,3 a 124 punti. Cresce l'area euro che passa da 122,8 a 123,2. In controtendenza l'Italia, il cui indice scende dello 0,4 a 107,3 da 107,7 di marzo. Il superindice Ocse e' un indicatore composito che misura l'attivita' economica dei paesi industrializzati. (Agr)

  3. #13
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    Forti, ste pollisti.

    Tre anni fa ci avevano promesso che grazie a loro saremmo diventati la locomotiva d'Europa: bastava metterne un po' di loro, gli "uomini del Fare", al posto giusto, e oplà, il gioco e fatto, vai col Pil al 4%.

    Poi dicevano che eravamo davvero la locomotiva d'Europa, solo che i faziosi catastrofisti truccavano le cifre per fare terrorismo psicologico sulla popolazione.

    Poi hanno ammesso che le cifre dei "catastrofisti" erano vere, ma si consolavano dicendo che comunque eravamo meglio degli altri.

    Poi si scopre che non eravamo come gli altri, eravamo peggio, e allora il Pieffebi si affanna a postare articli che dicono che tutto va male.

    Poi si scopre che gli altri sono già in ripresa da alcuni mesi, siamo rimasti solo noi che stiamo puntando dritti a un mare di cacca.

    Ma allora, se Berlusconi non conta un kazzo, cosa ce lo avete mandato lì a fare, a mandarci gli sms per chiederci di rivotarlo?


    Dai, amici pollisti, vedete di rinfrescarvi le idee con uno che non è un venditore di tappeti come il vostro Magalli della politica.

    Economia, Prodi: profumo di ripresa in Europa ma non in Italia
    NAPOLI (Reuters) - L'Italia sta perdendo il treno della ripresa economica che attraversa l'Europa a causa delle scelte del governo che hanno portato sfiducia e divisione, secondo il presidente della Commissione europea Romano Prodi.


    "Il peggio per l'economia europea è ormai passato. La Germania ha ricominciato a crescere trascinata dalle esportazioni. La Francia va ancora più forte. In tutta Europa sentiamo profumo di ripresa. in Italia no. Ce l'hanno detto, da ultimo, la Banca d'Italia e l'Istat", ha detto Prodi chiudendo a Napoli la campagna elettorale della lista 'Uniti per l'Ulivo' per le elezioni europee di domani e dopodomani.


    "L'Italia ha il freno tirato, l'Italia ha le pile scariche. E si capisce perchè. Il paese ha perso fiducia, è scosso da una politica che, invece sull'unione, ha puntato sulla divisione", ha aggiunto l'ispiratore della lista di centrosinistra.


    In merito all'annunciata riduzione delle imposte da parte del governo, Prodi spiega che va bene "ridurre le tasse, ma non quelle sui pià ricchi perché se vogliamo ridare competitività alle aziende, promuovere l'occupazione e sostenere i consumi, sono le tasse sul lavoro che dobbiamo ridurre. Concentrare gli incentivi e i crediti fiscali sulla ricerca e sull'innovazione".


    Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha annunciato dal 1 gennaio 2005 una riduzione delle aliquote Irpef per circa 12,5 miliardi

