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    Predefinito La Svolta e il Futuro dell'Irak

    dal sito del quotidiano dei vescovi cattolico-romani d'Italia:

    " IL SUMMIT DI PARIGI
    Il presidente francese chiede ancora tempo: gli iracheni devono avere pieni poteri. Il capo della Casa Bianca: le truppe lasceranno Baghdad non appena ce lo chiederanno

    Chirac apre a Bush «Tra pochi giorni la risoluzione Onu»

    «Restano alcune differenze» Decisivo oggi in Normandia il vertice a quattro con il russo Putin e il cancelliere tedesco Schröder

    Da Parigi Daniele Zappalà

    «Le cose evolvono bene, le discussioni si svolgono nel miglior spirito e spero che arriveremo nei prossimi giorni a una risoluzione». È con queste parole, pronunciate a Parigi accanto all'«amico» George Bush, che il presidente francese Jacques Chirac ha dato ieri sera un'anteprima di ciò che appare già come il nuovo disgelo fra Washington e Parigi. La sfida del "faccia a faccia" di ieri fra i due presidenti si è giocata sul tavolo iracheno, a proposito di quella risoluzione Onu chiamata a sbloccare la transizione che appare adesso più vicina. Ma l'incontro all'Eliseo si è svolto sullo sfondo glorioso delle cerimonie per ricordare lo sbarco in Normandia di 60 anni fa. Un contesto propizio che il presidente americano George Bush sembra già aver sfruttato nel modo migliore, nonostante anche gli incontri - una sorta di maxi vertice - di oggi appaiano decisivi. Sulle coste francesi ci saranno anche il presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Quasi tutti gli uomini chiave, insomma, da cui dipende il destino della risoluzione sull'Iraq e ogni tentativo di ricucitura dei vecchi strappi transatlantici. Accompagnato in Francia dal Segretario di Stato Colin Powell, Bush ha a più riprese raccolto le calorose manifestazioni di riconoscenza di Chirac per l'eroismo alleato nella Seconda Guerra mondiale. Poi, il presidente americano ha fatto sapere che le forze della coalizione in Iraq «resteranno solo su richiesta del governo di transizione». In particolare, Bush ha indicato che uno scambio di lettere ha avuto luogo fra coalizione e governo iracheno a proposito delle modalità della permanenza delle truppe dopo il trasferimento di sovranità del prossimo 30 giugno. Bush ha anche espresso apprezzamento per la missiva del nuovo primo ministro iracheno che ha delineato «i parametri per la sicurezza e la cooperazione». Chirac non ha davvero risparmiato i segnali di concordia: «La Francia e gli Stati uniti hanno una storia comune da 200 anni» e sono ogg i «sulla stessa linea». Pur biasimando il «disordine» attuale in Iraq, Chirac vuole adesso «aprire la strada» a una democrazia e continua ad «esigere il ritorno alla piena sovranità del governo iracheno» e «il controllo sul loro destino». Dal canto suo, Bush ha fra l'altro detto di essersi «vergognato» per gli abusi dei soldati americani. Per lui, pur nelle «differenze», i due Paesi cooperano nella lotta al terrorismo. Da entrambe le parti, si era già gettato acqua sul fuoco. Chirac, in particolare, aveva dichiarato al network americano Nbc: «Come in tutte le famiglie, possono esserci difficoltà, punti di vista divergenti, ma l'unità è qualcosa che non è mai stata messa in dubbio». Rivolgendosi direttamente al pubblico statunitense, il capo dell'Eliseo aveva voluto assicurare quanto profonda sia la riconoscenza dei francesi per il sacrificio americano di 60 anni fa («una cosa molto, molto importante nelle nostre menti e nei nostri cuori»). Attorno all'Eliseo e all'ambasciata americana, distanti fra loro solo un paio di isolati, ieri è stato allestito un imponente cordone di sicurezza. Più di 5.000 poliziotti e 1.500 soldati hanno tenuto per ore una parte del centro di Parigi sotto strettissima sorveglianza. Tenuto a distanza, il principale corteo pacifista che si è sviluppato fra due simboliche piazze, Bastille e République, in corrispondenza dell'incontro pomeridiano Bush-Chirac. Solo un ricordo, ieri, le maree pacifiste dell'anno scorso. Oggi, in Normandia, gli effettivi schierati saranno circa 30.000. A difesa dei luoghi delle cerimonie saranno impiegati anche vari "droni", i sofisticati aerei militari senza pilota. Nel quadro delle commemorazioni, Bush dovrebbe mettere in sordina l'assimilazione fra l'attuale offensiva contro il terrorismo e gli scontri della Seconda guerra mondiale. L'atteso discorso di oggi a Colleville sur Mer si annuncia come un omaggio ai giovani soldati che hanno attraversato sessant'anni fa l'Atlantico per combattere l'occupazione nazist a e ai partigiani che hanno anch'essi preso le armi. Senza riferimenti espliciti, dunque, all'Iraq.
    "
    da www.avvenire.it

