Nel 1857, commentando gli avvenimenti in Cina, durante la seconda guerra dell’oppio, scatenata dall’Inghilterra e dalla Francia, con l’appoggio di Russia e Stati Uniti, Friedrich Engels, in totale accordo con Marx, scrisse parole che si adattano perfettamente alla situazione nel Vicino e Medio Oriente, particolarmente ai movimenti che si svolgono in Palestina, in Iraq e in Afghanistan:

Oggi, fra i cinesi, regna manifestamente uno stato d’animo ben diverso da quello della guerra 1840-42. Allora il popolo non si mosse: lasciò che i soldati imperiali lottassero conto gli invasori e dopo ogni sconfitta si inchinò con fatalismo orientale alla volontà superiore del nemico. Ora invece... le masse popolari partecipano attivamente, quasi con fanatismo, alla lotta contro lo straniero. Con fredda premeditazione, esse avvelenano in blocco il pane della colonia europea di Hongkong... I cinesi salgono armati sulle navi mercantili, e durante il viaggio massacrano la ciurma e i passeggeri europei. Si impadroniscono dei vascelli. Rapiscono e uccidono qualunque straniero capiti vivo nelle loro grinfie. Perfino i coolies a bordo delle navi-trasporto degli emigranti si ammutinano come per un’intesa segreta; lottano per impossessarsi degli scafi; piuttosto che arrendersi, colano a picco con essi o muoiono nelle loro fiamme. Anche i coloni cinesi all’estero - finora i sudditi più umili e remissivi - cospirano e, come a Sarawak, insorgono in brusche rivolte o, come a Singapore, son tenuti in scacco solo da un rigido controllo poliziesco e dalla forza. A questa rivolta generale contro lo straniero ha portato la brigantesca politica del governo di Londra, che le ha imposto il suggello di una guerra di sterminio. Che cosa può fare un esercito, contro un popolo che ricorre a questi mezzi di lotta? Dove, fino a che punto, deve spingersi in territorio nemico? Come può mantenervisi? I trafficanti di civiltà, che sparano a palle infuocate contro città indifese, e aggiungono lo stupro all’assassinio, chiamino pure barbari, atroci, codardi, questi metodi; ma che importa, ai cinesi, se sono gli unici efficaci? Gli inglesi, che li considerano barbari, non possono negar loro il diritto di sfruttare i punti di vantaggio della loro barbarie. Se i rapimenti, le sorprese, i massacri notturni, vanno qualificati di codardia, i trafficanti in civiltà non dimentichino che... i cinesi non sarebbero mai in grado di resistere, coi mezzi normali della loro condotta di guerra, ai mezzi di distruzione europei. Insomma, invece di gridare allo scandalo per la crudeltà dei cinesi..., meglio faremmo a riconoscere che si tratta di una guerra pro aris et focis, di una guerra popolare per la sopravvivenza della nazione cinese – con tutti i suoi pregiudizi altezzosi, la sua stupidità, la sua dotta ignoranza, la sua barbarie pedantesca, se volete, ma pur sempre una guerra popolare. E, in una guerra popolare, i mezzi dei quali si serve la nazione insorta non si possono misurare né col metro d’uso corrente nella guerra regolare, né con altri criteri astratti, ma solo col grado di civiltà che il popolo in armi ha raggiunto.

Dal confronto con queste parole di Engels le analisi e i comportamenti vergognosi della sinistra ufficiale risultano a dir poco vergognosi. Ma altrettanto vergognose sono le posizioni dell’estrema sinistra: da Rifondazione a Lotta comunista, organizzazioni che si dicono anticapitalistiche e antimperialistiche, internazionaliste e rivoluzionarie, si sono accodate di fatto alla propaganda della sedicente «guerra al terrorismo», prendendo con i più vari pretesti le distanze da alcuni metodi impiegati dalle masse popolari e dalle loro organizzazioni contro la potenza militare dell’imperialismo americano e dei suoi alleati. Condannando il terrorismo queste forze sono risalite sul carro, ammesso che ne siano mai scese, dell’umanitarismo perbenista, che darà il segno alla manifestazione di Roma del 4 giugno contro la visita di Bush. Ebbene, la condanna del terrorismo, oltre a essere insensata – in quanto il terrorismo è un mezzo e non un fine, da valutare quindi con riferimento all’obiettivo che si prefigge –, ha come risultato pratico quello di equiparare, nello stesso anatema, oppressi e oppressori. Esiste infatti – ed è certamente il fenomeno più consistente –

il terrorismo delle grandi potenze e dello Stato d’occupazione sionista, che, con il semplice possesso di arsenali stracolmi di armi di distruzione di massa, di basi militari, di flotte navali e aeree, tengono schiacciati sotto il loro tallone popoli inermi e masse di sfruttati. Esiste poi il terrorismo delle bande armate organizzate dai gruppi d’interesse che si contendono mercati e affari soffiando sul fuoco delle rivalità etniche e religiose. Ed esiste infine il ricorso al terrore – controterrorismo va definito – da parte di popolazioni che non hanno altro mezzo per affermare la propria esistenza di fronte alle preponderanti forze degli oppressori. È quindi evidente che la condanna del terrorismo da parte dell’estrema sinistra serve solo a due cose: da un lato, essa serve a nascondere la vacuità – contro lo sfruttamento capitalistico internazionale e la sua immensa macchina da guerra, contro le sue occupazioni militari e le sue imposizioni di confini di comodo – di indicazioni come la ripresa delle lotte sindacali operaie o del sostegno al movimentismo pacifista; dall’altro lato, la condanna del terrorismo serve a giustificare una sostanziale impotenza e indifferenza di fronte all’oppressione di popoli che non hanno ancora improntato la loro lotta alle «buone maniere», cioè alle regole volute dai dominatori.

Graphos Genova, 2 giugno 2004