User Tag List

Pagina 3 di 9 PrimaPrima ... 234 ... UltimaUltima
Risultati da 21 a 30 di 87

Discussione: Corpus Domini

  1. #21
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questione 79

    Gli effetti di questo sacramento


    Passiamo così a considerare gli effetti di questo sacramento.
    Sull'argomento si pongono otto quesiti: 1. Se questo sacramento conferisca la grazia; 2. Se sia effetto di questo sacramento il conseguimento della gloria; 3. Se effetto di questo sacramento sia la remissione del peccato mortale; 4. Se questo sacramento rimetta il peccato veniale; 5. Se rimetta tutta la pena del peccato; 6. Se preservi l'uomo dai peccati futuri; 7. Se possa giovare a persone diverse da quella che lo riceve; 8. Ciò che impedisce l'effetto di questo sacramento.

    ARTICOLO 1

    Se questo sacramento conferisca la grazia


    SEMBRA che questo sacramento non conferisca la grazia. Infatti:
    1. Questo sacramento è un cibo spirituale. Ma il cibo si dà solo a chi vive. Ora, poiché la vita soprannaturale viene dalla grazia, questo sacramento compete solo a chi già possiede la grazia. Quindi questo sacramento non conferisce la prima grazia. E neppure ne conferisce l'aumento, perché la crescita spirituale appartiene al sacramento della confermazione, come sopra abbiamo spiegato. Perciò questo sacramento non conferisce affatto la grazia.
    2. Questo sacramento si riceve come refezione spirituale. Ma la refezione spirituale è piuttosto esercizio che conseguimento di grazia. Questo sacramento, dunque, non conferisce la grazia.
    3. In questo sacramento, come abbiamo notato sopra, "il corpo di Cristo viene offerto per la salvezza del corpo e il sangue per la salvezza dell'anima". Il corpo però non è capace della grazia, a differenza dell'anima, come si è dimostrato nella Seconda Parte. Perciò almeno rispetto al corpo questo sacramento non conferisce la grazia.

    IN CONTRARIO: Il Signore dice: "Il pane che io vi darò, è la mia carne per la vita del mondo". Ma la vita spirituale è frutto della grazia. Quindi questo sacramento conferisce la grazia.

    RISPONDO: L'effetto di questo sacramento si deve dedurre prima e principalmente da ciò che è contenuto in questo sacramento, ossia da Cristo. Egli, come venendo visibilmente nel mondo portò ad esso la vita, secondo le parole evangeliche: "Grazia e verità sono state donate da Gesù Cristo"; così venendo sacramentalmente nell'uomo produce la vita della grazia, conforme alle parole del Signore: "Chi mangia me, vivrà di me". Cosicché S. Cirillo poteva scrivere: "Il vivificante Verbo di Dio unendosi alla propria carne la rese vivificante. Era dunque conveniente che egli si unisse in qualche modo ai nostri corpi per mezzo della sua santa carne e del suo prezioso sangue, che noi riceviamo in pane e vino nella vivificante comunione".
    Secondo, l'effetto di questo sacramento si deduce da ciò che il sacramento rappresenta, ossia dalla passione di Cristo, come sopra abbiamo spiegato. L'effetto cioè che la passione di Cristo produsse nel mondo, questo sacramento lo produce nel singolo uomo. Per cui il Crisostomo commentando il testo evangelico, "Ne uscì subito sangue e acqua", scriveva: "Poiché di là hanno inizio i sacri misteri, quando ti accosti al calice tremendo, accostati come se tu dovessi bere allo stesso costato di Cristo". E il Signore medesimo afferma: "Questo è il mio sangue che per voi sarà sparso per la remissione dei peccati".
    Terzo, l'effetto di questo sacramento si rileva dal modo in cui esso viene offerto, cioè sotto forma di cibo e di bevanda. Tutti gli effetti, quindi, che il cibo e la bevanda materiali producono nella vita del corpo, cioè sostentamento, sviluppo, riparazione e gusto, li produce anche questo sacramento nella vita spirituale. Di qui le parole di S. Ambrogio: "Questo è il pane della vita eterna, che sostenta la sostanza dell'anima nostra". E il Crisostomo afferma: "A noi che lo desideriamo egli si offre, perché lo possiamo e palpare e mangiare e abbracciare". Ecco perché il Signore stesso ha affermato: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda".
    Quarto, l'effetto di questo sacramento si desume dalle specie sotto le quali ci viene dato. Osserva S. Agostino in proposito: "Il Signore nostro ci affidò il suo corpo e il suo sangue servendosi di sostanze che devono la loro unità a una pluralità di cose: la prima infatti", cioè il pane, "diviene un'unica sostanza da molti grani; la seconda", cioè il vino, "lo diviene dal confluire di molti chicchi di uva". E per questo altrove esclama: "O sacramento di pietà, segno di unità, o vincolo di carità!".
    Ora, considerando che Cristo e la sua passione sono causa di grazia, e che la refezione spirituale e la carità non si possono avere senza la grazia, risulta da quanto abbiamo detto che questo sacramento conferisce la grazia.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questo sacramento ha di suo la virtù di conferire la grazia: cosicché nessuno prima di aver ricevuto questo sacramento possiede la grazia, se non dipendentemente da un qualche desiderio di esso, o personale, come nel caso degli adulti, o della Chiesa, come nel caso dei bambini, secondo quello che si è già detto. Si deve quindi all'efficacia della virtù di questo sacramento che con il solo suo desiderio uno possa conseguire la grazia che lo vivifica spiritualmente. Ne segue perciò che, quando si riceve realmente il sacramento stesso, la grazia aumenti e la vita soprannaturale raggiunga la sua perfezione. Diversamente però da quanto avviene nel sacramento della cresima, in cui la grazia aumenta e si perfeziona, per consentirci di resistere contro gli assalti esterni dei nemici di Cristo. Nell'Eucarestia invece aumenta la grazia e si perfeziona la vita soprannaturale, in modo che l'uomo sia perfetto in se stesso mediante l'unione con Dio.
    2. Questo sacramento conferisce spiritualmente la grazia assieme alla virtù della carità. Per cui il Damasceno paragona questo sacramento al carbone acceso visto da Isaia: "Come il carbone non è legno soltanto, ma legno unito al fuoco, così anche il pane della comunione non è pane soltanto, ma pane unito alla divinità". Ora, come osserva S. Gregorio, "l'amore di Dio non rimane ozioso, opera bensì grandi cose, se c'è". Perciò con questo sacramento, per quanto dipende dalla sua efficacia, l'abito della grazia e delle virtù non viene soltanto conferito, ma anche posto in attività, conforme alle parole di S. Paolo: "La carità di Cristo ci sospinge". Ecco perché in forza di questo sacramento l'anima spiritualmente si ristora, in quanto rimane deliziata e quasi inebriata dalla dolcezza della bontà divina, secondo l'espressione dei Cantici: "Mangiate, amici; bevete, inebriatevi, carissimi".
    3. Poiché i sacramenti operano a somiglianza di come significano, facendo una specie di accostamento, si usa dire che nell'Eucarestia "il corpo si offre per la salvezza del corpo e il sangue per la salvezza dell'anima", sebbene tutti e due operino la salvezza di entrambi, essendo Cristo presente nell'uno e nell'altro nella sua integrità, come sopra abbiamo detto. E sebbene il corpo non sia soggetto immediato della grazia, nondimeno l'effetto della grazia dall'anima ridonda sul corpo: perché nella vita presente in virtù di questo sacramento "offriamo le nostre membra a Dio quali armi di giustizia", come dice Paolo; e nella vita futura il nostro corpo parteciperà l'incorruttibilità e la gloria dell'anima.

    ARTICOLO 2

    Se effetto di questo sacramento sia il conseguimento della gloria


    SEMBRA che il conseguimento della gloria non sia effetto di questo sacramento. Infatti:
    1. L'effetto deve corrispondere alla causa. Ma questo sacramento spetta ai viatori: e appunto per questo si chiama viatico. Non essendo dunque i viatori ancora capaci di gloria, è chiaro che questo sacramento non ne causa il conseguimento.
    2. Posta la causa sufficiente, si ha l'effetto. Molti invece ricevono questo sacramento senza giungere alla gloria, come osserva S. Agostino. Perciò questo sacramento non è la causa del raggiungimento della gloria.
    3. Il più non viene dal meno; perché niente agisce oltre i limiti della propria specie. Ora, ricevere Cristo sotto specie non proprie, come avviene in questo sacramento, è meno che goderlo nella sua propria specie come avviene nello stato di gloria. Questo sacramento dunque non può causare il raggiungimento della gloria.

    IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà in eterno". Ma la vita eterna è la vita della gloria. Dunque effetto di questo sacramento è il conseguimento della gloria.

    RISPONDO: In questo sacramento si può considerare sia il principio da cui riceve la forza di produrre l'effetto, cioè Cristo medesimo ivi presente e la sua passione ivi rappresentata; sia gli elementi ai quali l'effetto è condizionato, cioè la comunione e le specie sacramentali. Ebbene, sotto ambedue gli aspetti è proprio di questo sacramento causare il raggiungimento della vita eterna. È certo infatti che Cristo ci aprì direttamente l'ingresso alla vita eterna, con la sua passione, secondo l'affermazione di S. Paolo: "È mediatore di un nuovo patto, affinché, avvenuta la sua morte, i chiamati ricevano l'eredità eterna, a loro promessa". Ed è per questo che nella forma di questo sacramento si legge: "Questo è il calice del mio sangue, del nuovo ed eterno testamento".
    Altrettanto si dica della refezione di questo cibo spirituale e dell'unità significata dalle specie del pane e del vino: tali effetti si hanno, è vero, al presente, però in maniera imperfetta; perfettamente essi si ottengono nello stato di gloria. Osserva in merito S. Agostino a commento delle parole di Gesù, "La mia carne è vero cibo": "Gli uomini che col mangiare e col bere desiderano di togliersi la fame e la sete, non ci riescono propriamente se non con questo cibo e con questa bevanda, che rende i suoi consumatori immortali e incorruttibili nella società dei Santi, dove sarà pace e unità piena e perfetta".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come la passione di Cristo, in forza della quale opera questo sacramento, pur essendo causa efficiente della nostra gloria, non c'introduce subito nella gloria, dovendo noi prima "soffrire con Cristo", per poi "essere glorificati con lui", come si esprime S. Paolo; così questo sacramento non c'introduce subito nella gloria, ma ci dà la capacità di arrivarci. Per questo esso si chiama viatico. Ne abbiamo la figura in quanto si legge di Elia, che "mangiò e bevve, e fortificato da quel cibo, camminò per quaranta giorni e per quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb".
    2. Come la passione di Cristo non ha il suo effetto in coloro che non sono debitamente disposti verso di essa, così con questo sacramento non raggiungono la gloria coloro che lo ricevono indegnamente. S. Agostino in proposito, commentando S. Giovanni, afferma: "Altra cosa è il sacramento e altra la virtù del sacramento. Molti prendono dall'altare, e prendendo muoiono. Mangiatelo dunque spiritualmente il pane celeste, portate all'altare l'innocenza". Non c'è dunque da meravigliarsi se coloro che non conservano l'innocenza, non conseguono l'effetto di questo sacramento.
    3. È compito del sacramento, il quale agisce strumentalmente, offrirci Cristo sotto specie non proprie. Ma niente impedisce che la causa strumentale produca un effetto ad essa superiore, come sopra abbiamo spiegato.

    ARTICOLO 3

    Se sia effetto di questo sacramento rimettere i peccati mortali


    SEMBRA che effetto di questo sacramento sia rimettere i peccati mortali. Infatti:
    1. Si dice in una colletta: "Sia questo sacramento purificazione dei delitti". Ma i delitti sono peccati mortali. Dunque con questo sacramento si tolgono i peccati mortali.
    2. Questo sacramento, come il battesimo, agisce in forza della passione di Cristo. Ma con il battesimo si rimettono i peccati mortali, come abbiamo detto sopra. Dunque anche con questo sacramento; tanto più che nella sua forma si dice (a proposito del sangue): "Che sarà sparso per molti in remissione dei peccati".
    3. Questo sacramento, come si è detto, conferisce la grazia. Ma la grazia giustifica l'uomo dai peccati mortali, come afferma San Paolo: "Sono giustificati gratuitamente per la grazia di lui". Dunque questo sacramento rimette i peccati mortali.

    IN CONTRARIO: L'Apostolo dichiara: "Chi mangia e beve indegnamente (l'Eucarestia), mangia e beve la sua condanna". E la Glossa commenta: "Mangia e beve indegnamente, chi è in peccato, o non lo tratta con riverenza: costui mangia e beve il giudizio, cioè la propria condanna". Dunque chi è in peccato mortale, ricevendo questo sacramento, si aggrava di un altro peccato, piuttosto che conseguire la remissione dei suoi peccati.

    RISPONDO: L'efficacia di questo sacramento si può considerare sotto due aspetti. Primo, in se stessa. E allora bisogna affermare che questo sacramento ha l'efficacia di rimettere tutti i peccati per virtù della passione di Cristo, la quale è la fonte e la causa della remissione dei peccati.
    Secondo, si può considerare in relazione al soggetto che lo riceve, il quale può avere o no l'impedimento a riceverlo. Ora, chiunque ha coscienza di essere in peccato mortale è impedito dal ricevere l'effetto di questo sacramento, non essendo degno di accostarvisi: sia perché spiritualmente non è in vita, e in tale condizione non deve prendere il cibo spirituale che non spetta se non a chi vive; sia perché non può unirsi a Cristo, come avviene con questo sacramento, finché perdura in lui l'affetto al peccato mortale. Ecco perché, come si legge nel libro De Ecclesiasticis dogmatibus, "l'anima, se è in stato di peccato, peggiora la sua condizione ricevendo l'Eucarestia, invece di purificarsi". Di conseguenza questo sacramento, in chi lo riceve con la consapevolezza di essere in peccato mortale, non produce la remissione del peccato mortale.
    Tuttavia esso può produrre la remissione dei peccati in due casi. Primo, in quanto è ricevuto non in atto ma nel desiderio, da parte di colui, p. es., che per la prima volta ottiene la giustificazione dai peccati. - Secondo, quando viene ricevuto da chi è in peccato mortale, senza averne coscienza, e senza nutrire affetto per esso. Può darsi infatti che uno prima non fosse sufficientemente contrito: accostandosi però con devozione e riverenza a questo sacramento ne riceve la grazia della carità, che perfeziona la contrizione e produce la remissione dei peccati.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando preghiamo che questo sacramento ci "purifichi dai delitti", noi intendiamo i peccati di cui non abbiamo coscienza, secondo l'accenno del Salmista: "Mondami, o Signore, dai miei peccati occulti"; oppure chiediamo che si perfezioni in noi la contrizione per la remissione dei peccati; ovvero che ci sia donata la forza di evitarli.
    2. Il battesimo è una generazione spirituale, ossia il passaggio spirituale dal non essere all'essere; e viene amministrato in forma di abluzione. Quindi per ambedue i versi chi ha coscienza di peccato mortale non accede indegnamente al battesimo. Nell'Eucarestia invece si riceve Cristo come nutrimento dello spirito, il quale non si può amministrare a chi è morto nei peccati. Perciò il paragone non regge.
    3. La grazia è causa efficace per rimettere i peccati mortali, ma non li rimette di fatto se non quando vien data al peccatore la prima volta. Ora, non è così che essa viene data in questo sacramento. Quindi l'argomento non regge.

    ARTICOLO 4

    Se con questo sacramento si rimettano i peccati veniali


    SEMBRA che con questo sacramento non si rimettano i peccati veniali. Infatti:
    1. Questo sacramento, come dice S. Agostino, è "il sacramento della carità". Ma i peccati veniali non sono contrari alla carità, come si è spiegato nella Seconda Parte. Poiché dunque i contrari si eliminano a vicenda, i peccati veniali non vengono rimessi da questo sacramento.
    2. Se questo sacramento rimettesse i peccati veniali, come ne rimette uno, li rimetterebbe tutti. Ma è impossibile che li rimetta tutti, perché allora potremmo essere frequentemente senza nessun peccato veniale, contro l'affermazione di S. Giovanni: "Se diremo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi". Dunque questo sacramento non rimette nessun peccato veniale.
    3. I contrari si eliminano a vicenda. Ora, i peccati veniali non proibiscono di ricevere questo sacramento; S. Agostino infatti commentando le parole di S. Giovanni, "Se qualcuno ne mangia, non morrà in eterno", soggiungeva: "Portate l'innocenza all'altare; i peccati, anche se quotidiani, non siano mortiferi". Dunque i peccati veniali non vengono eliminati da questo sacramento.

    IN CONTRARIO: Innocenzo III dice che questo sacramento "distrugge il (peccato) veniale e fa evitare il mortale".

    RISPONDO: In questo sacramento si possono considerare due cose: il sacramento stesso e il suo effetto. Sotto ambedue gli aspetti è evidente che questo sacramento ha la virtù di rimettere i peccati veniali. Esso infatti in quanto sacramento, viene ricevuto sotto forma di cibo che nutre. Ma il nutrimento del cibo è necessario al corpo, proprio per riparare le quotidiane perdite che avvengono per il calore naturale. Ebbene, anche spiritualmente noi perdiamo ogni giorno qualche cosa per il calore della concupiscenza nei peccati veniali, che diminuiscono il fervore della carità, come abbiamo spiegato nella Seconda Parte. Quindi è compito di questo sacramento rimettere i peccati veniali. Ecco perché S. Ambrogio afferma che questo pane quotidiano si prende "come rimedio delle quotidiane infermità".
    L'effetto poi di questo sacramento è la carità, non solo come abito, ma anche come atto, che, eccitato da questo sacramento, elimina i peccati veniali. È chiaro quindi che in virtù di questo sacramento i peccati veniali vengono rimessi.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I peccati veniali, sebbene non siano contrari all'abito della carità, sono tuttavia contrari al fervore dei suoi atti, che hanno un incentivo in questo sacramento. E in forza di tale fervore i peccati veniali vengono eliminati.
    2. Quel testo non è da intendersi nel senso che l'uomo non possa mai trovarsi senza peccato veniale: ma nel senso che i santi nel corso della vita non possono evitare dei peccati veniali.
    3. L'efficacia della carità, che questo sacramento produce, supera quella dei peccati veniali: infatti la carità elimina col suo atto i peccati veniali; questi invece non possono impedire completamente l'atto della carità. Ciò appunto avviene anche in questo sacramento.

    ARTICOLO 5

    Se questo sacramento rimetta tutta la pena dovuta al peccato


    SEMBRA che questo sacramento rimetta tutta la pena dovuta al peccato. Infatti:
    1. Con questo sacramento, l'abbiamo già visto sopra, l'uomo riceve in sé l'effetto della passione di Cristo, come con il battesimo. Ma col battesimo l'uomo ottiene la remissione di tutta la pena in forza della passione di Cristo, la quale soddisfece pienamente per tutti i peccati, come risulta dai trattati precedenti. Dunque con questo sacramento si ottiene la remissione di tutta la pena dovuta al peccato.
    2. Il Papa S. Alessandro (I) ha scritto: "Tra i sacrifici nessuno può essere più grande di quello del corpo e del sangue di Cristo". Ma con i sacrifici dell'antica legge l'uomo soddisfaceva ai suoi peccati, secondo l'attestazione del Levitico: "Se uno avrà peccato, offrirà" (questa o quella cosa) "e gli sarà perdonato". Dunque molto più vale questo sacramento a rimettere qualsiasi pena.
    3. Consta che questo sacramento rimette una parte del debito di pena: poiché ad alcuni s'ingiunge per soddisfazione di far celebrare per sé delle messe. Ma per la ragione stessa per cui si rimette una parte della pena, si possono rimettere anche le altre parti, essendo infinita la virtù di Cristo contenuta in questo sacramento. Dunque questo sacramento rimette tutta la pena.

    IN CONTRARIO: Se ciò fosse vero, non si dovrebbe mai imporre altra pena (quando s'impone la messa o la comunione); esattamente come si fa nel battesimo.

    RISPONDO: L'Eucarestia è insieme sacrificio e sacramento: ha natura di sacrificio in quanto si offre, e natura di sacramento al contrario in quanto si riceve. Essa perciò ha effetto di sacramento in chi la riceve, ed ha effetto di sacrificio in chi l'offre, o in coloro per i quali viene offerta.
    Se dunque si considera come sacramento, l'Eucarestia produce il suo effetto in due modi: primo, direttamente per virtù del sacramento; secondo, quasi per una certa concomitanza, come si è detto a proposito di quanto è contenuto nel sacramento. In virtù del sacramento essa ha direttamente l'effetto per il quale è stata istituita. Ora, l'Eucarestia non è stata istituita al fine di soddisfare, bensì al fine di nutrire spiritualmente per l'unione con Cristo e con le sue membra, ossia come il nutrimento si unisce a chi se ne ciba. Compiendosi però tale unione mediante la carità, per il cui fervore si ha la remissione non solo della colpa ma anche della pena, per una certa concomitanza con l'effetto principale, l'uomo ottiene anche la remissione della pena: non di tutta però, ma in misura della sua devozione e del suo fervore.
    In quanto poi è sacrificio, l'Eucarestia ha effetto soddisfattorio. Ma nella soddisfazione pesa più la disposizione dell'offerente che la grandezza della cosa offerta, cosicché il Signore dice che la vedova mettendo due spiccioli "aveva messo più di tutti". Perciò, sebbene questo sacrificio per la grandezza dell'offerta basti alla soddisfazione di ogni pena, tuttavia diviene soddisfattorio per coloro per cui si offre, o per coloro che l'offrono, in misura della loro devozione, non già di tutta la pena loro dovuta.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il sacramento del battesimo è direttamente ordinato alla remissione della pena e della colpa; non così l'Eucarestia: perché il battesimo viene conferito all'uomo quasi perché muoia assieme a Cristo; l'Eucarestia invece viene amministrata in quanto uno ha bisogno di nutrirsi e di perfezionarsi per mezzo di Cristo. Perciò il paragone non regge.
    2. Gli altri sacrifici e le altre oblazioni, a differenza del sacrificio eucaristico, non producevano la remissione di tutta la pena neppure per la grandezza della cosa offerta; tanto meno la producevano per la devozione del fedele, dalla quale dipende che non venga rimessa per intero neppure nel sacrificio eucaristico.
    3. Le limitazioni nel condono della pena, prodotto da questo sacramento, dipende non dall'insufficienza della virtù di Cristo, ma dall'insufficienza della devozione umana.

    ARTICOLO 6

    Se questo sacramento preservi l'uomo dai peccati futuri


    SEMBRA che questo sacramento non preservi l'uomo dai peccati futuri. Infatti:
    1. Molti dopo aver degnamente ricevuto questo sacramento, cadono in peccato. Ciò non avverrebbe, se questo sacramento preservasse dai peccati futuri. Dunque non è effetto di questo sacramento preservare dai peccati futuri.
    2. L'Eucarestia è "il sacramento della carità", come sopra abbiamo detto. Ma la carità non preserva dai peccati futuri, perché, una volta posseduta, si può perdere col peccato, come abbiamo visto nella Seconda Parte. Dunque neppure questo sacramento preserva l'uomo dal peccato.
    3. Fonte del peccato in noi, secondo S. Paolo, è "la legge del peccato presente nelle nostre membra". Ora, la mitigazione del fomite, ossia della legge del peccato, non si pone tra gli effetti di questo sacramento, ma piuttosto del battesimo. Quindi preservare dai peccati futuri non è effetto di questo sacramento.

    IN CONTRARIO: Il Signore ha affermato: "Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia, non muoia". Ma questo evidentemente non deve intendersi della morte corporale. Deve perciò intendersi nel senso che questo sacramento preserva dalla morte spirituale, causata dal peccato.

    RISPONDO: Il peccato è una specie di morte spirituale dell'anima. Quindi ci si preserva dal peccato allo stesso modo in cui si preserva il corpo dalla morte. Ora, tale preservazione si compie in due modi. Primo, rafforzando l'organismo umano interiormente contro gli agenti interni della corruzione: si preserva cioè dalla morte con il cibo e con le medicine. Secondo, difendendolo dai pericoli esterni: preservandolo cioè con le armi che proteggono il corpo.
    Ebbene questo sacramento preserva dal peccato nell'uno e nell'altro modo. Primo, perché unendo l'uomo a Cristo mediante la grazia, ne rafforza la vita dello spirito come cibo e come medicina spirituali, in conformità alle parole dei Salmi: "Il pane corrobora il cuore dell'uomo". E S. Agostino esclama: "Accostati sicuro: è pane, non veleno".
    Secondo, in quanto rappresenta la passione di Cristo, per la quale sono stati vinti i demoni: infatti l'Eucarestia respinge ogni assalto diabolico. Di qui le parole del Crisostomo: "Come leoni spiranti fiamme, torniamo da quella mensa, resi terribili per il demonio".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'effetto di questo sacramento viene ricevuto dall'uomo secondo la condizione umana: è così che l'influsso di ogni causa agente viene ricevuto dalla materia secondo le condizioni della materia. Ora, l'uomo viatore è in tale condizione che il suo libero arbitrio può piegarsi al bene e al male. Perciò questo sacramento, sebbene abbia di per sé la forza di preservare dal peccato, tuttavia non toglie all'uomo la possibilità di peccare.
    2. Anche la carità di suo preserva l'uomo dal peccato, secondo l'affermazione di S. Paolo: "L'amore del prossimo non può far del male". Ma la mutabilità del libero arbitrio fa sì che uno possa peccare dopo essere stato in possesso della carità, come dopo aver ricevuto questo sacramento.
    3. Questo sacramento, sebbene non sia direttamente destinato a diminuire il fomite, tuttavia lo diminuisce di riflesso in quanto accresce la carità: perché, come dice S. Agostino, "l'aumento della carità fa diminuire la concupiscenza". Direttamente invece conferma la volontà dell'uomo nel bene. E anche così preserva l'uomo dal peccato.

    ARTICOLO 7

    Se questo sacramento giovi solo a chi lo riceve


    SEMBRA che questo sacramento giovi soltanto a chi lo riceve. Infatti:
    1. Questo sacramento è dello stesso genere degli altri sacramenti, essendo nel numero di essi. Ma gli altri sacramenti non giovano se non a coloro che li ricevono: l'effetto del battesimo, p. es., lo riceve solo chi viene battezzato. Perciò anche questo sacramento non può giovare ad altri che a colui che lo riceve.
    2. Effetto di questo sacramento è il conseguimento della grazia e della gloria, e la remissione della colpa, almeno veniale. Se dunque questo sacramento producesse l'effetto anche in chi non lo riceve, potrebbe accadere che uno raggiungesse la grazia, la gloria e la remissione della colpa, senza alcuna partecipazione propria né attiva né passiva, ma solo perché altri offrono o ricevono questo sacramento.
    3. Accrescendo la causa viene ad accrescersi anche l'effetto. Se dunque questo sacramento giovasse anche a coloro che non lo ricevono, ne seguirebbe che gioverebbe loro di più consacrando e sumendo più ostie in una messa: cosa che non è nella prassi della Chiesa, cioè la molteplicità delle comunioni per la salvezza di qualcuno. Perciò questo sacramento non giova se non a chi lo riceve.

    IN CONTRARIO: Nella celebrazione di questo sacramento si prega per molti altri. Ora, ciò sarebbe inutile, se questo sacramento agli altri non potesse giovare. Dunque l'Eucarestia non giova soltanto a chi la riceve.

    RISPONDO: L'Eucarestia, si è detto sopra, non è soltanto sacramento, ma è anche sacrificio. Questo sacramento infatti, in quanto rappresenta la passione di Cristo, nella quale egli, secondo l'espressione di S. Paolo, "offrì se stesso come vittima a Dio", ha natura di sacrificio; in quanto invece per mezzo di esso viene data l'invisibile grazia sotto visibili apparenze, ha natura di sacramento. A coloro quindi che la ricevono l'Eucarestia giova e come sacramento e come sacrificio, perché viene offerta per quanti si comunicano; infatti nel canone della messa si legge: "Tutti noi che partecipando a questo altare riceveremo il santo corpo e il sangue del Figlio tuo, siamo ripieni di ogni benedizione e grazia celeste". Agli altri invece che non si comunicano giova come sacrificio, in quanto viene offerto per la loro salvezza, cosicché nel canone si legge: "Ricordati, Signore, dei tuoi servi e delle tue serve, per i quali ti offriamo, o che ti offrono questo sacrificio di lode per sé e per tutti i loro cari, per la redenzione delle loro anime, per la speranza della loro salvezza e della loro incolumità". Codeste due maniere di giovare sono ricordate dal Signore con quelle parole: "Che per voi", cioè i comunicandi, "e per molti", gli altri, "sarà sparso in remissione dei peccati".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questo sacramento a differenza degli altri è anche sacrificio. Quindi il paragone non regge.
    2. Come la passione di Cristo, sebbene sia in grado di giovare a tutti per la remissione della colpa e il conseguimento della grazia e della gloria, tuttavia non produce l'effetto se non in coloro che si uniscono alla passione di Cristo mediante la fede e la carità; così anche questo sacrificio, che è il memoriale della passione del Signore, non ha effetto se non in coloro che si uniscono a questo sacramento mediante la fede e la carità. Ecco perché S. Agostino domanda: "Chi mai offrirà il corpo di Cristo se non per le membra di Cristo?". Cosicché nel canone della messa non si prega per coloro che sono fuori della Chiesa. Tuttavia il sacramento può giovare anche ad essi, di più o di meno secondo la loro devozione.
    3. La comunione riguarda il sacramento, l'oblazione il sacrificio. Perciò dalla comunione del corpo di Cristo per parte di uno o di molti non viene agli altri alcun giovamento. Parimente, per il fatto che un sacerdote consacra più ostie in una medesima messa, non viene accresciuto l'effetto di questo sacramento, perché non si tratta che di un solo sacrificio; e in molte ostie consacrate non c'è più efficacia che in una sola, essendo in tutte e in ciascuna lo stesso Cristo per intero. Perciò sumendo nella stessa messa più ostie consacrate, non si partecipa in più larga misura l'effetto del sacramento. - Invece in più messe si moltiplica l'oblazione del sacrificio. E quindi si moltiplica l'effetto del sacrificio e del sacramento.

    ARTICOLO 8

    Se il peccato veniale impedisca l'effetto di questo sacramento


    SEMBRA che il peccato veniale non impedisca l'effetto di questo sacramento. Infatti:
    1. Nel commentare le parole di Gesù, "I vostri padri mangiarono la manna", S. Agostino raccomanda: "Mangiate spiritualmente il pane celeste; portate l'innocenza all'altare; i vostri peccati, anche se quotidiani, non siano mortiferi". Da ciò risulta che i peccati quotidiani, o veniali, non escludono dalla refezione spirituale. Ma coloro che mangiano spiritualmente, ricevono l'effetto di questo sacramento. Dunque i peccati veniali non impediscono l'effetto di questo sacramento.
    2. Questo sacramento non è meno efficace del battesimo. Ma l'effetto del battesimo, si è detto sopra, viene impedito solo dalla finzione, in cui non rientrano i peccati veniali; perché, come dice la Sapienza, "lo Spirito Santo rifugge da chi inganna", invece egli non si allontana per i peccati veniali. Dunque i peccati veniali non impediscono neppure l'effetto di questo sacramento.
    3. Ciò che una causa è capace di eliminare, non può mai impedirne l'effetto. Ma i peccati veniali sono eliminati da questo sacramento. Dunque non impediscono il suo effetto.

    IN CONTRARIO: Il Damasceno scrive: "Il fuoco del nostro desiderio accendendosi alla fiamma", del sacramento, "brucerà i nostri peccati e illuminerà i nostri cuori; perché partecipando del fuoco divino ardiamo e ci divinizziamo". Ma il fuoco del nostro desiderio o del nostro amore viene impedito dai peccati veniali, che ostacolano il fervore della carità, come abbiamo visto nella Seconda Parte. Dunque i peccati veniali impediscono l'effetto di questo sacramento.

    RISPONDO: I peccati veniali si possono considerare sotto due aspetti: come passati e come compiuti al presente. Dal primo punto di vista i peccati veniali in nessun modo impediscono l'effetto di questo sacramento. Può capitare così che uno, dopo aver commesso molti peccati veniali, si accosti devotamente a questo sacramento e ne consegua appieno l'effetto.
    Dal secondo punto di vista invece i peccati veniali impediscono l'effetto di questo sacramento, non in tutto, ma in parte. Si è detto infatti che effetto di questo sacramento non è soltanto la conquista della grazia abituale o della carità, ma anche un immediato ristoro di dolcezza spirituale. Ora, questa viene certamente impedita, se uno accede all'Eucarestia con lo spirito distratto dai peccati veniali. Non resta invece impedito l'aumento della grazia abituale, o della carità.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Chi si accosta a questo sacramento con il peccato veniale in atto, compie spiritualmente una refezione abituale, ma non attuale. Quindi riceve l'effetto abituale di questo sacramento, ma non l'effetto attuale.
    2. Il battesimo non è ordinato a un effetto attuale, cioè al fervore della carità, come l'Eucarestia. Infatti il battesimo è la rigenerazione spirituale che dona la prima perfezione, che consiste in un abito, o forma; mentre l'Eucarestia è un cibo spirituale fatto per produrre un gusto immediato.
    3. L'argomento vale per i peccati veniali passati, i quali vengono appunto cancellati da questo sacramento.

  2. #22
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questione 80

    Uso o consumazione di questo sacrarmento


    Dobbiamo ora considerare l'uso o consumazione di questo sacramento. Primo, in genere; secondo, l'uso che ne fece Cristo direttamente.
    Sul primo argomento si pongono dodici quesiti: 1. Se ci siano due modi di ricevere l'Eucarestia, cioè sacramentale e spirituale; 2. Se l'uomo soltanto possa cibarsene spiritualmente; 3. Se soltanto l'uomo in grazia possa cibarsene sacramentalmente; 4. Se pecchi il peccatore che la riceve sacramentalmente; 5. La gravità di questo peccato; 6. Se il peccatore che si accosta a questo sacramento debba essere respinto; 7. Se la polluzione notturna impedisca all'uomo di accedere a questo sacramento; 8. Se l'Eucarestia debba essere ricevuta solo a digiuno; 9. Se si debba accordare a chi non ha l'uso di ragione; 10. Se si debba ricevere quotidianamente; 11. Se sia lecito astenersene del tutto; 12. Se sia lecito ricevere il corpo senza il sangue.

    ARTICOLO 1

    Se si debbano distinguere due modi di ricevere il corpo di Cristo, cioè quello spirituale e quello sacramentale


    SEMBRA che non si debbano distinguere due modi di ricevere il corpo di Cristo, cioè sacramentale e spirituale. Infatti:
    1. Come il battesimo, secondo le parole evangeliche, "Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo...", è una rigenerazione spirituale; così l'Eucarestia è un cibo spirituale; tanto è vero che il Signore riferendosi alla promessa di questo sacramento affermava: "Le parole che vi ho rivolto, sono spirito e vita". Ma per il battesimo non si distingue un duplice modo di riceverlo, sacramentale e spirituale. Dunque tale distinzione non va fatta neppure per l'Eucarestia.
    2. Non devono contrapporsi tra loro due cose, di cui l'una è ordinata all'altra: perché la prima viene specificata dalla seconda. Ora, la comunione sacramentale è ordinata alla comunione spirituale, come a suo fine. Perciò la comunione sacramentale non va distinta da quella spirituale.
    3. Non devono contrapporsi tra loro cose che sono inseparabili. Ebbene, nessuno può comunicarsi spiritualmente senza comunicarsi anche sacramentalmente; altrimenti anche gli antichi patriarchi avrebbero mangiato spiritualmente questo sacramento. Inoltre la refezione sacramentale sarebbe inutile, se quella spirituale si potesse avere senza di essa. Dunque non è giusto distinguere due refezioni: quella sacramentale e quella spirituale.

    IN CONTRARIO: Spiegando le parole di S. Paolo, "Chi mangia e beve indegnamente, ecc.", la Glossa afferma: "Precisiamo che ci sono due modi di mangiare: uno sacramentale e l'altro spirituale".

    RISPONDO: Nel cibarsi di questo sacramento si devono considerare due cose: il sacramento stesso e il suo effetto; di ambedue abbiamo già parlato sopra. Il modo perfetto di ricevere l'Eucarestia è quello di chi riceve il sacramento così da riceverne l'effetto. Capita però a volte, come si è già detto, che uno sia impedito dal ricevere l'effetto di questo sacramento: e allora la comunione eucaristica è imperfetta. Perciò, come quanto è perfetto si contrappone a ciò che è imperfetto, così la pura refezione sacramentale in cui si riceve solo il sacramento, senza il suo effetto, si contrappone alla refezione spirituale per cui si riceve l'effetto di questo sacramento, effetto che consiste nell'unire l'uomo a Cristo per mezzo della fede e della carità.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tale distinzione si applica anche al battesimo e agli altri sacramenti, perché alcuni ricevono il sacramento soltanto, altri invece il sacramento con il suo effetto. C'è tuttavia questa differenza, che compiendosi gli altri sacramenti nell'uso della materia, in essi ricevere il sacramento equivale a compiere il sacramento; l'Eucarestia invece si compie consacrando la materia, e quindi il suo uso sacramentale e spirituale è posteriore al sacramento. Inoltre, nel battesimo e negli altri sacramenti che imprimono il carattere, coloro che ricevono il sacramento, ricevono sempre un effetto spirituale, ossia il carattere; non così nell'Eucarestia. Ecco perché la distinzione tra il modo sacramentale e quello spirituale di ricevere il sacramento si usa di più per l'Eucarestia che per il battesimo.
    2. La refezione sacramentale che giunge ad essere spirituale non si contrappone a questa, ma è inclusa in essa. Invece si contrappone alla refezione spirituale quella comunione sacramentale che non raggiunge il suo effetto: come si contrappone alla cosa perfetta quell'essere imperfetto che non raggiunge la perfezione della specie.
    3. L'effetto di un sacramento, come si è detto sopra, può essere ottenuto da uno che riceve il sacramento col desiderio, senza riceverlo di fatto. Perciò come alcuni ricevono il battesimo di desiderio, per la brama del battesimo prima di essere battezzati con l'acqua, così alcuni si cibano spiritualmente dell'Eucarestia prima di riceverla sacramentalmente. Questo però può avvenire in due modi. Primo, per il desiderio di ricevere il sacramento stesso: e in tal modo si battezzano e si comunicano spiritualmente e non sacramentalmente quelli che adesso desiderano di ricevere questi sacramenti dopo la loro istituzione. Secondo, per il desiderio di riceverne la figura: l'Apostolo dice appunto in tal senso che gli antichi Patriarchi "furono battezzati nella nube e nel mare", e che "mangiarono il cibo spirituale e bevvero la bevanda spirituale". - Tuttavia non è inutile la comunione sacramentale; perché questa produce l'effetto del sacramento più perfettamente del solo desiderio, come sopra abbiamo notato a proposito del battesimo.

    ARTICOLO 2

    Se l'uomo soltanto, oppure anche gli angeli, possano ricevere spiritualmente questo sacramento


    SEMBRA che non l'uomo soltanto, ma anche gli angeli possano ricevere spiritualmente questo sacramento. Infatti:
    1. Commentando le parole del Salmista: "L'uomo mangiò il pane degli angeli", la Glossa spiega: "Ossia il corpo di Cristo, che è il vero cibo degli angeli". Ma ciò sarebbe falso, se gli angeli non si cibassero spiritualmente di Cristo. Dunque gli angeli si cibano spiritualmente di Cristo.
    2. S. Agostino così spiega un passo di S. Giovanni: "Con questo cibo e con questa bevanda vuole indicare la società del suo corpo e delle sue membra, che è la Chiesa dei predestinati". Ma a questa società non appartengono solo gli uomini, bensì anche gli angeli. Dunque anche gli angeli santi si cibano spiritualmente dell'Eucarestia.
    3. S. Agostino scrive: "Di Cristo dobbiamo cibarci spiritualmente, avendo detto egli stesso: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui". Ora, questo è vero non solo degli uomini, ma anche degli angeli santi, perché per la carità Cristo è in loro ed essi in Cristo. Dunque cibarsi spiritualmente non è solo degli uomini, ma anche degli angeli.

    IN CONTRARIO: S. Agostino raccomanda: "Mangiate il pane dell'altare spiritualmente; portate l'innocenza all'altare". Ma non è degli angeli accostarsi all'altare per ricevere qualche cosa da esso. Dunque non appartiene agli angeli comunicarsi spiritualmente.

    RISPONDO: Nell'Eucarestia è presente Cristo stesso, non già nel suo stato naturale, ma sotto le specie sacramentali. Perciò ci si può cibare spiritualmente di lui in due modi. Primo, fruendo di Cristo nel suo stato naturale. Ed è così che si nutrono spiritualmente di Cristo gli angeli, unendosi a lui con il godimento della carità perfetta e con la visione manifesta (ed è questo il pane che ci attende nella patria): non già con la fede che ci unisce a lui qui sulla terra.
    Secondo, ci si può cibare spiritualmente di Cristo in quanto è presente sotto le specie di questo sacramento: cioè credendo in Cristo e desiderando di ricevere questo sacramento. E ciò non è soltanto nutrirsi spiritualmente di Cristo, ma è anche nutrirsi spiritualmente del sacramento dell'Eucarestia. E questo va escluso per gli angeli. Agli angeli quindi, sebbene si cibino spiritualmente di Cristo, non spetta ricevere spiritualmente questo sacramento.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il cibarsi di Cristo in questo sacramento ha per fine la fruizione di lui nella patria, di cui già godono gli angeli. Ora, poiché le cose destinate a un fine, sono subordinate al fine stesso, ne segue che la comunione di Cristo con la quale lo riceviamo sotto il sacramento in qualche modo è subordinata alla comunione con la quale godono di lui gli angeli in patria. Ecco perché si dice che l'uomo mangia "il pane degli angeli"; perché Cristo appartiene prima e principalmente agli angeli, che godono di lui com'è nel suo stato naturale; e secondariamente appartiene agli uomini che lo ricevono nel sacramento.
    2. Alla società del corpo mistico appartengono gli uomini mediante la fede, e gli angeli mediante la visione immediata. Ora, i sacramenti si addicono alla fede, che offre la verità "di riflesso e nel mistero". Perciò, parlando con proprietà, non agli angeli ma agli uomini spetta cibarsi spiritualmente di questo sacramento.
    3. Cristo è presente negli uomini durante la vita terrena per mezzo della fede; mentre negli angeli beati è presente per manifesta visione. Perciò il paragone, come si è spiegato, non regge.

