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Discussione: La Vittoria di Pirro

  1. #11
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    da www.corriere.it

    " LA MARGHERITA


    Rutelli e il Listone: alle urne, poi si discute

    Oggi un seminario a porte chiuse con il presidente dei Ds, Fassino, Boselli e Amato


    ROMA - La Margherita riunisce la sua assemblea federale per discutere il bilancio del partito. Ma Francesco Rutelli continua il suo silenzio stampa: «Ora dobbiamo unirci per vincere. Ho già detto che il dibattito politico si farà dopo i ballottaggi». Per il momento non parla il leader della Margherita, ma precisa che ha molte opinioni su ciò che sta avvenendo in questi giorni dentro la lista unitaria, sollecitata a più riprese dagli interventi di Romano Prodi: «Non è che non ho cose da dire: ne ho molte invece, ma le dirò dopo il voto. Non apriamo discussioni che si devono fare una volta concluse le elezioni». Parole che pesano. Perché Rutelli fa ampiamente capire di non avere digerito del tutto la gestione del listone e, soprattutto, il ruolo e la visibilità riservata al suo partito. Un primo saggio di ciò che pensa il presidente della Margherita si dovrebbe avere oggi nel seminario a porte chiuse, organizzato dalla Fondazione ItalianiEuropei, dove ha promesso di passare e dove l’attendono Piero Fassino ed Enrico Boselli, oltre a Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Fatto sta che nel partito i popolari continuano la loro offensiva sull’identità. Basta ricordare che Rosy Bindi tre giorni fa aveva chiesto un’assemblea straordinaria della Margherita e ora ribadisce la sua contrarietà al partito unico riformista [infatti lei è massimalista ]. Mentre Giuseppe Fioroni insiste sulla necessità di presentarsi da soli alle regionali: «Il 13 giugno abbiamo conquistato con nostri candidati ben 18 Province su 38, ma l’evento non emerge».
    Poi c’è Prodi, il suo rilancio di un patto federativo aperto alle altre forze del centrosinistra. E diventa una cartina di tornasole degli umori interni alla Margherita. I prodiani più convinti come Franco Monaco fanno notare che l’ultima proposta del presidente della Commissione europea «non si discosta» dalla lettera aperta scritta poche ore dopo le Europee. E Natale D’Amico si spinge fino a proporre una «dirigenza comune» della lista unitaria, fatto che può essere considerato come una spinta verso il partito unico.
    Altre voci nel partito applaudono l’ultima uscita di Prodi come il rutelliano Paolo Gentiloni: «Ha chiarito il rapporto tra la lista unitaria, l’assemblea unitaria e la coalizione». Anche se Ermete Realacci ricorda che «se ne parlerà dopo i ballottaggi». Più convinto di tutti sembra invece Enrico Letta: «La strada indicata da Prodi è quella giusta. Ora è importante seguirla con determinazione e con la massima unità di intenti possibile». Ma la vera partita interna alla Margherita si giocherà tra qualche giorno: il 29 è fissata la direzione politica, prima della verifica con gli altri partiti che compongono il listone. E, soprattutto, per il 5 e 6 luglio è prevista una nuova assemblea federale con all’ordine del giorno non il bilancio, come ieri, ma la situazione politica. Senza contare che prima di quell’evento Rutelli avrà certamente detto la sua.
    "

    Saluti liberali

  2. #12
    SENATORE di POL
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    dal quotidiano di via Solferino

    " Corriere della Sera del 23/06/2004


    --------------------------------------------------------------------------------
    Ma i Ds sono davvero maggioranza?

    La sinistra frammentata
    Giovanni Sartori
    --------------------------------------------------------------------------------