  4. #14
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    Rispetto all'economia globale l'Europa è ancora in stagnazione, la sua ripresa, in termini relativi è embrionale, tendenzialmente stitica. La duratura stagnazione europea è causata, sostanzialmente, da un modello politico – simile in Francia, Germania ed Italia che insieme fanno circa il 70% del Pil dell’eurozona – che non favorisce consumi ed investimenti. Il modello pesante e poco efficiente di Stato sociale è una delle cause fondamentali del male. In Germania il governo socialdemocratico sta riformando quel tanto di stato sociale che gli riesce, e questo fa bene all'economia tedesca (ex locomotiva d'Europa) in recessione nel 2003. In Italia anche se individuata la malattia, nessuno riesce a proporre o ad attuare la cura. La medicina della liberalizzazione – che aumenta gli spazi per l’impresa e le opportunità, quindi per nuovi investimenti – è duramente contrastata dalla sinistretta reazionaria tramite le associazioni sindacali colletarali, innanzi tutto la CGIL. La strategia della sinsitretta è la stessa di sempre: "senza di noi non si governa", e senza di noi "il conflitto sociale è assicurato". Non a caso il capitalismo "old" del Paese ha riesumato la "concertazione", una specie di richiesta di tregua.
    In tale contesto è senza dubbio largamente inadeguata la spinta riformatrice del governo. La sinistretta però per governare avrà bisogno di un'ampio schieramento dal conservatore Dini al rivoluzionario classista Bertinotti, passando per i movimenti..... Già nel 1998 sulla riduzione dell'orario di lavoro abbiamo sperimentato la capacità di tenuta di quel "fronte", e si era in un periodo in cui l'economia mondiale era in crescita e la situazione finanziaria internazionale, seppur con oscillazioni paurose, attraversava un decennio d'oro.
    Non essendo in grado davvero di cambiare lo stato assistenziale in un moderno stato sociale (la difesa corporativa delle pensioni di anzianità lo dimostra) la sinsitretta italica ha approfittato di una fase internazionale di tassi in decrescita, e ha agito su leva fiscale e giuochetti contabili (nuovi debiti portati in detrazione al debito) per tenere e rientrare nei parametri di accesso ad Eurolandia. Le pretese riforme di semplificazione e riduzione del peso dell'apparato statale, a parte le svendite agli amici degli amici, si sono tradotte in ben poco, tanto è vero che l'inefficienza della pubblica amministrazione resta uno dei principali handicap per la competitività del sistema italia.

    Saluti liberali

  5. #15
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    In origine postato da Pieffebi
    ...................... In Italia anche se individuata la malattia, nessuno riesce a proporre o ad attuare la cura. La medicina della liberalizzazione – che aumenta gli spazi per l’impresa e le opportunità, quindi per nuovi investimenti – è duramente contrastata dalla sinistretta reazionaria tramite le associazioni sindacali colletarali, innanzi tutto la CGIL. La strategia della sinsitretta è la stessa di sempre: "senza di noi non si governa", e senza di noi "il conflitto sociale è assicurato". Non a caso il capitalismo "old" del Paese ha riesumato la "concertazione", una specie di richiesta di tregua.
    In tale contesto è senza dubbio largamente inadeguata la spinta riformatrice del governo. .........
    Saluti liberali
    Sono balle: il governo avrebbe dovuto varare le riforme di cui parli già nei primi 2-3 anni della legislatura, considerando la maggioranza parlamentare di cui dispone e le capacità comunicative del suo Presidente del Consiglio, che sarebbero state di grande aiuto nello spiegare agli italiani misure anche impopolari, ma efficaci.

    Invece, niente di tutto cià è avvenuto: inutile giustificarsi dicendo che è colpa dell'opposizione. L'opposizione, giusto o sbagliato che sia, fa il suo mestiere, ma non ha i numeri per opporsi ad una seria e forte volontà riformatirce.
    E' il governo che dovrebbe fare meglio il suo. Decisamente meglio di quel poco (e male ) che fa.

    Pfb, ormai è un anno che ti vedo scrivere sempre delle cose che il governo dovrebbe fare e non fa. Comincio a sospettare che queste cose non le faccia, nè domani, nè dopo.

    Invece di perdere mesi ad occuparsi di Cirami, falso in bilancio, Lodo Schifani ed altre leggine simili, avrebbe elaborare ed attuare un vero programma riformatore e liberalizzatore, tenendo conto anche delle mutate condizioni economiche e politiche internazionali (leggi: 11 settembre 2001).

    Ora, con le scadenze elettorali che si susseguiranno, sarà ben difficile fare le riforme. Inoltre, stando ai sussurri che provengono anche dalla maggioranza (es. Buttiglione), l'urgenza principale nelle prossime settimane, sarà quella di una manovra correttiva per evitare che il rapporto deficit/PIL superi il 3%.
    Altro che riduzione delle tasse!!!

  6. #16
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    NON ho scritto da nessuna parte che se il governo attua in modo parziale, lento, insufficiente e impacciato le riforme liberali...."è colpa dell'opposizione". Questa è una tua lettura piuttosto buffa, anche perchè se in Italia questo problema è particolarmente accentuato esso non è affatto esclusivamente nazionale, ma più propriamente comune all'europa continentale e all'Eurozona.