    ARTICOLO 3

    Se solo il giusto riceva Cristo sacramentalmente


    SEMBRA che nessuno possa ricevere sacramentalmente Cristo all'infuori dell'uomo giusto. Infatti:
    1. Dice S. Agostino: "Perché tu prepari i denti e lo stomaco? Abbi fede, e allora avrai già mangiato. Credere in lui: ecco cos'è mangiare il pane vivo". Ma chi è in stato di peccato, non crede in lui, perché non ha la fede formata cui spetta credere in Dio (in Deum), come abbiamo visto nella Seconda Parte. Il peccatore dunque non è in grado di mangiare questo sacramento che è "il pane vivo".
    2. Questo sacramento si dice più di ogni altro "il sacramento della carità", come abbiamo già spiegato. Ma alla maniera che gli infedeli mancano di fede, così tutti i peccatori mancano di carità. Ora, non sembra che gli infedeli possano ricevere sacramentalmente l'Eucarestia; poiché nella sua forma questo sacramento è chiamato "mistero di fede". Dunque per lo stesso motivo nessun peccatore può sumere sacramentalmente il corpo di Cristo.
    3. Il peccatore è più abominevole a Dio della creatura priva di ragione, cosicché nei Salmi si riferiscono a lui quelle parole: "L'uomo, non avendo compreso la propria dignità, si abbassa al livello dei giumenti irragionevoli e diviene simile ad essi". Ma gli animali bruti, p. es., un topo o un cane, non possono ricevere questo sacramento, come non possono ricevere il sacramento del battesimo. Dunque per la stessa ragione neppure i peccatori ricevono questo sacramento.

    IN CONTRARIO: S. Agostino commentando le parole evangeliche, "Affinché chi ne mangia non muoia", osserva: "Molti sumono dall'altare, e sumendo muoiono; cosicché l'Apostolo afferma che mangiano e bevono la propria condanna". Ora, per questa refezione non muoiono se non i peccatori. Dunque sacramentalmente ricevono il corpo di Cristo anche i peccatori, e non i giusti soltanto.

    RISPONDO: Sulla presente questione errarono alcuni antichi dicendo che il corpo di Cristo dai peccatori non viene ricevuto neppure sacramentalmente, ma che esso, appena viene a contatto delle labbra del peccatore, subito cessa di essere presente sotto le specie sacramentali. - Ma questa è un'opinione erronea. Menoma infatti la verità di questo sacramento, la quale esige, come si disse sopra, che per tutta la durata delle specie il corpo di Cristo non cessi di essere presente sotto di esse. Ora, le specie rimangono, come abbiamo visto, fin tanto che sono adatte per la sostanza del pane, se fosse ivi presente. Ma, è evidente che la sostanza del pane, ricevuta da un peccatore, non cessa subito di essere, bensì dura fino a che per il calore naturale non venga digerita. Perciò altrettanto perdura il corpo di Cristo sotto le specie sacramentali ricevute da un peccatore. Quindi si deve concludere che il peccatore, e non soltanto il giusto, può ricevere sacramentalmente il corpo di Cristo.

    SOLUZIONI DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quelle e altre affermazioni consimili vanno intese della comunione spirituale che non è possibile ai peccatori. E quindi da una falsa interpretazione di tali parole sembra essere nato l'errore precedentemente esposto, per non aver saputo distinguere tra sunsione corporale e sunsione spirituale.
    2. Anche un infedele, se riceve le specie sacramentali, riceve il corpo di Cristo nel sacramento. Quindi riceve Cristo sacramentalmente, se questo avverbio sacramentalmente si riferisce a ciò di cui si ciba. Se invece lo riferiamo a colui che si ciba, allora parlando con proprietà egli non mangia sacramentalmente, perché ciò che riceve non lo usa come sacramento, ma solo come cibo materiale. A meno che ipoteticamente l'infedele non intenda ricevere proprio ciò che la Chiesa distribuisce, pur non avendo la vera fede, o riguardo agli altri articoli, o a questo stesso sacramento.
    3. Anche nell'ipotesi che un topo o un cane mangi un'ostia consacrata, la sostanza del corpo di Cristo non cessa di essere sotto le specie finché quelle specie rimangono, ossia nelle condizioni adatte per la sostanza del pane; come resterebbe, se l'ostia fosse gettata nel fango. E questo non può menomare la dignità di Cristo, che volle essere crocifisso dai peccatori, senza compromettere per questo la propria dignità; tanto più che il topo o il cane vengono a contatto con il corpo di Cristo non nel suo stato naturale, ma solo secondo le specie sacramentali.
    Alcuni al contrario hanno sostenuto che appena il sacramento viene toccato da un topo o da un cane, cessa la presenza del corpo di Cristo. Ma è un'opinione, che, come abbiamo già notato, compromette la verità di questo sacramento.
    Tuttavia non si può dire che un animale bruto sume sacramentalmente il corpo di Cristo, essendo incapace per natura di usarne come sacramento. Perciò lo mangia non sacramentalmente, ma casualmente, cioè come lo mangerebbe chi prendesse un'ostia consacrata senza sapere che è consacrata. E poiché ciò che accade accidentalmente non si classifica in alcun genere, ne segue che questo modo di sumere il corpo di Cristo non si considera come un terzo modo tra il modo sacramentale e il modo spirituale.

    ARTICOLO 4

    Se il peccatore che riceve il corpo di Cristo sacramentalmente commetta peccato


    SEMBRA che il peccatore nel ricevere sacramentalmente il corpo di Cristo non commetta peccato. Infatti:
    1. Cristo non ha maggiore dignità sotto le specie sacramentali che sotto la specie propria. Ma i peccatori toccando il corpo di Cristo sotto la specie propria non peccavano, anzi ricevevano il perdono dei peccati, come si legge della donna peccatrice e di altri: "Quanti toccavano l'orlo della sua veste, guarivano". Perciò, i peccatori, ricevendo il sacramento del corpo di Cristo non peccano affatto, ma piuttosto conseguono la salvezza.
    2. Questo sacramento è come gli altri una medicina spirituale. Ora, la medicina si dà agli infermi perché guariscano secondo le parole evangeliche: "Non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati". Ora, spiritualmente infermi o ammalati sono i peccatori. Essi dunque possono ricevere senza colpa questo sacramento.
    3. Questo sacramento, contenendo in sé il Cristo, è tra i massimi beni. Ora, secondo S. Agostino, i massimi beni sono quelli "di cui nessuno può usar male". D'altra parte non si pecca se non usando male di qualche cosa. Perciò nessun peccatore pecca ricevendo questo sacramento.
    4. Questo sacramento, come è oggetto del gusto e del tatto, così lo è anche della vista. Se dunque il peccatore peccasse gustando e toccando questo sacramento, dovrebbe peccare anche guardandolo. Ma ciò è falso, perché la Chiesa lo espone alla vista e all'adorazione di tutti. Quindi il peccatore non pecca cibandosi di questo sacramento.
    5. Capita a volte che un peccatore non abbia coscienza del suo peccato. E tuttavia non pecca ricevendo il corpo di Cristo, perché altrimenti peccherebpero tutti coloro che si comunicano, esponendosi al pericolo di peccare; poiché l'Apostolo afferma: "Non ho coscienza di alcun mancamento, ma non per questo mi sento giustificato". Non è dunque una colpa per il peccatore ricevere questo sacramento.

    IN CONTRARIO: L'Apostolo asserisce: "Mangia e beve la propria condanna, chi mangia e beve indegnamente". E la Glossa spiega: "Mangia e beve indegnamente, chi è in stato di peccato grave o chi lo tratta in modo irriverente". Chi dunque è in peccato mortale, se riceve questo sacramento, merita la dannazione, commettendo un peccato mortale.

    RISPONDO: In questo come negli altri sacramenti il rito sacramentale è segno della cosa prodotta dal sacramento. Ora, la cosa prodotta dal sacramento dell'Eucarestia è duplice, come sopra abbiamo detto: la prima, significata e contenuta nel sacramento, è Cristo stesso; la seconda, significata e non contenuta, è il corpo mistico di Cristo, ossia la società dei santi. Chi dunque si accosta all'Eucarestia, per ciò stesso dichiara di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra. Ma questo si attua per mezzo della fede formata, che nessuno ha quando è in peccato mortale. È chiaro dunque che chi riceve l'Eucarestia con il peccato mortale commette una falsità nei riguardi di questo sacramento. Perciò si macchia di sacrilegio come profanatore del sacramento. E quindi pecca mortalmente.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo, quando viveva visibilmente tra noi nella sua specie, si lasciava toccare dagli uomini non in segno della loro unione spirituale con lui: è così invece che si offre in questo sacramento. Perciò i peccatori toccandolo nella sua propria specie non commettevano un peccato di falsità contro le cose divine, come lo commettono i peccatori che ricevono questo sacramento.
    Inoltre Cristo possedeva allora una carne "simile a quella di peccato": perciò era giusto che si lasciasse toccare dai peccatori. Ma una volta eliminata dalla gloria della risurrezione la somiglianza con la carne di peccato, non volle essere toccato dalla donna, che mancava di fede nei suoi riguardi, dicendole: "Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio", cioè "nel tuo cuore", come spiega S. Agostino. Così i peccatori, che nei riguardi di lui mancano di fede formata, sono esclusi dal contatto di questo sacramento.
    2. Non tutte le medicine vanno bene per tutte le malattie. Infatti una medicina che si dà agli sfebbrati come ricostituente, farebbe male se venisse data a coloro che sono febbricitanti. Similmente il battesimo e la penitenza sono come dei purganti che si somministrano per togliere la febbre del peccato. L'Eucarestia è invece un ricostituente che non dev'essere concesso, se non a quanti sono già liberi dal peccato.
    3. Per "massimi beni" S. Agostino intende le virtù dell'anima, e di esse "nessuno usa male" nel senso che non possono essere principii di cattivo uso. Tuttavia possono essere oggetto di cattivo uso, com'è evidente in coloro che s'insuperbiscono delle loro virtù. Allo stesso modo anche questo sacramento direttamente non può essere causa di cattivo uso, ma può esserne oggetto. Di qui le parole di S. Agostino: "Il fatto che molti ricevono indegnamente il corpo del Signore ci avverte quanto dobbiamo guardarci dal ricevere male il bene. Ecco qua: il bene diventa un male quando il bene si riceve male; come al contrario per l'Apostolo il male diventò un bene, avendo ricevuto bene il male, ossia avendo pazientemente tollerato il pungolo di Satana".
    4. La vista non percepisce il corpo stesso di Cristo, ma solo il suo sacramento, non raggiungendo l'occhio la sostanza del corpo di Cristo, bensì solamente le specie sacramentali, come si disse sopra. Chi invece si comunica, non riceve soltanto le specie sacramentali, ma anche Cristo medesimo che è sotto di esse. Quindi nessuno viene escluso dal vedere il corpo sacramentale di Cristo tra quanti hanno ricevuto il sacramento di Cristo, cioè il battesimo; i non battezzati invece non si devono ammettere neanche a guardare questo sacramento, come insegna Dionigi. Ma alla comunione non si devono ammettere se non coloro che sono uniti a Cristo non solo sacramentalmente, ma anche realmente.
    5. Il fatto che uno non abbia coscienza del proprio peccato può accadere in due modi. Primo, colpevolmente: o perché si ignora la legge, per un'ignoranza che non scusa dalla colpa, cosicché uno ritiene che non sia peccato ciò che è peccato, p. es., se un fornicatore non ritenesse peccato mortale la semplice fornicazione; oppure perché è negligente nell'esaminare se stesso, contro l'avvertimento dell'Apostolo: "Esamini ciascuno se stesso prima di mangiare di quel pane e di bere di quel calice". In tali condizioni il peccatore ricevendo il corpo di Cristo pecca, sebbene non abbia coscienza del proprio peccato: perché l'ignoranza stessa è per lui un peccato.
    Secondo, senza una colpa personale: quando uno, p. es., si è pentito del peccato, ma non è sufficientemente contrito. In tal caso non pecca ricevendo il corpo di Cristo, perché l'uomo non può sapere con certezza se sia veramente contrito. Basta tuttavia che trovi in sé i segni della contrizione: cioè che "si dolga dei peccati passati" e proponga di "guardarsi dai peccati futuri".
    Se poi uno non sa che l'azione commessa è peccato per ignoranza di fatto, la quale ignoranza scusa, accostandosi, p. es., a un'altra donna che credeva fosse la sua, non per questo è da considerarsi peccatore.
    Parimente, se uno si è dimenticato affatto del suo peccato, basta a cancellarlo la contrizione generale, come si dirà in seguito. Quindi non è più da considerarsi peccatore.

    ARTICOLO 5

    Se accostarsi a questo sacramento con la coscienza di peccato sia il più grave di tutti i peccati


    SEMBRA. che accostarsi a questo sacramento con la coscienza di peccato sia il più grave di tutti i peccati. Infatti:
    1. L'Apostolo afferma: "Chi mangia il pane e beve il calice del Signore indegnamente, è reo del corpo e del sangue del Signore". E la Glossa commenta: "Sarà punito, come se avesse ucciso Cristo". Ma il peccato degli uccisori di Cristo fu il più grave di tutti. Dunque anche accostarsi alla mensa del Signore con la coscienza di peccato, è evidentemente il più grave dei peccati.
    2. S. Girolamo scrive: "Tu che all'altare parli con Dio, perché ti confondi con le donne? Dimmi sacerdote, dimmi, o chierico, come ti è possibile baciare il Figlio di Dio con le stesse labbra con le quali hai baciato la figlia di una meretrice? O Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo!". Cosicché il fornicatore, accostandosi alla mensa di Cristo, pecca al pari di Giuda, il cui peccato fu gravissimo. Eppure molti altri peccati sono più gravi del peccato di fornicazione, specialmente il peccato d'incredulità. Perciò la colpa di qualunque peccatore che si accosta alla mensa di Cristo è il più grave dei peccati.
    3. Dinanzi a Dio è più abominevole l'immondezza spirituale di quella corporale. Ora, se uno gettasse il corpo di Cristo nel fango o nel letame, si considererebbe gravissimo il suo peccato. Quindi pecca più gravemente, se lo riceve in stato di peccato che è un'immondezza spirituale. Perciò questo è il più grave dei peccati.

    IN CONTRARIO: S. Agostino spiegando le parole di Cristo: "Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, essi non sarebbero in peccato", dice che esse devono intendersi del peccato d'incredulità, il quale "include tutti gli altri". Perciò il peccato più grave non è il peccato di cui si parla, ma piuttosto il peccato d'incredulità.

    RISPONDO: Come si è detto nella Seconda Parte, in due modi un peccato può essere più grave di un altro: primo di per sé; secondo, per le circostanze. È più grave di per sé secondo la sua natura, che si desume dall'oggetto. Sotto questo aspetto, quanto più grande è ciò contro cui si pecca, tanto più grave è il peccato. E poiché la divinità di Cristo è superiore alla sua umanità e l'umanità stessa è superiore ai sacramenti della sua umanità, i peccati più gravi sono quelli che si commettono direttamente contro la divinità, come i peccati d'incredulità e di bestemmia. Al secondo posto per gravità vengono i peccati che si commettono contro l'umanità di Cristo, tanto che si legge: "Chi pecca contro il Figlio dell'uomo, otterrà il perdono; ma chi pecca contro lo Spirito Santo, non otterrà il perdono né in questo secolo né in quello futuro". Al terzo posto ci sono i peccati che si commettono contro i sacramenti, i quali si ricollegano all'umanità di Cristo. Dopo di essi vengono gli altri peccati contro le semplici creature.
    Per le circostanze poi un peccato è più grave di un altro in rapporto al soggetto che lo commette: un peccato d'ignoranza o di debolezza, p. es., è più leggero di un peccato di disprezzo e di piena consapevolezza, e così si dica delle altre circostanze. Sotto questo secondo aspetto il peccato di cui parliamo in alcuni può essere più grave: p. es., in coloro che per disprezzo si accostano a questo sacramento con la coscienza di peccato; in altri invece esso è meno grave: p. es., in coloro che ricevono questo sacramento con la coscienza di peccato per paura di passare da peccatori.
    Perciò è evidente che questo peccato è per natura sua più grave di molti altri peccati, ma non è il più grave di tutti.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il peccato di coloro che ricevono indegnamente questo sacramento viene paragonato al peccato degli uccisori di Cristo per una certa somiglianza, perché entrambi sono commessi contro il corpo di Cristo, ma non per la sua gravità. Infatti il peccato degli uccisori di Cristo fu molto più grave. Primo, perché esso fu contro il corpo di Cristo nella sua specie propria, mentre questo è contro il corpo di Cristo nelle specie sacramentali. Secondo, perché quel delitto fu commesso con l'intenzione di far del male a Cristo; non così invece questo peccato.
    2. Il fornicatore che riceve il corpo di Cristo viene paragonato a Giuda che bacia il Cristo, per la somiglianza dei due peccati, perché l'uno e l'altro offendono Cristo mediante il segno dell'amore; ma non per la loro gravità, come abbiamo notato sopra. Tale rapporto di somiglianza negli altri peccatori non è meno marcato che nei lussuriosi, perché anche con gli altri peccati mortali si agisce contro la carità di Cristo, della quale è simbolo questo sacramento, e tanto maggiormente quanto più gravi sono i peccati. Tuttavia sotto un certo asretto il peccato di lussuria è quello che più di ogni altro rende l'uomo indisposto a ricevere l'Eucarestia, poiché da codesto peccato più che da ogni altro lo spirito viene assoggettato alla carne, e così viene impedito il fervore della carità che è richiesto in questo sacramento.
    Nondimeno è più grave l'impedimento della carità stessa che l'impedimento del suo fervore. Di conseguenza il peccato d'incredulità che separa radicalmente l'uomo dall'unità della Chiesa, parlando in senso assoluto, indispone l'uomo più di ogni altro peccato a ricevere l'Eucarestia, che è il sacramento di tale unità, come si è detto. Quindi un incredulo pecca più gravemente ricevendo questo sacramento che un credente peccatore, e più gravemente oltraggia Cristo presente in questo sacramento, specialmente se non crede alla sua reale presenza; perché, per quanto dipende da lui, sminuisce la santità di questo sacramento e la virtù di Cristo che opera in esso: ciò equivale a disprezzare il sacramento in se stesso. Il fedele invece, che si comunica cosciente di essere in peccato, non profana questo sacramento in se stesso, ma ne profana l'uso, ricevendolo indegnamente. Ecco perché l'Apostolo, dando la ragione di questo peccato, dice: "Non distinguendo il corpo del Signore", cioè "non facendo differenza tra esso e gli altri cibi"; e ciò lo fa massimamente chi non crede alla presenza di Cristo in questo sacramento.
    3. Chi gettasse questo sacramento nel fango peccherebbe molto più gravemente di chi si accostasse ad esso cosciente di essere in peccato mortale. Primo, perché farebbe ciò con l'intenzione di oltraggiare questo sacramento: intenzione che è estranea al peccatore il quale riceve indegnamente il corpo di Cristo.
    Secondo, perché l'uomo peccatore è capace della grazia e quindi più di ogni creatura priva di ragione è adatto a ricevere questo sacramento. Perciò userebbe nel peggior modo questo sacramento chi lo gettasse in pasto ai cani, o lo buttasse nel fango perché fosse calpestato.

    ARTICOLO 6

    Se il sacerdote debba rifiutare il corpo di Cristo quando lo chiede un peccatore


    SEMBRA che il sacerdote debba rifiutare il corpo di Cristo quando lo chiede un peccatore. Infatti:
    1. Non si può violare un precetto di Cristo per evitare lo scandalo o l'infamia di qualcuno. Ma il Signore ha comandato: "Non date le cose sante ai cani". Ora, questo avviene specialmente quando si amministra questo sacramento ai peccatori. Neppure quindi per evitare lo scandalo o l'infamia di qualcuno, si deve dare questo sacramento, se lo chiede un peccatore.
    2. Di due mali si deve scegliere il minore. Ma è minor male l'infamia di un peccatore, o la sostituzione con un'ostia non consacrata che il peccato mortale che egli commetterebbe ricevendo il corpo di Cristo. Perciò si deve preferire, o che il peccatore, quando chiede il corpo di Cristo, subisca l'infamia, o che riceva un'ostia non consacrata.
    3. Il corpo di Cristo viene dato talvolta per scoprire coloro che sono sospettati di un delitto. In proposito nei canoni si legge: "Accade spesso che nei monasteri maschili si compiano dei furti. Stabiliamo perciò che, dovendosi i monaci stessi scagionare da tali imputazioni, venga celebrata una messa dall'abate o da un altro dei monaci presenti, e al termine della messa tutti ricevano la comunione con queste parole: Il corpo di Cristo sia oggi per te una verifica". E poco più sotto: "Se a un vescovo o a un sacerdote viene imputato un maleficio, deve celebrare una messa per ogni imputazione e comunicarsi, dimostrandosi così innocente di qualunque addebito". Ora, non è bene che i peccatori occulti siano scoperti; perché, come dice S. Agostino, se perdono il pudore, peccheranno più sfacciatamente. Dunque ai peccatori occulti non si deve dare il corpo di Cristo, anche se lo chiedono.

    IN CONTRARIO: Commentando le parole del salmista: "Mangiarono e adorarono tutti i pingui della terra", S. Agostino osserva: "Il dispensatore non escluda dalla mensa del Signore i pingui della terra", ossia i peccatori.

    RISPONDO: Riguardo ai peccatori bisogna distinguere. Alcuni sono occulti; altri manifesti o per l'evidenza dei fatti, come i pubblici usurai e i rapinatori; oppure per la sentenza di un tribunale ecclesiastico o civile. Ebbene, ai peccatori manifesti non si deve dare la santa comunione, neanche se la chiedono. Scrive in proposito S. Cipriano: "Per la tua gentilezza hai creduto di dovermi chiedere il parere sugli istrioni e su quello stregone che, stabilitosi in mezzo a voi, continua ancora nel suo vergognoso mestiere: se a costoro si debba dare la comunione come agli altri cristiani. Credo che disdica e alla maestà divina e alla disciplina evangelica lasciar contaminare la santità e l'onore della Chiesa da contagi così turpi e infami".
    Invece se i peccatori non sono notori ma occulti, non si può negare la santa comunione quando la chiedono. Perché, essendo ogni cristiano ammesso alla mensa del Signore per il fatto che è battezzato, non gli si può togliere il suo diritto se non per una ragione manifesta. Per questo, commentando le parole di S. Paolo, "Se uno tra voi, chiamandosi fratello, ecc.", S. Agostino afferma: "Noi non possiamo escludere nessuno dalla comunione, se non nel caso che abbia spontaneamente confessato la sua colpa, o sia stato processato e condannato da un tribunale ecclesiastico o civile".
    Nondimeno il sacerdote che è al corrente della colpa, può ammonire privatamente il peccatore occulto, oppure avvertire genericamente tutti in pubblico di non accostarsi alla mensa del Signore prima di essersi pentiti dei propri peccati e riconciliati con la Chiesa. Poiché dopo il pentimento e la riconciliazione, non si può negare la comunione neppure ai peccatori pubblici, specialmente in punto di morte. Tanto che in un Concilio di Cartagine si legge: "Agli uomini di teatro, agli istrioni e alle altre persone della stessa risma, come agli apostati, quando si convertono a Dio, non si neghi la riconciliazione".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È proibito dare le cose sante "ai cani", ossia ai peccatori notori. Ma le colpe occulte non si possono punire pubblicamente, bensì rimetterle al giudizio di Dio.
    2. Sebbene per un peccatore occulto sia peggio peccare mortalmente ricevendo il corpo di Cristo che essere infamato, tuttavia per il sacerdote che lo amministra è peggio peccare mortalmente infamando ingiustamente un peccatore occulto, che permettergli di peccare mortalmente; perché nessuno deve commettere un peccato mortale per evitare la colpa di un altro. Perciò S. Agostino ha scritto: "È una compensazione pericolosissima commettere noi qualche cosa di male allo scopo che un altro non faccia un male più grave". Il peccatore occulto però da parte sua è tenuto a preferire l'infamia alla comunione sacrilega.
    Tuttavia in nessun caso si deve dare un'ostia non consacrata al posto di un'ostia consacrata, perché ciò facendo il sacerdote si renderebbe colpevole per parte sua dell'idolatria, commessa da quanti crederebbero consacrata quell'ostia, cioè o dai presenti, o dallo stesso comunicando: infatti, come dice S. Agostino, "nessuno mangi la carne di Cristo senza prima adorarla". In proposito nei Canoni si legge: "Quantunque pecchi gravemente accostandosi senza rispetto all'Eucarestia chi per coscienza di crimine sa di essere indegno, tuttavia peccherebbe più gravemente chi ingannandolo osasse simulare il sacramento".
    3. Quei decreti sono stati abrogati dai Romani Pontefici. Infatti il Papa Stefano dice: "I sacri canoni non consentono di estorcere a nessuno la confessione con la prova del ferro infuocato o dell'acqua bollente. Perché i pubblici delitti vengono demandati al giudizio della nostra autorità per spontanea confessione o per certa testimonianza; invece i delitti occulti e ignoti si devono lasciare a colui che solo conosce i cuori degli uomini". Le stesse norme si trovano ripetute nei Canoni. Infatti in tutte queste prove si ha una tentazione di Dio, e quindi non si possono fare senza peccato. Più grave poi sarebbe se in questo sacramento, istituito come mezzo di salvezza, qualcuno dovesse incorrere una sentenza di morte. Perciò il corpo di Cristo non si deve dare assolutamente a nessuno che sia sospettato di delitto come mezzo d'inquisizione.

    ARTICOLO 7

    Se la polluzione notturna possa impedire di ricevere il corpo di Cristo


    SEMBRA che la polluzione notturna non possa mai impedire di ricevere il corpo di Cristo. Infatti:
    1. A nessuno è proibita la comunione del corpo di Cristo se non per un peccato. Ma la polluzione notturna avviene senza peccato; infatti S. Agostino spiega: "Dalla fantasia stessa che serve il pensiero di chi parla, quando nella visione di chi sogna opera così da non lasciare differenza tra la copula carnale sognata e quella vera, la carne viene eccitata e a tale eccitazione segue ciò che suole seguire; ed è talmente senza peccato, come senza peccato sarebbe da svegli quel dato discorso, anche se per parlare bisogna pur pensare a una data cosa". Dunque la polluzione notturna non impedisce all'uomo di ricevere questo sacramento.
    2. S. Gregorio Magno scrive: "Se qualcuno usa della propria moglie non per desiderio di piacere, ma solo per la procreazione dei figli, deve essere lasciato alla sua coscienza giudicare se è degno di entrare in chiesa o di partecipare al mistero del corpo del Signore; poiché noi non dobbiamo proibirlo a colui che posto nel fuoco non riesce a non bruciare". Da qui risulta che la stessa polluzione avuta da svegli, se avviene senza peccato, non proibisce all'uomo di ricevere il corpo di Cristo. Molto meno quindi lo proibisce la polluzione notturna capitata nel sonno.
    3. La polluzione notturna compromette soltanto la pulizia del corpo. Ma tutte le altre impurità corporali, che impedivano secondo la legge mosaica l'ingresso nel tempio, quali l'impurità della puerpera, o della donna mestruata o soggetta a flusso di sangue, non impediscono nella legge nuova la comunione eucaristica, come scrisse S. Gregorio a S. Agostino vescovo degli Angli. Dunque neppure la polluzione notturna impedisce all'uomo la comunione eucaristica.
    4. Il peccato veniale non proibisce all'uomo la comunione eucaristica, anzi non la proibisce neanche il peccato mortale dopo la penitenza. Ora, anche ammesso che la polluzione notturna sia derivata da una colpa precedente o di crapula o di turpi pensieri, questo peccato il più delle volte è veniale: e se eventualmente fosse mortale, la mattina uno può pentirsene e confessarsi. Quindi non deve essergli proibito di ricevere questo sacramento.
    5. È più grave il peccato di omicidio che quello di fornicazione. Ma se uno di notte sogna di commettere un omicidio o un furto o qualsiasi altro peccato, non per questo gli è proibito di accostarsi alla Eucarestia. Tanto meno quindi deve proibirglielo la fornicazione sognata con il seguito della polluzione.

    IN CONTRARIO: Si legge nella Scrittura: "È immondo fino alla sera l'uomo che abbia avuto emissione di sperma". Ma agli immondi non è libero l'accesso ai sacramenti. Perciò la polluzione notturna impedisce l'accesso a questo che è il massimo dei sacramenti.

    RISPONDO: Riguardo alla polluzione notturna vanno considerate due cose: l'una che impedisce necessariamente all'uomo di ricevere l'Eucarestia; l'altra che glielo impedisce non necessariamente, ma solo per una ragione di convenienza.
    Necessariamente impedisce all'uomo di ricevere questo sacramento solo il peccato mortale. Ora, la polluzione notturna, sebbene considerata in se stessa non possa essere peccato mortale, tuttavia, in dipendenza della causa da cui proviene, può essere connessa con un peccato mortale. Deve quindi ponderarsi la causa della polluzione notturna. Talora essa proviene da una causa estrinseca spirituale, cioè da suggestione diabolica: i demoni, come si è detto nella Prima Parte, possono movimentare i fantasmi e al comparire di questi talvolta segue la polluzione. Altre volte invece la polluzione proviene da cause intrinseche spirituali, ossia dai pensieri precedenti. E finalmente talora essa proviene da cause intrinseche corporali, cioè da sovrabbondanza di seme, da debolezza di natura, o da eccesso di cibo o di bevande. Ciascuna di queste tre cause può esser senza peccato, o con peccato veniale, o con peccato mortale. Se è senza peccato, o solo con peccato veniale, non impedisce necessariamente la comunione eucaristica, cioè nel senso che comunicandosi l'uomo si renda "reo del corpo e del sangue del Signore". Se invece implica un peccato mortale, l'impedisce necessariamente.
    La suggestione diabolica infatti proviene talora dalla negligenza nel disporsi alla devozione, e questa negligenza può essere peccato veniale o mortale. - A volte invece proviene solo dalla nequizia dei demoni, desiderosi di distogliere l'uomo dall'uso di questo sacramento. Si legge appunto nelle Collationes Patrum che soffrendo un monaco la polluzione sempre in coincidenza con le feste nelle quali c'era da comunicarsi, i monaci più anziani, appurato che egli non aveva alcuna responsabilità nella cosa, decisero che per questo non si ritraesse dalla comunione, e così cessò la suggestione diabolica.
    Allo stesso modo anche i precedenti pensieri lascivi possono essere del tutto senza peccato: p. es., quando uno deve pensare a certe cose per necessità di insegnamento o di discussione. Se ciò si fa senza concupiscenza e compiacimento, non saranno pensieri immondi ma onesti, nonostante che possano provocare la polluzione, come risulta dal testo di S. Agostino citato sopra. - Talora invece quei pensieri sono accompagnati dalla concupiscenza e dal compiacimento: e allora, se c'è il consenso, sono peccato mortale, e se manca il consenso, sono peccato veniale.
    Così anche le cause corporali a volte sono senza peccato: p. es., quando la cosa proviene da debolezza di natura, per cui alcuni subiscono la polluzione anche da svegli senza peccato; oppure quando dipende da sovrabbondanza di seme: come infatti capita un sovrappiù di sangue senza peccato, così può capitare un sovrappiù di seme, che secondo Aristotele deriva dal sangue superfluo. - Altre volte codeste cause implicano un peccato: p. es., quando la cosa dipende da un eccesso nel mangiare e nel bere. E anche questo può essere peccato veniale o mortale: sebbene il peccato mortale si commetta più frequentemente nei pensieri lascivi, per la facilità del consenso, che nell'uso dei cibi e delle bevande. Ecco perché S. Gregorio, scrivendo a S. Agostino vescovo degli Angli, dice che ci si deve astenere dalla comunione quando la polluzione proviene da turpi pensieri, non già quando proviene da abbondanza di cibi e di bevande, specialmente quando uno ne ha bisogno.
    In conclusione dunque si deve tener conto della causa della polluzione, per giudicare se la polluzione notturna impedisca necessariamente la comunione eucaristica.
    Per una ragione di convenienza poi la polluzione notturna impedisce l'accesso al sacramento eucaristico per due cose. La prima, che sempre l'accompagna, è una certa sozzura fisica, e per rispetto al sacramento non è conveniente accostarsi con essa all'altare; tanto è vero che quegli stessi che vogliono toccare qualche cosa di sacro, si lavano le mani; a meno che tale impurità non sia perpetua o diuturna, come la lebbra, l'emorragia, o cose simili. - L'altra cosa è la distrazione mentale che segue la polluzione notturna, specie quando questa è accompagnata da immaginazioni oscene.
    Tuttavia questo impedimento imposto dalla convenienza è da posporsi a ragioni di necessità: p. es., "quando", come dice San Gregorio, "la ricorrenza di una festa lo esige, o lo richiede un ministero sacerdotale, in mancanza di un altro sacerdote".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. A rigore a nessuno è proibita la comunione eucaristica, se non a causa del peccato mortale; ma uno può essere impedito dall'accostarvisi per altre ragioni, come abbiamo detto, secondo un certo motivo di convenienza.
    2. La copula coniugale, quando è senza peccato, ossia quando si compie per la generazione della prole o per rendere il debito, non impedisce la comunione eucaristica se non nella misura in cui la impedisce, come si è detto, la polluzione notturna avvenuta senza peccato, ossia per la sozzura del corpo e per la distrazione della mente. In relazione a questo S. Girolamo scrive: "Se i pani della proposizione non potevano essere mangiati da coloro che avevano avuto contatto con la moglie, quanto meno è lecito a coloro che poco prima si sono stretti nell'amplesso coniugale violare o toccare il pane disceso dal cielo! Non è che noi condanniamo le nozze, ma non dobbiamo darci a opere carnali nel tempo in cui ci disponiamo a mangiare le carni dell'Agnello". Tuttavia, poiché questo è dettato da motivi di convenienza e non di necessità, S. Gregorio insegna che costoro "vanno lasciati al loro criterio personale". - "Se invece non predomina l'amore della procreazione, bensì il piacere", come si esprime ivi stesso S. Gregorio, allora si deve proibire di accedere a questo sacramento.
    3. Nell'antico Testamento, come nota S. Gregorio nella lettera a S. Agostino vescovo degli Angli sopra citata, alcune impurità avevano un significato simbolico, che il popolo della nuova legge interpreta in senso spirituale. Quindi tali impurità corporali, se sono perpetue o diuturne, non impediscono l'accesso a questo sacramento di salvezza come impedivano l'accesso ai sacramenti prefigurativi. Se cessano presto, come la polluzione notturna, impediscono per una certa convenienza la comunione eucaristica nel giorno in cui la polluzione è avvenuta. Si legge infatti nel Deuteronomio: "Se vi sarà qualcuno tra voi che sia divenuto immondo la notte nel sonno, esca dagli alloggiamenti e non vi ritorni la sera prima di essersi lavato con acqua".
    4. Con la contrizione e la confessione, sebbene si tolga il reato della colpa, tuttavia non si toglie l'impurità corporale e la distrazione mentale che accompagna la polluzione.
    5. Il sogno di un omicidio non comporta impurità corporale né tanta distrazione della mente quanta ne produce la fornicazione sognata, data l'intensità del piacere. Nondimeno un sogno di omicidio, se proviene da una causa peccaminosa, specialmente mortale, impedisce di ricevere l'Eucarestia in ragione della sua causa.

    ARTICOLO 8

    Se il cibo e la bevanda presi in precedenza impediscano la comunione eucaristica


    SEMBRA che il cibo e la bevanda presi in precedenza non impediscano la comunione eucaristica. Infatti:
    1. Questo sacramento fu istituito dal Signore nella Cena. Ma il Signore distribuì ai suoi discepoli questo sacramento dopo che ebbe cenato, come risulta da S. Luca e da S. Paolo. Dunque anche noi dobbiamo prendere questo sacramento dopo aver consumato altri cibi.
    2. Dice l'Apostolo: "Radunandovi per mangiare", il corpo del Signore, "aspettatevi gli uni gli altri, e se uno ha fame, mangi a casa sua". Da ciò risulta che dopo aver mangiato a casa uno può mangiare in chiesa il corpo di Cristo.
    3. In un Concilio di Cartagine è prescritto: "Il sacramento dell'altare si celebri solo a digiuno, eccetto il solo giorno anniversario in cui si commemora la Cena del Signore". Dunque almeno quel giorno si può ricevere il corpo di Cristo dopo altri cibi.
    4. Prendere dell'acqua o una medicina, o altro cibo o liquido in minima quantità, o deglutire i resti del cibo rimasti in bocca, non viola il digiuno ecclesiastico né la sobrietà richiesta dalla riverenza verso questo sacramento. Perciò le cose suddette non impediscono la comunione eucaristica.
    5. Alcuni mangiano o bevono a notte fonda, e forse dopo una notte insonne la mattina ricevono i sacri misteri, senza aver ancora ben digerito. Quindi si salverebbe meglio la sobrietà, se la mattina uno mangiasse un poco, e poi verso le tre pomeridiane ricevesse questo sacramento; perché talvolta ci sarebbe anche maggiore distanza di tempo. Il cibo quindi preso in tal modo non può impedire la comunione eucaristica.
    6. Non minor riverenza si deve a questo sacramento dopo la comunione di quella che gli si deve prima. Ma dopo la comunione è lecito prendere cibi e bevande. Dunque anche prima.

    IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: "Piacque allo Spirito Santo che, a onore di tanto sacramento, il corpo del Signore entrasse nella bocca dei cristiani prima di ogni altro cibo".

    RISPONDO: Una cosa può impedire di ricevere questo sacramento per due motivi diversi. Primo, per la sua stessa natura: e di tal genere è il peccato mortale che contraddice al significato di questo sacramento, come sopra abbiamo visto.
    Secondo, per la proibizione della Chiesa. E questa vieta la comunione eucaristica dopo che uno ha mangiato o bevuto, per tre ragioni. Primo, "per il rispetto verso questo sacramento", come si esprime S. Agostino: ordinando che esso entri nella bocca dell'uomo prima che questa venga contaminata da ogni cibo e bevanda. - Secondo, per insegnare che Cristo, il quale è la realtà contenuta in questo sacramento, e la sua carità devono impiantarsi nei nostri cuori prima di ogni altra cosa, conforme alle parole evangeliche: "Cercate prima di tutto il regno di Dio". - Terzo, per il pericolo di vomito e di ubriachezza, che a volte capita perché gli uomini si cibano senza moderazione secondo l'osservazione dell'Apostolo: "C'è chi patisce la fame, e c'è invece chi è ubriaco".
    Da questa regola generale tuttavia sono esentati gli infermi, ai quali si deve dare la comunione anche subito dopo che hanno mangiato, quando sono in pericolo, affinché non abbiano a morire senza la comunione: poiché "la necessità non ha legge". Di qui la prescrizione dei Canoni : "Il sacerdote comunichi subito l'infermo, perché non muoia senza comunione".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Rispondiamo con S. Agostino: "Per il fatto che il Signore diede l'Eucarestia dopo la cena, non per questo i fedeli devono radunarsi a ricevere questo sacramento dopo aver pranzato o cenato, né devono mescolare l'Eucarestia alle loro mense, come facevano coloro che l'Apostolo rimprovera e condanna. Il Salvatore infatti per far risaltare con evidenza maggiore l'altezza di quel mistero, lo volle imprimere per ultimo profondamente nei cuori e nella memoria dei discepoli. Per questo però non prescrisse che lo si dovesse ricevere nello stesso ordine, lasciando tale compito agli Apostoli, per opera dei quali voleva che si organizzassero le Chiese".
    2. Il testo di S. Paolo è così spiegato dalla Glossa: "Se uno ha fame e per impazienza non vuole aspettare gli altri, mangi a casa i propri alimenti, cioè si nutra di pane terreno, e si astenga dal ricevere l'Eucarestia".
    3. Quella norma si riferisce alla consuetudine che un tempo si osservava in qualche luogo, nella commemorazione della Cena del Signore, di ricevere in quel giorno il corpo di Cristo dopo aver mangiato. Ma ora questa consuetudine è abrogata. Poiché, come nota S. Agostino, "è seguito dal mondo intero quest'uso", cioè di ricevere il corpo di Cristo a digiuno.
    4. Come si disse nella Seconda Parte, il digiuno è di due specie. Il primo è il digiuno naturale, che importa l'esclusione di qualunque cosa presa come cibo o bevanda. E tale digiuno è richiesto per questo sacramento secondo le ragioni addotte. Perciò né dopo aver preso dell'acqua né dopo altro cibo, bevanda o medicina, per piccola che ne sia la quantità, è lecito ricevere questo sacramento. E non conta che la cosa nutra o non nutra, né che si prenda da sola o con altro: basta che si prenda a modo di cibo o di bevanda. - Tuttavia i resti del cibo che rimangono in bocca, se fortuitamente s'inghiottiscono, non impediscono la comunione; perché non s'ingeriscono a modo di cibo, ma a modo di saliva. Lo stesso si dica dell'acqua o del vino che restano in bocca dopo essersela lavata, se la loro quantità non è notevole, ma si confonde con la saliva, com'è inevitabile.
    L'altro è il digiuno ecclesiastico, istituito quale mortificazione della carne. Tale digiuno non viene rotto dalle cose suddette, perché esse non nutrono in maniera rilevante, ma si prendono piuttosto per aiutare la digestione.
    5. Quando si dice che "questo sacramento deve entrare nella bocca del cristiano prima degli altri cibi", non s'intende in senso assoluto rispetto a tutto il tempo, altrimenti chi avesse mangiato o bevuto una volta non potrebbe più prendere questo sacramento. Ma deve intendersi rispetto allo stesso giorno. E sebbene a proposito dell'inizio del giorno ci siano modi diversi di determinarlo: dal mezzoggiorno, dal tramonto, dalla mezzanotte, o dalla levata del sole, tuttavia la Chiesa seguendo l'uso dei Romani lo fa partire dalla mezzanotte. Perciò se dopo la mezzanotte uno ha preso qualche cosa a modo di cibo o di bevanda, non può nello stesso giorno ricevere l'Eucarestia; può farlo invece, se ha mangiato o bevuto prima di mezzanotte.
    Rispetto alla legge suddetta non importa che uno, dopo aver mangiato o bevuto, abbia dormito o digerito. Tuttavia la veglia notturna e l'indigestione incidono sul turbamento dell'anima: e se il turbamento spirituale è grave, uno è reso inadatto alla comunione eucaristica.
    6. La massima devozione si richiede nel momento di ricevere l'Eucarestia, perché allora si ottiene l'effetto del sacramento. Ora, questa devozione è più ostacolata da quanto precede la comunione che da quanto la segue. Ecco perché fu stabilito che gli uomini digiunino prima della comunione piuttosto che dopo. Tuttavia dev'esserci un po' d'intervallo tra la comunione e la consumazione di altri cibi. Nella messa infatti dopo la comunione si recita una preghiera di ringraziamento; e privatamente anche coloro che si sono comunicati dicono altre orazioni.
    Secondo i canoni antichi però era stato prescritto dal Papa Clemente: "Se la porzione del Signore si prende la mattina, i ministri che l'hanno ricevuta, digiunino fino all'ora sesta; se l'hanno ricevuta all'ora terza o quarta, digiunino fino al vespero". Anticamente però era più rara la celebrazione della messa, e si faceva con maggiore preparazione. Ora invece, dovendosi più frequentemente celebrare i sacri misteri, non si può comodamente osservare la stessa disciplina di prima. Conseguentemente essa è stata abrogata dalla consuetudine contraria.

