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    Predefinito 13 giugno - S. Antonio da Padova, Dottore della Chiesa

    Per singolare coincidenza, quest'anno 2004, la Solennità del Corpus Domini si sovrappone a quella del Santo di Padova, Antonio, uno dei santi più amati dalla devozione popolare, oltre che insigne Dottore della Chiesa.
    Per onorare questa insigne figura, apro questo thread

    Augustinus

    *****
    dal sito SANTI E BEATI:

    Sant' Antonio di Padova Sacerdote e dottore della Chiesa

    13 giugno - Memoria

    Lisbona, Portogallo, c. 1195 - Padova, 13 giugno 1231

    Di nobile famiglia, dopo un'intensa vita ascetica presso i Canonici regolari agostiniani di Coimbra, passò fra i Minori di San Francesco d'Assisi, con il quale si incontrò alla Porziuncola (1221). Predicatore del Vangelo, esercitò il suo ministero dell'Italia del nord e nella Francia meridionale. Combatté l'eresie, facendo opera di evangelizzazione. Della sua predicazione restano significative testimonianze nei suoi scritti omiletici. Taumaturgo, fu maestro di dottrina spirituale e di teologia e ravvisò la perfezione nell'accordo tra la vita contemplativa e la vita attiva. E' universalmente venerato dal popolo cristiano. Le reliquie del Santo si custodiscono nella basilica omonima, che è meta di continui pellegrinaggi. (Mess. Rom.)

    Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra gli agostiniani. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentondosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella. (Avvenire)

    Patronato: Affamati, oggetti smarriti, Poveri

    Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

    Emblema: Giglio, Pesce

    Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, sacerdote e dottore della Chiesa, che, nato in Portogallo, già canonico regolare, entrò nell’Ordine dei Minori da poco fondato, per attendere alla diffusione della fede tra le popolazioni dell’Africa, ma esercitò con molto frutto il ministero della predicazione in Italia e in Francia, attirando molti alla vera dottrina; scrisse sermoni imbevuti di dottrina e di finezza di stile e su mandato di san Francesco insegnò la teologia ai suoi confratelli, finché a Padova fece ritorno al Signore.

    Martirologio tradizionale (13 giugno): A Padova sant'Antonio Portoghese, Sacerdote dell'Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi.

    Fernando di Buglione (il nome completo è Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo) nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
    A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l'ordine agostiniano. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa. Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi.
    Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell'abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
    Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
    E' mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito "arca del Testamento". Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d'asma ed è gonfio per l'idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
    A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell'Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
    Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano "guerre intestine" tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
    Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX.
    La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
    Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
    Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

    Autore: Maurizio Valeriani





    Vicente Carducho, Visione di S. Antonio di Padova, 1631, Hermitage, San Pietroburgo






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    Alvise Vivarini, Sacra Conversazione tra la Vergine ed il Bambino ed i SS. Ludovico di Tolosa, Antonio di Padova, Anna, Gioacchino, Francesco d'Assisi e Bernardino da Siena, 1480, Gallerie dell'Accademia, Venezia

    Giorgione (o Tiziano Vecellio?), Madonna con Bambino tra i SS. Antonio di Padova e Rocco, 1510, Museo del Prado, Madrid

    Filippino Lippi, Madonna con Bambino con S. Antonio di Padova ed un frate, prima del 1480, Museum of Fine Arts, Budapest

    Friedrich Pacher, SS. Francesco d'Assisi e Antonio di Padova, 1477, Museum of Fine Arts, Budapest

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    Antonio Campi, Madonna col bambino e i SS. Giuseppe, Giovanni, Antonio da Padova, ecc., Chiesa di S. Maria degli Angeli, Roncole di Busseto

    Gaetano Lapis, Visione di S. Antonio di Padova, 1740, Comune di Frontone

    Giorgione, Madonna con Bambino e SS. Antonio di Padova e Giorgio, Duomo di Castelfranco Veneto

    Guercino, Visione di S. Antonio di Padova, 1659, Rimini

    Giuseppe Danedi detto il Montalto, Visione di S. Antonio di Padova, XVII sec., Origgio

    Claudio Coello, S. Antonio di Padova, XVI sec., Museo de Bellas Artes de La Coruña, Museo del Prado, Madrid

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    Cosme Tura, S. Antonio di Padova, Museo del Louvre, Parigi

    Antonio de Pereda, S. Antonio di Padova ed il Bambin Gesù, Museum of Fine Arts, Budapest

    Giovanni Battista Piazzetta, Angelo Custode con i SS. Antonio di Padova e Gaetano da Thiene, 1729 circa, San Vitale, Venezia

    Francisco de Zurbaran, Visione di S. Antonio di Padova, 1630-33




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    Predefinito Dai «Sermoni» di sant'Antonio di Padova, sacerdote (I, 226)

    Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.
    Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: «Perciò, eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, che muovono la lingua per dare oracoli. Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore» (Ger 23, 30-32).
    Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.