    Talvolta, le elezioni risolvono i problemi indicando un sicuro vincitore e un chiaro perdente. Ma in Italia (figurarsi) non è quasi mai così. In Italia le elezioni scoperchiano sempre più un vaso di Pandora di problemi sempre più irrisolti.
    Michele Serra, che è notoriamente spiritoso, scrive così: « Dopo le Europee la sinistra italiana si ritrova più o meno al solito 45%, dato invariato dai tempi di Giuseppe Mazzini ». Su Mazzini non ci giurerei. Ma sul dato del 45% non ci piove: è così. Eppure D'Alema, Franceschini e altri proclamano che la sinistra è oggi in maggioranza nel Paese. Quale maggioranza, di grazia? E poi (dirò dopo) quale sinistra?
    Alle Europee i dati ufficiali assegnano il 46,1 al centrosinistra ed esattamente il 46,1 al centrodestra. In ogni caso, si tratta dunque di una maggioranza relativa (il che vuol dire: la maggiore minoranza); e in questo caso c'è un pareggio, il che vuol dire che nessuno è in maggioranza, nemmeno relativa. Ma vediamo pure le elezioni amministrative, anche se contano meno. In questo ri ferimento, si è scritto, sulla base di un'analisi dell'Istituto Cattaneo di Bologna, che se si votasse oggi per il Parlamento nazionale il centrosinistra otterrebbe la maggioranza dei seggi. Ma il professor Salvatore Vassallo, responsabile di quella analisi, smentisce così: « Nel passaggio dal 2001 al 2004 ... il numero delle province ... è cambiato a favore del centrosinistra, ma in misura poco significativa, tanto che continua a prevalere, nel complesso, il centrodestra ». Dunque no: nessuna maggioranza di nessuna sorta in nessun contesto.
    Ciò precisato (sono notoriamente pignolo), la domanda alla quale voglio arrivare è questa: qual è l'importanza di questo problema? Risposta: pressoché nessuna. Le elezioni si possono vincere con meno del 45% (dipende dal sistema elettorale, anche se la sinistra, nella sua sempre misteriosa dabbenaggine, dà mostra di non saperlo più). Ma se il problema non è questo, perché raccontare e raccontarsi la fandonia che «siamo la maggioranza nel Paese»? Temo che sia per sfuggire al problema vero.
    Mi sono già chiesto: quale sinistra? Vale a dire, esiste ancora «una sinistra» portante in grado di controllare le molteplici sinistrine estremiste che l'assediano? Ovviamente no. I Ds sono ormai un partito unitario soltanto per le statistiche elettorali. Chi si sente di sinistra e dice «noi» non avverte che quel noi è andato a pezzi, o altrimenti che è un nuovo e diverso «noi». Sia chiaro: in questo discorso la Margherita di Rutelli non c'entra. Perdendo voti ha sì indebolito il riformismo di sinistra. Ma, ripeto, la Margherita non entra nella contabilità della sinistra. E questa contabilità ci dice che i Ds sono oramai un'entità fittizia. Per le statistiche esiste un partito maggiore della sinistra che oggi raccoglie, più o meno, un 20% dei voti. Ma circa un terzo dei Ds, il Correntone, non è riformista ma massimalista , e cioè più vicino a Bertinotti che a Fassino. Il che ci impone di rifare i conti.
    Eccoli (salvo errore, s'intende). In prospettiva, se il 7% circa dei Ds viene aggregato al 12-13 per cento delle varie sinistre alternative, estremiste o massimaliste, finisce che Bertinotti (oramai l'indiscusso leader di questo arcipelago) controlla il 20 per cento lasciando al povero Fassino soltanto un 13 . Questo è il problema, o anche il dramma, che sta vivendo la sinistra. Bersani risponde (per tutti) che «Rifondazione è un partito profondamente cambiato che non si potrebbe più permettere di fare qualcosa contro il centrosinistra». Sarà, ma non lo credo. L'idea di una sinistra seria salvata da Bertinotti è davvero frivola.
    "

    L'antiberlusconiano prof. Sartori, sull'argomento, dice le cose come stanno, come Panebianco e .....Pieffebi.

    Saluti liberali

  3. #13
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    da www.ilfoglio.it