    ARTICOLO 9

    Se a coloro che non hanno l'uso di ragione, si debba amministrare questo sacramento


    SEMBRA che coloro i quali non hanno l'uso di ragione non debbano ricevere questo sacramento. Infatti:
    1. A questo sacramento ci si deve accostare con devozione e dopo aver esaminato se stessi, secondo le parole dell' Apostolo: "Esamini ognuno se stesso e così mangi di quel pane e beva di quel calice". Ma ciò non è possibile a chi manca dell'uso di ragione. Dunque a costoro non si deve amministrare questo sacramento.
    2. Tra coloro che non hanno l'uso di ragione ci sono anche gli ossessi, chiamati energumeni. Ma questi, secondo Dionigi, sono esclusi perfino dal guardare il sacramento. Perciò l'Eucarestia va negata a quelli che son privi dell'uso di ragione.
    3. Tra coloro che mancano dell'uso di ragione si devono contare specialmente i bambini innocenti. Ma ai bambini non si dà questo sacramento. Molto meno quindi si può dare agli altri.

    IN CONTRARIO: Negli atti del Concilio d'Orange si legge: "Ai dementi si deve dare tutto ciò che riguarda la pietà". Perciò si deve loro accordare l'Eucarestia che è "il sacramento della pietà".

    RISPONDO: Si può essere privi dell'uso di ragione in due maniere. Primo, per il fatto che si possiede un debole uso di ragione: allo stesso modo che diciamo privo di vista chi ci vede poco. A costoro, per il fatto che possono concepire una qualche devozione verso l'Eucarestia, non deve negarsi questo sacramento.
    Secondo, per non avere affatto l'uso di ragione. Costoro però, o non l'hanno mai avuto fin dalla nascita: e a questi non deve amministrarsi l'Eucarestia, perché in essi non ci fu mai alcuna devozione verso questo sacramento; oppure non sempre furono privi dell'uso di ragione. Ebbene, se costoro prima, quando erano in sé, avevano dato segno di devozione a questo sacramento, lo si deve loro concedere in punto di morte, purché non ci sia pericolo di vomito o di sputo. In proposito negli atti del IV Concilio di Cartagine, riferito dal Decreto (di Graziano) si legge: "Colui che da infermo chiede la penitenza, se per caso, mentre il sacerdote da lui invitato è in arrivo, vinto dal male perde i sensi e la ragione, dietro testimonianza di quanti lo hanno udito, riceva il perdono, e, se la morte sembra imminente, venga riconciliato con l'imposizione delle mani e gli si versi in bocca l'Eucarestia".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tra le persone prive dell'uso di ragione alcune possono avere verso l'Eucarestia una devozione attuale, altre possono averla avuta in passato.
    2. Dionigi parla degli energumeni non ancora battezzati, cioè di quelli nei quali non è stata ancora infranta la forza del demonio, vigente in loro per il peccato originale. Ma per i battezzati, che sono posseduti corporalmente dagli spiriti immondi, vale la regola data per gli altri deficienti. In merito Cassiano osserva: "Noi non ricordiamo che dai nostri predecessori sia mai stata interdetta la santa comunione a costoro", cioè a quelli che sono tormentati dagli spiriti immondi.
    3. I bambini nati da poco si trovano nella stessa condizione dei dementi che non hanno mai avuto l'uso di ragione. Quindi a costoro non si devono dare i santi misteri, sebbene alcuni Greci facciano il contrario, per il fatto che Dionigi raccomanda di dare la comunione ai battezzati, non avvertendo che Dionigi parla in quel testo del battesimo degli adulti. I bambini però per tale rifiuto non subiscono per la loro vita il danno minacciato da quelle parole del Signore: "Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita"; perché, conforme a quanto scrive S. Agostino, "ciascun fedele diventa partecipe" spiritualmente "del corpo e del sangue del Signore, quando col battesimo diventa membro del corpo di Cristo".
    Però quando i bambini incominciano ad avere un certo uso di ragione, da poter concepire devozione verso questo sacramento, allora si può conferire ad essi l'Eucarestia.

    ARTICOLO 10

    Se sia lecito ricevere ogni giorno questo sacramento


    SEMBRA che non sia lecito ricevere ogni giorno questo sacramento. Infatti:
    1. Questo sacramento, rappresenta la passione del Signore, come il battesimo. Ora, non è lecito battezzarsi più volte, ma una volta sola; perché, come dice S. Pietro, "Cristo è morto una sola volta per i nostri peccati". Dunque non è lecito ricevere tutti i giorni questo sacramento.
    2. La verità deve corrispondere alla figura. Ma l'agnello pasquale, che fu la principale figura di questo sacramento, come si è detto sopra, non si mangiava se non una volta all'anno. E la Chiesa stessa celebra la passione di Cristo, di cui questo sacramento è il memoriale, una volta l'anno. Dunque non è lecito ricevere ogni giorno questo sacramento, bensì una volta l'anno.
    3. Questo sacramento, che contiene Cristo nella sua integrità, merita la massima riverenza. Ma si deve appunto alla riverenza che uno si astenga da questo sacramento: ed è per questo che viene lodato il Centurione il quale disse: "Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa"; così pure Pietro per la sua esclamazione: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore". Non è quindi lodevole che uno riceva ogni giorno questo sacramento.
    4. Se ricevere frequentemente l'Eucarestia fosse cosa lodevole, tanto più sarebbe lodevole quanto più la comunione fosse frequente. Ora, la frequenza sarebbe maggiore, se l'uomo ricevesse questo sacramento più volte al giorno. Quindi dovrebbe essere lodevole comunicarsi più volte al giorno. Questo però non è ammesso dalla consuetudine della Chiesa. Perciò non è lodevole che uno si comunichi ogni giorno.
    5. La Chiesa con le sue leggi intende provvedere al bene dei suoi fedeli. Ma per legge ecclesiastica i fedeli sono tenuti a comunicarsi soltanto una volta all'anno, come si legge nei Canoni: "Ogni fedele dell'uno e dell'altro sesso riceva riverentemente almeno a Pasqua il sacramento dell'Eucarestia, a meno che dietro consiglio del proprio sacerdote, per qualche ragionevole causa, non giudichi di doversene astenere per un certo tempo". Non è dunque lodevole ricevere ogni giorno questo sacramento.

    IN CONTRARIO: S. Agostino dice: "Questo è il pane quotidiano: ricevilo ogni giorno, perché ogni giorno ti giovi".

    RISPONDO: Circa l'uso di questo sacramento possiamo considerare due cose. La prima da parte del sacramento stesso, la cui virtù è salutare per gli uomini. E sotto quest'aspetto è utile riceverlo quotidianamente, perché ogni giorno se ne riceva il frutto. Di qui le parole di S. Ambrogio: "Se il sangue di Cristo ogni volta che si effonde, si effonde a remissione dei peccati, io che pecco continuamente devo riceverlo sempre, sempre devo prendere la medicina".
    In secondo luogo possiamo considerare la cosa da parte di chi si comunica, il quale è tenuto ad accostarsi a questo sacramento con grande devozione e riverenza. Perciò se uno ogni giorno si trova preparato, è cosa lodevole che lo faccia ogni giorno. Per cui S. Agostino dopo aver detto, "Ricevilo ogni giorno, perché ogni giorno ti giovi", soggiunge: "Vivi così da meritare di riceverlo ogni giorno". Tuttavia, poiché spesso in un gran numero di persone molti ostacoli impediscono la necessaria devozione, per indisposizioni del corpo e dell'anima, non sarebbe utile a tutti accostarsi ogni giorno a questo sacramento, ma è utile che ciascuno ci si accosti tutte le volte che si sente preparato a riceverlo. Ecco perché nel De Ecclesiasticis Dogmatibus si legge: "Ricevere la comunione eucaristica ogni giorno è cosa che né lodo né biasimo".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con il sacramento del battesimo l'uomo viene configurato alla morte di Cristo, ricevendone il carattere: quindi, come Cristo "è morto una sola volta", così solo una volta l'uomo dev'essere battezzato. Con l'Eucarestia invece l'uomo non riceve il carattere di Cristo, ma Cristo stesso, la cui virtù dura in eterno, secondo l'espressione dell'Apostolo: "Con una sola offerta ha condotto alla perfezione per sempre i santificati". Ora, avendo l'uomo quotidianamente bisogno della virtù salvifica di Cristo, può lodevolmente ricevere ogni giorno questo sacramento.
    Inoltre, deve soprattutto considerarsi che il battesimo è una rigenerazione spirituale. Quindi l'uomo come nasce fisicamente una sola volta, così una sola volta deve rinascere spiritualmente mediante il battesimo, come nota S. Agostino commentando le parole di Nicodemo: "Come può un uomo rinascere quando è vecchio?". Al contrario l'Eucarestia è cibo spirituale: quindi come si prende ogni giorno il cibo materiale, così è cosa lodevole ricevere ogni giorno questo sacramento. Ecco perché il Signore insegna a chiedere: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". E S. Agostino spiega: "Se ogni giorno lo ricevi" questo sacramento, "ogni giorno è oggi per te, ogni giorno per te risorge Cristo: l'oggi è appunto il giorno in cui il Cristo risorge".
    2. L'agnello pasquale fu la principale figura dell'Eucarestia quanto alla passione di Cristo, rappresentata da questo sacramento. Perciò esso veniva consumato una sola volta all'anno, perché "Cristo è morto una volta soltanto". Per questo anche la Chiesa una sola volta all'anno celebra il ricordo della passione di Cristo. Nell'Eucarestia però il memoriale della passione di Cristo viene dato a noi sotto forma di cibo, il quale si prende ogni giorno. Perciò sotto quest'aspetto l'Eucarestia è raffigurata dalla manna, la quale veniva data al popolo nel deserto ogni giorno.
    3. La riverenza verso questo sacramento è un timore temperato dall'amore: si chiama appunto timore filiale il timore riverenziale verso Dio, come si disse nella Seconda Parte. Infatti dall'amore nasce il desiderio di riceverlo, dal timore viene l'umiltà del rispetto. Perciò entrambe le cose possono esprimere la riverenza verso questo sacramento: sia la comunione quotidiana che l'astensione temporanea. Ecco perché S. Agostino diceva: "Se qualcuno osserva che non si deve ogni giorno ricevere l'Eucarestia e un altro sostiene il contrario, faccia ciascuno ciò che secondo la propria coscienza crede piamente suo dovere. Infatti Zaccheo e il Centurione non litigarono tra loro, pur avendo l'uno accolto gioiosamente il Signore e l'altro protestato: "Non sono degno che tu entri nella mia casa", onorando tutti e due il Signore, sebbene in modi diversi". Tuttavia l'amore e la speranza, sentimenti ai quali la Scrittura c'invita continuamente, sono da preferirsi al timore; cosicché avendo Pietro esclamato: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore", Gesù replicò: "Non temere".
    4. Il fatto che il Signore dica: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" esclude che ci si possa comunicare più volte al giorno; cosicché almeno l'unica comunione giornaliera possa rappresentare l'unicità della passione di Cristo.
    5. Secondo le loro diverse condizioni le Chiese emanarono leggi diverse a questo riguardo. Infatti nella Chiesa primitiva, quando ferveva una grande devozione di fede cristiana, fu stabilito che i fedeli si comunicassero ogni giorno. Perciò il Papa S. Anacleto dice: "Fatta la consacrazione, tutti si comunichino, se non vogliono trovarsi fuori della Chiesa: così infatti vollero gli Apostoli e così osserva la Chiesa Romana". In seguito invece, essendo diminuito il fervore, il Papa S. Fabiano concesse che "tutti si comunicassero, se non più di frequente, almeno tre volte all'anno: a Pasqua, a Pentecoste e a Natale". Anche il Papa S. Sotero comanda la comunione "in Coena Domini", come si legge nel Decreto. Successivamente però, "per il crescere del male e il raffreddamento in molti della carità", Innocenzo III stabilì che i fedeli si comunicassero "almeno una volta l'anno", cioè "a Pasqua". - Tuttavia nel libro De Ecclesiasticis Dogmatibus si consiglia "di comunicarsi tutte le domeniche".

    ARTICOLO 11

    Se sia lecito astenersi del tutto dalla comunione


    SEMBRA che sia lecito astenersi del tutto dalla comunione. Infatti:
    1. Viene lodato il Centurione perché protestò: "Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa". E a lui corrisponde chi stima di doversi astenere dalla comunione, come si è detto sopra. Ora, poiché non si legge che Cristo sia poi entrato nella casa del centurione, è lecito astenersi dalla comunione per tutto il tempo della vita.
    2. A ciascuno è lecito astenersi dalle cose che non sono necessarie alla salvezza. Ma questo sacramento non è necessario alla salvezza, come si è detto sopra. Dunque è lecito cessare completamente di riceverlo.
    3. I peccatori non son tenuti a comunicarsi; tanto che il Papa Fabiano, dopo aver detto: "Tutti si comunichino tre volte all'anno", soggiunge: "a meno che uno non sia impedito da gravi delitti". Ma se quelli che non sono in peccato, son tenuti a comunicarsi, i peccatori vengono a trovarsi in condizioni migliori dei giusti: il che è inammissibile. Perciò anche ai giusti è lecito fare a meno della comunione.

    IN CONTRARIO: Il Signore afferma: "Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita".

    RISPONDO: Come sopra abbiamo visto, due sono le maniere di ricevere questo sacramento: spiritualmente e sacramentalmente. Ora, è chiaro che tutti sono tenuti a comunicarsi almeno spiritualmente; perché ciò, secondo le spiegazioni date, significa incorporarsi a Cristo. La comunione spirituale però include il desiderio di ricevere questo sacramento, come si è già osservato. Perciò senza il desiderio di ricevere questo sacramento per l'uomo non ci può essere salvezza. Ma un desiderio sarebbe vano, se non venisse appagato quando l'opportunità lo consente. Di conseguenza è chiaro che l'uomo è tenuto a ricevere questo sacramento non solo per la legge della Chiesa, ma anche per il precetto del Signore : "Fate questo in memoria di me". La legge della Chiesa non fa che determinare i tempi in cui si deve eseguire il precetto di Cristo.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. "È vera umiltà" dice S. Gregorio "quella che non si ostina a respingere ciò che utilmente viene comandato". Non sarebbe quindi umiltà lodevole, se uno contro il precetto di Cristo e della Chiesa si astenesse del tutto dalla comunione. Al centurione invece non era stato comandato di ricevere Cristo in casa sua.
    2. L'Eucarestia non è necessaria alla salvezza come il battesimo per i bambini, i quali possono salvarsi senza di essa, ma non senza il sacramento del battesimo. Ma per gli adulti sono strettamente necessari l'uno e l'altro sacramento.
    3. I peccatori soffrono un gran danno dall'essere esclusi da questo sacramento e quindi non sono per questo dei privilegiati. Quelli però che persistono nella colpa, non sono scusati dalla trasgressione del precetto della comunione, tuttavia sono scusati i penitenti che, come dice Innocenzo III "se ne astengono secondo il consiglio del sacerdote".

    ARTICOLO 12

    Se sia lecito assumere il corpo di Cristo senza il sangue


    SEMBRA che non sia lecito sumere il corpo di Cristo senza il sangue. Infatti:
    1. Il Papa Gelasio dichiara: "Sappiamo che alcuni, ricevuta soltanto la porzione del sacro corpo, si astengono dal calice del sangue consacrato. Costoro quindi, guidati senza dubbio da chi sa quale superstizione, o ricevano per intero i sacramenti o se ne astengano per intero". Non è dunque permesso di ricevere il corpo di Cristo senza il suo sangue.
    2. Alla integrità di questo sacramento concorre, come abbiamo visto sopra, tanto la consumazione del corpo quanto quella del sangue. Se dunque si riceve il corpo senza il sangue, il sacramento rimane incompleto. Il che equivale a un sacrilegio. Infatti il Papa Gelasio soggiunge: "La divisione di un solo e identico mistero non può farsi senza un grande sacrilegio".
    3. Questo sacramento, l'abbiamo già detto sopra, si celebra in memoria della passione del Signore, e si riceve per la salvezza dell'anima. Ma la passione di Cristo è espressa meglio dal sangue che dal corpo; inoltre il sangue viene offerto per la salvezza dell'anima, come abbiamo notato. Piuttosto quindi che astenersi dal ricevere il sangue, ci si dovrebbe astenere dal ricevere il corpo. Perciò coloro che si accostano a questo sacramento non devono mai prendere il corpo senza il sangue di Cristo.

    IN CONTRARIO: È uso di molte chiese offrire al popolo che si comunica il corpo di Cristo, senza il sangue.

    RISPONDO: Sull'uso di questo sacramento si possono considerare due cose: una da parte del sacramento stesso, l'altra da parte di coloro che lo ricevono. Da parte del sacramento stesso conviene che si riceva sia il corpo che il sangue: perché l'integrità del sacramento li implica entrambi. Perciò il sacerdote, avendo il compito di consacrare e di consumare nella sua integrità questo sacramento, non deve mai sumere il corpo di Cristo senza il sangue.
    Da parte invece di coloro che si comunicano occorre somma riverenza e cautela, perché non accada nulla che offenda un così grande mistero. Ciò potrebbe verificarsi specialmente nella distribuzione del sangue, perché, prendendolo senza le debite precauzioni, potrebbe facilmente versarsi. E poiché nel popolo cristiano, che è andato moltiplicandosi, ci sono e vecchi e giovani e bambini, alcuni dei quali non sono tanto accorti da usare le necessarie cautele nel ricevere questo sacramento, prudentemente in alcune chiese si usa di non dare al popolo il sangue, ma di farlo consumare dal sacerdote soltanto.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Il Papa Gelasio in quel testo si riferisce ai sacerdoti, i quali, come consacrano tutto il sacramento, così devono consumarlo nella sua integrità. Infatti, come si legge in un Concilio di Toledo, "che sacrificio sarebbe quello a cui non partecipasse nemmeno il sacrificante stesso?".
    2. Il compimento di questo sacramento non si ha nella comunione dei fedeli, ma nella consacrazione della materia. Perciò non si toglie nulla alla perfezione di questo sacramento, se il popolo riceve il corpo senza il sangue, purché il sacerdote consacrante riceva l'uno e l'altro.
    3. La rappresentazione della passione del Signore si ha nella consacrazione stessa di questo sacramento, nella quale non si può mai consacrare il corpo senza il sangue. Il popolo invece può ricevere il corpo senza il sangue, senza che ne derivi nessun inconveniente. Perché il sacerdote offre e consuma il sangue a nome di tutti; inoltre perché, come abbiamo spiegato, in ciascuna delle due specie Cristo è contenuto per intero.

  3. #23
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questione 81

    L'uso che Cristo fece di questo sacramento nell'istituirlo


    Dobbiamo ora esaminare l'uso che Cristo fece di questo sacramento nell'istituirlo.
    In proposito si pongono quattro quesiti: 1. Se Cristo abbia sunto lui stesso il suo corpo e il suo sangue; 2. Se li abbia dati a Giuda; 3. Se abbia sunto o ministrato un corpo passibile o impassibile; 4. Come sarebbe stato presente Cristo in questo sacramento, se fosse stato conservato o consacrato nel triduo della sua morte.

    ARTICOLO 1

    Se Cristo abbia sunto il corpo e il sangue suo proprio


    (Oggi si ritiene che Gesù non si sia comunicato quando ha istituito l'Eucarestia).

    SEMBRA che Cristo non abbia sunto il corpo e il sangue suo proprio. Infatti:
    1. Delle azioni e delle parole di Cristo non si deve asserire ciò che non è attestato dall'autorità della S. Scrittura. Ma negli Evangeli non è detto che Cristo abbia mangiato il proprio corpo, o bevuto il proprio sangue. Ciò dunque non si deve asserire.
    2. Nessuna cosa può essere in se stessa se non nel senso che una sua parte è in un'altra, come dice Aristotele. Ora, ciò che si mangia e si beve, è nel soggetto che mangia e beve. Perciò Cristo, essendo presente nella sua integrità in entrambe le specie sacramentali, è impossibile che egli stesso abbia sunto questo sacramento.
    3. La recezione di questo sacramento è di due specie: spirituale e sacramentale. Ma a Cristo non si addiceva quella spirituale, perché egli nulla poteva ricevere dai sacramenti. Quindi non gli si addiceva neppure quella sacramentale, poiché essa senza la comunione spirituale è imperfetta, come sopra abbiamo visto. Dunque in nessun modo Cristo fece uso di questo sacramento.

    IN CONTRARIO: S. Girolamo ha scritto: "Il Signore Gesù è insieme convitato e convito, commensale e vivanda".

    RISPONDO: Alcuni hanno sostenuto che Cristo nella Cena diede il suo corpo e il suo sangue ai discepoli, senza sumerli egli stesso. Ma questo non sembra plausibile. Perché Cristo per primo osservò i riti che istituì come obbligatori per gli altri: così egli stesso volle essere battezzato prima d'imporre agli altri il battesimo, secondo le parole degli Atti: "Cominciò Gesù a fare e poi a insegnare". Perciò egli per primo dovette sumere il corpo e sangue propri, per poi darli ai suoi discepoli. È quanto la Glossa dice commentando quel passo di Rut, "Avendo mangiato e bevuto, ecc.", "Cristo mangiò e bevve nella Cena, quando diede ai discepoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue. Cosicché, "avendo i servi partecipato della sua carne e del suo sangue, anch'egli volle parteciparne"".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nei Vangeli si legge che Cristo "prese il pane e il calice". Ciò non significa che li abbia presi soltanto in mano, come dicono alcuni, ma che li prese nello stesso modo in cui li fece prendere agli altri. Perciò, avendo detto ai discepoli: "Prendete e mangiate", e poi: "Prendete e bevete", si deve intendere che il Signore stesso prendendoli abbia mangiato e bevuto. Di qui i versi spesso ripetuti: "Siede alla Cena; intorno ha la schiera dei dodici; tiene se stesso in mano; cibo è di sé lui stesso".
    2. Cristo, come si disse sopra, per il modo in cui è presente in questo sacramento, si riferisce allo spazio non secondo le proprie dimensioni, ma secondo le dimensioni delle specie sacramentali, cosicché dovunque sono quelle specie là egli è presente. E poiché quelle specie potevano stare nelle mani e nella bocca di Cristo, Cristo stesso poté essere tutto intero nelle proprie mani e nella propria bocca. Ciò non sarebbe potuto avvenire secondo il rapporto con lo spazio delle dimensioni proprie.
    3. Effetto dell'Eucarestia, come si disse sopra, non è solo l'aumento della grazia abituale, ma anche il gusto immediato della dolcezza spirituale. Ora, Cristo, sebbene non abbia ricevuto dalla percezione di questo sacramento una crescita di grazia, ebbe tuttavia un godimento spirituale nell'istituzione di questo nuovo sacramento, tanto da dire: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi". S. Eusebio riferisce questo passo al mistero del nuovo Testamento che egli stava per dare ai suoi discepoli. Perciò Cristo si comunicò spiritualmente e anche sacramentalmente, prendendo il proprio corpo sotto il sacramento che volle e istituì come sacramento del suo corpo. In modo però diverso da come si comunicano sacramentalmente e spiritualmente gli altri, perché questi ricevono un aumento di grazia, e perché hanno bisogno dei segni sacramentali per mettersi a contatto con la verità.

    ARTICOLO 2

    Se Cristo abbia dato il proprio corpo a Giuda


    (Oggi si ritiene che Giuda non abbia ricevuto l'Eucarestia quando Gesù l'ha istituita).

    SEMBRA che Cristo non abbia dato il proprio corpo anche a Giuda. Infatti:
    1. Come si legge in Matteo, dopo che il Signore ebbe dato ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, disse loro: "D'ora in poi non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio". Da queste parole risulta che quelli cui aveva dato il suo corpo e sangue avrebbero poi bevuto di nuovo con lui. Ma Giuda non bevve più con lui. Dunque Giuda non ricevette con gli altri discepoli il corpo e il sangue di Cristo.

    (Queste parole non sono state pronunciate dopo l'istituzione dell'Eucarestia, ma alla prima delle quattro coppe rituali).

    2. Il Signore metteva in pratica quello che comandava; conforme alle parole degli Atti: "Cominciò Gesù a fare e poi a insegnare". Ora, egli comandò: "Non date ai cani le cose sante". Conoscendo dunque che Giuda era in peccato, non gli può aver offerto il suo corpo e il suo sangue.
    3. Si legge che Cristo porse a Giuda personalmente "del pane intinto". Se dunque gli diede il proprio corpo, glielo diede allora con quel boccone, tanto più che Giovanni dice: "Appena Giuda ebbe preso il boccone, Satana entrò in lui"; e S. Agostino commenta: "Qui ci viene insegnato quanto dobbiamo guardarci dal ricevere malamente il bene. Se infatti si rimprovera chi non distingue il corpo del Signore dagli altri cibi, come non sarà condannato chi fingendosi amico si accosta da nemico alla sua mensa?". Ora, con il boccone di pane inzuppato Giuda non prese il corpo di Cristo, come nota S. Agostino commentando le parole di S. Giovanni, "intinto un pezzetto di pane, lo diede a Giuda di Simone Iscariota": "Giuda non ricevette da solo allora il corpo di Cristo, come credono alcuni, leggendo senza attenzione". Dunque Giuda non ricevette il corpo di Cristo.

    IN CONTRARIO: Il Crisostomo afferma: "Giuda, pur partecipando ai misteri, non si convertì. E così il suo delitto è per ogni verso più enorme: sia perché si accostò ai misteri con quel cattivo proposito, sia perché dopo averli ricevuti non divenne migliore, né per il timore, né per la gratitudine né per l'onore".

    RISPONDO: S. Ilario sostiene che Cristo non diede a Giuda il suo corpo e il suo sangue. E ciò sarebbe stato conveniente, considerata la malizia di Giuda. Ma poiché Cristo doveva essere per noi esempio di giustizia, non si addiceva al suo magistero separare dalla comunione degli altri Giuda peccatore occulto, senza un'accusa e una prova evidente, per non dare così l'esempio ai superiori ecclesiastici di fare lo stesso; e per evitare che Giuda, dall'esasperazione prendesse da ciò occasione di peccare. Dobbiamo quindi affermare che Giuda assieme agli altri discepoli ricevette il corpo e il sangue del Signore, come ritengono Dionigi e S. Agostino.

    (Giuda era già uscito quando l'Eucarestia è stata istituita, "E allora, dopo quel boccone satana entrò in lui, Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto". Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì" (Gv 13,27-30)).

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione è quella usata da S. Ilario, per dimostrare che Giuda non ricevette il corpo di Cristo. Ma non è una ragione cogente. Perché Cristo si rivolge ai discepoli, dal collegio dei quali Giuda si separò, senza che Cristo lo avesse escluso. Perciò Cristo, per quanto dipendeva da lui, era disposto a bere il vino nel regno di Dio anche con Giuda; ma Giuda stesso rifiutò questo convito.
    2. La malizia di Giuda era nota a Cristo come Dio, ma non gli era nota nel modo umano. Quindi Cristo non respinse Giuda dalla comunione, per dare l'esempio agli altri sacerdoti, perché non respingessero i peccatori occulti.
    3. Certamente Giuda col pane intinto non ricevette il corpo di Cristo, ma semplice pane. "Forse però quell'intingolo sul pane indica", dice S. Agostino "la finzione di Giuda: alcune cose infatti si tingono per camuffarle. Se invece l'intingolo significa qui qualche cosa di buono", cioè la dolcezza della bontà divina, perché il pane è reso più sapido dall'intingolo, "giustamente la dannazione colpì chi fu ingrato a quel beneficio". A causa di tale ingratitudine "il bene divenne male per Giuda", come accade a coloro che ricevono indegnamente il corpo di Cristo.
    Inoltre a detta di S. Agostino "si deve ritenere che il Signore prima distribuì a tutti i suoi discepoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue, Giuda compreso, secondo il racconto di Luca. E poi avvenne quanto racconta Giovanni, che cioè il Signore mostrò chi era il traditore porgendogli un boccone di pane intinto".

    ARTICOLO 3

    Se Cristo abbia consumato e offerto ai discepoli il proprio corpo in stato d'impassibilità


    SEMBRA che Cristo abbia consumato e offerto ai discepoli il suo corpo in stato d'impassibilità. Infatti:
    1. Commentando le parole di S. Matteo "si trasfigurò dinanzi a loro", la Glossa afferma: "Ai discepoli nella Cena diede quel corpo che aveva per natura, non mortale però né passibile". E, commentando un passo del Levitico, dice: "La croce, forte più di tutte le cose, rese la carne di Cristo atta ad essere mangiata, mentre prima della passione sembrava non commestibile". Ora, Cristo diede il suo corpo come atto a essere mangiato. Quindi lo diede quale esso fu dopo la passione, ossia impassibile e immortale.
    2. Ogni corpo passibile soffre se viene pressato e masticato. Se dunque il corpo di Cristo fosse stato passibile, avrebbe sofferto nell'essere pressato e masticato dai discepoli.
    3. Le parole sacramentali, ora che le proferisce il sacerdote in nome di Cristo, non sono più efficaci di quando furono pronunziate da Cristo stesso. Ma ora in virtù delle parole sacramentali il corpo di Cristo sull'altare viene consacrato impassibile e immortale. Dunque tanto più allora.

    IN CONTRARIO: Come dice Innocenzo III, "(Cristo) diede ai suoi discepoli il suo corpo, quale egli allora lo possedeva". Ma allora possedeva un corpo passibile e mortale. Dunque diede ai suoi discepoli il suo corpo passibile e mortale.

    RISPONDO: Ugo di S. Vittore sostenne che Cristo prima della passione in circostanze diverse assunse le quattro doti del corpo glorificato: la sottilità nella nascita, quando uscì dall'utero della Vergine lasciandolo intatto; l'agilità quando camminò a piedi asciutti sul lago; la luminosità nella trasfigurazione; l'impassibilità nella Cena, quando diede il suo corpo in cibo ai discepoli. E così avrebbe dato ai suoi discepoli il proprio corpo in stato d'impassibilità e di immortalità.
    Ma checché si dica delle altre doti, di cui abbiamo già parlato in precedenza, non si può tuttavia accettare ciò che si asserisce rispetto all'impassibilità. Infatti era certamente il vero e identico corpo di Cristo quello che vedevano allora i discepoli nella sua specie e quello che veniva ricevuto sotto le specie del sacramento. Ora, esso non era impassibile nella specie propria in cui lo vedevano, ché anzi era pronto alla passione. Quindi nemmeno il corpo di Cristo sotto la specie del sacramento era impassibile.
    Tuttavia quel corpo, che in se stesso era passibile, si trovava in modo impassibile sotto le specie sacramentali: come vi si trovava in modo invisibile, pur essendo in se stesso visibile. Infatti come la visione richiede il contatto tra l'oggetto visibile e il mezzo interposto, così la passione richiede il contatto tra il corpo passibile e le cose che agiscono su di esso. Ora, il corpo di Cristo, secondo il modo in cui è presente nel sacramento, e di cui abbiamo parlato sopra, non è in relazione con l'ambiente circostante mediante le proprie dimensioni, con le quali i corpi si toccano tra loro, ma mediante le dimensioni delle specie del pane e del vino. Di conseguenza a patire e a esser viste sono le specie, non già il corpo stesso di Cristo.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che Cristo nella Cena diede il suo corpo non mortale e passibile, nel senso che non lo diede in modo fisico e cruento. - La croce poi rese la carne di Cristo atta a essere mangiata, perché questo sacramento aveva il compito di rappresentare la passione di Cristo.
    2. L'argomento varrebbe se il corpo di Cristo, che allora era passibile, così fosse stato presente nell'Eucarestia in modo passibile.
    3. Gli accidenti del corpo di Cristo, come si disse sopra, sono presenti in questo sacramento per naturale concomitanza, non già in forza del sacramento, il quale rende presente la sostanza del corpo di Cristo. Perciò la virtù delle parole sacramentali ha il compito di produrre e rendere presente nel sacramento il corpo di Cristo, con tutti gli accidenti che (in quel momento) realmente possiede.

    ARTICOLO 4

    Se Cristo sarebbe morto nell'Eucarestia, qualora al momento della sua morte questa fosse stata conservata in una pisside, o consacrata da un Apostolo


    SEMBRA che Cristo in questo sacramento, qualora al momento della sua morte fosse stato conservato in una pisside, o consacrato da un Apostolo, non sarebbe morto. Infatti:
    1. La morte di Cristo avvenne mediante la sua passione. Ma Cristo era anche allora in questo sacramento in modo impassibile. Dunque non avrebbe potuto morire in questo sacramento.
    2. Nella morte di Cristo il suo sangue fu separato dal corpo. Ma in questo sacramento è presente insieme il corpo e il sangue di Cristo. Dunque Cristo in questo sacramento non sarebbe morto.
    3. La morte avviene per separazione dell'anima dal corpo. Ma in questo sacramento è presente tanto il corpo quanto l'anima di Cristo. Dunque in questo sacramento Cristo non poteva morire.

    IN CONTRARIO: Nel sacramento ci sarebbe stato lo stesso Cristo che era sulla croce. Ma sulla croce egli allora moriva. Dunque sarebbe morto anche nel sacramento.

    RISPONDO: Sia in questo sacramento che nella propria specie il corpo di Cristo è identico nella sostanza, ma non è identico nel modo: infatti nella propria specie esso viene a contatto con i corpi circostanti mediante le proprie dimensioni, il che non avviene come si è visto sopra, nell'Eucarestia. Quindi tutto ciò che è vero di Cristo quanto alla sua sostanza, gli può essere attribuito e nella propria specie e nella presenza eucaristica: p. es. vivere, morire, soffrire, essere animato o inanimato e cose simili. Tutto ciò che al contrario è vero di lui per i suoi rapporti con i corpi esterni, gli può essere attribuito se si considera nella propria specie, non già nella sua presenza eucaristica: si esclude quindi che possa essere deriso, coperto di sputi, crocifisso, flagellato e cose simili. Sono perciò giustificati quei versi: "Nella pisside giunge il dolor sofferto, ma non gli attribuire quello inferto".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La passione, come abbiamo notato implica l'atto di un agente estrinseco. Perciò Cristo, nella sua presenza sacramentale non poteva subirla. Invece poteva morire.
    2. In forza della consacrazione, sotto le specie del pane, come si è detto sopra, è presente il corpo di Cristo, e sotto le specie del vino è presente il sangue. Adesso però, non essendo il sangue di Cristo separato dal suo corpo, sotto le specie del pane è presente per reale concomitanza anche il sangue di Cristo insieme al corpo; e sotto le specie del vino è presente anche il corpo insieme al sangue. Se invece al tempo della passione di Cristo, quando il suo sangue fu realmente separato dal suo corpo, fosse stato consacrato questo sacramento, sotto le specie del pane sarebbe stato presente soltanto il corpo e sotto le specie del vino soltanto il sangue.
    3. L'anima di Cristo, come si disse sopra, è presente in questo sacramento per naturale concomitanza, perché non è separata dal corpo; ma essa non è presente in forza della consacrazione. Perciò, se questo sacramento fosse stato consacrato o conservato nel tempo in cui l'anima era realmente separata dal corpo, in questo sacramento non sarebbe stata presente l'anima di Cristo: non per difetto di virtù nelle parole sacramentali, ma per la diversa condizione della realtà.

  4. #24
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questione 82

    Il ministro di questo sacramento


    Veniamo ora a discutere sul ministro di questo sacramento.
    In proposito si pongono dieci quesiti: 1. Se sia riservato al sacerdote consacrare questo sacramento; 2. Se più sacerdoti possano consacrare insieme la stessa ostia; 3. Se la distribuzione di questo sacramento spetti solo al sacerdote; 4. Se il sacerdote consacrante possa astenersi dalla comunione; 5. Se sia lecito al sacerdote astenersi completamente dal celebrare; 6. Se un sacerdote in peccato possa celebrare questo sacramento; 7. Se la messa di un sacerdote cattivo valga meno della messa di un sacerdote buono; 8. Se gli eretici, gli scismatici o gli scomunicati possano consacrare questo sacramento; 9. Se possano farlo i degradati; 10. Se chi riceve la comunione da costoro commette peccato.

    ARTICOLO 1

    Se la consacrazione di questo sacramento sia riservata al sacerdote


    SEMBRA che la consacrazione di questo sacramento non sia riservata al sacerdote. Infatti:
    1. Questo sacramento, come si è detto sopra, viene consacrato in virtù delle parole che ne costituiscono la forma. Ma queste parole rimangono le stesse, sia che le dica un sacerdote, sia che le dica chiunque altro. Perciò non il solo sacerdote, ma chiunque altro può consacrare questo sacramento.
    2. Il sacerdote fa questo sacramento in nome di Cristo. Ma un laico santo è unito a Cristo per mezzo della carità, quindi anche un laico può fare questo sacramento. Il Crisostomo infatti afferma che "ogni santo è sacerdote".
    3. L'Eucarestia, come sopra abbiamo visto, è ordinata alla salvezza degli uomini alla pari del battesimo. Ma, secondo le spiegazioni date, un laico può battezzare. Dunque non è proprio del sacerdote consacrare questo sacramento.
    4. Questo sacramento si compie nella consacrazione della materia. Ma consacrare le altre materie, cioè il crisma, l'olio santo e l'olio benedetto, è competenza esclusiva dei vescovi, sebbene queste consacrazioni non siano di tanta dignità, quanto la consacrazione dell'Eucarestia, dove è presente Cristo nella sua integrità. Dunque non è proprio del sacerdote, ma solo del vescovo, consacrare questo sacramento.

    IN CONTRARIO: In un'epistola riferita dal Decreto (di Graziano) S. Isidoro scrive: "Spetta ai presbiteri consacrare il sacramento del corpo e del sangue del Signore sull'altare di Dio".

    RISPONDO: La dignità di questo sacramento è così grande, come già abbiamo notato, che esso non si può compiere se non in persona di Cristo. Chi compie però qualche cosa in nome di un altro, bisogna che abbia ricevuto il potere da lui. Ora, come al battezzato viene concesso da Cristo il potere di ricevere l'Eucarestia, così al sacerdote viene conferito nell'ordinazione il potere di consacrare questo sacramento in persona di Cristo: infatti con l'ordinazione uno viene posto nella classe di quelli ai quali il Signore disse: "Fate questo in memoria di me". Dunque è proprio dei sacerdoti consacrare questo sacramento..