    Quanto alla strategia della sinistra italica, nei suo storico modo di concepire le"relazioni industriali" e la gestione politica dei rapporti economico-sociali ....Non si tratta affatto balle, bensì dati di fatto. Lo si è visto benissimo in tutti questi anni [compresi quelli dei governi ulivisti], pur nei diversissimi contesti di tasso di sviluppo dell'economia mondiale.
    E la strategia della sinistretta è evidente: promuevere il conflitto sociale quando è all'opposizione e gestirlo e contenerlo quando è al governo, facendo passare misure che non si consentirebbe all'avversario di adottare. Ci sono stati aumenti di scioperi, pur in situazioni distanti dai rinnovi contrattuali, negli anni scorsi, dell'ordine del 400%....... Quando la Fiat "smaltiva" le sue eccedenze di personale negli anni dell'Ulivo nell'ordine di decine di migliaia di unità, non un'ora di sciopero fu promossa dalla CGIL e dagli altri sindacati. Come la Fiat deve proporre, stante una crisi mortale, una strategia di ristrutturazione che preserva il più possibile i posti di lavoro....ma al governo c'è il CentroDestra....ecco la CGIL scatenare il finimondo...
    Questi dati di fatto hanno esempi molto antichi, dai "sabati comunisti" dell'immediato dopoguerra, alla "strategia dell'EUR" degli anni settanta con la "politica dei sacrifici" che Lama e Berlinguer imponevano ai lavoratori....in cambio dell'ingresso del PCI e delle "forze del movimento operaio" nell'area di governo...

    Saluti liberali

  7. #17
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    dal quotidiano IL GIORNALE di oggi ecco un articolo molto interssante del buon Talamona......

    " il Giornale del 07/02/2005


    --------------------------------------------------------------------------------

    L'eredità di Prodi
    Mario Talamona
    --------------------------------------------------------------------------------

    Potrebbe accadere anche in Italia? È vero che il «diritto alla felicità» costituzionalmente più antico si trova nella Magna Charta degli Stati Uniti. Ma è anche vero che, in America, è proverbiale chiedersi se, da qualcuno, si acquisterebbe o no un'auto usata. Comunque, almeno in economia, la «felicità» bisogna conquistarsela. L'Italia se la merita. Ma, carta canta, è precisamente quello che l'Europa ha mancato di fare soprattutto negli ultimi cinque anni, con il «grande fallimento» degli sforzi per superare entro il 2010 gli Usa come economia più competitiva del mondo.
    Questo traguardo alquanto ambizioso se non fantascientifico, di sicuro molto impegnativo, era stato indicato dai capi di Stato e di governo dell'Unione (allora a 15) nel 2000, all'estuario del Tago, con la cosiddetta «Agenda di Lisbona» centrata sugli obiettivi dei posti di lavoro e della crescita. Ciò che è mancato sono però gli sforzi. Per la verità, questo «fallimento» era stato ammesso verso la fine di ottobre dell'anno scorso dal presidente in carica della Commissione Europea, che ne aveva dato la colpa ai veti nazionali incrociati e alla paralisi delle riforme. Sebbene, sempre per la verità, si debba aggiungere che l'impulso della Commissione non è stato neppure avvertito e che quel fallimento indicava, a giudizio quasi unanime, mancanza di impegno e di volontà politica.
    Tanta, è vero che, in vista del G7 di sabato scorso a Londra, i ministri dell'Economia di Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia hanno sottoscritto una lettera pubblicata sul Sole240re di venerdì con un titolo eloquente: «Avanti con le riforme per un'economia aperta». Qui, adesso, conta certamente l'ottimismo di cui il G7 ha dato prova, sia per la ripresa economica mondiale, sia per il «consolidamento della crescita» in Europa. Come ha precisato il ministro Siniscalco, pur con un tasso di crescita insoddisfacente, l'Europa sta meglio di tre anni fa: un 1,3-1,4 per cento non è lo 0,3-0,4 precedente. Per conto nostro, ci si dovrebbe decidere ad abbandonare quella «semantica dell'eufemismo» (resa in altri campi involontariamente famosa da un best e long seller di Nora Galli de' Paratesi, austera collega universitaria di Siniscalco a Torino) per cui si confonde ripresa congiunturale e crescita di lungo periodo. Ma non facciamo nominalismi!
    Quello che conta è la sostanza. E la sostanza in Europa è, per esempio, che la Germania ha 5 milioni di disoccupati, cifra da anni '20: cioè, come si dice finalmente anche a Berlino, «5 milioni di ragioni per riformare tanto il mercato del lavoro, quanto il Welfare». La sostanza è che il tasso di crescita (parola giusta) del Pil nell'Europa a 15, in continua diminuzione fino al 1991-95, dal 1971-80 è inferiore in misura crescente a quello Usa. La crescita della produttività del lavoro (prodotto per addetto) in Europa, maggiore di almeno 4 punti percentuali rispetto a quella americana nel 1966-70 e da allora in caduta libera, crollata di nuovo nel '96-2002 ed è inferiore di un buon punto in confronto agli Usa: la metà, 1:2. Intanto certe proiezioni a lungo termine suggeriscono - con tutti i se e tutti i ma - che il Pil Usa potrebbe anche passare da 10 a 35 trilioni di dollari (cioè, in America, 35 volte mille miliardi) verso la metà del secolo. Ma quello della Cina, se e ma..., potrebbe sorpassare il Pil del Giappone già fra un decennio e, in orbita, superare gli Usa intorno al 2040, salendo oltre i 40 trilioni di dollari al giro di boa.
    Intendiamoci, previsioni a così lunga gittata i «futurologi», non gli economisti, le fanno anche e soprattutto per sbagliarle. La loro spesso volatile inconsistenza è però inferiore a quella di certi discorsetti furbescamente infantili sulla... «felicità»: sulla quale sarebbe meglio non scherzare. Ma ne basta e avanza per capire la «missione» che la nuova Commissione europea presieduta da José Manuel Barroso ha dovuto per forza darsi, con un piano d'azione di emergenza, non di vacui e trascurati propositi, che pone la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, e quindi la competitività, come obiettivi fondamentali. Con l'imdegno di completare il mercato unico per i, servizi, di semplificare le normative europee e nazionali, di promuovere la ricercà high-tech (compresa l'ambizione di creare un Massachusetts Institute of Technology, ún' Mit europeo), di incoraggiare la flessibilità ecc.
    Vedremo. Quello che già si vede è la drammatica urgenza di cambiare rotta, di non fallire gli obiettivi, di mantenere le promesse. Insomma, di recuperare il tempo... «felicemente» perduto.
    "