    Saluti liberali

  2. #2
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    dal principale quotidiano nazionale

    "
    Corriere della Sera del 08/06/2004


    --------------------------------------------------------------------------------
    Europa e Usa, il dovere di tentare insieme

    Due messaggi dalla Normandia
    Sergio Romano
    --------------------------------------------------------------------------------

    Due grandi ricorrenze storiche e la nobile retorica che accompagna inevitabilmente in queste circostanze gli incontri fra uomini di Stato hanno oscurato in parte il significato politico del viaggio in Europa del presidente americano. Bush attraversa un momento difficile. Deve affrontare il giudizio degli elettori e dimostrare che la sua amministrazione sa come uscire dal ginepraio iracheno. Ma il calendario politico-istituzionale del suo piano (trasmissione dei poteri a un governo iracheno, elezioni, assemblea costituente, nuove elezioni e nuovo governo) è credibile soltanto se avallato dall'Onu, vale a dire da quei Paesi del Consiglio di sicurezza che si erano opposti alla guerra dell'America in Iraq. Bush, quindi, è venuto in Europa per chiedere qualcosa a Francia, Germania e Russia (all'Italia, purtroppo, non aveva da chiedere nulla, se non la continuazione di una presenza militare che Berlusconi non è comunque in grado di negargli). Dietro il sipario della retorica, le manifestazioni normanne contenevano in realtà due eventi diversi: uno spettacolo sul proscenio in cui l'Europa ringraziava l'America per la sua generosità, e un altro nelle quinte in cui l'America chiedeva un prezioso aiuto politico ai rappresentanti di Paesi che sessant'anni fa ha combattuto o liberato.
    E' probabile che Bush abbia ottenuto ciò che desiderava. Francia, Germania e Russia non possono permettersi di apparire i sabotatori di un ragionevole processo di pace. La Francia, in particolare, ha negoziato duramente per ottenere che l'America garantisse maggiori poteri al governo iracheno e accettasse di fissare un limite alla presenza delle proprie truppe nel Paese. Ma non vuole ricominciare il duello della scorsa primavera e finirà per dare il proprio accordo. Vi sarà quindi una risoluzione e Bush, salvo incidenti dell'ultima ora, potrà annunciare agli elettori americani un piano che gode del sostegno della maggiore organizzazione internazionale.
    E' la soluzione del problema iracheno? Molto dipende da ciò che accadrà sul terreno nei prossimi mesi. Gli Stati Uniti concederanno al governo di Ayad Allawi una voce in capitolo nel problema dell'impiego dei loro soldati, ma l'uso della forza dipenderà in ultima analisi dal loro giudizio e dai molti imprevedibili pericoli che dovranno affrontare. E' difficile immaginare che essi neghino ai loro militari il diritto di reagire, anche se ciò comporta il rischio di danni per la popolazione civile. Molto dipende inoltre dalla capacità del piano americano di comporre le rivalità dei gruppi etnico-religiosi della società irachena. La guerra ha scoperchiato il vaso di Pandora e ha lasciato uscire all'aperto le aspre rivalità fra sunniti, sciiti, curdi e turcomanni. Molte insurrezioni e operazioni di guerriglia degli scorsi mesi hanno un nemico comune, l'America, ma danno l'impressione di essere una prova generale per la partita, molto più sanguinosa, che potrebbe giocarsi domani fra gruppi rivali. Le elezioni, in un Paese dove la maggioranza è sciita e il risultato del voto appare scontato, potrebbero essere il prologo di una micidiale guerra civile.
    Questi sono i rischi di domani. Ma nessuno di essi giustifica un atteggiamento scettico o, peggio, cinico. Possiamo avere molti dubbi sulla possibilità che il piano americano corregga gli errori di Washington. Ma nessun governo europeo può permettersi di voltare le spalle e lasciare che la maggiore potenza si tolga d'impaccio. Abbiamo il dovere di tentare, magari ricordando un motto di Guglielmo d'Orange all'epoca della guerra contro gli spagnoli. Disse: «Non è necessario riuscire per intraprendere» e il suo impegno, alla fine, fu premiato dal successo.
    "