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La virtù sacramentale risiede in più elementi e non in uno soltanto: la virtù del battesimo, p. es., sta nelle parole e nell'acqua. Perciò anche la virtù di consacrare non risiede soltanto nelle parole, ma anche nel potere conferito al sacerdote nella sua consacrazione o ordinazione, quando gli vien detto dal vescovo: "Ricevi il potere di offrire nella Chiesa il sacrificio tanto per i vivi quanto per i morti". Infatti la virtù strumentale risiede nei molteplici strumenti per mezzo dei quali agisce l'agente principale.
    2. Un laico giusto è unito a Cristo spiritualmente per mezzo della fede e della carità, ma non per mezzo del potere sacramentale. Possiede perciò il sacerdozio spirituale per offrire le ostie spirituali di cui parlano, sia il Salmista: "È sacrificio dinanzi a Dio un cuore contrito"; sia S. Paolo: "Offrite i vostri corpi come ostia vivente". Ecco perché S. Pietro attribuisce a tutti "un sacerdozio santo per offrire vittime spirituali".
    3. La partecipazione a questo sacramento, e l'abbiamo già notato sopra, non è di tanta necessità come ricevere il battesimo. Quindi sebbene in caso di necessità un laico possa battezzare, non è però in grado di consacrare questo sacramento.
    4. Il vescovo riceve il potere di agire in persona di Cristo sul suo corpo mistico, ossia sulla Chiesa: potere che non viene dato al sacerdote nella sua consacrazione, sebbene gli possa essere delegato dal vescovo. Perciò le cose che non riguardano il governo del corpo mistico, non sono riservate al vescovo: e tra l'altro la consacrazione di questo sacramento. È competenza invece del vescovo dare non solo ai fedeli, ma anche ai sacerdoti le cose necessarie all'esercizio del loro ufficio. E, poiché la benedizione del crisma, dell'olio santo, dell'olio degli infermi e delle altre cose che si consacrano, cioè dell'altare, della chiesa, delle vesti e dei vasi sacri conferisce una certa idoneità per la celebrazione dei sacramenti che competono all'ufficio dei sacerdoti, tali consacrazioni sono riservate al vescovo quale principe di tutto l'ordine ecclesiastico.

    ARTICOLO 2

    Se più sacerdoti possano consacrare una medesima ostia


    SEMBRA che più sacerdoti non possano consacrare una medesima ostia. Infatti:
    1. Abbiamo già detto che più individui non possono battezzare una medesima persona. Ora, il potere di un sacerdote che consacra non è minore di quello di chi battezza. Dunque più sacerdoti non possono nemmeno consacrare insieme una stessa. ostia.
    2. Ciò che può essere compiuto da uno solo, è superfluo farlo compiere da molti. Ma nei sacramenti non ci dev'essere nulla di superfluo. Bastando dunque uno solo a consacrare un'ostia, è chiaro che non possono consacrarla in molti.
    3. Questo sacramento è, come dice S. Agostino, "sacramento di unità". Ma la pluralità è contraria all'unità. Non è quindi conveniente per questo sacramento che più sacerdoti consacrino una medesima ostia.

    IN CONTRARIO: Secondo la consuetudine di alcune chiese i sacerdoti, quando vengono ordinati, concelebrano con il vescovo ordinante.

    RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, quando il sacerdote viene ordinato, viene inserito nella classe di coloro che dal Signore nella cena ricevettero il potere di consacrare. Perciò secondo la consuetudine di alcune chiese, come gli Apostoli concenarono con Cristo che cenava, così i neo-ordinati concelebrano con il vescovo ordinante. Nel qual caso la medesima ostia non viene consacrata più volte; perché, come dice Innocenzo III, tutti allora devono avere l'intenzione di consacrare nel medesimo istante.

    (Prima del Concilio Vaticano II si concelebrava solo in occasione dell'ordinazione sacerdotale o episcopale).

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non si legge che Cristo battezzasse insieme con gli Apostoli, quando impose a loro l'ufficio di battezzare. Perciò il paragone non regge.
    2. Se ciascun sacerdote agisse per virtù propria, gli altri celebranti sarebbero superflui, avendo ciascuno la facoltà di celebrare. Ma poiché il sacerdote non consacra che in persona di Cristo, ed essi pur essendo in molti non sono che "una cosa sola in Cristo", poco importa che questo sacramento venga consacrato da uno o da molti, purché si rispetti il rito della Chiesa.
    3. L'Eucarestia è il sacramento dell'unità della Chiesa, la quale risulta dal fatto che molti sono "una sola cosa in Cristo".

    ARTICOLO 3

    Se la distribuzione di questo sacramento spetti solo al sacerdote


    ("Ministro ordinario della sacra comunione è il Vescovo, il presbitero e il diacono. Ministro straordinario della sacra comunione è l'accolito o anche un altro fedele incaricato a norma del can. 230, § 3 (Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto)" (Codice di Diritto Canonico, can. 910)).

    SEMBRA che la distribuzione di questo sacramento non spetti solo al sacerdote. Infatti:
    1. Il sangue di Cristo non appartiene a questo sacramento meno del corpo. Ma il sangue di Cristo viene dispensato dai diaconi, tanto che S. Lorenzo disse a S. Sisto: "Prova se hai scelto un buon ministro, cui affidasti la distribuzione del sangue del Signore". Dunque anche la distribuzione del corpo del Signore non appartiene ai sacerdoti soltanto.
    2. I sacerdoti sono costituiti ministri dei sacramenti. Ora, questo sacramento si compie nella consacrazione della materia, non già nell'uso, cui si riferisce la sua distribuzione. Dunque distribuire il corpo del Signore non spetta al sacerdote.
    3. Questo sacramento, scrive Dionigi, ha "virtù perfettiva" come la cresima. Ma cresimare i battezzati non spetta al sacerdote, bensì al vescovo. Dunque anche dispensare questo sacramento tocca al vescovo e non al sacerdote.

    IN CONTRARIO: Nei canoni si legge: "È giunto a nostra conoscenza che alcuni presbiteri consegnano a un laico o a una donna il corpo del Signore perché lo portino agli infermi. Il sinodo perciò proibisce che si continui tale abuso: il sacerdote comunichi da sé gli infermi".

    RISPONDO: La distribuzione del corpo del Signore appartiene al sacerdote per tre ragioni. Primo, perché, come si è detto, egli consacra in persona di Cristo. Ora, Cristo, come consacrò da sé il proprio corpo, così da sé lo distribuì agli altri. Quindi come al sacerdote appartiene la consacrazione del corpo di Cristo, così appartiene a lui distribuirlo.
    Secondo, perché il sacerdote è costituito intermediario tra Dio e il popolo. Perciò come spetta a lui offrire a Dio i doni del popolo, così tocca a lui dare al popolo i doni santi di Dio.
    Terzo, perché per rispetto verso questo sacramento esso non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di un caso di necessità: se, p. es., stesse per cadere a terra, o in altre contingenze simili.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Al diacono, come prossimo all'ordine sacerdotale, spettano alcuni compiti di tale ufficio, ossia la facoltà di dispensare il sangue: però non quella di dispensare il corpo, se non in caso di necessità dietro comando del vescovo o del sacerdote. Primo, perché il sangue di Cristo è contenuto nel calice. Quindi non è a contatto con chi lo distribuisce, come invece il corpo di Cristo. - Secondo, perché il sangue significa la redenzione che deriva al popolo da Cristo: tanto che al sangue viene mescolata dell'acqua per indicare il popolo. Ora, poiché i diaconi stanno tra il sacerdote e il popolo, ai diaconi si addice più la distribuzione del sangue che la distribuzione del corpo.
    2. All'identica persona spetta dispensare e consacrare l'Eucarestia per la ragione che abbiamo detto.
    3. Come il diacono partecipa un poco della virtù "illuminativa" del sacerdote in quanto dispensa il sangue, così il sacerdote partecipa "del governo perfettivo" del vescovo, in quanto dispensa l'Eucarestia che perfeziona l'uomo in se stesso unendolo a Cristo. Invece gli altri perfezionamenti che dispongono l'uomo in rapporto al prossimo sono riservati al vescovo.

    ARTICOLO 4

    Se il sacerdote consacrante sia tenuto a comunicarsi


    SEMBRA che il sacerdote consacrante non sia tenuto a comunicarsi. Infatti:
    1. Nelle altre consacrazioni chi consacra la materia, non ne usa: il vescovo, p. es., che consacra il crisma, non si unge con esso. Ma l'Eucarestia consiste nella consacrazione della materia. Dunque il sacerdote che consacra questo sacramento non ha l'obbligo di usarne, ma può lecitamente astenersi dalla comunione.
    2. Negli altri sacramenti il ministro non dà il sacramento a se stesso: infatti nessuno può battezzare se stesso, come si disse sopra. Ora, come c'è una disciplina per il conferimento del battesimo, così dev'esserci anche per l'Eucarestia. Dunque il sacerdote che consacra questo sacramento non deve sumerlo da se stesso.
    3. Accade qualche volta per miracolo che il corpo di Cristo si mostri sull'altare sotto forma di carne e il sangue sotto forma di sangue. Ora, queste son cose che ripugnano come cibo e bevanda: e per questo, come si è detto sopra, vengono offerte sotto altra specie per non suscitare orrore in chi le riceve. Dunque il sacerdote consacrante non sempre è tenuto a sumere questo sacramento.

    IN CONTRARIO: In un Concilio di Toledo, riferito dai Canoni, si legge: "In modo assoluto si deve osservare che il sacrificante, quante volte immola il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo sull'altare, tante volte partecipi di quel corpo e di quel sangue".

    RISPONDO: L'Eucarestia, come si è detto sopra, non è soltanto sacramento, ma è anche sacrificio. Ora, chiunque offre un sacrificio, deve farsene partecipe. Perché il sacrificio offerto esternamente è il segno del sacrificio interiore, con il quale uno offre se stesso a Dio, come nota S. Agostino. Partecipando quindi al sacrificio uno mostra che il sacrificio lo impegna interiormente.
    Inoltre anche dispensando al popolo il sacrificio, il sacerdote mostra di essere dispensatore delle cose divine. Ma di queste egli stesso per primo deve farsi partecipe, come insegna Dionigi. Quindi egli stesso deve comunicarsi prima di comunicare gli altri. Di qui le altre parole di Dionigi: "Che sacrificio sarebbe quello di cui non si facesse partecipe nemmeno lo stesso sacrificante?".
    Ma questi in tanto se ne fa partecipe, in quanto si comunica, secondo il passo dell'Apostolo: "Quelli che mangiano le vittime, non sono forse partecipi dell'altare?". Perciò è necessario che il sacerdote ogni volta che consacra, riceva questo sacramento nella sua integrità.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La consacrazione del crisma e di qualunque altra materia non è un sacrificio, come lo è la consacrazione dell'Eucarestia. Quindi il paragone non regge.
    2. Il sacramento del battesimo si compie nell'uso stesso della materia. Nessuno perciò può battezzare se stesso, perché in un sacramento non può la medesima persona essere agente e paziente. Anche nella Eucarestia infatti il sacerdote non consacra se stesso, ma il pane e il vino, e in questa consacrazione si compie appunto il sacramento. La comunione invece è successiva al sacramento stesso. Perciò il paragone non regge.
    3. Se il corpo di Cristo si mostra miracolosamente sull'altare sotto forma di carne, e il suo sangue sotto forma di sangue, non si deve sumere. Osserva infatti S. Girolamo: "Di quest'ostia che mirabilmente si consacra in commemorazione di Cristo possiamo mangiare, ma di quella che il Cristo offrì sull'altare della Croce nelle sembianze proprie a nessuno è lecito mangiare". E così facendo il sacerdote non trasgredisce alcuna norma, perché le cose miracolose non hanno legge. - Tuttavia il sacerdote dovrebbe provvedere a consacrare di nuovo il corpo e il sangue del Signore e a comunicarsi con essi.

    ARTICOLO 5

    Se un sacerdote in peccato sia in grado di consacrare l'Eucarestia


    SEMBRA che un sacerdote in peccato non sia in grado di consacrare l'Eucarestia. Infatti:
    1. S. Girolamo scrive: "I sacerdoti che amministrano l'Eucarestia e distribuiscono ai fedeli il sangue del Signore, agiscono empiamente contro la legge di Cristo, se credono che a consacrare l'Eucarestia siano le parole del celebrante e non la vita; ovvero che sia necessaria la preghiera solenne e non i meriti del sacerdote. Di costoro è detto: Il sacerdote che abbia una qualunque macchia non si accosti a offrire sacrifici al Signore". Ma il sacerdote in peccato, essendo macchiato, non ha né vita né meriti convenienti per questo sacramento. Dunque il sacerdote in peccato non ha il potere di consacrare l'Eucarestia.
    2. Il Damasceno afferma, che "il pane e il vino per l'intervento dello Spirito Santo si convertono soprannaturalmente nel corpo e nel sangue del Signore". Ma il Papa Gelasio si domanda: "Come potrà intervenire lo Spirito celeste, invocato per la consacrazione del divin sacramento, se il sacerdote che ne implora la presenza, si rivela pieno di atti peccaminosi?". Perciò l'Eucarestia non può essere consacrata da un cattivo sacerdote.
    3. Questo sacramento viene consacrato dalla benedizione del sacerdote. Ma la benedizione di un sacerdote peccatore non ha l'efficacia di consacrare questo sacramento, poiché sta scritto: "Maledirò le vostre benedizioni". E Dionigi afferma: "È totalmente decaduto dall'ordine sacerdotale, chi non è illuminato: e davvero temerario mi sembra costui a stendere la mano ai compiti sacerdotali; l'osar proferire sui misteri divini con formule cristiane immonde infamie, perché non posso chiamarle orazioni".

    IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto: "Nella Chiesa cattolica riguardo al mistero del corpo e del sangue del Signore un buon sacerdote non fa niente di più di un sacerdote cattivo: perché il mistero si compie non secondo i meriti del consacrante, ma per la parola del Creatore e per la virtù dello Spirito Santo".

    RISPONDO: Il sacerdote, come abbiamo visto sopra, consacra questo sacramento non per virtù propria, ma quale ministro di Cristo. Ora, uno non cessa di essere ministro di Cristo per il fatto che è cattivo; perché il Signore possiede ministri o servi buoni e cattivi. Nel Vangelo infatti il Signore si domanda "Qual è mai quel servo fedele e prudente, ecc.?"; e poi aggiunge: "Se quel servo cattivo dice dentro di sé, ecc.". E l'Apostolo scrive: "Ci considerino come ministri di Cristo"; e tuttavia dice più sotto: "Non ho coscienza di alcun mancamento, ma non per questo mi sento giustificato". Egli dunque era certo di essere ministro di Cristo, sebbene non fosse certo di essere giusto. Uno può dunque essere ministro di Cristo, senza essere giusto. E ciò mette in risalto l'eccellenza di Cristo, perché a lui come a vero Dio servono non solo le cose buone, ma anche quelle cattive, che la sua provvidenza indirizza alla propria gloria. È chiaro dunque che i sacerdoti, anche se non sono buoni, ma peccatori, sono in grado di consacrare l'Eucarestia.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Girolamo con le parole citate rinfaccia l'errore di quei sacerdoti che credevano di poter consacrare degnamente l'Eucarestia, per il solo fatto di essere sacerdoti, anche se peccatori. S. Girolamo li rimprovera, perché era proibito di accedere all'altare a chi fosse macchiato. Ma ciò non toglie che, se essi vi accedevano, fosse valido il loro sacrificio.
    2. Prima di quelle parole il Papa Gelasio aveva scritto: "La santa religione che segue la disciplina cattolica, esige tanta riverenza che nessuno deve osare di venire ad essa, se non con pura coscienza". Da questo appare evidente che egli intendeva distogliere il sacerdote peccatore dall'accedere a questo sacramento. Perciò le parole seguenti: "Come potrà intervenire lo Spirito celeste...?", sono da intendersi nel senso che lo Spirito interviene comunque non per merito del sacerdote, ma per la virtù di Cristo, le cui parole vengono proferite dal sacerdote.
    3. Come una stessa azione può essere cattiva in quanto è fatta con cattiva intenzione dal servo e buona in quanto è fatta con buona intenzione dal padrone; così la consacrazione fatta da un sacerdote in peccato, in quanto viene fatta da lui indegnamente, è degna di maledizione, e va considerata quindi un'infamia o una bestemmia e non un'orazione; ma in quanto è proferita in persona di Cristo è santa ed efficace. Per questo è detto espressamente: "Maledirò le benedizioni vostre".

    ARTICOLO 6

    Se la messa di un sacerdote cattivo valga meno di quella di un sacerdote buono


    SEMBRA che la messa di un sacerdote cattivo non valga meno di quella di un sacerdote buono. Infatti:
    1. S. Gregorio esclama: "Oh in quale grande illusione cadono coloro, che reputano i divini e occulti misteri poter essere da alcuni santificati di più: mentre li santifica l'unico e identico Spirito Santo operando occultamente e invisibilmente". Ma questi occulti misteri vengono celebrati nella messa. Dunque la messa di un sacerdote cattivo non vale meno della messa di un sacerdote buono.
    2. Come il battesimo viene conferito dal ministro per la virtù di Cristo che battezza, così anche l'Eucarestia, che viene consacrata in persona di Cristo. Ma da un ministro più buono non viene dato un battesimo migliore, come si disse sopra. Dunque neppure è migliore la messa che è celebrata da un sacerdote più santo.
    3. I meriti dei sacerdoti come si distinguono in buoni e migliori, così si distinguono in buoni e cattivi. Se dunque è migliore la messa di un sacerdote più buono, ne segue che è cattiva la messa di un sacerdote cattivo. Ora, questo non è ammissibile, perché la malizia del ministro non può ridondare sui misteri di Cristo, come insegna S. Agostino. Dunque neppure può essere migliore la messa di un sacerdote più santo.

    IN CONTRARIO: Nei Canoni si legge: "Quanto più degni sono i sacerdoti, tanto più facilmente vengono esauditi nelle necessità per cui pregano".

    RISPONDO: Nella messa si devono considerare due cose: il sacramento stesso, che è la cosa principale; e le preghiere che nella messa si fanno per i vivi e per i morti. Ebbene, quanto al sacramento la messa di un sacerdote cattivo non vale meno di quella di uno buono: perché in un caso e nell'altro viene consacrato il medesimo sacramento.
    Le preghiere stesse poi che si fanno nella messa, si possono considerare sotto due aspetti. Primo, in quanto hanno efficacia dalla devozione del sacerdote che prega. E allora non c'è dubbio che la messa di un sacerdote migliore è più fruttuosa. - Secondo, in quanto le preghiere vengono proferite dal sacerdote nella messa a nome di tutta la Chiesa, della quale il sacerdote è ministro. E questo ministero rimane anche nei peccatori, come si è detto sopra a proposito del suo ministero rispetto a Cristo. Perciò sotto questo riguardo del sacerdote peccatore sono fruttuose non solo le preghiere della messa, ma anche tutte le altre che egli recita negli uffici ecclesiastici in cui agisce in nome della Chiesa. Invece non sono fruttuose le sue preghiere private, secondo le parole dei Proverbi: "Chi storce gli orecchi per non udire la legge, sarà esecrabile perfino la sua preghiera".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Gregorio nel testo citato si riferisce alla santità del divin sacramento.
    2. Nel sacramento del battesimo non si fanno preghiere solenni per tutti i fedeli, come nella messa. Quindi il paragone in questo non regge. Regge invece quanto all'effetto del sacramento.
    3. La virtù dello Spirito Santo, che mediante l'unione della carità rende intercomunicanti i beni delle membra di Cristo, fa sì che il bene privato, presente nella messa di un buon sacerdote, giovi anche agli altri. Invece il male privato di una persona non può nuocere ad altri, se questi, come spiega S. Agostino, in qualche modo non vi consentono.

    ARTICOLO 7

    Se gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati siano in grado di consacrare


    SEMBRA che gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati non siano in grado di consacrare. Infatti:
    1. S. Agostino scrive che "fuori della Chiesa cattolica non c'è posto per un vero sacrificio". E il Papa S. Leone in una frase ripetuta dal Decreto afferma: "Altrove, (ossia "fuori della Chiesa, che è il corpo di Cristo") né buono è il sacerdozio né vero è il sacrificio". Ma gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati sono separati dalla Chiesa. Dunque non sono in grado di fare un vero sacrificio.
    2. Il Papa Innocenzo dice: "Quanto agli Ariani e ad altri eretici del genere, pur accogliendo i loro laici in caso di pentimento, non ci sembra che si debbano accogliere i loro chierici nella dignità del sacerdozio, o di altro ministero, perché ad essi noi riconosciamo solo il battesimo". Ma nessuno può consacrare l'Eucarestia, se non ha la dignità del sacerdozio. Quindi gli eretici e gli altri cristiani del genere non possono consacrare l'Eucarestia.
    3. Chi è fuori della Chiesa, non può fare nulla in nome di tutta la Chiesa. Ma il sacerdote che consacra l'Eucarestia, agisce in nome di tutta la Chiesa: come risulta dal fatto che tutte le preghiere sono da lui presentate a nome di essa. Perciò coloro che sono fuori della Chiesa, ossia gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati, non possono consacrare l'Eucarestia.

    IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: "In loro", cioè negli eretici, scismatici e scomunicati, "come il battesimo, così l'ordinazione è rimasta integra". Ma in forza dell'ordinazione il sacerdote può consacrare l'Eucarestia. Dunque gli eretici, gli scismatici, e gli scomunicati, rimanendo intatta in essi l'ordinazione, possono consacrare l'Eucarestia.

    RISPONDO: Alcuni hanno asserito che gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati, essendo fuori della Chiesa, non sono in grado di consacrare il sacramento eucaristico.
    Ma in ciò s'ingannano. Perché, come osserva S. Agostino, "altro è non avere una cosa, altro è averla abusivamente", così pure "altro è non dare e altro è dare malamente". Coloro dunque che facendo parte della Chiesa ricevettero il potere di consacrare l'Eucarestia con l'ordinazione sacerdotale, ne hanno validamente la facoltà, ma non la esercitano lecitamente, se in seguito si sono separati dalla Chiesa con l'eresia, lo scisma, o la scomunica. Coloro invece che vengono ordinati in tale stato di separazione, il potere sacerdotale né lo ricevono lecitamente, né lecitamente lo esercitano. Che però gli uni e gli altri lo possiedano validamente risulta dal fatto, notato anche da S. Agostino, che quando ritornano all'unità della Chiesa, non sono di nuovo ordinati, ma vengono accolti nell'ordine che hanno. E poiché la consacrazione dell'Eucarestia è un atto connesso col potere di ordine, coloro che sono separati dalla Chiesa per eresia, scisma, o scomunica, possono validamente consacrare l'Eucarestia, la quale, sebbene da essi consacrata, contiene il vero corpo e sangue di Cristo; però non consacrano lecitamente, ma commettono peccato. Quindi non ricevono il frutto del sacrificio, che è il sacrificio spirituale.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I testi citati e altri simili vanno intesi nel senso che fuori della Chiesa il sacrificio non viene offerto lecitamente. Quindi fuori della Chiesa non ci può essere il sacrificio spirituale, che è il vero sacrificio quanto al frutto, sebbene ci sia il sacrificio vero quanto alla validità del sacramento; allo stesso modo in cui sopra si disse che il peccatore riceve il corpo di Cristo sacramentalmente, ma non spiritualmente.
    2. Gli eretici e gli scismatici sono autorizzati a conferire soltanto il battesimo, perché possono lecitamente battezzare in caso di necessità. In nessun caso invece possono lecitamente consacrare l'Eucarestia, o conferire gli altri sacramenti.
    3. Nelle preghiere della messa il sacerdote parla in nome della Chiesa a cui è unito. Ma nel consacrare l'Eucarestia parla in nome di Cristo, di cui fa allora le veci per il potere di ordine. Il sacerdote quindi, separato dall'unità della Chiesa, non avendo perduto il potere di ordine, consacra validamente il corpo e il sangue di Cristo: ma, essendo separato dall'unità della Chiesa, le sue preghiere non hanno efficacia.

    ARTICOLO 8

    Se un sacerdote degradato sia in grado di compiere questo sacramento


    SEMBRA che un sacerdote degradato non sia in grado di compiere questo sacramento. Infatti:
    1. Nessuno compie questo sacramento se non perché ha il potere di consacrare. Ma un canone afferma, che "il degradato non ha il potere di consacrare, sebbene abbia quello di battezzare". Dunque il sacerdote degradato non ha il potere di consacrare l'Eucarestia.
    2. Chi dà una cosa, la può anche togliere. Ma il vescovo con l'ordinazione dà al sacerdote il potere di consacrare. Dunque gliela può anche togliere degradandolo.
    3. Il sacerdote con la degradazione perde, o il potere di consacrare, o solo l'esercizio di esso. Ma non ne perde solo l'esercizio; perché allora il degradato non perderebbe nulla di più dello scomunicato, al quale viene proibito di esercitarlo. Dunque perde il potere di consacrare. E quindi non è in grado di compiere questo sacramento.

    IN CONTRARIO: S. Agostino prova che gli "apostati" dalla fede "non perdono il battesimo", per il fatto che "quando ritornano pentiti, esso non viene reiterato, e ciò sta a indicare che esso è ritenuto indelebile". Ma anche il sacerdote degradato, se si riconcilia, non va ordinato di nuovo. Quindi non ha perduto il potere di consacrare. Dunque un sacerdote degradato è in grado di consacrare questo sacramento.

    RISPONDO: Il potere di consacrare l'Eucarestia appartiene al carattere dell'ordine sacerdotale. Ma il carattere, essendo dato con una consacrazione, è sempre indelebile, come abbiamo visto, così come è perpetua, indelebile e irrepetibile la consacrazione di qualsiasi cosa. È chiaro quindi che il potere di consacrare non si perde con la degradazione. Scrive infatti S. Agostino: "L'uno e l'altro", cioè il battesimo e l'ordine, "sono sacramenti e vengono conferiti all'uomo mediante una consacrazione: la prima quando si battezza, la seconda quando si ordina. Perciò di nessuno dei due ai cattolici è lecita la ripetizione". È evidente quindi che un sacerdote degradato ha la capacità di consacrare questo sacramento.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel canone non si esprime in tono di asserzione, ma d'inquisizione, come si può desumere dal contesto.
    2. Il vescovo non dà il potere dell'ordine sacerdotale per virtù propria, ma strumentalmente quale ministro di Dio; e l'effetto di Dio non può essere cancellato dall'uomo, conforme alle parole: "Ciò che Dio congiunse, l'uomo non separi". Quindi il vescovo non può togliere questo potere: come chi battezza non può togliere il carattere battesimale.
    3. La scomunica è una pena medicinale. Perciò agli scomunicati non viene tolto l'uso del potere sacerdotale in perpetuo, ma temporaneamente a scopo di correzione. Ai degradati invece ciò viene inflitto in perpetuo come una condanna definitiva.

    ARTICOLO 9

    Se sia lecito ricevere la comunione da sacerdoti eretici, scomunicati, o peccatori, e ascoltare la loro messa


    SEMBRA che si possa lecitamente ricevere la comunione da sacerdoti eretici, scomunicati o peccatori, e ascoltare la loro messa. Infatti:
    1. "Nessuno", scrive S. Agostino, "rifiuti i sacramenti di Dio né in un buon sacerdote né in uno cattivo". Ora, i sacerdoti, anche se sono peccatori, eretici o scismatici, compiono un vero sacramento. Dunque non si deve rifiutare di ricevere la comunione da loro né di ascoltare la loro messa.
    2. Il corpo vero di Cristo è figura del suo corpo mistico, come si è visto sopra. Ma i suddetti sacerdoti consacrano il vero corpo di Cristo. Dunque quelli che appartengono al corpo mistico, possono partecipare al loro sacrificio.
    3. Molti peccati sono più gravi della fornicazione. Ma non è proibito ascoltare la messa di sacerdoti colpevoli di altri peccati. Dunque non dev'essere proibito neanche di ascoltare la messa di sacerdoti fornicatori.

    IN CONTRARIO: Un canone stabilisce: "Nessuno ascolti la messa di un sacerdote che risulti con certezza colpevole di concubinato". - E S. Gregorio racconta che "un perfido genitore mandò a un suo figlio un vescovo ariano, perché dalle sue sacrileghe mani ricevesse la comunione eucaristica; ma il figlio, devoto a Dio, respinse il vescovo ariano come si meritava".

    RISPONDO: I sacerdoti che siano eretici o scismatici o scomunicati o anche peccatori, sebbene, come si è detto sopra, abbiano il potere di consacrare l'Eucarestia, tuttavia lo esercitano illecitamente e peccano esercitandolo. Ora, chiunque comunica con un altro nel peccato, ne viene a condividere la colpa, cosicché S. Giovanni parlando dell'eretico afferma: "Chi lo saluta partecipa alle sue opere malvagie". Quindi non è lecito ricevere la comunione dai suddetti sacerdoti né ascoltare la loro messa.
    Tra codeste categorie però c'è qualche differenza. Infatti gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati vengono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. E quindi pecca chiunque ascolti la loro messa o riceva da essi i sacramenti. - Invece non tutti i peccatori vengono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. Sebbene dunque siano sospesi per sentenza divina di fronte alla propria coscienza, tuttavia non lo sono per sentenza ecclesiastica di fronte agli altri. Perciò fino alla sentenza della Chiesa è lecito ricevere la comunione da essi e ascoltare la loro messa. S. Agostino così commenta in proposito l'espressione di S. Paolo, "Insieme a costui non dovete neppur mangiare": "Così dicendo egli proibiva a tutti di giudicare gli altri per arbitrario sospetto, o per indebita usurpazione di giudizio; ma ordinava che si giudicasse in base alla legge di Dio, e secondo la disciplina della Chiesa, o mediante la confessione spontanea, oppure mediante l'accusa e la discussione".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Rifuggendo dall'ascoltare la messa di tali sacerdoti o dal ricevere la comunione dalle loro mani, non rifuggiamo dai sacramenti di Dio, ma piuttosto li rispettiamo: cosicché l'ostia consacrata da tali sacerdoti si deve adorare, e se viene conservata può essere lecitamente consumata da un sacerdote legittimo. Rifuggiamo però dalla colpa che si commette da parte di chi l'amministra indegnamente.
    2. L'unità del corpo mistico è frutto della comunione del vero corpo di Cristo. Ora, quelli che si comunicano o l'amministrano indegnamente perdono codesto frutto, come si è detto sopra. Perciò quelli che sono nell'unità della Chiesa non devono riceverlo da costoro.
    3. Quantunque la fornicazione non sia più grave degli altri peccati, tuttavia gli uomini sono ad essa più proclivi per la concupiscenza della carne. Per questo la Chiesa proibisce in modo particolare tale peccato ai sacerdoti, vietando di ascoltare la messa di un sacerdote concubinario. - Ma ciò deve intendersi del concubinario riconosciuto come tale, o "per una sentenza" di regolare condanna, o "in seguito a una confessione resa in giudizio", oppure quando "il peccato non può celarsi in nessun modo".

    ARTICOLO 10

    Se sia lecito a un sacerdote astenersi completamente dal consacrare l'Eucarestia


    SEMBRA che sia lecito a un sacerdote astenersi completamente dal consacrare l'Eucarestia. Infatti:
    1. È ufficio del sacerdote sia consacrare l'Eucarestia che battezzare e amministrare gli altri sacramenti. Ma il sacerdote non è tenuto ad amministrare gli altri sacramenti, se non è in cura d'anime. Dunque, se non è in cura d'anime, non è tenuto neppure a consacrare l'Eucarestia.
    2. Nessuno è tenuto a fare ciò che non gli è lecito; altrimenti uno si troverebbe in condizioni di perplessità. Ma a dei sacerdoti peccatori o scomunicati non è lecito consacrare l'Eucarestia, come si è detto sopra. Dunque costoro non sono tenuti a celebrare. Quindi non son tenuti neppure gli altri: altrimenti quelli riceverebbero un vantaggio dalla loro colpa.
    3. La dignità sacerdotale non si perde col sopraggiungere di un'infermità; dice infatti il Papa Gelasio: "Come le leggi ecclesiastiche interdicono il sacerdozio a chi è fisicamente menomato, così se qualcuno vi sia stato elevato e poi rimanga mutilato, non può perdere quello che aveva ricevuto nel tempo in cui era integro". Ora, capita talvolta che gli ordinati nel sacerdozio incorrano in alcuni difetti che impediscono loro di celebrare: p. es., la lebbra, il mal caduco, o altre simili malattie. Dunque i sacerdoti non sono tenuti a celebrare.

    IN CONTRARIO: S. Ambrogio osserva: "È grave che alla sua mensa non veniamo con cuore mondo e con mani innocenti; ma sarebbe anche più grave se non celebrassimo neppure il sacrificio, temendo di peccare".

    RISPONDO: Alcuni hanno affermato che il sacerdote può lecitamente astenersi del tutto dal celebrare, a meno che non sia tenuto a celebrare per il popolo a lui affidato e ad amministrare i sacramenti.
    Ma tale opinione non è ragionevole. Perché tutti sono obbligati a usare della grazia loro concessa, quando l'opportunità lo richiede, secondo la raccomandazione dell'Apostolo: "Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio". Ora, l'opportunità di offrire il sacrificio non va considerata solo in rapporto ai fedeli cristiani, ai quali si devono amministrare i sacramenti, ma principalmente in rapporto a Dio, cui si offre il sacrificio con la consacrazione di questo sacramento. Il sacerdote quindi, anche se non ha cura di anime, non può astenersi del tutto dal celebrare: ma è tenuto a farlo almeno nelle feste principali e specialmente in quei giorni in cui i fedeli hanno l'abitudine di comunicarsi. Ecco perché la Scrittura lamenta, che alcuni sacerdoti "non si dedicavano più agli uffici dell'altare, disprezzando il tempio e trascurando i sacrifici".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli altri sacramenti si compiono mentre si amministrano ai fedeli. E quindi gli altri sacramenti non è tenuto ad amministrarli se non chi assume la cura dei fedeli. L'Eucarestia invece si compie nella consacrazione, in cui si offre il sacrificio a Dio: e a ciò il sacerdote è obbligato in forza dell'ordine sacro un tempo ricevuto.
    2. Un sacerdote peccatore, se è stato privato dell'esercizio dell'ordine o per sempre o per un dato tempo da una sentenza ecclesiastica, è reso incapace di offrire il sacrificio, e quindi l'obbligo viene a cessare. Ma ciò non si risolve in un vantaggio bensì in una privazione di frutti spirituali. - Se uno invece non è stato privato della facoltà di celebrare, non viene liberato dall'obbligo suddetto. Né tuttavia cade in perplessità: perché può pentirsi del suo peccato e celebrare.
    3. Un'invalidità o una malattia successiva all'ordinazione sacerdotale, non toglie l'ordine, ma ne impedisce l'esercizio quanto alla consacrazione dell'Eucàrestia. A volte per l'impossibilità fisica di consacrare: per la perdita, mettiamo, degli occhi, delle dita o dell'uso della lingua. - A volte per ragioni di pericolo: in chi, p. es., soffre di mal caduco o di qualunque altra alienazione mentale. - A volte per la ripugnanza: un lebbroso, p. es. non deve celebrare pubblicamente. Può tuttavia celebrare la messa privatamente: a meno che la lebbra sia tanto avanzata da renderlo per corrosione delle membra incapace di celebrare.

  5. #25
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questione 83

    Il rito di questo sacramento


    Veniamo finalmente a considerare il rito di questo sacramento.
    Su questo tema esamineremo sei argomenti: 1. Se nella celebrazione di questo sacramento ci sia l'immolazione di Cristo; 2. Il tempo della celebrazione; 3. Il luogo e le altre cose che si riferiscono all'apparato di questa celebrazione; 4. Le parole che accompagnano la celebrazione di questo mistero; 5. Le cerimonie che si compiono nella celebrazione di questo mistero; 6. I difetti che possono capitare nella celebrazione di questo sacramento.

    ARTICOLO 1

    Se nella celebrazione di questo sacramento Cristo venga immolato


    SEMBRA che nella celebrazione di questo sacramento Cristo non venga immolato. Infatti:
    1. L'Apostolo afferma che "Cristo con una sola oblazione ha reso perfetti per sempre coloro che vengono santificati". Ora, quell'oblazione fu la sua immolazione. Dunque Cristo non s'immola nella celebrazione di questo sacramento.
    2. L'immolazione di Cristo si compì sulla croce, dove "egli diede se stesso per noi quale oblazione e sacrificio a Dio in soave odore", come dice S. Paolo. Ma nella celebrazione di questo mistero Cristo non viene crocifisso. Dunque non viene neppure immolato.
    3. Come dice S. Agostino, nell'immolazione di Cristo identico è il sacerdote e la vittima. Ma nella celebrazione di questo sacramento il sacerdote e la vittima non sono la stessa persona. Dunque la celebrazione di questo sacramento non è un'immolazione di Cristo.

    IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Una volta per sempre Cristo immolò se stesso direttamente e tuttavia egli s'immola ogni giorno nel sacramento".

    RISPONDO: La celebrazione di questo sacramento può essere considerata un'immolazione di Cristo per due motivi. Primo, perché, come osserva S. Agostino, "le immagini delle cose si è soliti chiamarle con il nome delle cose stesse: guardando, p. es., un quadro o una parete dipinta diciamo: Quello è Cicerone, quello è Sallustio". Ora, la celebrazione di questo sacramento, come si disse sopra, è un'immagine rappresentativa della passione di Cristo che è una vera immolazione. Di qui le parole di S. Ambrogio: "In Cristo la vittima si offrì una volta sola, valida per l'eterna salvezza. Noi dunque che cosa facciamo? Non offriamo forse il sacrificio ogni giorno, quale commemorazione della sua morte?".
    Secondo, per i suoi legami con gli effetti della passione; cioè in quanto mediante questo sacramento diveniamo partecipi del frutto della passione del Signore. In tal senso così si esprime un'orazione segreta domenicale: "Ogni volta che si celebra la commemorazione di questa vittima, si compie l'opera della nostra redenzione".
    Perciò in base al primo motivo si può dire che Cristo s'immolava anche nelle figure dell'Antico Testamento; e in tal senso nell'Apocalisse si legge: "I nomi dei quali sono scritti nel libro di vita dell'Agnello, il quale è stato ucciso fin dall'origine del mondo". Per il secondo motivo invece l'immolazione di Cristo è propria della celebrazione di questo sacramento.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Ambrogio, "unica è la vittima", offerta da Cristo e da noi, "e non molte, essendosi il Cristo immolato un'unica volta; ma il sacrificio attuale è l'immagine del suo sacrificio. Come infatti è un solo corpo quello che si offre dovunque e non molti corpi, così unico è anche il sacrificio".
    2. Come la celebrazione di questo sacramento è l'immagine rappresentativa della passione di Cristo, così l'altare è l'immagine della sua croce, sulla quale Cristo s'immolò fisicamente.
    3. Per la stessa ragione anche il sacerdote è immagine di Cristo, in persona e in virtù del quale, come abbiamo già notato, pronunzia le parole della consacrazione. Cosicché in qualche modo abbiamo l'identità tra il sacerdote e la vittima.

    ARTICOLO 2

    Se sia stato opportunamente stabilito il tempo della celebrazione di questo mistero


    SEMBRA che il tempo della celebrazione di questo mistero non sia stato opportunamente stabilito. Infatti:
    1. Questo sacramento rappresenta la passione del Signore, come si è detto. Ma la commemorazione della passione del Signore si fa nella Chiesa una volta sola all'anno; scrive infatti S. Agostino: "Forse che Cristo viene ucciso tante volte quante volte si celebra la Pasqua? Ma il ricordo annuale rappresenta ciò che avvenne una volta, e ci commuove come se vedessimo il Signore pendere dalla croce". Dunque questo sacramento non si deve celebrare che una volta all'anno.
    2. La passione di Cristo viene commemorata dalla Chiesa il venerdì santo e non nella festa di Natale. Essendo dunque l'Eucarestia commemorativa della passione del Signore, non è opportuno che il giorno del Natale si celebri tre volte questo sacramento, e che il venerdì Santo invece si ometta del tutto.
    3. Nella celebrazione di questo sacramento la Chiesa deve imitare la sua istituzione fatta da Cristo. Ma Cristo consacrò questo sacramento nelle ore serali. Dunque questo sacramento va celebrato di sera.
    4. Il Papa S. Leone scrive a Dioscoro, vescovo di Alessandria, che è permesso celebrare la messa "nella prima parte del giorno". Ma il giorno incomincia dalla mezzanotte, come abbiamo notato sopra. Dunque si può celebrare anche subito dopo la mezzanotte.
    5. In un'orazione segreta domenicale si dice: "Concedici Signore, di frequentare questi misteri". Ma la frequenza sarà maggiore, se il sacerdote celebra più volte al giorno. Dunque non dovrebbe essere proibito ai sacerdoti di celebrare più volte al giorno.

    IN CONTRARIO: Abbiamo la consuetudine seguita dalla Chiesa secondo le leggi canoniche.