    Saluti liberali

  8. #18
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    Predefinito I 18 milioni di italiani "quasi poveri"

    La “quasi seria” ricerca dell’Eurispes

    L’Eurispes ha preparato un rapporto sull’Italia che più nero non potrebbe essere. E’ stato sintetizzato con una frase ad effetto “in Italia ci sono 14 milioni di quasi poveri”.
    Che cosa vuol dire “quasi poveri” nel linguaggio sociologico statistico di questi ricercatori iperpessimisti?
    Scorrendo la ricerca lo si capisce.
    Sono in questa condizione di “quasi povertà” le famiglie che non raggiungono un reddito mensile di 3 mila euro. Per vivere in modo decente, infatti, ce ne vorrebbero almeno 3.044. Basterebbe dire che ce ne vogliono 4.000 e i semipoveri diventerebbero la maggioranza.
    La causa di questa situazione disastrosa sarebbe la re-flazione, una formula nuova che significa la somma della recessione (che c’è solo per l’Eurispes) con una “forte inflazione”, che per la verità e per le altre centrali di ricerca, dall’Istat alla Banca d’Italia, è attorno al 2 per cento, perfettamente in linea con il resto d’Europa.
    Contemporaneamente sono stati diffusi i risultati di una ricerca della Banca d’Italia che certifica come sia cresciuta la massa monetaria circolante insieme alla propensione al risparmio attraverso tutti gli strumenti. Le famiglie italiane, che secondo Eurispes non riescono a sbarcare il lunario, secondo Bankitalia hanno ripreso ad acquistare azioni, rimangono fedeli ai vecchi Bot, e non disdegnano di acquistare titoli ed emissioni obbligazionarie delle amministrazioni pubbliche.
    Impressioni analoghe escono dalle indagini dell’Eurostat, dell’Isfol, dell’Istat e del Cnel.
    Tuttavia Eurispes non potrà essere accusata di manipolazione dei dati, proprio perché ha usato l’avverbio onnicomprensivo “quasi” che non è certo scientifico, ma permette ogni licenza e ogni esagerazione.
    Anni fa un quotidiano di sinistra commentò l’esito di un referendum bocciato spiegando che aveva ottenuto il consenso di “quasi più della metà” degli elettori.
    Allo stesso modo, e senza mancare di rispetto a nessuno si potrebbe sostenere che le ricerche dell’Eurispes sono quasi serie e che la metodologia che seguono è quasi scientifica.