    Sir Antony van Dyck, Visione di S. Antonio di Padova, 1628-32, Pinacoteca di Brera, Milano



    Bartolomé Esteban Murillo, S. Antonio di Padova, Museo de Bellas de Arte, Siviglia

    Francisco de Herrera il Monco, S. Antonio di Padova, Museo del Prado, Madrid

    Claudio Coello, Visione di S. Antonio di Padova, 1663

    Antonio Paroli, SS. Antonio abate ed Antonio di Padova, XVIII sec., Narodni galeriji, Lubiana

    Francesco Pavona, Gesù bambino tra i Santi Antonio di Padova e Giuseppe, XVIII sec., Nova Gorica

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    El Greco, S. Antonio di Padova, 1586 circa, Museo del Prado, Madrid

    Francisco de Zurbarán, S. Antonio di Padova, Museo del Prado, Madrid

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    Aug.

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    Predefinito Ecce crucem Domini

    La tradizione popolare tramanda che Sant'Antonio diede una preghiera ad una povera donna che cercava aiuto contro le tentazioni del demonio.
    Sisto V, papa francescano, ha fatto scolpire la preghiera - detta anche motto di Sant'Antonio - alla base dell'obelisco fatto da lui erigere in Piazza San Pietro a Roma. Eccola nell'originale latino:

    Ecce Crucem Domini!
    Fugite partes adversae!
    Vicit Leo de tribu Juda,
    Radix David! Alleluia!

    tradotto

    Ecco la Croce del Signore!
    Fuggite forze nemiche!
    Ha vinto il Leone di Giuda,
    La radice di Davide! Alleluia!

    Questa breve preghiera ha tutto il sapore di un piccolo esorcismo. Anche noi possiamo usarla - in latino o in italiano - per aiutarci a superare le tentazioni che si presentano.

    FONTE

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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA PER IL 50° ANNIVERSARIO DELL'ATTRIBUZIONE
    A SANT'ANTONIO DEL TITOLO DI DOTTORE DELLA CHIESA


    Al Reverendissimo Padre Bonaventura Midili T. O. R.
    Presidente di turno dell’Unione dei Ministri Generali Francescani

    1. La ricorrenza cinquantenaria dell’attribuzione a sant’Antonio del titolo di Dottore della Chiesa mi offre la gradita occasione per ricordarne la significativa figura di maestro di teologia e di spiritualità. Egli, “al quale - come scrisse un suo contemporaneo - Iddio diede ‘l’intelligenza delle Scritture’ e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele” (1 Cel XVIII, 48: FF 407), risplende nel vasto panorama di santità della Chiesa per la genuinità del profilo evangelico dei suoi insegnamenti. Per tale ragione, il mio Predecessore Pio XII, il 16 gennaio 1946, lo iscrisse nell’albo dei Dottori della Chiesa universale, additandolo quale maestro sicuro della verità rivelata.

    In quella circostanza il Papa, con la Lettera apostolica Exulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude (cf. AAS 38 [1946], 200-204), invitò al gaudio ed all’esultanza i fedeli del Portogallo, terra che diede i natali al Santo, e gli abitanti della città di Padova, che ne custodisce i resti mortali.

    Nella Lettera che ho inviato alle Famiglie Francescane per commemorare l’ottavo centenario della nascita del Santo, ricordavo che “dalla sete di Dio, dall’anelito verso Cristo nasce la teologia, che per sant’Antonio era irradiazione dell’amore a Cristo [...]; egli visse questo metodo di studio con una passione che lo accompagnò per tutta la sua vita francescana” (n. 4: AAS 86 [1994], 970). Le celebrazioni da poco concluse hanno riproposto la figura di Antonio quale uomo evangelico rivestito di sapienza e di carità.

    2. L’intensa formazione culturale, teologica e biblica hanno aiutato il primo Lettore di Teologia dell’Ordine Serafico a percorrere la via di una assidua ricerca di Dio, alimentata da intensa pietà e da insaziata nostalgia della contemplazione. In tale itinerario, la Sacra Scrittura, costantemente meditata secondo il ritmo scandito dalla liturgia della Chiesa, divenne la fonte primaria di conoscenza per la sua teologia, così che questa fu per lui “il canto nuovo, che risuona soavemente agli orecchi di Dio e rinnova lo spirito” (Sermones, I, 255).