    RISPONDO: Nella celebrazione di questo mistero si deve tener conto, sia della rappresentazione della passione del Signore, sia della partecipazione dei suoi frutti. Sotto ambedue gli aspetti fu bene che si stabilisse il tempo conveniente alla celebrazione di questo sacramento. Ora, poiché del frutto della passione del Signore abbiamo bisogno ogni giorno per i nostri quotidiani difetti, nella Chiesa ogni giorno ordinariamente si offre questo sacramento. Cosicché il Signore stesso c'insegnò a chiedere: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano"; parole che S. Agostino così commenta: "Se il pane deve essere quotidiano, perché lo ricevi dopo un anno, come sono soliti fare i Greci in Oriente? Ricevilo quotidianamente, perché quotidianamente ti giovi". - E poiché la passione del Signore si compì dall'ora terza all'ora nona, d'ordinario la celebrazione solenne di questo sacramento la Chiesa la compie nelle suddette ore del giorno.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In questo sacramento la passione di Cristo viene ricordata in quanto i suoi effetti si applicano ai fedeli. Invece nella settimana di passione essa viene commemorata solo in quanto la passione stessa si compì direttamente nel nostro Capo. Ora, questo avvenne una sola volta, mentre i fedeli ricevono il frutto della passione del Signore ogni giorno. Ecco perché la commemorazione unica si fa una volta l'anno; mentre questo sacramento si celebra ogni giorno, sia per i suoi frutti che per il ricordo continuo.
    2. È giusto che alla presenza della realtà cessi la figura. Ora, l'Eucarestia è figura e immagine della passione del Signore, come sopra abbiamo visto. Perciò nel giorno in cui si ricorda la passione stessa del Signore come si svolse realmente, non va celebrata la consacrazione di questo sacramento. Tuttavia, affinché la Chiesa nemmeno in quel giorno rimanga senza il frutto della passione applicato a noi per mezzo di questo sacramento, il corpo di Cristo consacrato il giorno precedente si conserva per la comunione del venerdì. Non però il sangue, per evitare il pericolo di versarlo: e poi perché il sangue è in modo più speciale immagine della passione del Signore, come si disse sopra. E non è vero quanto asseriscono alcuni, che quando la particola del corpo viene a contatto col vino, il vino si converta in sangue. Ciò infatti non può avvenire che mediante la consacrazione compiuta con la debita formula.
    Nel giorno di Natale poi vengono celebrate più messe per la triplice nascita di Cristo. Una è quella eterna: che per noi rimane occulta. Ecco perché una messa viene cantata di notte e nel suo introito si legge: "Il Signore mi disse: Tu sei il mio figlio: oggi ti ho generato". - La seconda nascita è temporale, ma spirituale: ed è quella in cui Cristo, come si esprime S. Pietro, "nasce quale stella del mattino nei nostri cuori". Per questo una messa si canta all'aurora, e nel suo introito si dice: "La luce splenderà oggi sopra di noi". - La terza nascita di Cristo è quella temporale e corporea, in cui egli uscì visibile per noi dal seno verginale rivestito di carne. Per questo si canta una terza messa in pieno giorno, e nel suo introito si legge: "Per noi è nato un bambino". - Però si potrebbe anche dire, invertendo l'ordine, che la nascita eterna è per se stessa nella piena luce; e per questo la nascita eterna forma l'oggetto del Vangelo alla terza messa. Secondo poi la nascita corporale il Signore propriamente nacque di notte, per indicare che veniva a rischiarare le tenebre della nostra miseria: e per questo nella messa della notte si legge il Vangelo della nascita corporale di Cristo.
    Anche in altri giorni, in cui occorrono diversi benefici divini, o da ricordare, o da chiedere, si celebrano più messe nello stesso giorno: p. es., una per la festa, un'altra per il digiuno, oppure per i morti.
    3. Cristo, come si disse, volle dare da ultimo ai suoi discepoli questo sacramento, perché s'imprimesse più profondamente nei loro cuori. Ecco perché consacrò questo sacramento dopo la cena e alla fine della giornata per darlo ai suoi discepoli. Noi invece lo celebriamo nell'ora della passione del Signore: cioè nei giorni di festa all'ora di terza quando fu crocifisso per bocca dei Giudei, come dice S. Marco, e quando lo Spirito Santo discese sui discepoli: nei giorni ordinari all'ora di sesta, quando fu crocifisso dalle mani dei soldati, come si legge in S. Giovanni; e nei giorni di digiuno all'ora di nona quando "gridando a gran voce rese lo spirito", come dice S. Matteo.
    Tuttavia si può celebrare anche più tardi, specialmente quando ci sono da fare le ordinazioni e soprattutto il Sabato Santo, sia per la lunghezza dell'ufficio, sia perché gli ordini sacri appartengono alla domenica, come dice il Decreto. Però per qualche necessità, a norma dei canoni, si possono sempre celebrare le messe anche "nella prima parte del giorno".
    4. Ordinariamente la messa va celebrata di giorno e non di notte, perché in questo sacramento è presente Cristo medesimo, il quale ha detto: "Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno. Poi viene la notte, quando nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo". L'inizio del giorno però non deve computarsi dalla mezzanotte né dalla levata del sole, cioè da quando la sfera dell'astro compare sulla terra; ma da quando comincia l'aurora. Perché allora in certo senso il sole può dirsi sorto, in quanto appare la luce dei suoi raggi. E parlando in tal senso S. Marco afferma che le donne andarono al sepolcro "essendo sorto già il sole"; mentre invece secondo S. Giovanni esse andarono al sepolcro "quando ancora c'erano le tenebre"; è appunto così che S. Agostino risolve l'apparente contraddizione nel De Consensu Evangelistarum.
    Eccezionalmente però si celebra la messa nella notte di Natale, perché il Signore nacque di notte, come spiega il Decreto. - Così pure il Sabato santo si celebra la messa all'inizio della notte, perché il Signore risorse di notte, cioè "quando era ancora buio", prima dell'apparire manifesto del sole.
    5. Nei Canoni si legge la seguente disposizione del Papa Alessandro II: "Basta una sola messa al giorno, perché Cristo morendo una sola volta redense tutto il mondo; ed è ben felice chi è in grado di celebrare una volta in modo degno. Alcuni tuttavia ne celebrano una per i defunti e un'altra del giorno, se è necessario. Coloro poi che per denaro o per compiacere ai secolari osano in un medesimo giorno celebrare più messe, penso che non sfuggano alla dannazione". E Innocenzo III dice che "eccetto il giorno della Natività del Signore, se non interviene un motivo di necessità, il sacerdote deve contentarsi di celebrare una sola messa al giorno".

    ARTICOLO 3

    Se occorra celebrare questo sacramento al coperto e con vasi sacri


    SEMBRA che non occorra celebrare questo sacramento al coperto e con vasi sacri. Infatti:
    1. Questo sacramento rappresenta la passione del Signore. Ma il Cristo non morì al coperto, bensì fuori della porta della città, come dice l'Apostolo: "Gesù per santificare con il suo sangue il popolo, soffrì fuori della porta". Dunque questo sacramento non si deve celebrare al coperto, ma piuttosto all'aperto.
    2. Nella celebrazione di questo sacramento la Chiesa deve imitare la condotta di Cristo e degli Apostoli. Ma la casa in cui per la prima volta istituì Cristo questo sacramento non era consacrata, essendo una comune sala da pranzo, preparata da un capofamiglia, come si legge in S. Luca. E negli Atti si legge, che "gli Apostoli erano assidui al tempio, e spezzando il pane nelle loro case se ne cibavano con allegrezza". Perciò neppure adesso occorre che siano consacrati gli edifici dove si celebra questo sacramento.
    3. Niente d'inutile deve farsi nella Chiesa che è governata dallo Spirito Santo. Ma è inutile fare la consacrazione di una chiesa, di un altare o di cose simili inanimate, che sono incapaci di ricevere la grazia o la virtù spirituale. Tali consacrazioni dunque non hanno ragion d'essere nella Chiesa.
    4. Soltanto le opere divine devono commemorarsi con solennità, secondo l'espressione del Salmista: "Esulterò per le opere delle tue mani". Ma la chiesa e l'altare ricevono la consacrazione per opera di un uomo: così pure il calice, i ministri, ecc. Ora, queste ultime consacrazioni non vengono commemorate con solennità dalla Chiesa. Perciò non deve commemorarsi solennemente neppure la consacrazione di una chiesa o di un altare.
    5. La realtà deve corrispondere alla figura. Ma nel vecchio Testamento, che simboleggiava il nuovo, l'altare non si faceva di pietre tagliate, a norma dell'Esodo: "Mi farete un altare di terra; non lo farai di pietre levigate". Anzi altrove nell'Esodo si prescrive di fare "un altare in legno di setim", ricoperto "di bronzo", oppure "di oro". Non è opportuna dunque la prescrizione della Chiesa che gli altari siano soltanto di pietra.
    6. Il calice con la patena rappresenta il sepolcro di Cristo. Ma questo "era scavato nel sasso", come dicono gli Evangelisti. Perciò il calice dovrebbe essere di pietra e non soltanto di argento, d'oro, o di stagno.
    7. Come l'oro è la materia più preziosa per i vasi, così la seta è la stoffa più preziosa per gl'indumenti. Quindi come il calice si fa con l'oro, così le tovaglie dell'altare dovrebbero essere di seta e non semplicemente di lino.
    8. L'amministrazione e la regolamentazione dei sacramenti è di competenza dei ministri della Chiesa, come l'amministrazione delle cose temporali sottostà alle norme dei principi secolari. Di qui le parole dell'Apostolo: "Ci considerino come ministri di Cristo e come amministratori dei misteri di Dio". Ora, nell'amministrazione delle cose temporali quello che si fa contro gli statuti dei principi è invalido. Dunque, ammesso che le prescrizioni ricordate siano convenientemente imposte dai superiori ecclesiastici, non si può celebrare validamente, senza la loro osservanza. E allora ne segue che le parole di Cristo non sono sufficienti a consacrare questo sacramento: il che è inammissibile. È evidente quindi che le prescrizioni stabilite circa la celebrazione di questo sacramento sono inopportune.

    IN CONTRARIO: Le norme stabilite dalla Chiesa risalgono a Cristo stesso, il quale ha detto: "Dovunque due o tre persone sono riunite nel mio nome, là io sono in mezzo a loro".

    RISPONDO: Le cose che accompagnano la celebrazione eucaristica possono avere due scopi: il primo è quello di rappresentare quanto avvenne nella passione del Signore; l'altro è un motivo di rispetto verso questo sacramento, nel quale Cristo è presente secondo verità e non solo in figura. Di conseguenza anche le consacrazioni delle cose che si adoperano per questo sacramento, si fanno tanto per il rispetto dovuto al sacramento, quanto per rappresentare l'effetto di santità proveniente dalla passione di Cristo; secondo le parole dell'Apostolo: "Gesù per santificare il popolo con il suo sangue, ecc.".

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Regolarmente questo sacramento deve celebrarsi dentro un edificio, che sta a significare la Chiesa, conforme alle parole di S. Paolo: "Sappi come regolarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente". Perché "fuori della Chiesa non c'è posto per il vero sacrificio", come osserva S. Agostino. E poiché la Chiesa non doveva restringersi ai confini della nazione giudaica, ma doveva stabilirsi in tutto il mondo, conseguentemente la passione di Cristo non si svolse dentro la città di Gerusalemme, ma all'aperto, cosicché tutto il mondo facesse da casa alla passione di Cristo.
    Tuttavia, come è previsto nel Decreto, "è concesso a coloro che sono in viaggio, se manca la chiesa, di celebrare la messa all'aperto o sotto una tenda, purché si abbia la pietra consacrata e l'altra sacra suppellettile occorrente".
    2. Poiché l'edificio in cui si celebra questo sacramento sta a significare la Chiesa, e si chiama chiesa, è giusto che venga consacrato: sia per rappresentare la santità conseguita dalla Chiesa per i meriti della passione di Cristo; sia per significare la santità richiesta in coloro che devono ricevere questo sacramento. - L'altare poi significa il Cristo medesimo, di cui l'Apostolo dice: "Per lui offriamo a Dio un sacrificio di lode". Quindi la consacrazione dell'altare indica la santità di Cristo, di cui si legge: "L'essere santo che nascerà da te, sarà chiamato figlio di Dio". Perciò il Decreto prescrive: "Gli altari siano consacrati non solo con l'unzione del crisma, ma anche con la benedizione sacerdotale".
    Regolarmente quindi, a norma dei Canoni, non è lecito celebrare questo sacramento se non dentro edifici consacrati: "Nessun sacerdote osi celebrare la messa fuori dei luoghi consacrati dal vescovo". E per lo stesso motivo, poiché i pagani e gli altri infedeli non appartengono alla Chiesa, nel medesimo Decreto si legge: "Non è lecito consacrare una chiesa nella quale si seppelliscano cadaveri d'infedeli; se essa si presta a essere consacrata, si riadatti allo scopo, dopo aver tolto i cadaveri e raschiate le pareti di muro o di legno. Se la chiesa è stata prima consacrata e poi adibita a cimitero, si può in essa celebrare, purché fossero fedeli coloro che vi sono stati sepolti".
    Tuttavia in caso di necessità questo sacramento può celebrarsi anche in edifici non consacrati o violati: però con il consenso del vescovo: "Ordiniamo che la messa non si celebri dovunque, ma in luoghi consacrati dal vescovo o da lui consentiti". Sempre però si celebri sull'altare portatile consacrato, a norma dei Canoni: "Concediamo, se le chiese sono state incendiate, di celebrare la messa nelle cappelle su una tavola consacrata". Perché, essendo la santità di Cristo fonte di tutta la santità della Chiesa, in caso di bisogno basta alla celebrazione di questo sacramento l'altare consacrato. Questa è la ragione per cui non si consacra mai una chiesa, senza consacrarne l'altare: invece qualche volta, anche senza consacrare la chiesa, si consacra l'altare con le reliquie dei santi, "la cui vita è nascosta con Cristo in Dio". Si legge perciò nel Decreto: "Ordiniamo che gli altari dove non risulti sepolto nessun corpo né reliquia di martiri, possibilmente siano abbattuti dai vescovi del luogo".
    3. Chiesa, altare e altre cose inanimate ricevono la consacrazione, non perché capaci di ricevere la grazia, ma perché con la consacrazione acquistano una virtù spirituale che le rende atte al culto divino: così infatti esse ispirano agli uomini una certa devozione, in modo che siano meglio disposti alle cose di Dio, se ciò non è impedito da irriverenza. A tal proposito nella Scrittura si legge: "In quel luogo c'è veramente la virtù di Dio; poiché colui che abita nei cieli visita e protegge quel luogo".
    È per questo che le suddette cose prima della consacrazione vengono purificate ed esorcizzate, per sottrarle alla virtù del demonio. Per la stessa ragione vengono riconciliate le chiese, "che siano state macchiate con spargimento di sangue o di sperma umano": perché il peccato ivi commesso rivela un influsso demoniaco. Anche nel Decreto si legge in proposito: "Dovunque troviate chiese di ariani, consacratele senza indugio come chiese cattoliche, con le preghiere sacre e i riti prescritti".
    Ecco perché alcuni ritengono con ragione che in una chiesa consacrata si ottiene la remissione dei peccati veniali, come con l'aspersione dell'acqua benedetta; citando le parole del Salmista: "Hai benedetto Signore, la tua terra; hai rimesso l'iniquità del tuo popolo".
    Per la virtù che la consacrazione conferisce alla chiesa, tale consacrazione non si può ripetere. Di qui la prescrizione del Concilio Niceno: "Non si deve rinnovare la consacrazione delle chiese consacrate a Dio, se non nel caso che siano state bruciate, oppure macchiate da spargimento di sangue o di sperma umano; perché, come non si deve mai ribattezzare un bambino battezzato già nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, così non si può riconsacrare un luogo dedicato a Dio, se non nei casi sopra elencati; purché chi lo consacrò avesse la fede nella santa Trinità". Altrimenti sì, perché coloro che sono fuori della Chiesa non possono consacrare. Anzi nel medesimo codice si legge: "Le chiese e gli altari dubbiamente consacrati, si consacrino".
    Per il fatto che la consacrazione conferisce una virtù spirituale a queste cose, nello stesso Decreto si stabilisce: "Il legname di una chiesa consacrata non si usi per altri scopi, ma solo per un'altra chiesa, oppure sia bruciato o destinato a vantaggio dei frati di un monastero; mai però può essere adibito a usi profani". E ancora: "Le tovaglie dell'altare, la cattedra, il candelabro e il velo, quando siano consunti dal tempo, si brucino e le loro ceneri si gettino nel battistero, oppure si seppelliscano nelle pareti o in fosse sotto il pavimento, perché non siano profanate dai piedi di coloro che entrano in chiesa".
    4. Poiché la consacrazione dell'altare significa la santità di Cristo, e la consacrazione dell'edificio significa la santità di tutta la Chiesa, è conveniente ricordare con solennità la consacrazione di una chiesa o di un altare. Inoltre la solennità della dedicazione dura otto giorni, per indicare la beata resurrezione di Cristo e dei membri della Chiesa. Né la consacrazione di una chiesa o di un altare è opera dell'uomo soltanto, in quanto implica una virtù soprannaturale. Il Decreto perciò prescrive: "Si celebri ogni anno solennemente la festa della dedicazione della chiesa. Che poi la dedicazione debba durare otto giorni si trova nel III Libro dei Re, nel racconto della dedicazione del tempio", cioè al cap. 8, 66.
    5. Nei Canoni si legge: "Gli altari non si consacrino col crisma, se non sono di pietra". E ciò prima di tutto lo richiede il simbolismo dell'Eucarestia: sia perché l'altare significa il Cristo, e S. Paolo afferma: "La pietra era il Cristo"; sia perché il corpo di Cristo fu sepolto in un sepolcro di pietra. Lo richiede poi anche l'uso universale del sacramento: infatti la pietra è solida e facile a trovarsi dovunque. Questo non era necessario nell'antica legge, perché allora l'altare era in un luogo soltanto. - L'antica prescrizione poi di fare l'altare di terra o di pietre non levigate aveva lo scopo d'impedire l'idolatria.
    6. Nel medesimo Decreto si legge: "I sacerdoti anticamente si servivano di calici non d'oro, ma di legno. Poi il Papa Zefirino prescrisse di celebrare la messa con patene di vetro; in seguito Urbano fece fare tutto d'argento". In seguito fu stabilito che il calice del Signore con la patena sia fatto tutto d'oro o d'argento, o che per lo meno il calice sia di stagno. Non sia però di bronzo né di oricalco; perché sotto l'azione del vino arrugginisce, e provoca il vomito. Nessuno poi osi cantare la messa con calice di legno o di vetro; perché il legno è poroso e rimarrebbe in esso il sangue consacrato; mentre il vetro è fragile e potrebbe rompersi. Lo stesso vale per la pietra. Perciò per rispetto verso il sacramento fu stabilito che il calice sia fatto della materia suddetta.
    7. La Chiesa, quando si è potuto fare senza pericolo, ha prescritto nei riguardi dell'Eucarestia ciò che meglio rappresenta la passione di Cristo. Ora, per il corpo che si pone sul corporale non si corre tanto pericolo quanto per il sangue contenuto nel calice. Quindi, pur escludendo il calice di pietra, il corporale è bene che sia di lino, che è il panno in cui fu involto il corpo di Cristo. Di qui le parole del Papa Silvestro, riferite dal Decreto: "Per consiglio di tutti stabiliamo che nessuno osi celebrare il sacrificio dell'altare con panni di seta o colorati, ma celebri con panni di puro lino benedetti dal vescovo, come il corpo di Cristo fu sepolto in una candida sindone di lino". - Inoltre il panno di lino è indicato anche per la sua bianchezza a significare la purità di coscienza; e per il molto lavoro necessario a prepararlo sta a significare la passione di Cristo.
    8. L'amministrazione dei sacramenti è di competenza dei ministri della Chiesa, ma la loro consacrazione viene da Dio stesso. Perciò i ministri della Chiesa non possono disporre niente circa la forma della consacrazione; ma possono disporre circa l'uso del sacramento e il modo di celebrarlo. Se un sacerdote quindi proferisce le parole della consacrazione sulla debita materia con l'intenzione di consacrare, facendo a meno di tutto il resto, cioè dell'edificio sacro, dell'altare, del calice e del corporale consacrati e delle altre suppellettili prescritte dalla Chiesa, consacra senza dubbio realmente il corpo di Cristo, ma pecca gravemente non rispettando il rito della Chiesa.

    ARTICOLO 4

    Se siano adatte le formule verbali che accompagnano questo sacramento


    SEMBRA che non siano adatte le formule verbali che accompagnano la celebrazione di questo sacramento. Infatti:
    1. Questo sacramento, come osserva S. Ambrogio, viene consacrato con le parole di Cristo. Dunque in esso non devono proferirsi altre parole all'infuori di quelle di Cristo.
    2. Le parole e le azioni di Cristo noi le conosciamo dal Vangelo. Ora, alcune espressioni che si dicono nella celebrazione di questo sacramento, non si trovano nei Vangeli. Infatti non vi si legge che Cristo consacrando questo sacramento abbia alzato gli occhi al cielo; così pure nei Vangeli è detto: "Prendete e mangiate", ma non c'è "tutti"; mentre nella celebrazione di questo sacramento si legge: "Alzati gli occhi al cielo", e successivamente: "Prendete e mangiatene tutti". Dunque codeste parole non sono al loro posto nella celebrazione di questo sacramento.
    3. Tutti gli altri sacramenti sono destinati anch'essi alla salvezza di tutti i fedeli. Ma nella celebrazione degli altri sacramenti non si fa una preghiera comune per la salvezza di tutti i fedeli vivi e defunti. Dunque non è giusto che si faccia in questo sacramento.
    4. Il battesimo è in modo speciale "sacramento della fede". Quindi quanto riguarda l'istruzione nella fede, ossia l'insegnamento degli Apostoli e del Vangelo, va impartito in preparazione al battesimo piuttosto che durante la celebrazione dell'Eucarestia.
    5. La devozione dei fedeli si richiede in ogni sacramento. Essa quindi non si deve stimolare più in questo che negli altri sacramenti con le lodi divine e con le esortazioni, dicendo, p. es.: "Innalziamo i nostri cuori".
    6. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, come si è spiegato. Quindi ciò che vien detto nella celebrazione di questo sacramento, dovrebbe essere proferito tutto dal sacerdote: non già parte dai ministri, e parte dal coro.
    7. Questo sacramento viene compiuto con efficacia infallibile dalla virtù divina. Perciò è inutile che il sacerdote ne chieda il compimento con quelle parole: "La quale oblazione tu, o Dio, ecc.".
    8. Il sacrificio della nuova legge è molto superiore a quelli degli antichi Patriarchi. Dunque non è ragionevole che il sacerdote chieda che questo sacrificio sia accetto come il sacrificio di Abele, di Abramo e di Melchisedec.
    9. Il corpo di Cristo come non diviene presente in questo sacramento, secondo le spiegazioni date, mediante una mutazione di luogo, così neppure cessa di esservi presente con un moto locale. Perciò non ha senso quella preghiera del sacerdote: "Comanda che per le mani del tuo angelo santo questi doni siano portati sul tuo altare del cielo".

    IN CONTRARIO: Si legge nel Decreto: "Giacomo, fratello del Signore secondo la carne, e Basilio vescovo di Cesarea redassero la celebrazione della messa". Attesa la loro autorità, è evidente l'opportunità di ciascuna formula verbale usata in questo sacramento.

    RISPONDO: Nell'Eucarestia si compendia tutto il mistero della nostra salvezza: perciò essa si celebra con maggiore solennità degli altri sacramenti. E, poiché sta scritto: "Bada ai tuoi passi nell'avviarti alla casa del Signore", e: "Prima della preghiera disponi l'anima tua", nella celebrazione di questo mistero innanzi tutto si premette una preparazione che disponga a compiere degnamente gli atti successivi. Primo atto di tale preparazione è la lode divina che si esprime nell'introito, conforme alle parole del Salmo: "Il sacrificio di lode mi onora, e questa è la via per cui gli mostrerò la salvezza di Dio". E il più delle volte il brano si prende dai Salmi, o almeno si canta intercalato con un salmo, perché, come osserva Dionigi, "i Salmi comprendono sotto forma di lode tutto quello che è contenuto nella Sacra Scrittura". - Il secondo atto rammenta la miseria della vita presente, invocando la misericordia divina, col dire tre volte "Kyrie eleison" per la persona del Padre; tre volte "Christe eleison" per la persona del Figlio; e ancora tre volte "Kyrie eleison" per la persona dello Spirito Santo: e ciò contro la triplice miseria dell'ignoranza, della colpa e della pena; oppure per significare che tutte le Persone sono immanenti l'una nell'altra. - Il terzo atto ricorda la gloria celeste, alla quale siamo destinati dopo l'attuale miseria, dicendo il "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". E si canta nelle festività in cui si commemora la gloria celeste, mentre viene omesso negli uffici penitenziali che commemorano le nostre miserie. - Il quarto atto contiene l'orazione che il sacerdote fa per il popolo, affinché i fedeli siano degni di così grandi misteri.
    In secondo luogo, sempre a scopo preparatorio, segue l'istruzione del popolo fedele, essendo questo sacramento "un mistero di fede", come si disse sopra. Tale istruzione viene fatta inizialmente con l'insegnamento dei Profeti e degli Apostoli, che viene letto in chiesa dai lettori e dai suddiaconi. Dopo questa lettura viene cantato dal coro il graduale, che sta a significare il progresso nella virtù, e l'alleluia, che significa l'esultanza spirituale; oppure negli uffizi penitenziali si canta il tratto, che significa il gemito spirituale. Infatti sono questi i frutti che deve produrre nel popolo l'insegnamento suddetto. - In modo perfetto però il popolo viene istruito mediante l'insegnamento di Cristo contenuto nel Vangelo: esso viene letto dai ministri più alti, cioè dai diaconi. Dopo la lettura del Vangelo, poiché a Cristo crediamo come alla verità divina, secondo le parole: "Se io dico la verità, perché non mi volete credere?", si canta il Simbolo della fede, con il quale il popolo mostra l'assenso della sua fede alla dottrina di Cristo. Il simbolo però si canta nelle feste alle quali esso in qualche modo si richiama cioè nelle feste di Cristo, della Beata Vergine e degli Apostoli che fondarono la nostra fede e in feste simili.
    Preparato e istruito così il popolo, si passa alla celebrazione del mistero. Esso viene offerto come sacrificio e viene consacrato e consumato come sacramento; infatti prima c'è l'oblazione; secondo, la consacrazione della materia oblata; terzo, la sua consumazione. Nell'oblazione ci sono due momenti: la lode da parte del popolo nel canto dell'offertorio, per indicare la gioia degli offerenti, e l'orazione da parte del sacerdote che prega perché l'oblazione del popolo sia accetta a Dio. Questi infatti furono i sentimenti espressi da David: "Con semplicità di cuore e con gioia io ti ho offerto tutte queste cose, e ho visto il popolo qui radunato offrirti i suoi doni con grande letizia"; e pregava dicendo: "Signore Dio, mantieni sempre in essi questa disposizione d'animo". In relazione poi alla consacrazione, che si compie per virtù soprannaturale, prima viene eccitato il popolo alla devozione con il prefazio: per questo lo si invita ad "avere il cuore in alto al Signore". Quindi al termine del prefazio il popolo loda devotamente, sia la divinità di Cristo dicendo con gli angeli: "Santo, Santo, Santo", sia la sua umanità dicendo con i fanciulli: "Benedetto colui che viene (nel nome del Signore)". - Quindi il sacerdote segretamente ricorda innanzi tutto coloro per i quali viene offerto questo sacrificio, cioè la Chiesa universale, "coloro che sono costituiti in autorità" e in modo speciale le persone "che offrono o per le quali viene offerto il sacrificio". - Poi "commemora i santi", dei quali implora il patrocinio sulle persone già ricordate sopra dicendo: "In comunione con tutta la Chiesa ricordiamo...". Finalmente conclude la sua preghiera con le parole: "Accettà questa oblazione...", chiedendo che essa sia salutare per coloro per i quali viene offerta.
    Il sacerdote passa quindi alla consacrazione stessa. E chiede prima di tutto che la consacrazione raggiunga il suo effetto, dicendo: "La quale oblazione, tu, Dio, ecc.". - Secondo, compie la consacrazione con le parole del Salvatore: "Il quale il giorno prima, ecc.". - Terzo, scusa la sua presunzione, dichiarando di aver obbedito al precetto di Cristo: "Per questo ricordando noi, ecc.". - Quarto, supplica che il sacrificio compiuto sia accetto a Dio: "Degnati di riguardare propizio, ecc.". - Quinto, invoca gli effetti di questo sacrificio e sacramento: prima per quelli stessi che lo ricevono, dicendo: "Supplichevoli ti preghiamo ecc."; poi per i morti che non lo possono più ricevere: "Ricordati pure, o Signore, ecc."; infine per gli stessi sacerdoti offerenti: "Anche a noi peccatori, ecc.".
    Si passa così alla consumazione del sacramento. E innanzi tutto si dispone il popolo alla comunione. Primo, con la preghiera comune di tutto il popolo che è la Preghiera Domenicale, in cui chiediamo che "ci venga dato il nostro pane quotidiano", e anche con una preghiera privata che il sacerdote recita da solo per il popolo, dicendo: "Liberaci, o Signore ecc.". - Secondo, si dispone il popolo mediante la pace, che viene data invocando l'"Agnello di Dio": l'Eucarestia è infatti il sacramento dell'unità e della pace, come sopra abbiamo visto. Invece nelle messe dei defunti, nelle quali il sacrificio non si offre per la pace presente ma per il riposo dei morti, la pace si omette.
    Poi segue la consumazione del sacramento: prima il sacerdote comunica se stesso e poi gli altri, perché, come dice Dionigi, chi dà agli altri le cose divine, ne deve prima essere partecipe egli stesso.
    Da ultimo tutta la celebrazione della messa termina con il ringraziamento: il popolo esulta per aver ricevuto il mistero, e tale è il significato del canto dopo la comunione; e il sacerdote celebrante rende grazie mediante l'orazione: ciò a imitazione di Cristo, il quale dopo aver celebrato la Cena con i discepoli "cantò l'inno", come narra il Vangelo.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La consacrazione vien fatta con le sole parole di Cristo. Le altre invece è stato necessario aggiungerle per preparare il popolo alla comunione, come abbiamo spiegato.
    2. Come nota S. Giovanni, molte sono le cose fatte e dette da Cristo che gli Evangelisti non hanno riferito. Tra queste l'avere il Signore nella Cena alzato gli occhi al cielo: cosa che la Chiesa ricevette dalla tradizione apostolica. Sembra logico del resto che se egli alzò gli occhi al Padre alla resurrezione di Lazzaro e nella preghiera che fece per i suoi discepoli, molto più l'abbia fatto nell'istituire questo sacramento, trattandosi di una cosa più importante.
    Dire poi manducate al posto di comedite non cambia il senso. La scelta della locuzione non ha importanza: dato specialmente che quelle parole non fanno parte della forma, come si è detto sopra.
    L'aggiunta del termine tutti è implicito nelle parole evangeliche, anche se non è espressa; poiché Cristo aveva detto: "Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo, non avrete in voi la vita".
    3. L'Eucarestia è il sacramento della perfetta unità della Chiesa. quindi particolarmente in questo sacramento più che negli altri si deve rammentare tutto ciò che si riferisce alla salvezza della Chiesa intera.
    4. Esistono due tipi di istruzione. La prima è quella che si dà ai novellini, cioè ai catecumeni. E tale istruzione s'impartisce in occasione del battesimo.
    La seconda è l'istruzione che si dà al popolo fedele, che prende parte al mistero eucaristico. E questa si fa nella celebrazione stessa del sacramento. - Tuttavia da questa non si escludono i catecumeni e gli infedeli. Di qui le parole del Decreto: "Il vescovo non proibisca a nessuno l'ingresso in chiesa e l'ascolto della parola di Dio, anche se pagano, eretico, o giudeo, fino a tutta la messa dei catecumeni", in cui appunto si ha l'istruzione nella fede.
    5. La devozione in questo sacramento si richiede più profonda che negli altri sacramenti, essendo qui presente Cristo nella sua integrità. Deve essere anche più estesa, perché in questo sacramento è necessaria la devozione di tutto il popolo per il quale si offre il sacrificio, e non soltanto quella di coloro che ricevono il sacramento, come, negli altri sacramenti. Per questo, come dice S. Cipriano, "il sacerdote con il prefazio prepara l'animo dei fratelli, dicendo: "Innalziamo i nostri cuori", affinché con la risposta: "Sono rivolti al Signore" il popolo ricordi di non dovere pensare altro che a Dio".
    6. In questo sacramento come abbiamo notato sopra, si rammentano cose che interessano la Chiesa intera. Perciò alcune vengono dette dal coro: e son quelle che riguardano il popolo. Di esse alcune sono dette dal coro soltanto: cioè quelle che s'ispirano a tutto il popolo. - Altre sono continuate dal popolo dietro l'intonazione del sacerdote che rappresenta Dio: per indicare che tali verità vennero al popolo dalla rivelazione divina, come la fede e la gloria celeste. Ecco perché è il sacerdote a iniziare il simbolo della fede e il "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". - Altre invece sono dette dai ministri, come la dottrina del nuovo e del vecchio Testamento: per indicare che questa dottrina è stata annunziata ai popoli per mezzo di ministri mandati da Dio.
    Altre parole poi le dice da solo il sacerdote, quelle cioè che si riferiscono all'ufficio proprio del sacerdote di "offrire doni e preci per il popolo", come si esprime l'Apostolo. Di esse però alcune le dice a voce alta: cioè quelle che riguardano insieme il sacerdote e il popolo, come le orazioni comuni. - Altre parti invece riguardano il sacerdote soltanto: p. es., l'oblazione e la consacrazione. Quindi le formule che si riferiscono a questi riti vengono recitate dal sacerdote a bassa voce. - Tuttavia in ambedue i casi il sacerdote richiama l'attenzione del popolo dicendo: "Il Signore sia con voi", e ne attende il consenso espresso con l'Amen; Ecco perché alle parti segrete egli premette: "Il Signore sia con voi", e soggiunge : "per tutti i secoli dei secoli". - Oppure si può pensare che certe cose sono dette segretamente dal sacerdote per ricordare che durante la passione i discepoli professarono la loro fede in Cristo soltanto di nascosto.
    7. L'efficacia delle parole sacramentali può essere impedita dall'intenzione del sacerdote. - Tuttavia non è inutile chiedere a Dio ciò che egli compirà con assoluta certezza: è così, p. es., che Cristo chiese la propria glorificazione.
    Tuttavia nella preghiera in discussione il sacerdote non chiede che la consacrazione si compia, ma che essa sia fruttuosa per noi: chiede infatti espressamente "che per noi diventi corpo e sangue". Lo stesso significato hanno le parole antecedenti: "Degnati di rendere questa oblazione benedetta", cioè, secondo S. Agostino, "tale da meritarci la benedizione" della grazia; "ascritta così da essere per essa scritti in cielo; ratificata così da essere considerati quali membra di Cristo; ragionevole così da essere per essa liberati dalla sensualità bestiale; accettevole, così da riuscire graditi all'unigenito Figlio di Dio, noi che facciamo orrore a noi stessi".
    8. Sebbene questo sacramento sia preferibile per se stesso a tutti gli antichi sacrifici, nondimeno i sacrifici degli antichi furono accettissimi a Dio per la loro devozione. Perciò il sacerdote chiede che questo sacrificio venga accettato da Dio per la devozione degli offerenti, così come furono da lui accettati quei sacrifici.
    9. Il sacerdote non chiede che siano portate in cielo le specie sacramentali, né il corpo vero di Cristo, il quale non cessa mai di essere lassù. Ma chiede ciò per il corpo mistico, simboleggiato da questo sacramento: ossia che l'angelo assistente ai divini misteri offra a Dio le preghiere del sacerdote e del popolo, secondo le parole dell' Apocalisse: "Salì il fumo degli aromi per le orazioni dei santi dalla mano dell'angelo al cospetto di Dio". - "Altare celeste di Dio" viene qui denominata o la Chiesa stessa trionfante, nella quale chiediamo di essere trasferiti; o Dio stesso, di cui imploriamo la partecipazione. Di codesto altare sta scritto nell'Esodo: "Non salirai per gradini al mio altare", ossia: "Non ammetterai gradi nella Trinità".
    Oppure per l'angelo qui s'intende Cristo medesimo che è "l'Angelo del gran consiglio", il quale congiunge il suo corpo mistico a Dio Padre e alla Chiesa trionfante.
    Per questo il sacrificio eucaristico prende il nome di messa. Perché per mezzo di un angelo il sacerdote manda preghiere a Dio, come il popolo le manda per mezzo del sacerdote. Oppure perché Cristo è l'ostia a noi mandata (missa). Per cui alla fine della messa il diacono nei giorni festivi licenzia il popolo dicendo: "Andate, la messa è finita", ossia è stata trasmessa a Dio l'ostia mediante l'angelo, perché sia accetta a Dio.

    ARTICOLO 5

    Se siano convenienti le cerimonie che si fanno nella celebrazione di questo sacramento


    SEMBRA che non siano convenienti le cerimonie che si fanno nella celebrazione di questo sacramento. Infatti:
    1. Questo sacramento appartiene al nuovo Testamento, com'è chiaro dalla stessa sua forma. Ora, nel nuovo Testamento non sono da osservarsi le cerimonie del vecchio Testamento. Esse prescrivevano al sacerdote e ai ministri di lavarsi con acqua quando si accingevano a compiere un sacrificio; infatti nell'Esodo si legge: "Aronne e i suoi figli si laveranno le mani e i piedi quando staranno per accostarsi all'altare". Non è dunque conveniente che il sacerdote si lavi le mani durante la messa.
    2. Il Signore ordinò pure che il sacerdote "bruciasse incenso di soave odore" sull'altare posto dinanzi al propiziatorio. Anche questa era una cerimonia del vecchio Testamento. Perciò non è opportuno che il sacerdote nella messa faccia l'incensazione.
    3. Le cerimonie che si fanno nei sacramenti della Chiesa non sono da ripetersi. Dunque non è ragionevole che il sacerdote ripeta tante volte i segni di croce su questo sacramento.
    4. L'Apostolo afferma: "Senza alcun dubbio è l'inferiore a ricevere la benedizione dal superiore". Ma Cristo, che dopo la consacrazione è presente in questo sacramento, è molto superiore al sacerdote. Perciò non è giusto che il sacerdote dopo la consacrazione benedica questo sacramento con dei segni di croce.
    5. Nei sacramenti della Chiesa non si deve far nulla che possa sembrare ridicolo. Ora, i gesti che si fanno nella messa, cioè che il sacerdote stenda le braccia, congiunga le mani, accosti le dita, inchini il corpo sembrano ridicoli. Quindi codeste cose non vanno fatte in questo sacramento.
    6. Sembra pure ridicolo che il sacerdote si volti tanto spesso al popolo e che tanto spesso lo saluti. Perciò anche questo non deve farsi nella celebrazione di questo sacramento.
    7. L'Apostolo considera sconveniente che il Cristo venga diviso. Ora, dopo la consacrazione Cristo è presente in questo sacramento. Non è dunque conveniente che l'ostia venga spezzata dal sacerdote.
    8. Le cose che si fanno in questo sacramento rappresentano la passione di Cristo. Ma nella passione il corpo di Cristo fu aperto nei luoghi delle cinque piaghe. Dunque il corpo di Cristo dovrebbe essere spezzato in cinque parti invece che in tre.
    9. In questo sacramento il corpo di Cristo viene consacrato tutto intero separato dal sangue. Non è dunque conveniente che una parte di esso venga mescolata col sangue.
    10. In questo sacramento come il corpo di Cristo viene dato in cibo, così il suo sangue viene dato in bevanda. Ma nella celebrazione della messa dopo la comunione del corpo di Cristo non si ammette altro cibo corporeo. Perciò non è conveniente che il sacerdote dopo aver sunto il sangue di Cristo prenda del vino non consacrato.
    11. La realtà deve corrispondere alla figura. Ma a riguardo dell'agnello pasquale, che era una figura di questo sacramento, si comandava che "non rimanesse nulla per la mattina seguente". Dunque non è giusto che si conservino delle ostie consacrate, invece di consumarle subito.
    12. Il sacerdote parla (sempre) al plurale dicendo: "Il Signore sia con voi", oppure "Rendiamo grazie a Dio". Ma non è opportuno usare il plurale per una persona sola, specialmente se si tratta di un inferiore. Dunque non è opportuno che il sacerdote celebri la messa alla presenza di un solo inserviente.
    E così sembra che alcuni riti non siano opportuni nella celebrazione di questo sacramento.

    IN CONTRARIO: Sta la consuetudine della Chiesa, la quale non può errare, essendo guidata dallo Spirito Santo.