    su Il Foglio

    saluti

  9. #19
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    dal quotidiano LIBERO di oggi, 19 febbraio 2005:

    " Crescono tutti. Tranne la vecchia Europa

    di ATTILIO BARBIERI

    MILANO - Corrono tutti, inclusi i Paesi del Sudamerica che sono reduci dalla peggiore crisi del dopoguerra. Crescono perfino gli ex Paesi satelliti dell'Urss. Non l'Europa. Nella geografia economica mondiale, in effetti, il Vecchio Continente rischia di sparire. Se non in senso letterale, per lo meno dall'elenco dei Paesi che hanno una crescita economica degna di essere censita. A documentare questo fenomeno anche il settimanale The Economist , che nel numero attualmente in edicola ha fornito l'elenco aggiornato delle economie più dinamiche. Quelle con il Pil in forte aumento. alla lunga sequela di dati [..] emerge un fatto atteso ma solo in parte. Per il resto del mondo non c'è crisi, anzi: una fetta consistente del Pianeta sta vivendo un periodo di espansione fortissima. A guidare il gruppo è, naturalmente la Cina, con una produzione industriale in aumento del 20% nel mese di gennaio e un Pil ( Prodotto interno lordo) a 9,5%. Crescono anche l'India, e le tigri asiatiche. Ma procedono assai speditamente un po' tutte le economie sudamericane. Argentina, Brasile, Cile, Colombia e Perù registrano tassi di sviluppo da un minimo del 2,4 a un massimo dell' 11,2 per cento. In Africa, le economie più forti ( in relazione alla media del continente Nero) vanno assai bene, con l'Egitto e il Sudafrica in crescita del 4,7%. Perfino la disastrata Russia, alle prese con crack finanziari ( Yukos) e un apparato produttivo tuttora ammalato di inefficienza cronica, vive un periodo positivo. Assieme ad alcuni ex satelliti come Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. Insomma, quel che noi europei abbiamo assunto come scusa per giustificare il nostro incedere stentato - le tensioni internazionali, la guerra in Iraq, l'alto costo del petrolio e delle materie prime, la concorrenza delle tigri asiatiche - evidentemente non ha lo stesso effetto sul resto del mondo. E il divario di trend non si può spiegare solamente con la differenza abissale nel costo del lavoro. Altrimenti non crescerebbero neppure gli Stati Uniti ( Pil a 3,9%, produzione industriale a 5,2%). Il costo degli operai americani è imparagonabile rispetto a quello dei loro " colleghi" indiani, cinesi e pakistani. L'unica differenza, quella che potrebbe giustificare la differenza di passo, sta nella camicia di Nesso che il Vecchio Continente ha indossato adottando il Patto di stabilità . E nonostante due delle maggiori economie di Eurolandia - Germania e Francia - abbiano sforato il limite del 3% dell'extra- deficit sul Pil la produzione industriale, la domanda di mercato e i consumi interni sono s t ag n a n t i . La Vecchia Europa, vincolata ai paletti dei trattati, non riesce più a generare ricchezza diffusa ed è rimasta tagliata fuori dalla fase di espansione che sta vivendo il resto del mondo. Non siamo soli, certo. Anche il Giappone non brilla, ma il divario fra mini- Eurolandia e Paesi che procedono a passo spedito resta inalt e r at o. Ora però corriamo un altro rischio: nel momento in cui il vento della crescita dovesse girare - questa volta sì a livello planetario - noi che non lo abbiamo mai intercettato, ci troveremmo alle prese con una recessione. E già accaduto in passato. E l'Europa ha impiegato lustri per riprendersi.
    "


    Saluti liberali

  10. #20
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    " La priorità della Bce è politica non tecnica



    Di Carlo Pelanda (4-12 -2005) "

    Saluti liberali



    Cosa c’è sotto il nervosismo degli eurogoverni e degli economisti che ha accompagnato l’aumento del costo del denaro dal 2 al 2,25%, annunciato dalla Bce giovedì scorso? C’è una questione complicata, ma che va semplificata per permettere a tutti di valutarla data la sua rilevanza.