    Saluti liberali

  3. #3
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    dal principale quotidiano nazionale

    " Corriere della Sera del 09/06/2004


    --------------------------------------------------------------------------------

    Il sollievo e la svolta
    Gianni Riotta
    --------------------------------------------------------------------------------

    Il sollievo per la liberazione di Salvatore Stefio, Maurizio Agliana e Umberto Cupertino, per la cui sorte abbiamo temuto dopo l'esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, rincuora nella difficile vigilia del G8 a Savannah, mentre il Consiglio di Sicurezza dell'Onu vota unanime la nuova risoluzione sull'Iraq. Sono ore cruciali per la guerra al terrorismo, la pace a Bagdad, e il dialogo Usa-Unione Europea. Ore tanto gravi da consigliare a governo e opposizione di celebrare insieme lo scampato pericolo, resistendo alla tentazione di arruolare i tre connazionali nella propaganda elettorale, come qualcuno purtroppo ha subito voluto fare. Se la collaborazione tra italiani, americani e iracheni ha funzionato a dovere, dovremmo piuttosto brindare a un simbolo di lavoro comune, senza grette polemiche di parte. La realtà resta dura, ieri in Iraq sono caduti polacchi, slovacchi e lettoni, accanto ad americani e iracheni. Dal G8, al vertice Usa-Ue in Irlanda del 25 giugno, al summit Nato di Istanbul, 48 ore dopo, l'alleanza occidentale affronta un'estate storica. Se, nel 1999, il ministro degli Esteri francese Hubert Védrine s'era lagnato di Washington come ultima hyperpuissance , superpotenza, oggi il mondo sconta semmai un'assenza di leadership , il Titano yankee smarrito al pari dei suoi fratelli europei. La realtà impone rapide intese, non per uno sfoggio platonico di buona volontà atlantica, ma per l'irrompere di interessi comuni.
    La Casa Bianca ha commissionato uno studio al Centre for Strategic and International Studies, chiedendo lumi sul futuro Usa-Ue in caso di sconfitta americana in Iraq. Le previsioni sono fosche e precise: la deriva da Washington farebbe emergere in Europa egoismi locali, lasciando declinare ideali e valori. Qualche Paese negozierebbe una pace separata con l'Islam radicale, altri guarderebbero alla Russia, entro il 2015 primo Paese produttore di petrolio, altri alla Cina industriale. In America le voci dell'intesa sarebbero sopraffatte dai toni imperiali, mentre lo scisma atlantico incoraggerebbe i sogni imperiali di Putin, congelando a Pechino diritti e dissensi.
    Non è un kolossal apocalittico di Hollywood, ma una riflessione razionale. Dal 1945, la sola alternativa alle guerre viene da poche istituzioni, Onu, Fondo monetario, Banca Mondiale, Wto, trattative sulle tariffe, conferenze sul disarmo nucleare. Tutte hanno per motore le democrazie. Lasciati a se stessi, i forum del dialogo internazionale languiranno, tra opportunismi dei potenti e velleità dei despoti. Il G8 esaminerà l'iniziativa sul Medio Oriente del presidente Bush, e anche chi non ne è entusiasta, come Francia e Germania, può però tornare a faticare sui nodi del caos, da Israele e Palestina allo scontro tra tolleranza e intolleranza nella prima guerra globale. Va di moda, in Italia e nel mondo, ironizzare su malanni e ipocrisie, così cospicui nelle nostre democrazie. Sono critiche spesso condivisibili, a patto di non dimenticare che, se cede il precario sistema di libertà e giustizia condivise, l'alternativa è il cupo mondo degli uomini lupo ritratto da Hobbes, dove poveri ed esclusi soffriranno senza più speranze di sviluppo, e noi tutti saremo ostaggi, come già Stefio, Agliana e Cupertino, senza miraggi di liberazione .
    "