    Accostando le Scritture attraverso i libri dell’orazione e delle celebrazioni della Chiesa, egli contemplò e predicò i misteri di Cristo, “modello dell’umiltà e della pazienza”, “Salvatore e re”, “Servo povero e obbediente” da seguire sino alla Croce, in compagnia della sua Santissima Madre, “la Vergine poverella”.

    Di fronte ad un contesto sociale che stava elaborando prospettive etiche e culturali innovatrici insieme con modelli di spiritualità e di culto ispirati ad un evangelismo senza Chiesa, il Dottore evangelico ripropose con chiarezza e forza una nuova evangelizzazione che non fosse soltanto un’esortazione morale, ma un cammino nella Chiesa e con la Chiesa.

    La sequela Christi, così cara al movimento minoritico, lo spinse a insistere con particolare intensità sull’aurea paupertas, che non è soltanto il distacco dalle cose del mondo, ma prima di tutto è riaffermazione del primato di Dio nella vita dell’uomo ed è affascinante desiderio delle “cose celesti” (Sermones, III, 86).

    3. Soltanto la Chiesa, pur nella fragilità dei suoi figli, sorretta dall’azione dello Spirito ed abitata dallo splendore della Verità, resta la “terra buona e feconda” dove l’annuncio evangelico porta frutto, perché‚ “la verità della fede stessa nasce dalla madre Chiesa. La Verità però precedette, affinché‚ la Chiesa la seguisse” (Sermones, III, 196). E la Chiesa segue Cristo che afferma “Io sono la verità” (Gv 14,6). Essa - scrive il Santo - è il totum Christi corpus (Sermones, I, 55), che si lascia guidare da lui, per poter essere preservata dai pericoli (cf. Sermones, I, 493).

    Sant’Antonio ha annunciato questa Verità, diffondendola nei sermoni tra i suoi contemporanei “come rugiada che discende dal cielo e reca sollievo alla terra assetata”, per usare l’immagine del mio predecessore, il Papa Sisto V (cf. Bolla Immensa divinae sapientiae, 24 gennaio 1586: Bull. Rom. IV, 181-182). Così, ascoltando la Parola di Dio proclamata e celebrata nella Chiesa, l’uomo non trova soltanto il senso pieno del suo agire, ma ritrova anche se stesso e la luce che gli porta il dono della pace interiore (cf. Sermones, I, 76-78).

    4. L’urgenza della predicazione percorre tutti i Sermones che sant’Antonio ci ha lasciato. Colui che evangelizza - egli annota - è un contemplatore festoso di Dio, un testimone della “vita angelica”, che ha raggiunto la “scienza matura” (Sermones, I, 483). Fedele discepolo di Francesco d’Assisi, Antonio ha lasciato l’esempio di un impegno assiduo nell’evangelizzazione mediante una predicazione indefessa, accompagnata dall’accorata esortazione ad accostarsi ai sacramenti della Chiesa, specialmente a quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia.

    Occorre, tuttavia, sottolineare che l’azione apostolica di sant’Antonio si nutrì costantemente della contemplazione delle cose celesti. Nella preghiera egli s’elevava a contemplare con gli occhi della fede lo splendore del vero sole, Dio Trinità, e da quella fonte attingeva luce e calore da effondere poi sulle anime (cf. Sermones, I, 332). Così trasmetteva agli altri, in piena comunione con la Chiesa, le interiori ricchezze del suo animo.

    5. Auspico, Reverendissimo Padre, che l’odierna circostanza che commemora i cinquant’anni della proclamazione di sant’Antonio a Dottore della Chiesa sia motivo per l’intera Famiglia francescana di un rinnovato interesse allo studio del pensiero teologico e della prassi evangelizzatrice del Santo.

    La riflessione accademica, accompagnata dalle programmate manifestazioni culturali, saprà indagare la sua ricca dottrina e gli elementi della sua attualità, così che i discepoli del Poverello d’Assisi, Confratelli del Dottore evangelico, possano continuare con intensificato vigore nell’opera della nuova evangelizzazione nel mondo contemporaneo, in sintonia con la Chiesa.

    Con tali sentimenti, invocando l’aiuto del Divino Maestro per intercessione di sant’Antonio, di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica a Lei ed all’intero Ordine Francescano, volentieri estendendola a tutti i devoti del Santo.

    Dal Vaticano, 16 gennaio dell’anno 1996, diciottesimo di Pontificato.

    GIOVANNI PAOLO II

 

 
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