    Il punto di dissidio tra governi e il presidente della Bce, Trichet, è il seguente. La crescita economica media corrente nell’eurozona è minima. I governi, di qualunque colore e con eccezioni solo minori, non hanno alcuna speranza di poter far crescere investimenti e consumi interni. Perché le riforme di efficienza sono contrastate da maggioranze sociali con una ansietà tale da far loro preferire il mantenimento delle vecchie garanzie al costo del declino economico piuttosto che il rischio di vederle ridotte in cambio di più opportunità di ricchezza nel futuro. La società europea è sfiduciata nonostante la fine dei motivi tecnici del pessimismo: dal 2003 nel mercato globale, nel 2005 nella stessa Europa dove le cose stanno andando un po’ meglio. Ma non così bene, appunto, da poter sperare di spuntare una crescita sufficiente, senza riforme di impulso, tale da sanare l’impoverimento o la disoccupazione che negli ultimi anni hanno colpito circa il 25% della popolazione dell’intera eurozona. In sintesi, c’è una ripresina, ma non il consenso per trasformarla in boom via detassazione e/o liberalizzazione né la sovranità economica per accendere deficit stimolativi, per esempio grandi lavori pubblici, perché il Patto di stabilità li vieta. In queste condizioni resta solo un modo per fare crescita: quella trainata dalle esportazioni. Ma per ottenerla il cambio dell’euro deve scendere sul dollaro affinché l’export divenga più competitivo. E per riuscirci si dovrebbero tenere i tassi dell’euro un po’ più di due punti sotto quelli del dollaro perché ciò sposta i flussi di capitale globalizzato dal primo al secondo, alzandone il cambio. Ma, invece di tenere fermi i tassi per aiutare la ripresa, la Bce li ha alzati. La motivazione nominale è che prevede una crescita media dell’eurozona, nel 2006, di circa il 2,5% con un rischio che l’inflazione aumenti un pelino tra 18 mesi. Aggiungendo che bisogna agire con molto anticipo per frenarla. Qui sono insorti gli economisti: al momento il rischio di inflazione non c’è, quello prospettico è assorbibile, comunque è minore di quello di soffocare sul nascere la ripresa. C’è il sospetto che Trichet abbia alzato i tassi senza necessità. Ma lo ha fatto di poco. Due letture: (a) all’interno della Bce ha avuto uno scontro con chi voleva - i fondamentalisti dell’inflazione zero anche se costa sangue - un rialzo omicida perfino più grosso e ha scelto quello minimo per poi non farne più e così tenere una politica monetaria stimolativa per tutto il 2006; (b) ha voluto dare il segnale che vuole un valore di cambio alto dell’euro e che devono essere i governi a forzare le riforme di efficienza per fare più crescita interna. Nel primo caso, se verrà confermato, Trichet va capito e lodato. Nel secondo, invece, andrebbe redarguito ed avvertito. L’Europa non è in una situazione normale. La Germania deve finanziare il consenso di più di 5 milioni di disoccupati strutturali per evitare rivolte. La Francia ha un problema perfino peggiore. Altre nazioni cominciano ad averne di simili. O cresciamo e diamo ricchezza agli impoveriti oppure il rischio politico si farà rovente. Ed i governi, impotenti nel riformare, incolperanno la Bce e l’euro anche se questi sono innocenti, veri colpevoli i modelli nazionali e le regole assurdamente vincolanti dell’euromoneta. Infatti Moody’s, per la prima volta, non esclude la dissoluzione dell’euro per motivi politici. Conclusione: Trichet deve decidere se correre il rischio di una finis europae, la Bce unico vero organo di governo paneuropeo, per evitare quello di un po’ di inflazione o accettare il secondo per annullare il primo. Questa è la vera questione: la priorità della Bce non è “tecnica”, ma “politica”: privilegiare la stabilità all’Europa su quella, pur entro limiti di sicurezza, della moneta. Non si riesce a capire quanto Trichet ne sia consapevole.

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    Saluti liberali

 

 
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