    Saluti liberali

  4. #4
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    da www.iltempo.it

    " Il G8 dà l’ok a Sharon, israeliani via da Gaza


    Bush insiste: «La Nato vada a Baghdad». Il presidente Chirac: solo se lo chiede il governo locale

    Nell’ultimo giorno del vertice negli Usa, gli otto Grandi cercano l’accordo sul dopo Saddam: intesa per dimezzare il debito estero

    SAVANNAH — Una patina di unità sull'Iraq e sull'iniziativa per la democrazia, le riforme, la prosperità nel cosiddetto Grande Medio Oriente maschera, nonostante gli sforzi, al Vertice del G8 svoltosi a Sea Island, un'isola dell'Atlantico, le divergenze fra i Grandi rimangono. Sull'Iraq, il presidente americano George W. Bush ha superato le cose dette il giorno prima sulla Nato. Ieri Bush ha detto che saranno gli iracheni ad assicurare la loro sicurezza, «noi risponderemo alle loro richieste». Sia lui che i Paesi della coalizione - Gran Bretagna, Italia, Giappone i tre qui presenti - vogliono un coinvolgimento dell'Alleanza atlantica, almeno per l'addestramento delle forze di sicurezza irachene. Il presidente francese Jacques Chirac mette dei freni: vuole, almeno, una richiesta esplicita del governo iracheno, che, l’altro ieri, il presidente ad interim Ghazi al Yawar non ha fatto nè nell'incontro con gli Otto Grandi nè a colloquio con Bush. E sul Grande Medio Oriente, i documenti ieri approvati, una dichiarazione politica e un piano d'azione, sono stati molto annacquati rispetto alle ambizioni iniziali americane. Passa il concetto che democrazia e riforme non possono essere imposte dall'esterno secondo modelli altrui. Un testo sul conflitto israeliano-palestinese dà l'ok al ritiro da Gaza (il piano del premier israeliano Ariel Sharon), ripropone la road map e rilancia l'azione del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu): senza una «giusta e durevole soluzione» del conflitto, concordano i leader dei Grandi, non ci può essere evoluzione positiva nell'intera Regione. Iraq, Bush e Chirac a colloquio. Dopo la cena di lavoro dell’altro ieri sera, preceduta da una passeggiata lungo la spiaggia, i leader dei Paesi del G8 hanno avuto, ieri mattina, tutto un intreccio di incontri bilaterali. Bush è già stretto tra gli impegni del Vertice e i preparativi dei funerali di Stato dell'ex presidente Ronald Reagan: deve studiare, e provare, il discorso funebre. Saltato l'incontro tra Bush e il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi - i due si sono appena visti a Roma, hanno una piena intesa e si rivedranno a Istanbul a fine mese, al Vertice atlantico -, resta in piedi il colloquio tra Bush e Chirac. L'americano e il francese si sono pure visti da poco, sabato e domenica, a Parigi e in Normandia. Ma hanno problemi aperti. Sull'Iraq, il colloquio non dissipa i contrasti: per tre volte, Bush fa riferimento al ruolo della Nato per aiutare «il popolo iracheno»; Chirac non vi accenna neanche una volta. Ma l'Amministrazione statunitense spera di trovare un'intesa prima del Vertice atlantico a Istanbul a fine giugno: si tratta di definire un ruolo «un po’ maggiore», e finora non meglio specificato, della Nato in Iraq. In realtà, 16 dei 26 Paesi atlantici hanno già truppe in Iraq a titolo nazionale. L'ipotesi di affidare all'Alleanza in sè l'addestramento delle forze di sicurezza irachene esce rafforzata dalla denuncia del generale dell'esercito americano Paul D. Eaton: «Gli iracheni sono stati finora mal preparati. In un anno, non abbiamo fatto quasi nessun progresso», ammette lui che è stato il responsabile dell'istruzione militare delle reclute irachene. Sull'Iraq, c'è invece un'intesa per dimezzare il debito estero iracheno (tra i 120 e i 124 miliardi di dollari): Washington voleva un taglio del 60%; i grandi creditori, specie la Russia, si sono fermati intorno al 50%. Nella mattinata di ieri c'è stata la sessione conclusiva del G8, proprio su quella definita l'«agenda misericordiosa» del presidente Bush. Dopo, i leader dei Grandi hanno avuto l'ultimo impegno: una colazione con leader africani di Algeria, Ghana, Nigeria, Senegal, Sud Africa e Uganda, per discutere come cooperare per accelerare in Africa la crescita basata sul settore privato e lo sviluppo e come organizzare operazioni di peace-keeping nel Continente Nero.