    RISPONDO: Come abbiamo già notato, nei sacramenti due sono le forme per esprimere ciò che significano: la parola e il rito. Ora, nella celebrazione dell'Eucarestia le parole, o esprimono cose che riguardano la passione di Cristo, la quale viene rappresentata in questo sacramento; oppure hanno un riferimento al corpo mistico, che in questo sacramento viene simboleggiato; altre poi si riferiscono all'uso dell'Eucarestia, il quale dev'essere accompagnato da devozione e rispetto. Perciò nella celebrazione di questo mistero i riti stessi hanno lo scopo di rappresentare la passione di Cristo; oppure hanno quello di indicare le disposizioni del corpo mistico; mentre altre mirano a eccitare la devozione e la riverenza nell'uso di questo sacramento.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'abluzione delle mani si fa nella celebrazione della messa per rispetto verso il sacramento. E questo per due motivi. Primo, perché non siamo soliti toccare certe cose preziose, se non dopo esserci lavate le mani. Sarebbe perciò sconveniente che uno si accostasse a un così grande sacramento con mani sporche, anche solo fisicamente.
    Secondo, per il significato di codesto rito. Perché, come osserva Dionigi, l'abluzione delle estremità significa la mondezza anche dai peccati più piccoli, nel senso delle parole evangeliche: "Chi si è già lavato, ha bisogno di lavarsi soltanto i piedi". E tale mondezza si richiede in chi si accosta all'Eucarestia. Anche la confessione che si fa prima dell'introito della messa ha questo medesimo significato. E uguale significato aveva l'abluzione dei sacerdoti nell'antica legge, come nota Dionigi.
    La Chiesa però non mantiene questo rito come una cerimonia prescritta dall'antica legge, bensì come una cerimonia istituita dalla Chiesa, come cosa opportuna per se stessa. Ecco perché essa non viene osservata come allora. Infatti si omette l'abluzione dei piedi e si fa la sola abluzione delle mani, che è più facile ed è sufficiente a significare la mondezza perfetta. Essendo infatti la mano "l'organo degli organi", come la chiama Aristotele, tutte le azioni vengono attribuite alle mani. Tanto che nei Salmi si legge: "Laverò le mie mani nell'innocenza".
    2. Anche l'incensazione la usiamo non come cerimonia prescritta dalla legge antica, ma come rito della Chiesa. E quindi non la usiamo allo stesso modo in cui era stabilita nell'antica legge.
    Essa ha due scopi. Primo, serve al rispetto verso il sacramento: serve cioè a eliminare con un buon odore gli eventuali cattivi odori che provocassero nel luogo sgradevole impressione.
    Secondo, serve a rappresentare l'effetto della grazia, della quale, come di buon odore, Cristo era pieno, in conformità alle parole bibliche: "Ecco, l'odore del mio figlio è come l'odore di un campo fiorito"; odore che dal Cristo arriva ai fedeli per l'ufficio dei ministri, come afferma S. Paolo: "L'odore della sua conoscenza sparge in ogni luogo per mezzo di noi". Per questo, dopo che è stato incensato da ogni parte l'altare che è simbolo di Cristo, vengono incensati per ordine tutti i presenti.
    3. Il sacerdote nella celebrazione della messa fa i segni di croce per indicare la passione di Cristo che terminò con la croce. Ora, la passione di Cristo si compì quasi per gradi successivi. Prima infatti ci fu la consegna di Cristo; e fu fatta da Dio, da Giuda e dai Giudei. Ciò viene indicato dai segni di croce alle parole: "Questi doni, queste offerte, questi santi e immacolati sacrifici".
    Secondo, ci fu la vendita del Cristo. Egli fu venduto ai sacerdoti, agli scribi e ai farisei. A significare ciò si ripete per tre volte il segno di croce alle parole: "Benedetta, ascritta, ratificata". Oppure questi tre segni stanno a indicare il prezzo di tale vendita, ossia i trenta denari. - Si aggiungono poi due segni di croce alle parole: "Perché diventi per noi corpo e sangue, ecc.", per indicare Giuda il traditore e Cristo tradito.
    Terzo, ci fu la predizione della passione di Cristo fatta nella Cena. A indicarla si fanno per la terza volta due segni di croce: uno alla consacrazione del corpo, l'altro alla consacrazione del sangue, quando nei due casi si dice: "Benedisse".
    Quarto, si giunse al compimento della passione stessa. E qui, per rappresentare le cinque piaghe di Cristo, c'è un gruppo di cinque segni di croce alle parole: "Ostia pura, ostia santa, ostia immacolata, pane santo di vita eterna e calice di perenne salvezza".
    Quinto, si rappresenta la distensione del corpo di Gesù sulla croce, l'effusione del sangue e il frutto della passione con tre segni di croce alle parole: "(quanti riceveremo) il corpo e il sangue, veniamo ricolmi d'ogni benedizione, ecc.".
    Sesto, vengono rappresentate le tre orazioni che Gesù fece sulla croce. La prima per i persecutori, dicendo: "Padre, perdona loro"; la seconda per la propria liberazione dalla morte: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"; la terza per conseguire la gloria, con l'invocazione: "Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito". E per esprimere tutto questo si fanno tre segni di croce alle parole: "santifichi, vivifichi, benedici, ecc.".
    Settimo, vengono ricordate le tre ore che Cristo rimase sulla croce, cioè dall'ora sesta all'ora nona. E a indicare ciò si fa di nuovo un triplice segno di croce alle parole: "Da lui, con lui e per lui".
    Ottavo, si ricorda la separazione della sua anima dal corpo con le due successive croci traçciate fuori dal calice.
    Nono, si commemora la resurrezione avvenuta nel terzo giorno per mezzo dei tre segni di croce alle parole: "La pace del Signore sia sempre con voi".
    Più brevemente però si può dire che, dipendendo la consacrazione di questo sacramento, il gradimento di questo sacrificio e il suo frutto dalla virtù della croce di Cristo, ogni volta che si accenna a una di queste cose, il sacerdote traccia qualche segno di croce.
    4. Il sacerdote dopo la consacrazione non fa i segni di croce per benedire e per consacrare, ma solo per ricordare la virtù della croce e le circostanze della passione di Cristo, come risulta da quanto abbiamo già detto.
    5. I gesti che il sacerdote fa nella messa non sono gesti ridicoli, avendo un significato simbolico. Infatti il sacerdote, che dopo la consacrazione stende le braccia, vuole indicare le braccia di Cristo distese sulla croce.
    Quando poi alza le mani per pregare vuol significare che la sua orazione in favore del popolo è diretta a Dio, secondo la raccomandazione di Geremia: "Alziamo con le mani i nostri cuori a Dio verso il cielo". E l'Esodo racconta: "Finché Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva".
    Il fatto poi che il sacerdote talvolta congiunge le mani e s'inchina pregando supplichevolmente e umilmente, designa l'umiltà e l'obbedienza con le quali Cristo accettò la passione.
    Il sacerdote finalmente tiene congiunte le dita, cioè il pollice e l'indice con i quali ha toccato il corpo consacrato di Cristo, dopo la consacrazione, perché, se dei frammenti ci fossero rimasti attaccati, non vadano dispersi. Ciò rientra nel rispetto dovuto al sacramento.
    6. Il sacerdote si rivolge verso il popolo cinque volte, per ricordare che il Signore nel giorno della risurrezione apparve cinque volte, come dicemmo sopra trattando della risurrezione di Cristo.
    Saluta il popolo invece sette volte, cioè le cinque in cui si volta e altre due in cui non si volta, ossia prima del prefazio, quando dice: "Il Signore sia con voi", e quando dice: "La pace del Signore sia sempre con voi", per indicare i sette doni dello Spirito Santo. - Invece il vescovo quando celebra nelle festività nel primo saluto dice, come disse il Signore dopo la risurrezione: "La pace sia con voi", perché principalmente il vescovo ne rappresenta la persona.
    7. La frazione dell'ostia significa tre cose: primo, le ferite inferte nella passione al corpo di Cristo; secondo, la distinzione del corpo mistico nei diversi stati; terzo, la distribuzione delle grazie derivate dalla passione di Cristo, come scrive Dionigi. Perciò tale frazione non implica nessuna divisione in Cristo.
    8. "Il corpo del Signore", secondo le parole del Papa Sergio, riferite dal Decreto, "può trovarsi in tre condizioni". "La porzione dell'ostia messa nel calice significa il corpo del Signore già risorto", ossia Cristo stesso, la santa Vergine e altri santi che siano già eventualmente nella gloria con il loro corpo. "La porzione che viene mangiata rappresenta quanti peregrinano ancora sulla terra"; poiché questi sono uniti mediante il sacramento, e vengono tribolati dalle sofferenze come il pane mangiato viene tritato dai denti. "La porzione che rimane sull'altare fino alla fine della messa significa il corpo di Cristo che giace nel sepolcro; perché fino alla fine del mondo i corpi dei santi staranno nei sepolcri"; mentre le loro anime sono in purgatorio o in cielo. Oggi però quest'ultimo rito di serbare una porzione dell'ostia fino alla fine della messa, non si osserva più. Tuttavia il simbolismo delle tre porzioni rimane. Alcuni lo hanno espresso metricamente: "In parti si divide l'ostia; intinta nel sangue evoca i pieni di gloria, asciutta i viventi, serbata i sepolti".
    Altri invece spiegano che la parte immessa nel calice significa coloro che vivono in questo mondo; la parte serbata fuori del calice indica quanti hanno conseguito la pienezza della beatitudine con il corpo e con l'anima; la parte mangiata indica tutti gli altri.
    9. Il calice può avere due significati. Primo, può indicare la passione che è rappresentata in questo sacramento. E allora la porzione dell'ostia messa dentro il calice indica coloro che sono ancora partecipi delle sofferenze di Cristo.
    Secondo, può anche indicare il possesso della beatitudine, che pure è simboleggiata da questo sacramento. E allora la porzione messa nel calice rappresenta coloro che con il corpo sono già nella pienezza della beatitudine.
    È da notare che la parte lasciata cadere nel calice non si può distribuire al popolo per la comunione in mancanza di altra ostia, perché Cristo non porse il pane intinto se non a quel traditore di Giuda.
    10. Il vino essendo liquido, è detergente. È per questo che viene sunto dopo la comunione eucaristica per l'abluzione della bocca, perché non vi rimangano frammenti, come esige il rispetto dovuto al sacramento. Di qui la prescrizione dei canoni: "Il sacerdote, dopo aver prese entrambe le specie eucaristiche deve sempre lavarsi la bocca col vino, eccetto il caso in cui nello stesso giorno debba dire un'altra messa, perché bere il vino dell'abluzione impedirebbe la seconda celebrazione". - Per il medesimo motivo si lava con il vino le dita con le quali ha toccato il corpo di Cristo.
    11. La realtà deve corrispondere alla figura, ma non in tutto: nel caso cioè non si deve conservare per il giorno dopo una parte dell'ostia consacrata che è servita alla comunione del sacerdote, dei ministri o anche del popolo. Di qui la disposizione del Papa Clemente riferita dal Decreto (di Graziano): "La materia del sacrificio sia corrispondente al bisogno del popolo. Se ne avanza, non si serbi al domani, ma con timore e tremore sia consumata dai chierici".
    Nondimeno, poiché questo sacramento a differenza dell'agnello pasquale deve riceversi quotidianamente, è necessario serbare per gli infermi altre ostie consacrate. Quindi lo stesso Decreto ordina: "Il sacerdote abbia sempre pronta l'Eucarestia; cosicché, quando qualcuno si ammala, lo possa comunicare subito, e impedire così che muoia senza comunione".
    12. Alla celebrazione solenne della messa devono prendere parte più persone. A ciò si riferisce la disposizione del Papa Sotero riportata dal Decreto: "È stato pure stabilito che nessun sacerdote osi celebrare la messa se non alla presenza di due persone che vi assistano e rispondano; perché dicendo egli al plurale: "Il Signore sia con voi", e nella parte segreta, "Pregate, fratelli", è evidentemente opportuno che il suo saluto abbia una risposta". E nello stesso Decreto si legge la norma che il vescovo per maggiore solennità celebri la messa alla presenza di molti.
    Tuttavia nelle messe private basta avere un inserviente che rappresenta tutto il popolo cattolico, e che risponde in plurale al sacerdote in nome di esso.

    ARTICOLO 6

    Se si possa rimediare ai difetti occorrenti nella celebrazione eucaristica, osservando le prescrizioni della Chiesa


    SEMBRA che non si possa rimediare ai difetti occorrenti nella celebrazione di questo sacramento, osservando le prescrizioni della Chiesa. Infatti:
    1. Talvolta accade che il sacerdote celebrante prima o dopo la consacrazione muoia, impazzisca o venga colto da qualche malore, per cui non possa ricevere il sacramento e condurre a termine la messa. Dunque non è possibile stare alla prescrizione della Chiesa, che ordina al sacerdote consacrante di comunicarsi del proprio sacrificio.
    2. Talvolta accade che il sacerdote prima o dopo la consacrazione si ricordi di aver mangiato o bevuto qualche cosa, oppure di essere in peccato mortale, o di essere incorso in una scomunica, di cui prima non si ricordava. È inevitabile dunque che chi si trova in tale situazione pecchi mortalmente, perché agirà comunque contro le prescrizioni ecclesiastiche, tanto se si comunica, quanto se non si comunica.
    3. Talvolta capita che una mosca o un ragno o un animale velenoso cada nel calice dopo la consacrazione; oppure il sacerdote viene a sapere che nel calice è stato versato del veleno da un malintenzionato per ucciderlo. In tal caso se si comunica, pecca mortalmente, o perché si uccide, o perché tenta Dio. Similmente se non si comunica, pecca contravvenendo alla prescrizione della Chiesa. Quindi viene a trovarsi in una situazione di perplessità, ed è costretto a peccare. E ciò è inammissibile.
    4. Talvolta accade che per negligenza del ministro l'acqua non sia stata versata, o addirittura neppure il vino, quando finalmente il sacerdote se ne accorge. Anche allora dunque egli rimane perplesso: tanto se sume il corpo senza il sangue, facendo un sacrificio imperfetto; quanto, se non sume né il corpo né il sangue.
    5. Può accadere che il sacerdote non si ricordi di aver pronunziato le parole della consacrazione, oppure le altre parole prescritte nella celebrazione di questo sacramento. In tal caso dunque egli pecca, sia ripetendo sulla medesima materia le parole che forse ha già detto, sia comunicandosi con pane e vino non consacrati, come se fossero consacrati.
    6. Talvolta succede che per il freddo l'ostia cada di mano al sacerdote nel calice, o prima o dopo la frazione, In tal caso dunque il sacerdote non potrà attenersi al rito della Chiesa riguardante la frazione dell'ostia, o la norma di metterne dentro il calice solo una terza parte.
    7. Talvolta succede che per negligenza del sacerdote si versi il sangue di Cristo; oppure che il sacerdote vomiti il sacramento dopo la comunione, ovvero che le ostie consacrate si serbino così a lungo da putrefarsi; o addirittura che siano rose dai topi, o vadano comunque in rovina. In simili casi non è possibile tributare a questo sacramento la debita riverenza secondo le prescrizioni della Chiesa. Quindi non sembra che sia possibile rimediare sufficientemente a tali difetti o pericoli, stando alle prescrizioni della Chiesa.

    IN CONTRARIO: La Chiesa, come Dio, "non prescrive nulla d'impossibile".

    RISPONDO: Ai pericoli o difetti possibili nei riguardi di questo sacramento si può ovviare in due modi. Primo, col prevenirli, perché non accadano. Secondo, provvedendo dopo che sono accaduti: cioè correggendo il difetto con il rimedio opportuno, o almeno con l'espiazione da parte di chi si è reso colpevole di negligenza circa questo sacramento.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Se il sacerdote viene colpito dalla morte o da una grave malattia prima della consacrazione del corpo o del sangue del Signore, non è necessario che un altro lo supplisca.
    Se invece la cosa accade dopo che la consacrazione ha già avuto inizio, p. es., quando è già stato consacrato il corpo e non ancora il sangue, o dopo la consacrazione di ambedue, la celebrazione della messa dev'essere terminata da un altro. Perciò, nei Canoni di un Concilio di Toledo si legge: "Stabiliamo essere necessario che durante la celebrazione delle messe alla consacrazione dei santi misteri, accadendo un fatto di malattia tale da impedire ai sacerdoti di terminare il mistero iniziato, si lasci libertà al vescovo o ad altro sacerdote di completare la consacrazione incominciata. Poiché i misteri iniziati non si possono portare a termine se non con la benedizione del sacerdote che li ha iniziati, o di chi li ha proseguiti: essi infatti non possono essere compiuti, se non siano completi secondo l'ordine stabilito. Poiché tutti siamo una sola cosa in Cristo, nessun impedimento costituisce la diversità di persone dove l'identità della fede garantisce l'efficacia dello stesso effetto. Si badi perché la norma richiesta dalla infermità della natura non si cambi in un peccato di presunzione. Nessun ministro o sacerdote senza un malore patente osi in alcun modo lasciare incompiuti i misteri iniziati. Se qualcuno temerariamente oserà di farlo, sarà colpito da sentenza di scomunica".
    2. Nelle difficoltà dobbiamo attenerci sempre al pericolo minore. Ora, riguardo a questo sacramento il pericolo più grave è costituito dall'incompletezza del sacramento; perché questo è un enorme sacrilegio. Di minor entità sono invece i difetti da parte di chi lo riceve. Perciò il sacerdote, se iniziata la consacrazione si ricorda di aver mangiato o bevuto qualche cosa, deve ugualmente portare a termine il sacrificio e sumere il sacramento. - Così pure se si ricorda di aver commesso un peccato, deve pentirsene con il proposito di confessarsi e di riparare: e allora non riceve il sacramento indegnamente, ma con frutto. - Lo stesso vale, se si rammenta di essere stato colpito da una scomunica. Deve fare il proposito di chiederne l'assoluzione: e così dall'invisibile Pontefice Gesù Cristo sarà assolto in ordine al compimento dei divini misteri.
    Se invece si ricordasse di tali cose prima della consacrazione, stimerei cosa più sicura, specialmente in caso di violazione di digiuno e di scomunica, interrompere la celebrazione iniziata della messa, eccetto quando ci fosse da temere un grave scandalo.
    3. Se una mosca o un ragno cade nel calice prima della consacrazione, oppure se il sacerdote si accorge che c'è stato messo del veleno, deve gettar via tutto; e, purificato il calice, porre di nuovo altro vino da consacrare. - Se invece ciò accade dopo la consacrazione, l'insetto dev'essere preso con cautela, lavato diligentemente e bruciato, gettando poi le ceneri e l'acqua dell'abluzione nel sacrario.
    Se invece avverte la presenza del veleno, il sacerdote non deve berlo né darlo ad altri, affinché il calice di vita non si cambi in morte; ma lo deve riporre in un vaso adatto. Poi, perché il sacramento non rimanga incompleto, deve versare nel calice altro vino, e, ricominciando dalla consacrazione del sangue, portare a termine il sacrificio.
    4. Se il sacerdote prima della consacrazione del sangue e dopo la consacrazione del corpo si accorge che nel calice non c'è vino o non c'è acqua, deve subito metterne e consacrare. - Se invece si accorge della mancanza dell'acqua dopo le parole della consacrazione, deve andare avanti, perché l'aggiunta dell'acqua non è necessaria alla validità del sacramento, come si è detto sopra. Chi però è colpevole del fatto, dev'essere punito. In nessun modo però deve aggiungersi dell'acqua al vino già consacrato: perché ne seguirebbe, e si è visto, la parziale corruzione del sacramento.
    Se però dopo le parole della consacrazione il sacerdote si accorge che nel calice non c'è stato messo il vino, se l'avverte prima della comunione del corpo, deve, buttando via l'acqua eventualmente infusa nel calice, mettere nel calice vino con acqua e ricominciare dalle parole della consacrazione del sangue. - Se invece l'avverte dopo la comunione del corpo, deve prendere un'altra ostia e consacrarla insieme col sangue. Dico questo perché, se pronunziasse soltanto le parole della consacrazione del sangue, non verrebbe osservato il debito ordine nella consacrazione: ora, come nota il citato Concilio di Toledo, "i sacrifici non possono dirsi compiuti, se non siano completi secondo l'ordine stabilito". Incominciare poi dalla consacrazione del sangue e ripetere tutto il resto di seguito non avrebbe senso in mancanza dell'ostia consacrata, perché nelle parole da dire e nelle cose da fare occorre riferirsi non solo al sangue, ma anche al corpo. Finalmente egli deve comunicarsi di nuovo con la seconda ostia consacrata e con il sangue, anche se avesse bevuta l'acqua eventualmente presente nel calice: perché la norma relativa alla completezza del sacramento è più grave, come si è detto sopra, della norma che prescrive il digiuno per la comunione sacramentale.
    5. Il sacerdote, anche se non ricorda di aver detto tutto quello che doveva dire, non deve per questo turbarsi. Perché, chi dice molte cose, non tutto può ricordare, ma solo ciò che nel parlare avverte come già detto; è così infatti che una cosa detta diventa oggetto di memoria. Perché se uno pensa attentamente alle parole che pronunzia, ma non pensa alla pronunzia, dopo non ricorda bene se l'ha detto. Infatti una cosa diviene oggetto di memoria in quanto è appresa come passata, secondo la spiegazione che dà Aristotele.
    Se tuttavia sembra probabile al sacerdote di aver omesso qualche cosa che non sia indispensabile al sacramento, penso che per questo non debba ricominciare da capo cambiando l'ordine del sacrificio, ma che debba proseguire. - Se invece è certo di aver omesso qualche cosa di essenziale, ossia la forma della consacrazione, essendo questa necessaria al sacramento quanto la materia, si deve fare come si è visto a proposito del difetto della materia: si deve cioè riprendere dalla forma della consacrazione, e ripetere per ordine tutto il resto, per non cambiare l'ordine del sacrificio.
    6. La frazione dell'ostia consacrata e l'immissione di una sua parte nel calice si riferisce al corpo mistico: così come l'aggiunta dell'acqua sta a significare il popolo. Perciò l'omissione di queste cose non rende incompleto il sacrificio, così da doversi ripetere qualche cosa nella celebrazione di questo sacramento.
    7. Come si legge nel Decreto, che riferisce un testo del Papa S. Pio I "se per negligenza delle gocce di sangue cadono sul pavimento di legno a contatto con la terra, si lambiscano con la lingua e si raschi il pavimento. Se manca il tavolato si raschi la terra, si bruci e si depositi la cenere sotto l'altare. Il sacerdote poi faccia penitenza per quaranta giorni. - Se poi il calice si è versato sull'altare, il ministro sorbisca le gocce. E faccia penitenza per tre giorni. - Se il sangue si è versato sulle tovaglie dell'altare ed è passato fino alla seconda, faccia penitenza per quattro giorni. Se fino alla terza, faccia penitenza per nove giorni. Se fino alla quarta tovaglia, faccia penitenza per venti giorni. Le tovaglie poi in cui il sangue si è versato, siano lavate per tre volte dal ministro tenendo sotto il calice, e l'acqua di questa abluzione si raccolga e sia riposta presso l'altare". Codesta acqua potrebbe anche essere bevuta dal ministro, se non ci fosse pericolo che venisse vomitata. Alcuni inoltre tagliano la parte delle tovaglie dove si è versato il sangue e la bruciano, riponendo le ceneri sotto l'altare, o nel sacrario.
    Nello stesso Decreto sono poi riportate le norme di un penitenziale di S. Beda: "Se uno per ubriachezza o intemperanza vomita l'Eucarestia, faccia quaranta giorni di penitenza; i chierici, i monaci e i sacerdoti ne facciano sessanta; il vescovo novanta. Se uno però la vomita per malattia, faccia sette giorni di penitenza".
    Il medesimo Decreto riporta poi le prescrizioni di un Concilio di Orléans: "Chi non ha conservato a dovere il sacramento, cosicché in chiesa un topo o un altro animale lo mangia, faccia quaranta giorni di penitenza. - Chi perde l'Eucarestia in chiesa o ne fa cadere una parte che non si trovi più, faccia trenta giorni di penitenza". - La stessa penitenza merita il sacerdote, per la cui trascuratezza si putrefanno le ostie consacrate.
    Nei suddetti giorni di penitenza il penitente deve digiunare e astenersi dalla comunione. Tuttavia, tenendo conto delle circostanze riguardanti il fatto e le persone, può aggravarsi o diminuirsi la penitenza suddetta.
    Comunque però si abbia cura di conservare rispettosamente, o di consumare le specie eucaristiche ogni volta che si trovino integre ; perché sotto le specie, finché esse durano, rimane presente il corpo di Cristo, come si disse sopra. Le cose dove le specie vengono a trovarsi si brucino, se ciò può farsi senza difficoltà e si riponga la cenere nel sacrario; come abbiamo detto sopra a proposito della raschiatura del pavimento di legno.

  6. #26
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito L'Eucaristia, una risposta alla ''disgregazione tra gli uomini''

    GIOVANNI PAOLO II

    DISCORSO AI PARTECIPANTI
    ALLA 71ª ASSEMBLEA DELLA R.O.A.C.O.


    Giovedì, 24 giugno 2004

    Signor Cardinale,
    venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
    carissimi Fratelli e Sorelle!

    1. Rivolgo a ciascuno di voi un saluto cordiale, in occasione della settantunesima Assemblea della R.O.A.C.O. Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali Saluto il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il Signor Cardinale Ignace Moussa I Daoud, e lo ringrazio per essersi fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Saluto il Segretario e i Collaboratori del Dicastero, come pure il Nunzio Apostolico in Romania, il nuovo Custode di Terra Santa e i Responsabili delle Agenzie. A ciascuno il mio cordiale benvenuto.

    2. La vostra visita mi fa pensare alla situazione in cui si trovano le comunità cristiane delle Chiese d’Oriente, sottoposte in questo nostro tempo a dura prova a causa dei conflitti in atto, del terrorismo e di altre difficoltà. Ad esse voi non fate mancare il vostro sostegno, fedeli al compito che vi siete assunto seguendo gli orientamenti della Congregazione Orientale. All’azione generosa in favore delle popolazioni dell’Iraq, voi avete unito, in questa sessione, una particolare attenzione per la Chiesa Greco-cattolica di Romania. Grazie per queste vostre premure. Si tratta di un prezioso servizio di solidarietà verso coloro che sono nel bisogno. Per svolgerlo nel miglior modo possibile, è dall’Eucaristia che dovete attingere la forza necessaria. Scrivevo, in proposito, nella recente Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia che "ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l’esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell’umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo. L’Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini" (n. 24).

    3. Occasione significativa per esprimere questa comunione solidale, che unisce tutti i credenti in Cristo, è la Colletta per la Terra Santa, tradizionalmente raccolta il Venerdì Santo in ogni parte del mondo. I miei venerati Predecessori hanno sempre raccomandato a tutte le Comunità cristiane la cura per la Chiesa madre di Gerusalemme. Occorre perseverare, pregando intensamente per la pace dei Popoli che vivono nella Terra di Gesù. Ai cristiani tanto provati da perdurante violenza e da numerosi altri problemi che producono impoverimento economico, conflittualità sociale, avvilimento umano e culturale, non venga meno il sostegno dell’intera Chiesa cattolica. Grazie anche alla Colletta del Venerdì Santo, a cui sopra accennavo, è possibile prestare soccorso alle urgenti necessità ed alimentare lo spirito d’accoglienza e di rispetto reciproci, favorendo la maturazione di una comune volontà di riconciliazione. Tutto ciò non può non contribuire a costruire la pace tanto auspicata.

    4. Uno dei compiti più importanti della Congregazione per le Chiese Orientali nel sostenere la vita pastorale e l’opera evangelizzatrice delle Chiese cattoliche d’Oriente resta la formazione dei formatori. Il vostro contributo, al riguardo, dovrà considerare quanto grandi siano, spesso, i bisogni dei seminari e delle case di formazione, e come varino le priorità da una comunità ecclesiale all’altra. Codesto Dicastero compie un notevole sforzo anche economico per preparare sacerdoti, seguire seminaristi, religiose e religiosi, laiche e laici in modo che le Chiese, superati i condizionamenti del passato, possano contare ora su pastori qualificati e laici responsabili e competenti.

    5. Il Signore Gesù e la sua celeste Madre, tanto amata e ovunque venerata dalle antiche Chiese d’Oriente, aiutino questi nostri fratelli e sorelle nella fede a rispondere con coraggio alle sfide della nuova evangelizzazione. San Giovanni Battista, di cui quest’oggi ricordiamo la nascita, li assista insieme a tutti i Santi con la sua intercessione. Assicuro anch’io la mia preghiera, mentre ben volentieri imparto a voi, ai vostri collaboratori, ai benefattori e alle persone care una speciale Benedizione Apostolica.

  7. #27
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito La Santa Messa

    Se al mondo non vi fosse il Sole, dice san Leonardo, che mai sarebbe del mondo? Esso non sarebbe che un caos di tenebre, di orrori, di sterilità e di miserie. Ora, se tra noi non vi fosse la Santa Messa,che è il sole di tutti gli esercizi, che mai sarebbe di noi? Noi infelici! Privi di ogni bene, gravati di ogni male, saremmo il bersaglio di tutti i fulmini dell'ira di Dio. Se il Signore non castiga più con la lebbra le mormorazioni e le bugie, come in Maria sorella di Mosè, o in Giezi servo di Eliseo, oppur colla morte uno sguardo di irriverenza come nei Betsamiti, se adesso lascia tante volte impuniti sulla terra anche i peccati più enormi è perchè il sangue del mistico agnello immolato ogni dì sui nostri altari grida di continuo misericordia. Senza la vittima divina che si sacrifica nella Messa, come potrebbe l'uomo adorare l'Altissimo con ossequi degni della sua maestà; ringraziarlo dei benefizi ricevuti con un dono corrispondente alla sua liberalità, soddisfare pienamente la sua giustizia per tutte le colpe commesse, efficacemente implorare le grazie di cui abbisogna? Tant'è: una sola Messa dà più onore a Dio di tutte le virtù più eminenti praticate dai giusti sulla terra e tutte le lodi più fervorose espresse dagli Angioli e dai Santi nel Paradiso. Se tutti i fili d'erba, i grani d'arena, gli atomi dell'aria si cambiassero in tante lingue sempre impiegate a ringraziare la divina beneficenza, non l'onorerebbe mai tanto, quanto una sola Messa. Che diremo poi del perdono che accorda, delle grazie che dispensa il Signore per i meriti di questo Sacrifizio; S. Gregorio ci assicura che il giusto sarà conservato nella giustizia e il peccatore, soggiunse S. Agostino,non perirà di mala morte. Anzi chi ascolta divotamente la santa Messa, dice altrove, non cadrà in peccato mortale ed otterrà un pieno perdono di tutti i peccati veniali.Si quis audiet devote Missam, non incidet in peccatum mortale, et venalia remittentur ei. Nè v'è a stupire che si sciolgano per la Messa i lacci spirituali, se per essa si sciolsero talvolta le catene materiali. Riferisce infatti S. Gregorio che le Messe fatte celebrare da una donna ogni lunedì per l'anima del suo marito, condotto schiavo dai barbari, e da lei creduto morto,gli scioglievano le catene dai piedi e dalle braccia in tutto il tempo che le medesime si celebravano, come egli stesso confessò alla moglie, ritornato in libertà.

    (Tratto dal "Manuale di Filotea" di don Giuseppe Riva, Milano, 1902)

  8. #28
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Gesù Eucaristico Amore

    P. Stefano M. Manelli, Francescani dell'Immacolata: Ministro generale e fondatore
    VITA EUCARISTICA
    SECONDO GLI ESEMPI DEI SANTI
    "CASA MARIANA"
    MARIA SS. DEL BUON CONSIGLIO
    83040 FRIGENTO (AV)
    Ex parte Ordinis nihil obstat quominus imprimatur:
    P. ANTONIUS M. Dl MONDA, min. prov.
    Neapoli, 19.4.1973.
    Imprimatur:
    + ANTONIUS ZAMA, Vic. generalis
    Neapoli, die 21 Aprilis 1973
    "Casa Mariana" Frigento 1976

    PREFAZIONE
    "La devozione all'Eucaristia - disse S. Pio X, il Papa dell'Eucaristia - è la piú nobile perché ha per oggetto Dio; è la più salutare perché ci dà l'Autore della grazia; è la più soave perché soave è il Signore."
    La devozione all'Eucaristia, insieme alla devozione alla Madonna, è una devozione di Paradiso, perché è la devozione che hanno anche gli Angeli e i Santi del Cielo. "Figurando una accademia in Paradiso - diceva Santa Gemma Galgani estatica - si deve imparare ad amare soltanto. La scuola è nel Cenacolo, il maestro è Gesù, le dottrine sono la sua carne e il suo sangue".
    L'Eucaristia è Gesù Amore. Per questo è il Sacramento dell'Amore, di tutto l'amore: contiene Gesú vivo e vero che è "Dio Amore" (Giov. 4, 8) e che "ci ha amato fino all'eccesso" (Giov. 13, 1).
    Tutte le espressioni dell'amore, le più alte e le più profonde, sono racchiuse nell'Eucaristia: l'amore crocifisso, l'amore unitivo, l'amore adorante, l'amore contemplativo, l'amore orante, l'amore inebriante.
    Gesù Eucaristico è Amore crocifisso nel S. Sacrificio della Messa, in cui rinnova l'immolazione di Sé per noi; è Amore unitivo nella Comunione Sacramentale e spirituale, in cui si fa "uno" con chi Lo riceve; è Amore adorante nel S. Tabernacolo, in cui è presente come olocausto di adorazione al Padre; è Amore contemplativo nell'incontro con le anime che amano "stare ai suoi piedi" come Maria di Betania (Luc. 10, 39); è Amore orante nella sua "incessante intercessione per noi" al cospetto del Padre (Ebr. 1,25); è Amore inebriante nelle celesti ebbrezze dell'unione nuziale con i suoi prediletti, i vergini e le vergini, che Egli stringe a Sé con amore esclusivo, come strinse a sé S. Giovanni Evangelista, l'apostolo vergine, l'unico che nel Cenacolo "riposò sul petto di Gesù" (Giov. 21, 20).
    "Essere posseduti da Gesù e possederlo: ecco il regno perfetto dell'amore", ha scritto S. Pietro Giuliano Eymard. Ebbene, l'Eucaristia realizza questo "regno perfetto dell'amore" in tutti i puri di cuore che si accostano ai Santi Tabernacoli e si uniscono a Gesù Ostia con umiltà e amore. Gesù nell'Eucaristia si immola per noi, si dona a noi, resta fra noi con umiltà e amore infiniti.
    "O meravigliosa altezza e degnazione che dà stupore! - esclamava il Serafico Padre S. Francesco - O umiltà sublime e sublimità umile che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, abbia ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola figura del pane per la nostra salute! Guardate, fratelli, l'abbassamento di Dio... Quindi non tenetevi nulla di voi stessi, affinché interamente vi accolga colui che tutto si dà a voi".
    E S. Alfonso de' Liguori aggiunge, con la sua solita tenerezza affettuosa: "Mio Gesù! Quale invenzione amorosa è stata mai questa del SS mo Sacramento, di nascondervi sotto l'apparenza del pane per farvi amare e trovare da chi Vi desidera!".
    Il pensiero al Sacerdote che ogni giorno ci dona Gesù, e alla Beata Vergine Maria che è la Madre Divina di Gesù e di tutti i Sacerdoti, sia sempre presente al nostro affetto verso il SS. Sacramento, perché l'Eucaristia, la Madonna e il Sacerdote sono inseparabili, così come sul Calvario furono inseparabili Gesù, Maria e S. Giovanni Evangelista.
    Impariamo tutto questo alla scuola dei Santi. Essi l'hanno vissuto in maniera ardente e sublime, da veri serafini di amore all'Eucaristia. Ed essi soli, come dice la Lumen Gentium (n. 50), sono la "via sicurissima" a Gesù Eucaristico Amore.

    I N D I C E
    I) O DIVINA EUCARISTIA!
    - Gesù Eucaristico è Dio fra noi
    - Conoscere, amare, vivere l'Eucaristia
    II) GESÙ PER ME
    - La S. Messa è il Sacrificio della Croce
    - La S. Messa quotidiana
    - La partecipazione attiva e fruttuosa
    - La S. Messa e le anime del Purgatorio
    III) GESÙ IN ME
    - La S. Comunione: Gesù è mio
    - La purità di anima per la S. Comunione
    - Il Ringraziamento alla S. Comunione
    - Il Pane dei forti e il viatico per il cielo
    - Ogni giorno con Lui
    - La Comunione Spirituale
    IV) GESÙ CON ME
    - La Presenza Reale
    - La “Visita” a Gesù
    - Gesù, Ti adoro!
    - Amare la “Casa di Gesù”
    V) COLUI CHE CI DONA GESÙ
    VI) IL PANE DI MAMMA
    VII) PREGHIERE PER L'EUCARISTIA
    - La S. Comunione: Preparazione. Ringraziamento
    - La Comunione con Maria: Preparazione. Ringraziamento
    - La visita Eucaristica : Visita al SS. Sacramento;
    Comunione Spirituale; Visita a Maria SS.
    VIII) APPENDICE

    ********

    I) O DIVINA EUCARISTIA!
    Gesù Eucaristico è l’"Emanuele", ossia
    "Dio con noi" (Matt. 1, 23)
    • Gesù Eucaristico è Dio fra noi
    • Conoscere, amare e vivere l’Eucaristia
    GESÙ EUCARISTICO È
    DIO FRA NOI
    Quando S. Giovanni Maria Vianney arrivò nel piccolo e sperduto paesello di Ars, qualcuno gli disse con amarezza: “Qui non c’è più nulla da fare”. “Dunque c’è tutto da fare”, rispose il Santo.
    E cominciò subito a fare. Che cosa?... Si alzava alle due di notte e si metteva in preghiera presso l’altare nella buia Chiesa. Recitava l’Ufficio Divino, faceva la meditazione, si preparava per la S. Messa; dopo la S. Messa faceva il ringraziamento, poi restava ancora in preghiera fino a mezzogiorno: sempre in ginocchio sul pavimento, senza appoggio, la corona del Rosario fra le mani, lo sguardo fisso al Tabernacolo.
    Così durò per un po’ di tempo.
    Poi, però..., dovette cominciare a cambiare orari; e arrivò al punto da trasformare radicalmente l’ordinamento delle sue cose. Gesù Eucaristico e la Vergine Santa attraevano via via le anime in quella povera Parrocchia, fino a che la Chiesa non apparve insufficiente a contenere le folle e il confessionale del santo Curato venne assiepato da file interminabili di penitenti. Il S. Curato fu costretto a confessare per dieci, quindici, diciotto ore al giorno!
    Come mai quella trasformazione? Una povera Chiesa, un altare deserto, un tabernacolo abbandonato, un vecchio confessionale, un sacerdote sprovveduto di mezzi e poco dotato: come potevano operare in quello sconosciuto paesello una trasformazione così mirabile?
    Le stesse domande possiamo farcele oggi per un paese del Gargano, S. Giovanni Rotondo, fino a pochi decenni fa sperduto e ignorato fra le balze pietrose di quel promontorio. Oggi S. Giovanni Rotondo è un centro di vita spirituale e culturale di fama più che nazionale. Anche lì, un povero frate infermo, un vecchio conventino cadente, una piccola Chiesa deserta, un altare e un tabernacolo sempre soli con quel povero frate che consumava la corona e le mani nella recita instancabile di Rosari.
    Come mai? A che cosa è dovuta la mirabile trasformazione avvenuta ad Ars e a S. Giovanni Rotondo per centinaia di migliaia, forse milioni di persone accorse da ogni parte della terra?
    Solo Dio poteva operare quelle trasformazioni, servendosi, secondo il suo stile, delle “cose inconsistenti per umiliare quelle consistenti” (1 Cor. 1, 28). Tutto è dovuto a Lui, alla potenza divina e infinita dell’Eucaristia, alla forza onnipotente di attrazione che si irradia da ogni Tabernacolo, e si è irradiata dai Tabernacoli di Ars e di S. Giovanni Rotondo raggiungendo le anime attraverso il ministero di quei due Sacerdoti, veri “ministri del Tabernacolo” (Ebr. 13, 10) e “dispensatori dei misteri divini” (1 Cor. 4, 1).
    Che cos’è, infatti, l’Eucaristia? È Dio fra noi. È il Signore Gesù presente nei Tabernacoli delle nostre Chiese con il suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità. È Gesù velato dalle apparenze del pane, ma realmente, fisicamente presente nelle Ostie consacrate per dimorare in mezzo a noi, operare in noi, per noi, a nostra disposizione. Gesù Eucaristico è il vero “Emanuele”, ossia “Dio con noi” (Matt. 1, 23).
    “La fede della Chiesa - ci insegna S. S. Pio XII - è questa: che uno e identico è il Verbo di Dio e il Figlio di Maria, che soffrì sulla croce, che è presente nella Eucaristia, che regna nel Cielo”.
    Gesù Eucaristico è fra noi come fratello, come amico, come sposo delle nostre anime. Egli vuol venire in noi per essere il nostro cibo di vita eterna, il nostro amore, il nostro sostegno; vuole incorporarci a Sé per essere il nostro Redentore e Salvatore, Colui che ci porta nel Regno dei cieli per immergerci nell’eternità dell’Amore.
    Con l’Eucaristia Dio ci ha dato veramente tutto. S. Agostino esclama: “Dio essendo onnipotente non poté dare di più; essendo sapientissimo non seppe dare di più; essendo ricchissimo non ebbe da dare di più”.
    Andiamo all’Eucaristia, quindi. Avviciniamoci a Gesù che vuol farsi nostro per farci Suoi divinizzandoci. “Gesù cibo delle anime forti - esclamava S. Gemma Galgani - fortificami, purificami, divinizzami”. Accostiamoci all’Eucaristia con cuore puro e ardente. Come i Santi. Non sia mai troppa la nostra cura per conoscere questo Mistero ineffabile. La meditazione, lo studio, la riflessione sull’Eucaristia trovino spazio di tempo geloso nel quotidiano avvicendarsi delle nostre ore. Sarà il tempo più benedetto della nostra giornata.