    " L’Italia dopo le sue elezioni di medio termine, parla Panebianco
    Berlusconi cala perché non guida i suoi ministri Prodi non decolla perché non riesce a fare un partito
    “L’antipolitica paga se sei all’opposizione, non puoi governare tre anni solo con gli annunci”
    --------------------------------------------------------------------------------
    Bologna. Prima di dare un giudizio sulla situazione politica italiana, e sul riaffacciarsi (anche dal punto di vista semantico) di classici corsi e ricorsi, fatti di concertazioni, verifiche e rimpasti, il politologo Angelo Panebianco ritiene che si debba gettare uno sguardo alle recenti elezioni del Parlamento europeo. “Una prova disastrosa – dice al Foglio – almeno dal punto di vista simbolico, con le impressionanti percentuali di non votanti e con l’affermazione, in alcuni paesi, di partiti apertamente contrari all’Unione”. Ma di quelle elezioni è rilevante il carattere di consultazioni nazionali di medio termine, che “anche stavolta hanno punito i partiti dei premier. Non vale per Zapatero in Spagna e per Karamanlis in Grecia, da pochi mesi al governo e ancora in ‘luna di miele’ con gli elettori. Ma in tutti gli altri casi, compresa l’Italia, è andata così. Il caso più clamoroso è quello della Spd di Schroeder, che ha perso drammaticamente consenso mentre i Verdi, che pure fanno parte della coalizione governativa, lo hanno visto aumentare”. E ora, raggiunto un compromesso sul trattato, il massimo realizzabile nelle attuali condizioni, “non è chiaro quale sarà, nell’Europa dei venticinque, la struttura del comando. Sembra difficile che il vecchio asse franco-tedesco possa ancora conservare il suo ruolo, ma è altrettanto vero che non si vedono alternative, mentre continuano a pesare importanti divisioni, in particolare sulla guerra e sul rapporto con gli Stati Uniti. La grande incognita riguarda, più che la governance, il governo da cui quella discende”. Passando alla situazione italiana, le cose non appaiono meno complicate. A chi, come Massimo D’Alema, afferma che “la destra non ha più la maggioranza del paese, e quindi bisogna cominciare a preparare il nuovo governo dell’Italia”, rispondeva sul Corriere di ieri il professor Giovanni Sartori. Pallottoliere alla mano (“sono notoriamente pignolo”) ha dimostrato che la situazione è, tutt’al più, di pareggio. Anche Panebianco pensa che “un conto è la realtà e un conto la propaganda. Ma comunque da quelle elezioni esce male Silvio Berlusconi. Non ha capito che, una volta al governo, non poteva più funzionare l’antipolitica che aveva funzionato nel ’94. Quell’esperienza era stata troppo breve perché gli si potesse chiedere conto dei risultati, e poi c’era stato il lungo periodo dell’opposizione, che ben si accorda con l’antipolitica. Ma dopo tre anni chi ti ha votato pretende fatti. Naturalmente sarebbe ingiusto dimenticare la grande gelata internazionale dell’11 settembre e i centomila motivi per cui in Italia è complicatissimo agire. Ma vorrei fare tre esempi importanti. Come mai siamo ancora alle prese con la riforma delle pensioni (parlo ovviamente di una seria riforma, non di quella debole e annacquata ora in cantiere), e come mai non è stata fatta nel primo anno, quando la forza del governo era intatta? Secondo esempio. Come mai non è stata fatta una seria riforma della giustizia? Quella in discussione, a mio avviso, assomiglia a una sentenza suicida: è velleitaria, non risolve i grandi nodi, non attua la separazione delle carriere”. E poi, prosegue Panebianco, c’è “la cosiddetta riforma costituzionale, ovvero una buona idea affogata in mezzo a molte sciocchezze . L’ottima idea è quella del rafforzamento del premier, che può significare un grande strappo in positivo rispetto a tutta la tradizione parlamentare italiana. Dallo Statuto albertino fino all’attuale Costituzione repubblicana, infatti, abbiamo sempre avuto un primo ministro debole rispetto alle fazioni parlamentari. Ma ecco che anche quella buona idea viene ammazzata attraverso uno pseudofederalismo confusionario, un primo ministro che può sciogliere la Camera bassa se non ne ottiene più la fiducia, mentre il Senato rimane saldo al suo posto e soprattutto ha il controllo su una serie di materie su cui la Camera non ha modo di intervenire. Se passasse la riforma prefigurata, gran parte della politica nazionale sarebbe espropriata dal Senato. Semplicemente assurdo. Senza contare che nessun sistema federale bicamerale al mondo funziona così. Non si capisce a chi si siano ispirati”. Non ha giovato al governo, secondo Panebianco, la politica degli annunci, perché “un premier dotato di una maggioranza forte, come quella di Berlusconi, non deve fare annunci, ma annunciare le cose già fatte. E si è determinata una frantumazione della maggioranza, nella quale riemergono il vecchio linguaggio, le vecchie formule, le ‘verifiche’. E gli ‘scambi’ all’interno della maggioranza, su deleghe e federalismo. Ma bisogna vedere che cosa si scambia. Non è solo un problema di etichette. Un conto è dire: diamo alla Lega un federalismo accettabile, ragioniamo sui suoi costi e garantiamo al paese che siano accettabili: insomma, rendiamo ‘gradevole’ e positiva per il paese questa concessione alla Lega. Altro è dire: facciamo