    venerdì 11 giugno 2004
    "

    Saluti liberali

  5. #5
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    da www.adnkronos.com

    " Iraq, Brahimi ha dato le dimissioni da inviato Onu
    Lo riporta il sito online del quotidiano Haartez citando ''fonti diplomatiche'' del Palazzo di Vetro


    New York, 12 giu. (Adnkronos) - Lakhdar Brahimi si e' dimesso dall'incarico di inviato speciale dell'Onu in Iraq, denunciando il fatto di essere stato messo da parte dagli Stati Uniti durante il processo di formazione del governo ad interim. Lo riporta il sito online del quotidiano Haartez citando ''fonti diplomatiche'' del Palazzo di Vetro.
    Secondo le fonti citate dal quotidiano israeliano, alle Nazioni Unite si starebbe gia' cercando un sostituto anche se Brahimi non avrebbe ancora presentato una lettera ufficiale di dimissioni. L'ex ministro degli Esteri algerino un mese fa circa era stato dipinto, anche dagli stessi vertici dell'amministrazione americana, come l'uomo chiave per il processo di transizione iracheno. Ma, stando a quanto rivelato da Haaretz, queste dichiarazioni di intenti non si sarebbero trasformate in fatti concreti, e - si legge sul sito Haaretz - ''gli americani ed i membri del Consiglio di governo a loro vicini non sono apparsi intenzionati a fare spazio all'inviato dell'Onu''.
    E gli stessi dirigenti iracheni sono rimasti sorpresi dalle ''pensanti pressioni esercitate dagli americani su Brahimi e dal suo atteggiamento passivo di fronte a queste''. Tanto che l'inviato di Kofi Annan e' stato preso del tutto di sorpresa dall'annuncio da parte del Consiglio di Governo iracheno della nomina di Iyad Allawi, considerato molto vicino all'amministrazione Usa ed in particolare alla Cia per la quale aveva lavorato negli anni dell'esilio, all'incarico di premier. ''Non era cosi' che noi ci eravamo immaginati che le cose dovevano andare'' ammise il portavoce di Brahimi, non nascondendo preoccupazione.
    "


    Cordiali saluti

 

 

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