    CONOSCERE, AMARE, VIVERE L’EUCARISTIA
    Per scoprire almeno qualcosa delle ricchezze sterminate racchiuse nel mistero eucaristico, impegnamoci in un triplice esercizio costante e unitario: esercizio della mente, del cuore, della volontà.
    1) Esercizio della mente: ossia la meditazione attenta e ordinata sull’Eucaristia, fatta su libri che ci portino alla scoperta e all’approfondimento personale di questo mistero d’amore (semplice, ma ricco, è il volumetto di S. Alfonso M. de’ Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria SS.; preziosi i due volumetti di S. Pietro Giuliano Eymard, La Presenza Reale, La S. Comunione).
    Andiamo soprattutto alla scuola di S. Pietro Giuliano Eymard, che fu impareggiabile apostolo dell’Eucaristia. Portare tutti all’Eucaristia fu la sua vocazione e missione. Quando fondò la Congregazione dei Sacerdoti del SS. Sacramento, egli offrì la sua vita per il Regno Eucaristico di Gesù e scrisse allora le ardenti parole: “Eccovi, o caro Gesù, la mia vita: eccomi pronto a mangiare pietre, a morire abbandonato, pur di riuscire a innalzarvi un trono, a darvi una famiglia di amici, un popolo di adoratori”.
    Se conoscessimo il dono di Dio che è Amore, e che donandoci Se stesso ci dona tutto l’Amore! “L’Eucaristia - dice S. Bernardo - è l’amore che supera tutti gli amori nel cielo e sulla terra”. E S. Tommaso ha scritto: “L’Eucaristia è il Sacramento dell’amore, significa amore, produce amore”.
    Un giorno un emiro arabo, Abd-el-Kader, girando per le vie di Marsiglia in compagnia di un ufficiale francese, si incontrò con un Sacerdote che portava il S. Viatico a un moribondo. L’ufficiale francese si fermo, si scoprì il capo e piegò il ginocchio. L’amico gli chiese la ragione di quel saluto. “Adoro il mio Dio che il Sacerdote sta portando a un ammalato”, rispose il bravo ufficiale. “Come mai - reagì l’emiro - potete voi credere che Dio, così grande, si faccia tanto piccolo, e consenta di andare anche nelle soffitte dei poveri? Noi maomettani abbiamo un’idea ben più alta di Dio”. “È perchè voi - replicò l’ufficiale - avete soltanto un’idea della grandezza di Dio; ma non conoscete il suo amore”.
    Proprio così. "L’Eucaristia - esclama S. Pietro G. Eymard - è la suprema manifestazione dell’amore di Gesù: dopo di essa non c’è più che il cielo”. Eppure, quanti di noi cristiani ignoriamo ancora la portata immensa dell’Amore contenuto nell’Eucaristia!
    2) Esercizio del cuore. Se ogni cristiano deve amare Gesù Cristo (“Chi non ama il Signore Gesù sia maledetto”: 1 Cor. 16, 22), l’amore verso l’Eucaristia dovrebbe essere spontaneo e sempre vivo in tutti. Ma anche l’amore esige l’esercizio. Bisogna esercitare il cuore a desiderare il vero Bene, a bramare “l’Autore della vita” (Att. 3, 15).
    La S. Comunione rappresenta il vertice di questo esercizio d’amore che si consuma nell’unione fra il cuore della creatura e Gesù. S. Gemma Galgani poteva esclamare a riguardo: “Non posso più reggere a pensare che Gesù nella prodigiosa espansione del suo amore, si fa sentire e si manifesta all’ultima sua creatura con tutti gli splendori del suo cuore”. E che dire degli “esercizi” del cuore di Santa Gemma che desiderava essere una “tenda d’amore” in cui tenere sempre Gesù con sé? che bramava avere “un posticino nel ciborio” per poter stare sempre con Gesù? che chiedeva di poter diventare “la sfera delle fiamme di amore” di Gesù?
    Quando S. Teresa del Bambino Gesù era già ammalata gravemente, si trascinava con grande sforzo in Chiesa per ricevere Gesù. Una mattina, dopo la S. Comunione, fu trovata nella sua cella, esausta, sfinita. Una delle suore le fece osservare di non doversi sforzare tanto. La Santa rispose: “Oh, che cosa sono queste sofferenze di fronte a una Comunione?”. E il suo dolce lamento per non poter fare la Comunione quotidiana (non permessa ai suoi tempi) si risolse nell’invocazione ardente a Gesù: “Restate in me come nel Tabernacolo, non allontanatevi mai dalla vostra piccola ostia”.
    Quando S. Margherita Maria Alacoque lasciò il mondo e si consacrò a Dio nel monastero, fece un voto particolare e lo scrisse con il suo sangue: “Tutto per l’Eucaristia: nulla per me”. Inutile tentar di descrivere l’amore struggente della Santa per l’Eucaristia. Quando non poteva comunicarsi, usciva in accenti d’affetto bruciante come questi: “Ho un tale desiderio della S. Comunione, che, se fosse necessario camminare a piedi nudi sopra una strada di fuoco per giungervi, lo farei con indicibile gioia”.
    S. Caterina da Siena diceva spesso al suo Confessore: “Padre, ho fame: per l’amore di Dio date a questa anima il suo nutrimento, Gesù Eucaristico”; oppure, confidava: “Quando non posso ricevere il Signore, vado in Chiesa, ed ivi Lo guardo... Lo guardo ancora...: e questo mi sazia”.
    Questo si chiama “esercizio del cuore”.
    3) Esercizio della volontà. La volontà deve esercitarsi nel tradurre in vita le divine lezioni dell’Eucaristia. A che servirebbe scoprire il valore infinito dell’Eucaristia (con la meditazione) per cercare di amarla (con la S. Comunione), se poi non ci si applica a viverla?
    L’Eucaristia è lezione di amore indicibile, di immolazione totale, di umiltà e nascondimento senza pari, di pazienza e dedizione illimitate. Cosa facciamo noi? Dobbiamo pur realizzare qualcosa! Possibile che Gesù ci ha amato e ci ama “fino all’eccesso” (Giov. 13, 1), e noi restiamo indifferenti e inerti? No, Gesù, non sia più così!
    Se ci sentiamo deboli e fragili, ricorriamo a Lui, diciamolo a Lui e cerchiamo da Lui senza indugi l’aiuto e il sostegno, perché è proprio Lui che ha detto: “Senza di Me non potete far nulla” (Giov. 15, 5). Ma innanzitutto andiamo da Lui! “Venite a Me... e lo vi ristorerò” (Matt. 11, 28). Andiamo a visitarlo spesso, entrando in Chiesa ogni volta che possiamo e sostando un po’ di tempo presso il Tabernacolo, vicini vicini a Lui col cuore e col corpo. Erano ansia costante dei Santi la “Visita” a Gesù Eucaristico, l’ora di Adorazione eucaristica, le Comunioni Spirituali, le Giaculatorie, gli atti di amore a gettito spontaneo e vivace. Quanto bene ne ricevevano e quanto ne trasmettevano!
    Un giorno, a Torino, un amico chiese a Pier Giorgio Frassati, suo compagno di università: “Andiamo a prendere un aperitivo”. Pier Giorgio colse a volo l’occasione, e rispose indicando all’amico la vicina Chiesa di S. Domenico: “Ma sì andiamo a prenderlo in quel... bar”. Entrarono in Chiesa e pregarono per un po’ di tempo presso il Tabernacolo; poi, avvicinandosi alla cassetta delle offerte, Pier Giorgio disse: “Ecco l’aperitivo...”. E dalle tasche dei due giovani uscì l’elemosina per i poveri.
    Pensando all’Eucaristia, S. Giovanni Crisostomo chiese una volta durante la predica: “Come potremmo fare noi dei nostri corpi un’ostia?”. E rispose lui stesso: “I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua non preferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”.
    Pensiamo agli occhi di S. Coletta, sempre bassi e raccolti in soave modestia; perché? “I miei occhi li ho riempiti di Gesù che ho fissato all’elevazione dell’Ostia nella S. Messa, e non voglio sovrapporGli nessun’altra immagine”.
    Pensiamo al riserbo e all’edificazione dei Santi nel parlare, usando esattamente la lingua consacrata dal contatto con il Corpo di Gesù.
    Pensiamo alle opere buone che le anime innamorate dell’Eucaristia hanno compiuto, perché Gesù comunicava loro i suoi stessi sentimenti di amore a tutti i fratelli, specialmente ai più bisognosi.
    Non potremmo anche noi esercitare così la nostra volontà? Impariamo dai Santi, e mettiamoci all’opera.




  9. #29
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    II GESÙ PER ME
    Gesù “mi ha amato e ha immolato se stesso per me”

    (Gal. 2,20)
    • La S. Messa è il Sacrificio della Croce
    • La S. Messa quotidiana
    • La partecipazione attiva e fruttuosa
    • La S. Messa e le anime del Purgatorio
    LA S. MESSA È IL SACRIFICIO DELLA CROCE
    Soltanto in cielo comprenderemo quale divina meraviglia sia la S. Messa. Per quanto ci si sforzi e per quanto si sia santi e ispirati, non si può che balbettare su questa opera divina che trascende gli uomini e gli Angeli.
    Un giorno fu chiesto a P. Pio da Pietrelcina: “Padre, spiegateci la S. Messa”. “Figli miei - rispose il Padre - come posso spiegarvela? La Messa è infinita come Gesù... Chiedete ad un Angelo cosa sia una Messa ed egli vi risponderà con verità: capisco che è e perché si fa, ma non comprendo però quanto valore abbia. Un Angelo, mille Angeli, tutto il cielo sanno questo e così pensano”.
    S. Alfonso de’ Liguori arriva ad affermare: “Dio stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della celebrazione di una S. Messa”. Perché? Perché la S. Messa è, si può dire, la sintesi dell’Incarnazione e della Redenzione; contiene in sé la Nascita, la Passione e la Morte di Gesù per noi. Il Concilio Vaticano II ci insegna: “Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce” (Sacrosantum Concilium, n. 47) E. S. Tommaso d’Aquino con frase luminosa scrisse: “Tanto vale la celebrazione della S. Messa quanto vale la morte di Gesù in croce”.
    Per questo S. Francesco d’Assisi diceva: “L’uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il cielo intero deve essere commosso, quando sull’altare, tra le mani del Sacerdote, appare il Figlio di Dio”.
    In realtà, rinnovando il Sacrificio della Passione e Morte di Gesù, la S. Messa è cosa tanto grande da bastare essa sola a trattenere la Giustizia Divina. S. Teresa di Gesù diceva alle sue figlie: “Senza la S. Messa che cosa sarebbe di noi? Tutto perirebbe quaggiù, perché soltanto essa può fermare il braccio di Dio”. Senza di Essa certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo andrebbe disperatamente perduto. “Sarebbe più facile che la terra si reggesse senza sole, anziché senza la S. Messa”, affermava P. Pio da Pietrelcina, facendo eco a S. Leonardo da Porto Maurizio, che diceva: “lo credo che se non ci fosse la Messa, a quest’ora il mondo sarebbe già sprofondato sotto il peso delle sue iniquità. È la Messa il poderoso sostegno che lo regge”.
    Gli effetti salutari, poi, che ogni Sacrificio della Messa produce nell’anima di chi vi partecipa sono ammirabili: ottiene il pentimento e il perdono delle colpe, diminuisce la pena temporale dovuta ai peccati, indebolisce l’impero di satana e i furori della concupiscenza, rinsalda i vincoli dell’incorporazione a Cristo, preserva da pericoli e disgrazie, abbrevia la durata del Purgatorio, procura un più alto grado di gloria in Cielo. “Nessuna lingua umana - dice S. Lorenzo Giustiniani - può enumerare i favori dei quali è sorgente il sacrificio della Messa; il peccatore si riconcilia con Dio, il giusto diviene più giusto, sono cancellate le colpe, annientati i vizi, alimentati le virtù e i meriti, confuse le insidie diaboliche”. Per questo S. Leonardo da Porto Maurizio non si stancava di esortare le folle che l’ascoltavano: “O popoli ingannati, che fate voi? Perché non correte alle Chiese per ascoltare quante Messe potete? Perché non imitate gli Angeli, che, quando si celebra la S. Messa, scendono a schiere dal Paradiso e stanno attorno ai nostri altari in adorazione, per intercedere per noi?”.
    Se è vero che tutti abbiamo bisogno di grazie per questa e per l’altra vita, nulla può ottenercele da Dio come la S. Messa. S. Filippo Neri diceva: “Con l’orazione noi domandiamo a Dio le grazie; nella S. Messa costringiamo Dio a darcele”. La preghiera fatta durante la S. Messa impegna tutto il nostro sacerdozio, sia quello ministeriale (esclusivo del celebrante) sia quello comune a tutti i fedeli. Nella S. Messa la nostra preghiera è unita alla sofferta preghiera di Gesù che si immola per noi. Specialmente durante il Canone, che è il cuore della Messa, la preghiera di tutti noi diventa anche preghiera di Gesù presente fra noi. I due momenti del Canone Romano in cui si possono ricordare i vivi e i defunti sono i momenti d’oro della nostra supplica: possiamo pregare per i nostri bisogni, possiamo raccomandare le persone a noi care, vive e defunte, proprio negli attimi supremi della Passione e Morte di Gesù fra le mani del Sacerdote. Approfittiamone con cura; i Santi ci tenevano molto, e quando si raccomandavano alle preghiere dei Sacerdoti chiedevano loro di ricordarli soprattutto durante il Canone.
    In particolare, nell’ora della morte le Messe devotamente ascoltate formeranno la nostra più grande consolazione e speranza, e una Messa ascoltata durante la vita sarà più salutare di molte Messe ascoltate da altri per noi dopo la nostra morte. “Assicurati - disse Gesù a S. Gertrude - che a chi ascolta devotamente la S. Messa, io manderò, negli ultimi istanti della sua vita, tanti dei miei Santi per confortarlo e proteggerlo, quante saranno state le Messe da lui bene ascoltate”. Quanto è consolante ciò! Aveva ragione il S. Curato d’Ars di dire: “Se conoscessimo il valore del S. Sacrificio della Messa, quanto maggiore zelo porremmo per ascoltarla!”. E S. Pietro G. Eymard esortava: “Sappi, o cristiano, che la Messa è l’atto più santo della Religione: tu non potresti far niente di più glorioso a Dio, né di più vantaggioso alla tua anima che di ascoltarla piamente e il più sovente possibile”.
    Per questo dobbiamo stimarci fortunati ogni volta che ci è offerta la possibilità di ascoltare una S. Messa, né tirarci mai indietro di fronte a qualche sacrificio per non perderla, specialmente nei giorni di precetto (domenica e feste). Pensiamo a S. Maria Goretti che per andare a Messa la domenica percorreva a piedi, tra andata e ritorno, 24 chilometri! Pensiamo a Santina Campana che si recava a Messa con la febbre altissima addosso. Pensiamo al B. Massimiliano M. Kolbe che celebrava la S. Messa anche quando era in condizioni di salute così pietose che un confratello doveva sostenerlo all’altare perché non cadesse. E quante volte P. Pio da Pietrelcina celebrò la Messa febbricitante e sanguinante?
    Nella nostra vita di ogni giorno, dobbiamo preferire la S. Messa ad ogni altra cosa buona, perché, come dice S. Bernardo: “Si merita di più ascoltando devotamente una S. Messa, che col distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze e col girare pellegrinando su tutta la terra”. E non può essere diversamente, perché nessuna cosa al mondo può avere il valore infinito di una S. Messa.
    Tanto più dobbiamo preferire la S. Messa ai divertimenti in cui si sciupa il tempo senza nessun vantaggio per l’anima. S. Luigi IX, re di Francia, ascoltava ogni giorno diverse Messe. Qualche ministro se ne lamentò dicendo che poteva dedicare quel tempo agli affari del regno. Il santo re disse: “Se impiegassi doppio tempo nei divertimenti, nella caccia, nessuno avrebbe da ridire”.
    Siamo generosi, e facciamo volentieri qualche sacrificio per non perdere un bene così grande. S. Agostino diceva ai suoi cristiani: “Tutti i passi che uno fa per recarsi ad ascoltare la S. Messa sono da un Angelo numerati, e sarà concesso da Dio un sommo premio in questa vita e nell’eternità”. E il S. Curato d’Ars aggiunge: “Com’è felice quell’Angelo Custode che accompagna un’anima alla S. Messa”.
    LA S. MESSA QUOTIDIANA
    Quando si è compreso che la S. Messa ha un valore infinito, non fa più meraviglia l’amore e la premura dei Santi nell’ascoltarla ogni giorno, anzi nell’ascoltarne ogni giorno più che potevano.
    S. Agostino ci ha lasciato questo elogio di sua madre Santa Monica: “Non lasciava passar giorno senza esser presente al Divin Sacrificio davanti al tuo altare, o Signore”.
    S. Francesco di Assisi ascoltava di solito due Messe ogni giorno; e quando era ammalato pregava qualche confratello sacerdote di celebrargli la Messa in cella, pur di non restare senza Messa!
    S. Tommaso d’Aquino, ogni mattina, dopo aver celebrato la sua Messa, serviva un’altra Messa per ringraziamento.
    S. Pasquale Baylon, piccolo pastorello, non poteva recarsi in Chiesa ad ascoltare tutte le Messe che avrebbe desiderato, perché doveva portare le pecore al pascolo. E allora, ogni volta che udiva la campana dare il segnale della S. Messa, si inginocchiava sull’erba fra le pecorelle, davanti a una croce di legno fatta da lui stesso, e seguiva così, da lontano, il Sacerdote che stava offrendo il Divin Sacrificio. Caro Santo, vero serafino d’amore eucaristico! Anche sul letto di morte egli udì la campana della Messa, ed ebbe la forza di sussurrare ai confratelli: “Sono contento di unire al Sacrificio di Gesù quello della mia povera vita”. E morì, alla Consacrazione!
    Una mamma di otto figli, S. Margherita, regina di Scozia, si recava e conduceva con sé i figli a Messa tutti i giorni; e con materna premura insegnava loro a considerare come tesoro il messalino, che ella volle adornare di pietre preziose.
    Ordiniamo bene le nostre cose, in modo da non farci mancare il tempo per la S. Messa. Non diciamo di essere troppo impegnati in faccende, perché Gesù potrebbe ricordarci: “Marta, Marta..., tu ti affanni in troppe cose, invece di pensare all’unica cosa necessaria!” (Lc. 10, 41). Quando si vuole veramente, il tempo per andare a Messa si trova, senza venir meno ai propri doveri. S. Giuseppe Cottolengo raccomandava a tutti la S. Messa quotidiana: agli insegnanti, alle infermiere, agli operai, ai medici, ai genitori... E a chi gli opponeva di non avere il tempo per andarci, rispondeva deciso: “Cattiva economia del tempo! "Cattiva economia del tempo!”. È così. Se veramente pensassimo al valore infinito della S. Messa, brameremmo parteciparvi e cercheremmo in tutti i modi di trovare il tempo necessario.
    S. Carlo da Sezze, andando per la questua a Roma, faceva le sue soste presso qualche Chiesa per ascoltarvi altre Messe, e proprio durante una di queste Messe in più, ebbe il dardo d’amore al cuore al momento dell’elevazione dell’Ostia.
    S. Francesco di Paola ogni mattina si recava in Chiesa e si tratteneva là dentro ad ascoltare tutte le Messe che si celebravano. S. Giovanni Berchmans, S. Alfonso Rodriguez, S. Gerardo Maiella ogni mattina servivano più Messe che potevano, e con un contegno così devoto da attirare molti fedeli in Chiesa.
    Il venerabile Francesco del Bambin Gesù, carmelitano, serviva ogni giorno dieci Messe. Se gli capitava di servirne qualcuna in meno, diceva. “Oggi non ho fatto intera la mia colazione”... Che dire infine di P. Pio da Pietrelcina? Quante Messe non ascoltava egli ogni giorno, partecipandovi con la recita di tanti Rosari? Non sbagliava davvero il S. Curato d’Ars a dire che “la Messa è la devozione dei Santi”.
    Lo stesso bisogna dire dell’amore dei Santi Sacerdoti alla celebrazione della Messa. Non poter celebrare era per loro una sofferenza terribile. “Quando sentirai che non posso più celebrare, tienimi per morto”, arrivò a dire a un confratello S. Francesco Saverio Bianchi.
    S. Giovanni della Croce fece capire che lo strazio più grande patito durante il periodo delle persecuzioni fu quello di non poter celebrare la Messa né ricevere la S. Comunione per nove mesi continui.
    Ostacoli o difficoltà non contavano per i Santi, quando si trattava di non perdere un bene così eccelso. Dalla vita di S. Alfonso M. de’ Liguori sappiamo che, un giorno, in una via di Napoli, il Santo fu assalito da violenti dolori viscerali. Il confratello che l’accompagnava lo esortò a fermarsi per prendere un calmante. Ma il Santo non aveva ancora celebrato, e rispose di scatto al confratello: “Caro mio, camminerei così dieci miglia, per non perdere la S. Messa”. E non ci fu verso di fargli rompere il digiuno (allora obbligatorio dalla mezzanotte). Aspettò che i dolori si calmassero un po’, e riprese poi il cammino fino in Chiesa.
    S. Lorenzo da Brindisi, cappuccino, trovandosi in un paese di eretici senza Chiesa cattolica, fece quaranta miglia a piedi per raggiungere una Cappella tenuta da cattolici, in cui poter celebrare la S. Messa.
    Anche S. Francesco di Sales si trovò in paese protestante e per celebrare la S. Messa doveva recarsi ogni mattina, prima dell’alba, in una parrocchia cattolica, che si trovava al di là di un grosso torrente. Nell’autunno piovoso il torrente si ingrossò più del solito e travolse il piccolo ponte su cui passava il Santo. Ma S. Francesco non si scoraggiò. Gettò una grossa trave là dov’era il ponte, e continuò a passare ogni mattina. D’inverno, però, con il gelo e con la neve c’era serio pericolo di sdrucciolare e cadere nell’acqua. Allora il Santo si ingegnò mettendosi a cavalcioni sulla trave, strisciando carponi, andata e ritorno, pur di non restare senza la celebrazione della S. Messa!
    Noi non rifletteremo mai abbastanza sul mistero ineffabile della S. Messa che riproduce sui nostri altari il sacrificio del Calvario. Né ameremo mai troppo questa suprema meraviglia dell’amore divino.
    “La S. Messa - scrive S. Bonaventura - è l’opera in cui Dio ci mette sotto gli occhi tutto l’amore che ci ha portato; è in certo modo la sintesi di tutti i benefici elargitici”.
    LA PARTECIPAZIONE ATTIVA E FRUTTUOSA
    La grandezza infinita della S. Messa ci deve far comprendere l’esigenza di una partecipazione attenta e devota al Sacrificio di Gesù. Adorazione, amore e dolore dovrebbero dominarci incontrastati.
    Il Sommo Pontefice Pio XII ha scolpito in pensieri stupendi (ripetuti con forza dal Concilio Vaticano II) lo stato d’animo con cui bisogna partecipare alla S. Messa, ossia con “lo stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cio'è l’adorazione, l’amore, la lode e il ringraziamento alla Somma Maestà di Dio..., riprodurre in se stessi le condizioni della vittima, l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo sacrificio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati”.
    La vera partecipazione attiva alla S. Messa è quella che ci rende vittime immolate come Gesù, che ottiene lo scopo di “riprodurre in noi i lineamenti dolorosi di Gesù” (Pio XII), dandoci “la comunanza dei patimenti di Cristo e la conformità alla Sua Morte” (Fil. 3, 10). Tutto il resto è soltanto rito liturgico, veste esterna. S. Gregorio Magno insegnava: “Il Sacrificio dell’altare sarà per noi un’Ostia veramente accetta a Dio, quando noi stessi ci faremo Ostia”. Per questo, nelle antiche comunità cristiane i fedeli, per la celebrazione della S. Messa, con alla testa il Papa, si recavano in processione all’altare, in abiti di penitenza, cantando le litanie dei Santi. Effettivamente, nell’andare a Messa, noi dovremmo ripetere con S. Tommaso Apostolo: “Andiamo anche noi a morire con Lui” (Giov. 11, 16).
    Quando Santa Margherita Alacoque ascoltava la S. Messa, guardando l’altare, non mancava mai di dare un’occhiata al Crocifisso e alle candele accese. Perché? Per imprimersi bene due cose nella mente e nel cuore: il Crocifisso le ricordava quel che Gesù aveva fatto per lei; le candele accese le ricordavano quel che lei doveva fare per Gesù, ossia: sacrificarsi e consumarsi per Lui e per le anime.
    Il modello più alto di partecipazione al S. Sacrificio, ci è offerto da Maria SS., da S. Giovanni Evangelista e dalla Maddalena con le pie Donne ai piedi della croce (Giov. 19, 25). Assistere alla Messa, infatti, è come trovarsi sul Calvario.
    “Non si può separare la Santissima Eucaristia dalla Passione di Gesù”, gemeva fra le lagrime S. Andrea Avellino.
    Un giorno un figlio spirituale chiese a P. Pio da Pietrelcina: “Padre, come dobbiamo partecipare alla S. Messa?”. Il Padre rispose: “Come la Madonna, S. Giovanni e le pie Donne sul Calvario, amando e compatendo”. E sul messalino di un suo figlio spirituale, P. Pio scrisse: “Nell’assistere alla S. Messa accentra tutto te stesso al tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: ‘La Redenzione della tua anima e la riconciliazione con Dio’.” Un’altra volta gli venne chiesto: “Padre, come mai lei piange tanto durante la Messa?”. “Figlia mia - rispose il Padre - che cosa sono quelle poche lacrime di fronte a ciò che avviene sull’altare? Torrenti di lagrime ci vorrebbero!”. E un’altra volta ancora, gli fu detto: “Padre, quanto le tocca soffrire a stare per tutta la Messa in piedi, poggiato sulle piaghe sanguinanti dei piedi!”. Il Padre rispose: “Durante la Messa non sto in piedi: sto appeso”. Che risposta! Le due parole “sto appeso” esprimono fortemente al vivo quell’essere “concrocifisso con Cristo” di cui parla S. Paolo (Gal. 2, 19) e che distingue la vera e piena partecipazione alla Messa dalla partecipazione vana, accademica, magari chiassaiola. Diceva bene Santa Bernardetta Soubirous a un Sacerdote novello: “Ricordati che il Sacerdote all’altare è sempre Gesù Cristo in croce”. E S. Pietro d’Alcantara si vestiva per la S. Messa come per salire sul Calvario, perché tutti gli indumenti sacerdotali hanno un riferimento alla Passione e Morte di Gesù: il camice ricorda la tunica bianca di cui Erode fece vestire Gesù come pazzo; il cingolo ricorda i flagelli; la stola ricorda i legacci; la chierica ricordava la corona di spine; la pianeta, segnata a croce, ricorda la croce sulle spalle di Gesù.
    Chi ha assistito alla Messa di P. Pio ricorda quelle sue lagrime brucianti, ricorda quella sua imperiosa richiesta ai presenti di seguire la S. Messa in ginocchio, ricorda il silenzio impressionante in cui si svolgeva il sacro rito, ricorda la sofferenza crudele che si sprigionava dal volto di P. Pio quando sillabava a strappi violenti le parole della Consacrazione, ricorda il fervore della preghiera silenziosa dei fedeli che riempivano la Chiesa mentre le dita sgranavano Rosari per più di un’ora.
    Ma la sofferta partecipazione di P. Pio alla S. Messa è quella stessa di tutti i Santi. Le lagrime di P. Pio erano come quelle di S. Francesco d’Assisi (che a volte diventavano sanguigne), come quelle di S. Vincenzo Ferreri, di S. Ignazio, di S. Filippo Neri, di S. Lorenzo da Brindisi (che arrivava a inzuppare di lagrime sette fazzoletti), di S. Veronica Giuliani, di S. Giuseppe da Copertino, di S. Alfonso, di S. Gemma... Ma, del resto, come rimanere indifferenti di fronte alla Crocifissione e Morte di Gesù? Non saremo mica come gli Apostoli addormentati nel Getsemani, e tanto meno come i soldati che, ai piedi della Croce, pensavano al gioco dei dadi, incuranti degli spasimi atroci di Gesù morente! (Eppure, questa è l’impressione angosciosa che si prova oggi assistendo alle Messe cosiddette beat celebrate al ritmo delle chitarre e delle tarantole, con donne in abiti sconci e giovani dalle fogge più stravaganti... “Signore, perdona loro!”).
    Guardiamo alla Madonna e ai Santi. Imitiamoli. Soltanto seguendo loro siamo sulla via giusta che “è piaciuta a Dio”" (1 Cor. 1, 21).
    LA S. MESSA E LE ANIME DEL PURGATORIO
    Una volta lasciato questo mondo, nulla dobbiamo desiderare tanto come la celebrazione di SS. Messe per la nostra anima. Il S. Sacrificio dell’altare, infatti, è il più grande suffragio che sorpassa ogni preghiera, ogni penitenza, ogni opera buona. Né deve esserci difficile comprendere ciò, se pensiamo che la S. Messa è lo stesso Sacrificio di Gesù offerto sull’altare con il suo infinito valore espiatorio. Gesù immolato è la vera vittima di “espiazione per i nostri peccati” (1 Giov. 2, 2), e il suo Divin Sangue viene effuso “in remissione dei peccati” (Matt. 26, 28). Assolutamente nulla può stare alla pari con la S. Messa, e i frutti salutari del Sacrificio possono estendersi a un numero illimitato di anime.
    Una volta, durante la celebrazione della S. Messa nella Chiesa di S. Paolo alle tre Fontane, a Roma, S. Bernardo vide una scala interminabile che saliva fino al Cielo. Moltissimi Angeli andavano su e giù per essa, portando dal Purgatorio al Paradiso le anime liberate dal Sacrificio di Gesù, rinnovato dai Sacerdoti sugli altari di tutta la terra.
    Alla morte di un nostro parente, quindi, preoccupiamoci molto più della celebrazione e dell’ascolto di SS. Messe, che delle corone di fiori, degli abiti neri, del corteo funebre...
    Quando il B. Giovanni d’Avila si trovò sul letto di morte, i confratelli gli chiesero che cosa desiderasse maggiormente dopo la sua morte. Il Beato subito rispose: “Messe!... Messe!... Nient’altro che Messe!...”.
    Di P. Pio da Pietrelcina si raccontano molte apparizioni di anime purganti che andavano a chiedere il suffragio della sua S. Messa per poter lasciare il Purgatorio. Un giorno egli celebrò la S. Messa in suffragio del papà di un suo confratello. Al termine del S. Sacrificio, P. Pio disse al confratello: “Stamattina l’anima di tuo papà è entrata in Paradiso”. Il confratello ne fu felicissimo, e tuttavia disse a P. Pio: “Ma, Padre, il mio buon papà è morto trentadue anni fa!”. “Figlio mio - gli rispose il Padre - davanti a Dio tutto si paga!”. Ed è la S. Messa che ci procura un prezzo di infinito valore: il Corpo e il Sangue di Gesù “Agnello immolato” (Apoc. 5, 12).
    In una predica, un giorno, il S. Curato d’Ars portò l’esempio di un sacerdote che, celebrando la Messa per un suo amico defunto, dopo la Consacrazione così pregò: “Padre Santo ed Eterno, facciamo un cambio. Voi possedete l’anima del mio amico nel Purgatorio: io ho il corpo del vostro Figlio nelle mie mani. Voi liberatemi l’amico, e io vi offro il vostro Figliolo, con tutti i meriti della sua Passione e morte”.
    Ricordiamolo: tutti i suffragi sono cosa buona e raccomandabile, ma quando possiamo, anzitutto facciamo celebrare SS. Messe (magari le 30 SS. Messe gregoriane) per le anime defunte a noi care.
    Nella vita del B. Enrico Susone leggiamo che da giovane egli aveva fatto questo patto con un confratello: “Chi di noi due sopravvivrà all’altro, affretterà la gloria di chi è passato nell’eternità con la celebrazione di una S. Messa ogni settimana”. Il compagno del Beato Enrico morì per primo in terra di missione. Il Beato si ricordò della promessa per un po’ di tempo; poi, impegnato in obblighi di Messe, sostituì la Messa settimanale con preghiere e penitenze. Ma l’amico gli comparve e lo rimproverò tutto afflitto: “Non mi bastano le tue preghiere e le tue penitenze; ho bisogno del Sangue di Gesù”: perché è con il Sangue di Gesù che noi paghiamo i debiti delle nostre colpe (Col. 1, 14).
    Anche il grande S. Girolamo ha lasciato scritto che “per ogni Messa devotamente celebrata molte anime escono dal Purgatorio per volarsene al Cielo”. Lo stesso si deve dire per le SS. Messe devotamente ascoltate. S. Maria Maddalena de’ Pazzi, la celebre mistica carmelitana, era solita offrire il Sangue di Gesù per suffragare le anime del Purgatorio, e in un’estasi Gesù le fece vedere come realmente molte anime purganti venivano liberate dall’offerta del Divin Sangue. Né può essere diversamente, perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, una sola goccia del Sangue di Gesù, per il suo valore infinito, può salvare tutto l’universo da ogni delitto.
    Preghiamo per le anime del Purgatorio, quindi, e liberiamole dalle loro pene facendo celebrare e ascoltando molte sante Messe. “Tutte le opere buone riunite insieme - diceva il S. Curato d’Ars - non possono valere una S. Messa, perché esse sono opere degli uomini, mentre la S. Messa è opera di Dio”.