il federalismo comunque, anche se andiamo incontro a grandi contraccolpi, per esempio da parte della burocrazia romana. Ammesso, poi, che quello scambio si realizzi. Per ora esistono solo colloqui riservati del premier con i singoli alleati e non sappiamo in che cosa si tradurranno. Ma se il premier è indebolito, riprendono il sopravvento ledifferenze ‘antropologiche’ della politica, le incompatibilità, per esempio, tra Lega e Udc”. Subito dopo i risultati elettorali, dalle colonne del Corriere della Sera, Panebianco aveva indicato nel disagio dell’Italia moderata i segni di una nuova frattura tra nord e sud, “nel senso che c’è un centro-sud che continua a trovare una rappresentanza in An e Udc, mentre il nord ha reagito andandosene al mare. Nel 2001, il successo nazionale di Forza Italia aveva ricomposto quella frattura. Ma la sua leadership non ha trovato, come avrebbe dovuto, all’interno del suo stesso corpo le mediazioni necessarie ed efficienti tra esigenze molto diverse, come sono quelle del nord e del sud. E se gli elettori del sud hanno traslocato verso le formazioni che sembrano rispondere meglio a quelle esigenze, il nord è rimasto disorientato”. La sua funzione di garante della coalizione, Berlusconi “la mette in gioco quando dimostra di non saper monitorare l’azione dei suoi ministeri. Come mai non si è accorto dell’inefficienza plateale del ministero della Giustizia? E’ come se nel premier ci fosse una suprema disattenzione per ciò che il suo governo concretamente fa. Aveva promesso una rivoluzione thatcheriana: non solo la riduzione delle tasse, ma anche il ridimensionamento drastico della burocrazia e del numero delle leggi ”. Panebianco salva “l’azione del ministero dell’Istruzione, perché ha funzionato Letizia Moratti, un ministro energico con una sua visione delle cose da fare. Così come, nel precedente governo di centrosinistra, aveva funzionato Umberto Veronesi nella Sanità. Ma la ‘deburocratizzazione’ non c’è stata, così come non c’è stato il ridimensionamento dei lacci e lacciuoli statalisti, e le corporazioni sono sempre fortissime. Succedeva anche nel centrosinistra, che però non pretendeva di fare la rivoluzione thatcheriana. E’ la coalizione di centrodestra ad aver vinto alle politiche del 2001 sull’apertura al mercato e sulla riduzione del ruolo dello Stato ”. “Uniti nell’Ulivo non è una forza politica” Sul versante dell’opposizione, in ogni caso, le cose non vanno molto meglio. Panebianco vede nella lista Uniti per l’Ulivo tutti i limiti “di qualcosa che non è forza politica. E’ un’alleanza elettorale, che si dividerà con ogni probabilità alle regionali. Un’aggregazione più stabile avrebbe avuto tutt’altro impulso da una vittoria netta alle europee, se cioè avesse superato la mera somma dei partiti aggregati per l’occasione. Ma se da un punto di vista strettamente numerico il loro risultato non è cattivo, tenuto conto del fatto che è stato ottenuto in un sistema elettorale proporzionale, sono andati male da un punto di vista politico: non hanno intercettato i voti degli scontenti di Berlusconi e non sono riusciti ad arginare la sinistra massimalista . E il vero vincitore delle elezioni è Bertinotti ”. In parallelo, la Margherita ha perso consensi e, se Prodi sarà il prossimo candidato premier, rischia di essere ancora una volta un “professore senza partito” . Ma Panebianco pensa che “non è affatto detto che sia proprio lui il futuro candidato”, e che il richiamo prodiano a concentrarsi sul programma sia solo rituale, “perché, come è noto, i programmi in questo paese non contano nulla. La coalizione di centrosinistra ha una sola possibilità di andare al governo, se l’avversario farà abbastanza errori da permetterglielo . Se il centrosinistra vincerà per il ‘suicidio’ degli avversari, le differenze programmatiche saranno smussate, almeno per i primi anni, come è successo per il governo Berlusconi”. Ma, conclude Panebianco, “se Berlusconi si indebolisse ancora, e tenuto conto della batosta subita dalla Margherita, penso che aumenterebbero le pressioni per far fuori il maggioritario e passare a un proporzionale con un più blando premio di maggioranza”. Uno scenario temibile, “perché il maggioritario, a mio parere, ha dato grandi vantaggi di chiarezza e di semplificazione. Ma ha fallito perché non ha consentito vere ricomposizioni, né a destra né a sinistra. Dopo dieci anni abbiamo ancora un sistema altamente frammentato, che oggi favorisce chi accusa il maggioritario di essere una camicia di forza che pretende di tenere insieme chi insieme non dovrebbe stare. Ma sarebbe, quel ritorno, una sconfitta per il paese, perché si tornerebbe all’immobilismo e al cambio di governo ogni sei mesi. E sarebbe impossibile attuare le politiche di medio termine e le grandi riforme che l’Europa ci chiede, prima tra tutte quella delle pensioni”. C’è chi pensa che quelle riforme, con i loro contenuti oggettivamente impopolari, siano più facili per il centrosinistra. Panebianco non è d’accordo: “ I governi di centrosinistra hanno più possibilità di fare patti col sindacato sulla politica dei redditi o sui contenimenti salariali. Ma nel caso di riforme strutturali questo non vale. In Inghilterra c’è voluta la Thatcher, e poi Blair ha completato l’opera ”.
    "

    Ancora una volta lucido e in sintonia con .....Pieffebi....il professore.


    Saluti liberali

  4. #14
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    Carissimi, vorrei che gli aricoli di Sartori e Panebianco, studiosi non in sospetto di parzialità politica o di schieramento, li leggessero tutti con attenzione. Ma i sinistri sorvolano!!!
    Non importa, il loro risveglio sarà brusco. Si trastullino intanto con le illusioni e con i preconcetti.
    Quanto a Prodi, è ormai uno dei più ricchi pensionati d'Italia. Pensione IRI, pensione UE più pensioni varie da professore a parlamentare a quantaltro. Ma almeno ci rimanesse in pensione e si dedicasse alla bicicletta !
    Certo, anche Berlusconi è ricco. Ma almeno lui la ricchezza l'ha prodotta, e ha creato migliaia di posti di lavoro.

  5. #15
    brescianofobo
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    Prodi guadagna troppo poco. Uno come lui dovrebbe prendere minimo minimo come Schumacher.

    Sei solo invidioso perchè guadagna più di te, Cirno.

  6. #16
    Senatore e Magno Pilastro
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    In origine postato da brunik
    Prodi guadagna troppo poco. Uno come lui dovrebbe prendere minimo minimo come Schumacher.

    Sei solo invidioso perchè guadagna più di te, Cirno.
    ...ma va. Io guadagno il giusto per vivere decorosamente. Lui gode di un enorme plusvalore, a danno di tanta povera gente.
    Lui partecipa della manomorta della nomenklatura.
    Quanto all'invidia, sei tu chesei invidioso di me, perché sono più intelligente, colto e cortese di te.

  7. #17
    brescianofobo
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    Pero' io sono più bello.

  8. #18
    brescianofobo
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    E faccio anche le vignette più belle delle tue.

  9. #19
    Senatore e Magno Pilastro
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    ...te ne do atto. Sei sicuramente bellissimo, tanto da fare invidia a Diliberto, e sei un meraviglioso vignettista, la cui originalità è pari alla bravura. Ma io non ti invidio.

  10. #20
    brescianofobo
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    Non invidi me, ma la pensione di Prodi si, però.

    Vergogna !!

    La prossima volta che sarai presidente dell'IRI e della Commissione europea prenderai anche tu la sua pensione, per ora accontentati e spera che Tremonti non te la tagli.

    A proposito, lo sapevi che Galliani si prende la pensione sociale (300.000 lire al mese) perchè ga giovane ha fatto il geometra comunale e poi si è dato per invalido?

 

 
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