  10. #30
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    III GESÙ IN ME
    “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in Me e Io in lui”. (Giov. 6, 57)
    • La S. Comunione: Gesù è mio
    • La purità di anima per la S. Comunione
    • Il ringraziamento alla S. Comunione
    • Il Pane dei forti e il Viatico per il cielo
    • Ogni giorno con Lui
    • La Comunione Spirituale
    LA S. COMUNIONE: GESÙ È MIO
    Nella S. Comunione Gesù si dona a me e diventa mio, tutto mio in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. “Sono padrona di Te”, diceva a Gesù con candore S. Gemma Galgani.
    Con la Comunione, Gesù penetra nel mio petto e rimane corporalmente presente in me fin quando durano le specie del pane, ossia per circa un quarto d’ora. Durante questo tempo, insegnano i Santi Padri, gli Angeli mi circondano per continuare ad adorare Gesù e amarLo ininterrottamente. “Quando Gesù è presente corporalmente in noi, attorno a noi fanno la guardia d’amore gli Angeli”, scriveva S. Bernardo.
    Forse noi pensiamo tanto poco alla sublimità di ogni S. Comunione. Eppure, S. Pio X diceva che “se gli Angeli potessero invidiare, ci invidierebbero la S. Comunione”. E S. Maddalena Sofia Barat definiva la S. Comunione “il Paradiso sopra la terra”.
    Tutti i Santi hanno compreso la divina meraviglia dell’incontro e dell’unione con Gesù Eucaristico, per essere posseduti da Lui e possederLo “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me e lo in lui” (Giov. 6, 57). “È notte - scriveva una volta Santa Gemma - mi avvicino a domattina: Gesù possederà me e io possederò Gesù”. Non è possibile unione d’amore più profonda e totale: Lui in me e io in Lui: l’uno nell’altro: che si può voler di più?
    “Voi invidiate - diceva S. Giovanni Crisostomo - la sorte della donna che toccò le vesti a Gesù, della peccatrice che bagnò i piedi con le sue lagrime; delle donne di Galilea che ebbero la felicità di seguirlo nelle sue peregrinazioni, degli apostoli e dei discepoli con i quali conversava familiarmente; della popolazione del tempo che ascoltava le parole di grazia e di salveza che uscivano dalle sue labbra. Voi chiamate felici coloro che lo videro... Ma venite all’altare, e voi lo vedrete, lo toccherete, gli donerete baci santi, lo bagnerete con le vostre lagrime, lo porterete dentro di voi come Maria SS.”.
    Per questo i Santi hanno desiderato e bramato la S. Comunione con amore struggente. S. Francesco d’Assisi o S. Caterina da Siena, S. Pasquale Baylon o S. Veronica, S. Gerardo o S. Margherita Alacoque, S. Domenico Savio o S. Gemma Galgani...; è inutile continuare, perchè bisognerebbe elencarli proprio tutti!
    A S. Caterina da Genova, ad esempio, successe una notte di sognare che il giorno seguente non avrebbe potuto ricevere la S. Comunione. Il dolore che provò fu cosi forte che pianse inconsolabilmente, e quando si svegliò al mattino si trovò con il volto tutto bagnato dalle lacrime versate nel sogno!
    S. Teresa del Bambin Gesù ha scritto un piccolo poema eucaristico, “Desideri presso il Tabernacolo”, in cui, tra le altre cose deliziose, dice: “Vorrei essere il calice ove adoro il Sangue divino. Posso però anch’io, nel Santo Sacrificio, raccoglierlo in me ogni mattina. Più cara è perciò a Gesù l’anima mia, che il più prezioso dei vasi d’oro”. E quale non fu la felicità dell’angelica Santa quando, durante un’epidemia, le fu concessa la Comunione quotidiana?
    S. Gemma Calgani, una volta venne messa alla prova dal Confessore che le proibì la Comunione. “O Padre, Padre - scriveva ella al suo Direttore spirituale - oggi sono stata a confessarmi, e il Confessore ha detto di levarmi Gesù. O Padre mio, la penna non mi vuole più scrivere, la mano mi trema forte, io piango". Cara Santa! vero serafino tutto fuoco e sangue d’amore a Gesù Eucaristico.
    Anche S. Gerardo Maiella, per una calunnia di cui non volle scolparsi, venne punito con la privazione della S. Comunione. La sofferenza del Santo fu tale che un giorno si rifiutò di andare a servire la S. Messa a un sacerdote di passaggio, “perchè - diceva - a vedere Gesù Ostia fra le mani del Sacerdote, non resisterei e glielo strapperei di mano!”. Quale brama consumava questo mirabile Santo! E quale rimprovero per noi che forse possiamo comunicarci con ogni comodità, e non lo facciamo. È segno che ci manca l’essenziale: l’amore. E forse siamo cosi innamorati dei piaceri terreni che non possiamo più gustare le delizie celesti dell’unione con Gesù Ostia. “Figliuolo, come puoi tu sentire le fragranze di Paradiso che si diffondono dal Tabernacolo?”, diceva S. Filippo a un giovane amante dei piaceri di carne, dei balli, dei divertimenti... Le gioie dell’Eucaristia e le soddisfazioni dei sensi sono “cose opposte” (Gal. 5, 17) e “l’uomo carnale non può gustare le cose dello spirito” (1 Cor. 2, 14). Questa è sapienza che viene da Dio.
    S. Filippo Neri era cosi amante dell’Eucaristia che, pur gravamente infermo, si comunicava ogni giorno, e se non gli si portava Gesù molto presto al mattino, dava in smanie e non poteva trovar riposo in nessun modo: “Ho un tal desiderio di ricevere Gesù - esclamava - che non posso darmi pace ad attendere”. La stessa cosa avveniva, ai nostri tempi, a P. Pio da Pietrelcina, che soltanto l’ubbidienza poteva placare nell’attesa della celebrazione della S. Messa alle quattro o alle cinque del mattino. Veramente l’amore di Dio è un “fuoco divorante” (Deut. 4, 24).
    Quando Gesù è mio, esulta la Chiesa intera, quella dei Cieli, quella del Purgatorio, quella della terra. Chi potrà esprimere il gaudio degli Angeli e dei Santi ad ogni Comunione ben fatta? Una novella corrente d’amore arriva in Paradiso e fa vibrare quegli spiriti beati ogni volta che una creatura si unisce a Gesù per possederLo ed essere posseduta da Lui. Vale molto di più una Comunione che un’estasi, un rapimento, una visione. La S. Comunione trasporta il Paradiso intero nel mio povero cuore!
    Per le anime del Purgatorio, poi, la S. Comunione è il dono personale più caro che esse possono ricevere da noi. Chi può dire quanto giovino alla loro liberazione le SS. Comunioni? A S. Maria Maddalena de’ Pazzi un giorno apparve il fratello defunto e le disse che gli erano necessarie centosette Comunioni per poter lasciare il Purgatorio. Difatti, all’ultima delle centosette Comunioni, la Santa rivide il suo papà salire al cielo.
    S. Bonaventura si fece apostolo di questa verità, e ne parlava in termini vibranti: “O anime cristiane, volete voi dare le prove del vero amore ai vostri defunti? Volete loro inviare i più preziosi soccorsi e la chiave d’oro del cielo? Fate spesso la S. Comunione per il riposo delle loro anime!”.
    Infine, riflettiamo che nella S. Comunione noi ci uniamo non solo a Gesù, ma anche a tutte le membra del Corpo Mistico di Gesù, specialmente alle anime più care a Gesù e più care al nostro cuore. È nella Comunione che ogni volta si realizza pienamente la parola di Gesù: “Io in essi... affinchè siano perfetti nell’unita” (Giov. 17, 23). L’Eucaristia ci rende “uno” anche fra noi sue membra: “uno solo in Gesù”, come dice S. Paolo (Gal. 3, 28). La Comunione è davvero tutto l’amore di Dio e del prossimo. È la vera “festa dell’Amore”, come diceva Santa Gemma Galgani. E in questa “festa dell’Amore” l’anima innamorata può esultare cantando con S. Giovanni della Croce: “Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli Angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poichè Cristo è mio e tutto per me”.
    LA PURITÀ DI ANIMA PER LA S. COMUNIONE
    Che dire della grande purità di anima con cui i Santi si accostavano a ricevere il Pane degli Angeli? Sappiamo che erano di una delicatezza veramente angelica. Consapevoli della propria miseria, essi cercavano di presentarsi a Gesù "santi e immacolati" (Ef. 1, 4) ripetendo con il pubblicano: "O Dio, abbi pietà di me che sono peccatore" (Luc. 18, 9), e ricorrendo con grande premura al lavacro della S. Confessione.
    Quando a S. Girolamo venne portato il S. Viatico, in fin di vita, si vide il Santo prostrarsi a terra in adorazione, e lo si udì ripetere con profonda umiltà le parole di S. Elisabetta e quelle di S. Pietro: "Donde questo, che viene a me il mio Signore? Allontanati da me, che sono uomo peccatore" (Luc. 1, 43; 5, 10). E quante volte l'angelica e serafica S. Gemma fu tentata di non comunicarsi, ritenendosi nient'altro che un vile "letamaio"?
    E P. Pio da Pietrelcina ripeteva con trepidazione ai confratelli "Dio vede le macchie anche negli Angeli, figuriamoci in me!". Per questo egli era molto assiduo alla Confessione sacramentale.
    "Oh se potessimo comprendere chi è quel Dio che riceviamo nella Comunione, quale purezza di cuore gli porteremmo!", esclamava S. Maria Maddalena de' Pazzi.
    Per questo S. Ugo, S. Tommaso d'Aquino, S. Francesco di Sales, S. Ignazio, S. Carlo Borromeo, S. Francesco Borgia, S. Luigi Bertrando, S. Giuseppe da Copertino, S. Leonardo da Porto Maurizio e tanti altri Santi si confessavano ogni giorno prima di celebrare la S. Messa.
    S. Camillo de Lellis non celebrava mai la S. Messa senza prima confessarsi, perchè voleva almeno "spolverare" la sua anima. Una volta in una piazza di Livorno, al tramonto, prima di separarsi da un confratello, il Santo, prevedendo che il mattino seguente non avrebbe avuto un Sacerdote per confessarsi prima di celebrare, si fermò, si levò il cappello, si fece il segno di croce e si confessò li in piazza dal confratello.
    Anche S. Alfonso, S. Giuseppe Cafasso, S. Giovanni Bosco, S. Pio X, P. Pio da Pietrelcina, si confessavano molto spesso. E perchè mai S. Pio X volle anticipare a sette anni l'età della Prima Comunione per i piccoli, se non per fare entrare Gesù nei cuori dei fanciulli innocenti che tanto somigliano agli Angeli? E P. Pio da Pietrelcina, perchè esultava quando gli portavano bambini di cinque anni preparati per la Prima Comunione?
    I Santi applicavano alla perfezione la direttiva dello Spirito Santo: "Ciascuno esamini prima se stesso, e poi mangi di quel Pane e beva di quel Calice, perchè chi mangia e chi beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna" (1 Cor. 11, 28).
    Esaminarsi, pentirsi, accusarsi, chiedere perdono approfittando anche ogni giorno del Sacramento della Confessione era cosa naturale per i Santi. Beati loro, capaci di tanto! E i frutti di santificazione erano costanti e abbondanti, perchè l'anima pura che accoglie in sè Gesù, "Frumento degli eletti" (Zac. 9, 17), è come la "terra fertile... che produce frutto con perseveranza" (Luc. 8, 15).
    S. Antonio M. Claret illustra molto bene la cosa: "Quando ci comunichiamo, tutti noi riceviamo il medesimo Signore Gesù, ma non tutti riceviamo le medesime grazie, nè produce in tutti gli stessi effetti. Ciò proviene dalla nostra maggiore o minore disposizione. Per spiegare questo fatto, mi serve un paragone naturale: l'innesto. Quanto più le piante si rassomigliano, tanto meglio è per l'innesto. Così, quanta più somiglianza ci sarà tra chi si comunica e Gesù, tanto migliori saranno i frutti della S. Comunione". Il Sacramento della Confessione è appunto il mezzo eccellente di restauro della somiglianza fra l'anima e Gesù.
    Per questo S. Francesco di Sales insegnava ai suoi figli spirituali: "Confessatevi con umiltà e devozione... se è possibile ogni volta che vi comunicate, quantunque non vi sentiate nella coscienza alcun rimorso di peccato mortale".
    Per questo S. Teresa di Gesù, quando era consapevole della minima colpa veniale, non si comunicava senza prima confessarsi.
    A questo proposito, è bene ricordare l'insegnamento della Chiesa. La Comunione deve essere fatta stando in grazia di Dio. Perciò, quando si è commesso un peccato mortale, anche se si è pentiti e si ha un grande desiderio di comunicarsi, è necessario, è indispensabile confessarsi prima della S. Comunione, altrimenti si commette peccato gravissimo di sacrilegio, per il quale, come disse Gesù a S. Brigida,"non esiste sulla terra supplizio che basti a punirlo"!
    Invece, la Confessione fatta prima della Comunione, soltanto per rendere più pura e più bella l'anima già in grazia, non è necessaria, ma è preziosa, perchè riveste l'anima del più bell' "abito nuziale" (Matt. 22, 14) con cui assidersi alla mensa degli Angeli. Per questo le anime più delicate hanno sempre cercato con frequenza (almeno ogni settimana) la assoluzione sacramentale anche per le colpe leggere. Se infatti la purità dell'anima deve essere massima per ricevere Gesù, nessuna purità è più fulgente di quella che si ottiene confessandosi, con il bagno nel Sangue di Gesù che rende l'anima pentita divinamente bella e splendente. "L'anima che riceve il Sangue Divino diventa bella, come rivestita dell'abito più prezioso, e così risplendente, che, se poteste vederla, sareste tentati di adorarla" (S. Maria Maddalena de' Pazzi).
    Quale conforto per Gesù l'essere ricevuto da una anima purificata e rivestita del suo Divin Sangue! E quale gioia tutta d'amore per Lui se si tratta di un'anima verginale, perchè "l'Eucaristia venne dal cielo della verginità" (S. Alberto Magno) e non trova il suo cielo che nella verginità. Nessuno come la vergine può ripetere con la Sposa dei Cantici ad ogni Comunione: "Il mio Diletto è mio e io sono tutta del mio Diletto che pascola fra i gigli e a me rivolge il suo amore" (Cant. 2, 16).
    Un modo delicato di preparamento alla S. Comunione è quello di invocare l'Immacolata e affidarci a Lei perchè ci faccia ricevere Gesù con la sua umiltà, con la sua purezza e con il suo amore, e anzi, venga Ella stessa a riceverLo in noi. Questa pia pratica venne raccomandata molto dai Santi, specialmente da S. Luigi Grignon de Montfort, da S. Pietro G. Eymard, da S. Alfonso de' Liguori e dal B. Massimiliano M. Kolbe. "La migliore preparazione alla S. Comunione è quella che si fa con Maria", scrisse S. Pietro G. Eymard. Una descrizione deliziosa ci è fatta da S. Teresina quando immagina la sua anima come una bimba di tre o quattro anni, tutta in disordine nei capelli e nei vestiti, vergognosa di presentarsi all'altare per ricevere Gesù. Ma fa ricorso alla Madonna e "subito - scrive la Santa - la Vergine Maria si affaccenda attorno a me; mi toglie prestamente il grembiulino sudicio e riannoda i miei capelli con un bel nastro o anche con un semplice fiore... E ciò basta per farmi apparire graziosa e farmi sedere, senza arrossire, al banchetto degli Angeli". Facciamone anche noi la prova. Non ne resteremo delusi. Anzi, potremo anche noi esclamare con S. Gemma estatica: "Quanto è bella la Comunione fatta con la Mamma del Paradiso".
    IL RINGRAZIAMENTO ALLA S. COMUNIONE
    Il tempo del Ringraziamento alla S. Comunione è il tempo più reale dell'amore intimo con Gesù. Amore di appartenenza totale reciproca: non più due, ma uno, nell'anima e nel corpo. Amore di compenetrazione e fusione: Lui in me e io in Lui, a consumarci nell'unità e nell'unicità dell'amore. “Sei la mia preda amorosa, come io sono preda della tua immensa carità”, diceva S. Gemma a Gesù con tenerezza. “Beati gli invitati alla cena nuziale dell'Agnello”, è detto nell'Apocalisse (c. 19, 9). Ebbene, nella Comunione Eucaristica l'anima realizza veramente, in celeste unione verginale, l'amore nuziale a Gesù Sposo, a cui può dire con il trasporto tenerissimo della Sposa dei Cantici: “Baciami con il bacio della tua bocca” (Cant. 1, 1).
    Il Ringraziamento alla S. Comunione è una piccola esperienza dell'amore paradisiaco su questa terra: in Paradiso, infatti, come ameremo Gesù se non essendo eternamente uno con Lui? Gesù caro, Gesù dolce, come dobbiamo ringraziarti di ogni S. Comunione che ci concedi! Non aveva forse ragione S. Gemma di dire che in Paradiso Ti avrebbe ringraziato dell'Eucaristia più che di ogni altra cosa? Quale miracolo di amore quell'essere interamente fusi con Te, Gesù!
    S. Cirillo di Alessandria, Padre della Chiesa, si serve di tre immagini per illustrare la fusione d'amore con Gesù nella S. Comunione: “Chi si comunica è santificato, divinizzato nel suo corpo e nella sua anima nel modo con cui l'acqua che è messa sul fuoco diventa bollente... La Comunione opera come il lievito immerso nella farina: fermenta tutta la massa... Nello stesso modo che fondendo insieme due ceri, la cera risulterà l'una nell'altra, così, io credo, chi si ciba della Carne e del Sangue di Gesù è con Lui fuso per tale partecipazione, e si trova a essere egli in Cristo e Cristo in lui”.
    Per questo S. Gemma Galgani parlava con stupore dell'unione eucaristica fra “Gesù tutto e Gemma nulla”, ed esclamava estatica: “Quanta dolcezza, Gesù, nella Comunione! Con Te abbracciata voglio vivere, con Te abbracciata voglio morire”. E il B. Contardo Ferrini scriveva: “La Comunione! Oh dolci amplessi del Creatore con la sua creatura! Oh elevazione ineffabile dello spirito umano! Che cosa ha il mondo che si possa paragonare a queste gioie purissime di cielo, a questi saggi della gloria eterna?”.
    Si pensi anche al valore trinitario della S. Comunione. Un giorno, S. Maria Maddalena de' Pazzi, dopo la Comunione, inginocchiata fra le novizie, con le braccia in croce, alzò gli occhi al cielo e disse: “Sorelle, se comprendessimo che nel tempo in cui durano in noi le specie eucaristiche, Gesù è presente e opera in noi inseparabilmente con il Padre e con lo Spirito Santo, e quindi c'è tutta la Trinità Santissima...”, e non potè finire di parlare, perchè rapita in sublime estasi.
    Per questo i Santi, quando potevano, non mettevano limiti di tempo al ringraziamento, che durava almeno mezz'ora. S. Teresa di Gesù raccomandava alle sue figlie: “Tratteniamoci amorevolmente con Gesù e non perdiamo l'ora che segue la Comunione: è un tempo eccellente per trattare con Dio e per sottoporgli gli interessi dell'anima nostra... Poiché sappiamo che Gesù buono resta in noi fino a quando il calore naturale non ha consumato gli accidenti del pane, dobbiamo avere grande cura di non perdere cosi bella occasione per trattare con Lui e presentargli le nostre necessità”.
    S. Francesco d'Assisi, S. Giuliana Falconieri, S. Caterina, S. Pasquale, S. Veronica, S. Giuseppe da Copertino, S. Gemma, e tanti altri, subito dopo la S. Comunione cadevano quasi sempre in estasi d'amore: e il tempo, allora, lo misuravano solo gli Angeli!
    S. Giovanni d'Avila, S. Ignazio di Loyola, S. Luigi Gonzaga facevano il ringraziamento in ginocchio per due ore. S. Maria Maddalena de' Pazzi non avrebbe mai voluto interromperlo, e bisognava costringerla, perché si nutrisse un po'. “I minuti che seguono la Comunione - diceva la Santa - sono i più preziosi che noi abbiamo nella vita; i più adatti da parte nostra per trattare con Dio, e da parte di Dio per comunicarci il suo amore”.
    S. Teresa di Gesù quasi sempre andava in estasi subito dopo la S. Comunione, e talvolta bisognava toglierla di peso dal comunichino delle Suore!
    S. Luigi Grìgnon de Montfort, dopo la S. Messa, si fermava almeno mezz'ora per il ringraziamento, e non c'era preoccupazione o impegno che valesse a farglielo omettere, poiché, diceva, “non darei quest'ora del ringraziamento neppure per un'ora di Paradiso”.
    L'Apostolo ha scritto: “Glorificate e portate Dio nel vostro corpo” (1 Cor. 6, 20). Ebbene, non c'è tempo in cui queste parole le realizziamo alla lettera come nel tempo subito dopo la S. Comunione. Che brutto, quindi, il comportamento di chi ha fatto la Comunione ed esce subito di Chiesa non appena finita la Messa, o addirittura subito dopo la Comunione! Ricordiamo l'esempio di S. Filippo Neri che fece accompagnare da due chierichetti con le candele accese quel tale che usciva di Chiesa appena fatta la Comunione... Che bella lezione! Se non altro per educazione, quando si riceve un ospite ci si intrattiene e ci si interessa di lui. Se poi quest'ospite è Gesù, allora dovremmo solo rammaricarci che la Sua presenza corporale in noi dura appena un quarto d'ora o poco più. A questo proposito, S. Giuseppe Cottolengo sorvegliava personalmente la confezione delle ostie per la Messa e per le Comunioni, e alla suora addetta aveva ordinato espressamente: “Le ostie per me fatele grosse, perché ho bisogno di trattenermi a lungo con Gesù, e non voglio che le sacre specie si consumino presto”.
    E S. Alfonso de' Liguori perché riempiva di vino il calice quasi fino all'orlo? Solo per possedere più a lungo nel suo corpo Gesù.
    Non siamo forse all'opposto dei Santi, noi, quando consideriamo il ringraziamento sempre troppo lungo e forse non vediamo l'ora che finisca? Attenti, però! Perchè se è vero che ad ogni Comunione Gesù “ricambia al centuplo l'accoglienza che gli si fa” (S. Teresa di Gesù), è anche vero che saremo responsabili al centuplo delle nostre mancate accoglienze. Un confratello di P. Pio da Pietrelcina ha raccontato che un giorno andò a confessarsi dal santo Frate, accusando fra l'altro qualche omissione del ringraziamento alla S. Messa per ragioni di ministero. Benevolo nel giudicare le altre mancanze, P. Pio, quando udi questa mancanza divenne serio, dal volto scuro, e disse con voce ferma: “Guardiamo che il non potere non sia il non volere. Il ringraziamento lo devi fare sempre, se no la paghi cara”!
    Pensiamoci, riflettiamoci seriamente. Per una cosa tanto preziosa come il ringraziamento, facciamo nostro l'ammonimento dello Spirito Santo: “Non perdere neppure la più piccola parte di un cosi grande bene” (Eccl. 14, 14).
    Particolarmente bello è il ringraziamento fatto in intima unione con la Madonna Annunziata. Subito dopo la S. Comunione, anche noi portiamo Gesù nelle nostre anime e nel nostro corpo, a somiglianza di Maria SS. Annunziata; e non potremmo adorare Gesù nè amarLo meglio che unendoci alla Divina Mamma, facendo nostri i sentimenti di adorazione e di amore che Ella nutrì verso Gesù Dio racchiuso nel suo seno immacolato. A questo fine, può essere utile la recita meditata dei misteri gaudiosi del Rosario. Proviamo. Non potremo che guadagnarci a stare uniti alla Madonna per amare Gesù con il suo Cuore di Paradiso!
    IL PANE DEI FORTI E IL VIATICO PER IL CIELO
    Dovrebbe essere superfluo dire che Gesù Eucaristico è per tutti il vero Pane dei forti, il nutrimento degli eroi, il sostegno dei martiri, il conforto degli agonizzanti.
    Nell’Eucaristia Gesù ripete i suoi amorosi richiami a noi travagliati e penanti in questa valle di lagrime: “Venite a Me, voi che siete affaticati e oppressi, e lo vi ristorerò” (Matt. 21, 28). È vero che “la vita dello uomo è un combattimento su questa terra” (Giob. 7, 1); è vero che i seguaci di Gesù “saranno perseguitati” come il loro Signore (Matt. 5, 10; 2 Tim. 3, 12); è vero che “coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze” (Gal. 5, 24), e debbono vivere “morti al mondo” (Gal. 6, 34); ma è anche vero che con Gesù “io posso tutto” (Fil: 4, 13), perché Gesù è “tutto” (Giov. 1, 3; Col. 1, 17) e nella S. Comunione si fa proprio “tutto mio”. E allora “che ho da temere? - posso dire con la Serva di Dio Luisa M. Claret de la Touche - Colui che mantiene il mondo sui suoi poli è in me. Il Sangue di un Dio circola nelle mie vene. Non temere anima mia: Il Signore del mondo ti ha preso fra le sue braccia e vuole che ti riposi in Lui”.
    Per questo S. Vincenzo de’ Paoli poteva chiedere ai suoi missionari: “Quando avete ricevuto nei cuori Gesù ci può essere un sacrificio impossibile per voi?”. E S. Vincenzo Ferreri, nei due anni di carcere che dovette patire come perseguitato, “sovrabbondò di gioia fra i travagli” (2 Cor. 7, 4), perché riuscì a ottenere di poter celebrare ogni giorno la S. Messa fra i ceppi, le catene e l’oscurità della galera. La stessa forza ed esultanza invase Santa Giovanna d’Arco quando le fu concesso di ricevere Gesù Eucaristico prima di salire sul rogo. Entrato Gesù nel tetro carcere, la santa si gettò in ginocchio fra le catene, ricevette Gesù e si raccolse in profonda preghiera. Appena chiamata per andare alla morte, si alzò e s’incamminò senza interrompere le preghiere, salì sul rogo e morì tra le fiamme, sempre unita a Gesù che le dimorava nell’anima e nel corpo immolato.
    Ma tutta la storia dei martiri, da S. Stefano protomartire, all’angelico martire S. Tarcisio, ai martiri più recenti, attesta la forza sovrumana che l’Eucarestia dona nella lotta contro il demonio e contro tutte le forze demoniache che operano sulla terra (1 Piet. 5, 9).
    Per riferire un solo esempio più recente, anni fa, nella Cina comunista, alcune Suore vennero arrestate e messe insieme ad altri prigionieri con la proibizione perfino di pregare. Le guardie sorvegliavano i loro gesti, la posizione del corpo, l’atteggiamento del volto e i movimenti delle labbra, per punire duramente ogni infrazione. Le poverine bramavano soprattutto una cosa: l’Eucaristia. Una vecchia cristiana si offrì al Vescovo per portare a loro segretamente le Ostie consacrate avvolte in un fazzoletto, e usò uno stratagemma ben riuscito. Si presentò alle prigioniere, davanti alle guardie, come stravolta dalla collera, vomitando una valanga di ingiurie contro le Suore; al momento propizio, però, passò lo involtino nella mano di una Suora, e lasciò la prigione, promettendo alle guardie che sarebbe tornata a... insultare le Suore!
    Infine, ricordiamo il conforto celeste che la S. Comunione arreca agli infermi, e non solo alle loro anime, ma anche ai corpi, a volte prodigiosamente risanati. A S. Liduina e ad Alexandrina Da Costa, ad esempio, sparivano d’incanto le terribili sofferenze fisiche per tutto il tempo di durata delle sacre Specie nel loro corpo. Lo stesso, a S. Lorenzo da Brindisi e a S. Pietro Claver, quando celebravano la S. Messa, cessavano tutti i dolori delle gravi malattie da cui erano tormentati.
    Più consolante di tutte, però, è l’ultima S. Comunione, quella detta Viatico, ossia cibo per il viaggio da questa all’altra vita. Come ci tenevano i Santi a riceverlo per tempo e con le migliori disposizioni!
    Quando S. Domenico Savio fu mandato a casa perché gravemente ammalato, il medico del suo paese gli dette buone speranze di guarigione; ma il santo giovanetto chiamò suo papà e gli disse: “Papà, sarà bene fare un consulto con il Medico Celeste. Io desidero confessarmi e ricevere la Comunione”.
    Quando la salute di S. Antonio M. Claret cominciò a destare serie apprensioni, furono chiamati due medici per un consulto. Avvertito, il Santo intui la gravità del male, e disse ai suoi: “Ho capito, ma prima pensiamo all’anima, poi al corpo”; e volle ricevere subito i Sacramenti; poi fece entrare i due medici, e disse loro: “Ora fate quello che volete”.
    Prima l’anima e poi il corpo. Possibile che non lo comprendiamo? Eppure, spesso noi siamo così incoscienti che ci affanniamo tanto a portare il medico al letto di un ammalato, mentre ci riduciamo a chiamare il Sacerdote solo all’ultimo momento, quando magari l’infermo non è in grado di ricevere i Sacramenti con piena coscienza o addirittura non può neppure riceverli. Stupidi e stolti che siamo! Come non ci rendiamo conto che se non chiamiamo a tempo il Sacerdote mettiamo a rischio l’eterna salvezza del morente e lo priviamo del sostegno e del conforto più grande che si possa ricevere in quegli estremi momenti?
    L’Eucaristia è il supremo pegno di vita del cristiano su questa povera terra d’esilio. “Il corpo nostro - scrive S. Gregorio Nisseno - unito al Corpo di Cristo acquista un principio d’immortalità, perché si unisce all’Immortale”. Quando la vita caduca del corpo viene meno, ecco Gesù, ecco Colui che è la Vita eterna. Egli si dona a noi nella Comunione per essere la Vita vera e perenne della nostra anima immortale, per essere la Resurrezione del nostro corpo mortale: “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna” (Giov. 6, 55), “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Giov. 6, 59), perché “lo sono la resurrezione e la vita” (Giov. 11, 25).
    Il S. Viatico: che grazia! Quando il S. Curato d’Ars, moribondo, sentì il suono del campanello che annunciava l’arrivo del S. Viatico, si commosse fino alle lagrime, e disse: “Come trattenersi dal piangere quando Gesù viene a noi per l’ultima volta con tanto amore?”.
    Si, Gesù Eucaristico è l’Amore divenuto mio cibo, mia forza, mia vita, mio cuore. Ogni volta che Lo ricevo, in vita come in morte, Egli si fa mio per farmi Suo. Si: Lui tutto mio e io tutto Suo. L’uno nell’altro, l’uno dello altro (Giov. 6, 58). Questa è la pienezza dell’Amore per l’anima e per il corpo, sulla terra e nei Cieli.
    OGNI GIORNO CON LUI
    Gesù sta nel Tabernacolo per me. Lui è il pane della mia vita soprannaturale. Lui è il cibo della mia anima. “La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda” (Giov. 6, 56). Se voglio nutrirmi spiritualmente ed essere pieno di vita debbo ricevere Lui: “Se non mangiate la mia Carne e non bevete il mio Sangue non avrete la vita in voi” (Giov. 6, 54). S. Agostino ci fa sapere che i suoi fedeli della Chiesa d’Africa chiamavano l’Eucaristia con la parola “Vita”; quando decidevano di accostarsi alla mensa eucaristica, dicevano: “Andiamo alla Vita”. Espressione mirabile!.
    Per sostenere il mio organismo soprannaturale debbo nutrirlo: e l’Eucaristia è appunto il “Pane di vita” (Giov. 6, 35), il “Pane disceso dal cielo” (Giov. 6, 59) che dona e rinnova, conserva e accresce le energie spirituali della anima. S. Pietro G. Eymard arriva a dire: “La Comunione è così necessaria a noi per sostenere la nostra vita cristiana, come è necessaria agli Angeli la visione di Dio per mantenere la loro vita gloriosa”.
    Ogni giorno debbo nutrire la mia anima, come ogni giorno nutro il mio corpo per donargli vigore. S. Agostino insegna: “L’Eucaristia è un pane quotidiano che si prende a rimedio della nostra quotidiana debolezza”. E S. Pietro G. Eymard aggiunge: “Gesù ha preparato non un’Ostia soltanto, ma una per ogni giorno della nostra vita. Le nostre Ostie sono preparate: non perdiamone neppure una”.
    Gesù è l’Ostia d’amore così soave e salutare da far esclamare a S. Gemma Galgani: “Sento un gran bisogno di essere rinvigorita da quel cibo tanto dolce che mi dà Gesù. Questo tratto d’amore che Gesù mi fa ogni mattina, mi intenerisce e attira a sé tutti gli affetti del mio cuore”.
    Per i Santi, la Comunione quotidiana è un’imperiosa esigenza di Vita e di Amore, corrispondente alla brama divina di Gesù di donarsi per essere la Vita e l’Amore di ogni anima. Non dimentichiamoci che il Giovedì Santo fu il giorno da Gesù “tanto desiderato” (Luc. 22, 15). Perciò il S. Curato d’Ars diceva con passione: “Ogni Ostia consacrata è fatta per struggersi d’amore in un cuore umano”. E S. Teresina scriveva alla sorella: “Non è per restare in una pisside d’oro, che Gesù discende ogni giorno dal cielo, ma per trovare un altro cielo, quello della nostra anima, dove Egli trova le sue delizie”; e quando un’anima, potendolo, non vuole ricevere Gesù nel suo cuore, “Gesù piange”; per questo, continua ancora S. Teresina, “quando il demonio non può entrare col peccato nel santuario di un’anima, vuole almeno che essa sia vuota, senza padrone, e allontana dalla Comunione”. È evidente, infatti, che si tratta di insidia diabolica, perché solo il demonio può avere interesse a tenerci lontani da Gesù. Stiamo all’erta, quindi. Cerchiamo di non cadere negli inganni del demonio: “Fate in modo di non perdere nessuna Comunione - raccomanda S. Margherita M. Alacoque - ; noi non sapremmo dare maggior gioia al nostro nemico, il demonio, che ritirandoci da Gesù, il quale gli toglie il potere che ha sopra di noi”.
    La Comunione quotidiana è sorgente quotidiana di amore, di forza, di luce, di gioia, di coraggio, di ogni virtù e di ogni bene. “Chi ha sete venga a Me e beva” (Giov. 7, 37), ha detto Gesù; Egli solo è la “fonte di acqua zampillante per la vita eterna” (Giov. 4, 14). Come è possibile che ci sia chi non voglia o trovi difficoltà ad accostarsi ogni giorno a questa divina “mensa del Signore” (1 Cor. 10, 21)?
    S. Tommaso Moro, Gran Cancelliere d’Inghilterra, morto martire per essersi opposto allo scisma, ascoltava ogni mattina la S. Messa e riceveva la S. Comunione. Alcuni amici cercavano di fargli notare che una tale assiduità non era conveniente ad un laico immerso in tanti affari di stato. “Voi mi opponete - rispondeva il Santo - tutte quelle ragioni che invece mi convincono di più a ricevere la S. Comunione ogni giorno. La mia dissipazione è grande, e con Gesù io imparo a raccogliermi. Le occasioni di offendere Dio sono frequenti, e io prendo ogni giorno forza da Lui per fuggirle. Ho bisogno di lumi e di prudenza per sbrigare affari molto difficili, e ogni giorno posso consultare Gesù nella S. Comunione: Egli è il mio grande Maestro”.
    Al celebre biologo Banting fu chiesto una volta perché ci tenesse tanto alla Comunione quotidiana. “Avete mai pensato - rispose - che avverrebbe se ogni notte non scendesse la rugiada dal cielo? Nessuna pianta potrebbe svilupparsi; le erbe e i fiori non reggerebbero alla traspirazione che il calore diurno provoca in un modo o nell’altro. Il recupero di forze, il refrigeramento, l’equilibrio degli umori linfatici, e la vita stessa delle piante son dovuti alla rugiada...”. Fatta una pausa, continuò: “Anche la mia anima è come una piantina: qualcosa di delicato su cui vento e calore imperversano ogni giorno. Allora è necessario che ogni mattina io vada a fare il mio rifornimento di rugiada spirituale, accostandomi alla S. Comunione”.
    S. Giuseppe Cottolengo raccomandava ai medici della “Casa della Divina Provvidenza” di ascoltare la Messa e fare la Comunione, prima di impegnarsi in difficili operazioni chirurgiche, perché, diceva, “la medicina è una grande scienza, ma il grande medico è Dio”. E il beato Giuseppe Moscati, celebre medico di Napoli, si regolava appunto così: si industriava fino all’incredibile (a costo di sacrifici anche enormi, specie a causa dei frequenti viaggi da fare) per non perdere la Comunione quotidiana; ma se qualche giorno gli era proprio impossibile comunicarsi, quel giorno non aveva coraggio di fare le visite mediche, perché, diceva, “senza Gesù non ho lumi sufficienti per i poveri ammalati”.
    Oh! la passione dei Santi per la Comunione quotidiana! Chi può ridirla? S. Giuseppe da Copertino, che non mancò di unirsi ogni giorno al suo Diletto, arrivò a dire una volta ai suoi confratelli: “Sappiate che quel giorno in cui non potrò ricevere lo Pecoriello (così chiamava confidenzialmente l’Agnello Divino) passerò all’altra vita”. Difatti, soltanto un giorno la violenza del male gli impedi di ricevere Gesù Eucaristico: il giorno della morte!
    Quando il papà di S. Gemma Galgani, preoccupato per la salute della figlia, la rimproverò perché ogni mattina usciva troppo presto per andare a Messa, sentì rispondersi dalla santa figlia: “Ma papà, a me mi fa male stare lontana da Gesù Sacramentato”.
    Quando S. Caterina da Genova seppe dell’interdetto che gravava sulla sua città con la proibizione di celebrare la S. Messa e di distribuire la Comunione, ogni mattina si recava a piedì fuori Genova fino a un lontano Santuario, per potersi comunicare. Le fu detto che esagerava; e la Santa rispose: “Se dovessi percorrere miglia e miglia sui carboni accesi pur di arrivare a ricevere Gesù, direi quella via facile come se camminassi su un tappeto di rose”.
    Impariamo la lezione, noi che forse abbiamo la Chiesa a pochi passi, ove recarci a nostro agio per ricevere Gesù nel cuore. E anche se dovesse costarci qualche sacrificio, non ne varrebbe forse la pena?
    Ma c’è di più ancora, se pensiamo che i Santi avrebbero desiderato comunicarsi non una volta sola, ma più volte al giorno. A una figlia spirituale che in buona fede vantava il suo eroismo nel comunicarsi tutti i giorni, P. Pio da Pietrelcina una volta disse: “Figlia mia, se si potesse, farei dieci Comunioni al giorno con tutto il cuore!”. E quella volta che un figlio spirituale si accusò in confessione di aver fatto, per pura dimenticanza, due Comunioni nella stessa mattinata, P. Pio illuminandosi disse: “Beata dimenticanza!”.
    Avanti! non facciamoci pregare per fare una cosa così santa come la Comunione quotidiana, a cui attingere ogni bene per l’anima e per il corpo.
    Per l’anima. S. Cirillo di Gerusalemme. Padre e Dottore della Chiesa, scrive: “Se il veleno dell’orgoglio ti gonfia, ricorri all’Eucaristia, e il Pane, sotto le cui apparenze si è annichilato il tuo Dio, t’insegnerà l’umiltà. Se in te arde la febbre dell’avarizia, cibati di questo pane, e imparerai la generosità. Se ti rattrista il vento gelido dell’avarizia, ricorri al Pane degli Angeli, e nel tuo cuore spunterà rigogliosa la carità. Se ti senti spinto dall’intemperanza, cibati della Carne e del Sangue di Cristo, che nella vita terrena praticò sì eccellentemente la sobrietà, e diverrai temperante. Se sei pigro e indolente nelle cose spirituali, rinforzati con questo cibo celeste, e diverrai fervente. Se, infine, ti senti ardere dalla febbre dell’impurità, accostati al banchetto degli Angeli, e la Carne immacolata di Cristo ti farà puro e casto”.
    Quando si volle sapere come avesse fatto S. Carlo Borromeo a conservarsi puro e delicato tra i suoi giovani coetanei dissipati e frivoli, si scoprì il suo segreto: la Comunione frequente. E fu lo stesso S. Carlo a raccomandare la Comunione frequente al ragazzo Luigi Gonzaga, divenuto il santo tutto angelico e liliale. Veramente l’Eucaristia si rivela “frumento degli eletti e vino che fa germogliare i vergini” (Zac. 9, 17). E S. Filippo Neri, conoscitore profondo dei giovani, diceva: “La devozione al SS. Sacramento e la devozione alla Vergine sono, non il migliore, ma l’unico mezzo per conservare la purezza. Non vi è che la Comunione che può conservare puro un cuore a venti anni... Non ci può essere castità senza Eucaristia”. È verissimo.
    Per il corpo. Quante volte a Lourdes non si è ripetuto per l’Eucaristia quel che il Vangelo dice di Gesù: “usciva da lui una virtù e guariva tutti” (Luc. 8, 46)? Quanti corpi non sono stati sanati dal dolce Signore racchiuso nei candidi veli? Quanti poveri e sofferenti non hanno ricevuto, con il Pane eucaristico, il pane della salute, del sostentamento, della Provvidenza?... S. Giuseppe Cottolengo un giorno si avvide che parecchi ricoverati della “Casa della Provvidenza” non si erano accostati a ricevere la S. Comunione. La Pisside era rimasta piena. Proprio in quel giorno scarseggiava il pane. Il Santo, deposta la Pisside sull’altare, si voltò e disse con grande animazione queste parole più che espressive: “Pisside piena, sacchi vuoti!”.
    Proprio così. Gesù è la pienezza di vita e di amore della mia anima. Senza di Lui resto vuoto e arido. Con Lui, invece, possiedo ogni giorno le riserve infinite di ogni bene, purezza e gioia.
    LA COMUNIONE SPIRITUALE
    La Comunione Spirituale è la riserva di vita e di amore eucaristico sempre a portata di mano per gli innamorati di Gesù Ostia. Mediante la Comunione Spirituale, infatti, vengono soddisfatti i desideri d’amore dell’anima che vuole unirsi a Gesù suo Diletto Sposo. La Comunione spirituale è unione d’amore fra l’anima e Gesù Ostia. Unione tutta spirituale, ma reale più reale della stessa unione fra l’anima e il corpo, “perché la anima vive più dove ama che dove vive”, dice S. Giovanni della Croce.
    La Comunione spirituale suppone, è evidente, la fede nella Presenza Reale di Gesù nei Tabernacoli; comporta il desiderio della Comunione Sacramentale; esige il ringraziamento per il dono ricevuto da Gesù. Tutto questo è espresso con semplicità e brevità nella formula di S. Alfonso de’ Liguori: “Gesù mio, credo che voi siete nel SS. Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa. Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore... (pausa). Come già venuto, Vi abbraccio e tutto mi unisco a Voi. Non permettete che io mi abbia mai a separare da voi”.
    La Comunione spirituale produce gli stessi effetti della Comunione Sacramentale a seconda delle disposizioni con cui si fa, della maggiore o minore carica di affetto con cui si desidera Gesù, dell’amore più o meno intenso con cui si riceve Gesù e ci si intrattiene con Lui.
    Privilegio esclusivo della Comunione spirituale è quello di poter essere fatta quante volte si vuole (anche centinaie di volte al giorno), quando si vuole (anche in piena notte), dove si vuole (anche in un deserto o su... un aereo in volo).
    È conveniente fare la Comunione spirituale specialmente quando si assiste alla S. Messa e non si può fare la Comunione sacramentale. All’atto in cui il Sacerdote si comunica, l’anima si comunichi anch’ella chiamando Gesù nel suo cuore. In questo modo ogni Messa ascoltata è completa: offerta, immolazione, comunione.
    Quanto sia preziosa la Comunione spirituale lo disse Gesù stesso a S. Caterina da Siena in una visione. La Santa temeva che la Comunione spirituale non avesse nessun valore rispetto alla Comunione sacramentale. Gesù in visione le apparve con due calici in mano, e le disse: “In questo calice d’oro metto le tue Comunioni sacramentali; in questo calice d’argento metto le tue Comunioni spirituali. Questi due calici mi sono tanto gràditi”.
    E a S. Margherita Maria Alacoque, molto assidua nel mandare i suoi desideri di fiamma a chiamare Gesù nel Tabernacolo, una volta Gesù disse: “Mi è talmente caro il desiderio di un’anima di ricevermi, che lo mi precipito in essa ogni volta che mi chiama con i suoi desideri”.
    Quanto sia stata amata dai Santi la Comunione spirituale non ci vuol molto a intuirlo. La Comunione spirituale soddisfa almeno in parte a quell’ansia ardente di essere sempre “uno” con chi si ama. Gesù stesso ha detto: “Rimanete in Me e io rimarrò in voi” (Giov. 15, 4). E la Comunione spirituale aiuta a restare uniti a Gesù, sebbene lontani dalla sua dimora. Altro mezzo non c’è per placare gli aneliti di amore che consumano i cuori dei Santi. “Come una cerva anela ai corsi delle acque, così la mia anima anela a Te, o Dio” (Salm. 41, 2): è il gemito amoroso dei Santi. “O Sposo mio diletto - esclama S. Caterina da Genova - io desidero talmente la gioia di stare con te, che, mi pare, se fossi morta risusciterei per riceverti nella Comunione”. E la B. Agata della Croce provava così acuto il desiderio di vivere sempre unita a Gesù Eucaristico, che ebbe a dire: “Se il confessore non mi avesse insegnato a fare la Comunione spirituale, non avrei potuto vivere”.
    Per S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe, ugualmente, la Comunione spirituale era l’unico sollievo al dolore acuto che provava nello stare chiusa in casa, lontana dal suo Amore, specialmente quando non le era concesso di fare la Comunione sacramentale. Allora saliva sul terrazzo della casa e guardando la Chiesa sospirava fra le lagrime: “Beati coloro che oggi ti hanno ricevuto nel Sacramento, Gesù. Fortunate le mura della Chiesa che custodiscono il mio Gesù. Beati i Sacerdoti che sono sempre vicini a Gesù amabilissimo”. E solo la Comunione spirituale poteva placarla un po’.
    Ecco uno dei consigli che P. Pio da Pietrelcina dava a una sua figlia spirituale: “Nel corso del giorno, quando non ti è permesso di fare altro, chiama Gesù, anche in mezzo a tutte le tue occupazioni, con gemito rassegnato dell’anima, ed egli verrà e resterà sempre unito con la anima mediante la sua grazia e il suo santo amore. Vola con lo spirito dinanzi al Tabernacolo, quando non ci puoi andare col corpo, e là sfoga le ardenti brame ed abbraccia il Diletto delle anime meglio che se ti fosse dato di riceverlo sacramentalmente”.
    Approfittiamo anche noi di questo grande dono. Specialmente nei momenti di prova o di abbandono, che cosa ci può essere di più prezioso dell’unione con Gesù Ostia mediante la Comunione Spirituale? Questo santo esercizio può riempirci le giornate di amore come d’incanto, può farci vivere con Gesù in un abbraccio d’amore che dipende solo da noi rinnovare spesso fino a non interromperlo pressoché mai.
    S. Angela Merici aveva la passione amorosa della Comunione Spirituale. Non soltanto la faceva spesso ed esortava a farla, ma arrivò a lasciarla come “eredità” alle sue figlie perche la praticassero perpetuamente.
    La vita di S. Francesco di Sales non dovette forse essere tutta una catena di Comunioni spirituali? Era suo proposito fare una Comunione spirituale almeno ogni quarto d’ora. Lo stesso proposito l’aveva fatto il B. Massimiliano M. Kolbe fin da giovane. E il Servo di Dio Andrea Beltrami ci ha lasciato una breve pagina del suo diario intimo che è un piccolo programma di vita vissuta in Comunione spirituale ininterrotta con Gesù Eucaristico. Ecco le sue parole: “Ovunque mi trovi, penserò sovente a Gesù in Sacramento. Fisserò il mio pensiero al S. Tabernacolo anche quando mi svegliassi di notte, adorandolo da dove mi trovo, chiamando Gesù in Sacramento, offrendogli l’azione che sto facendo. Stabilirò un filo telegrafico dallo studio alla Chiesa, un altro dalla camera, un terzo dal refettorio; e manderò più sovente che mi sarà possibile dei dispacci d’amore a Gesù in Sacramento”. Quale continua corrente d’amore divino su quei cari... fili telegrafici!
    Di queste e simili sante industrie i Santi sono stati molto attenti a servirsi per dare sfogo alla piena del loro cuore che non si saziava mai d’amare. “Più Ti amo, meno Ti amo - esclamava Santa Francesca Saverio Cabrini - perché di più vorrei amarTi. Non ne posso più... dilata, dilata il cuor mio...”.
    Quando S. Rocco da Montpellier passò cinque anni carcerato perché ritenuto un pericoloso vagabondo, nel carcere stava sempre con gli occhi fissi al finestrino, pregando. Il carceriere gli chiese: “Che guardi?”. Il Santo gli rispose: “Guardo il campanile della Parrocchia”. Era il richiamo di una Chiesa, di un Tabernacolo, di Gesù Eucaristico suo indivisibile amore.
    Anche il S. Curato d’Ars diceva ai fedeli: “Alla vista di un campanile voi potete dire: là è Gesù, perché là un Sacerdote ha celebrato la Messa”. E il B. Luigi Guanella, quando accompagnava in treno i pellegrinaggi ai Santuari, raccomandava sempre ai pellegrini di rivolgere il pensiero e il cuore a Gesù ogni volta che vedevano un campanile dal finestrino del treno. “Ogni campanile - diceva - ci richiama a una Chiesa, nella quale è un Tabernacolo, si celebra la Messa, sta Gesù”.
    Irnpariamo dai Santi anche noi. Vogliano essi comunicarci qualche fiamma dell’incendio di amore che consumava i loro cuori. Ma mettiamoci anche noi all’opera, facendo molte Comunioni spirituali, specialmente nei momenti più impegnativi della giornata. Allora anche in noi avverrà presto l’incendio d’amore, perché è consolantissimo quel che ci assicura S. Leonardo da Porto Maurizio: “Se voi praticate parecchie volte al giorno il santo esercizio della Comunione spirituale, vi dò un mese di tempo per vedere il vostro cuore tutto cambiato”. Appena un mese: inteso?




 

 
Pagina 3 di 9 PrimaPrima ... 234 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Solennità del Corpus Domini
    Di Colombo da Priverno nel forum Tradizione Cattolica
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 15-06-20, 02:39
  2. Lo scandalo del Corpus Domini
    Di UgoDePayens nel forum Cattolici
    Risposte: 24
    Ultimo Messaggio: 13-07-11, 15:20
  3. Corpus Domini
    Di Colombo da Priverno nel forum Cattolici
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 24-05-08, 20:32
  4. Omelia Benedetto XVI al Corpus Domini
    Di Gilbert (POL) nel forum Cattolici
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 27-05-05, 09:03
  5. Corpus Domini e Ratzinger
    Di Gilbert (POL) nel forum Cattolici
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 26-05-05, 18:42

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito