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  1. #71
    Blut und Boden
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    Predefinito Re: 50 buone ragioni per l'indipendenza della Padania - di G. Oneto & G. Pagliarini -

    Sul piano simbolico la Padania esiste, e più dell’italia.
    Walter Kertzer, 1997
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #72
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    Predefinito Re: 50 buone ragioni per l'indipendenza della Padania - di G. Oneto & G. Pagliarini -

    Dal punto di vista genetico l’Italia settentrionale si rivela simile ai paesi dell’Europa centrale, mentre le regioni centrali e meridionali sono più vicine alla Grecia e agli altri paesi del Mediterraneo.
    Cavalli-Sforza, Menozzi, Piazza, Storia e geografia dei geni umani, p. 519
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  3. #73
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    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  4. #74
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    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  5. #75
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    Predefinito Re: 50 buone ragioni per l'indipendenza della Padania - di G. Oneto & G. Pagliarini -

    Benvenuti al nord. Anzi in Padania

    IL CERTET BOCCONI HA MISURATO INSIEME ALL'UNIVERSITA' DI GRONINGEN L'ATTRATTIVITA' PER GLI IMPRENDITORI DI REGIONI E PROVINCE ITALIANE
    Quanto sono attrattive regioni e province italiane per gli imprenditori? E come sono valutate in quanto possibili localizzazioni dei loro investimenti produttivi? Una ricerca condotta in collaborazione tra il Certet Bocconi e l’Università di Groningen (faculty of spatial sciences) sulle preferenze localizzative delle imprese italiane, ha recentemente gettato luce su questi aspetti.
    Come prevedibile, il nord del paese è mediamente molto più attrattivo del sud. E lo è anche il centro Italia, seppur in misura minore. La tradizionale lettura dei divari territoriali macro-regionali non appare comunque esauriente, rispetto a ciò che emerge. Per esempio, si nota come anche le regioni e province settentrionali siano caratterizzate da livelli di attrattività percepita differenziati, che evidentemente disegnano un gap centro-periferia interno al nord del paese: il centro, oltremodo attrattivo, dato dalla macro-area padana, e la periferia, data invece dalle regioni e province esterne a questo core (Liguria, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige). È un risultato abbastanza sorprendente, se si considera che le piccole regioni periferiche del settentrione non registrano il gap socio-economico reale con la macro-area padana, che invece soffrono quelle meridionali. Queste ultime, invece, soffrono un’immagine più uniformemente negativa. Milano spicca come la singola area più attrattiva del paese.
    Si consideri che perfino le imprese meridionali, pur valutando relativamente più attrattivo il luogo sede della loro impresa (il tipico self-locational effect osservabile in queste indagini), ritengono comunque regioni e province della pianura padana decisamente più attrattive delle altre.

    Via Sarfatti 25 - Benvenuti al nord. Anzi in Padania - Opinioni
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  6. #76
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    Predefinito Re: 50 buone ragioni per l'indipendenza della Padania - di G. Oneto & G. Pagliarini -

    Ciao Gilberto.

    Grazie per l'immenso lavoro, impagabile e ineguagliabile.
    Grazie per le Giornate Padaniste.
    Grazie per i Quaderni Padani.
    Grazie per i tuoi preziosissimi libri.
    Grazie per essere esistito.
    Ora hai guadagnato l'Immortalità.


    Ultima modifica di Eridano; 20-11-15 alle 15:20
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  7. #77
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  8. #78
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  9. #79
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  10. #80
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    Predefinito Re: 50 buone ragioni per l'indipendenza della Padania - di G. Oneto & G. Pagliarini -

    Ripartiamo da Guido Fanti e dalla Lega del PO

    5 Dec 2016 · 0 Commenti



    di REDAZIONE –
    Ripartiamo da Guido Fanti, esponente di primo piano del Partito Comunista, per cui era stato sindaco di Bologna, presidente della Regione Emilia Romagna, deputato, senatore, europarlamentare e vicepresidente del Parlamento europeo. Fanti è stato un personaggio importante soprattutto per la cultura autonomista in ragione del suo coraggioso tentativo di creare una unione sovraregionale padana nel lontano 1975: una iniziativa che gli era costata la carriera e che lo aveva escluso – al di là dei formali riconoscimenti successivi – dal reale potere sia nel partito che nelle istituzioni.

    A ricordo di Fanti, sfortunato padanista di sinistra, pubblichiamo alcune pagine che lo ricordano, tratte dal libro La questione settentrionale di Gilberto Oneto (Editoriale Libero, 2008).
    Ci sembra il modo più serio di celebrarne la memoria, in mezzo alla vergognosa sbrodolata di retorica e di ipocrisia che in questi giorni stanno riversando sinistri di ogni sfumatura: nessuno di loro – neppure il distratto Prodi – ricorda il coraggioso e sfortunato tentativo autonomista di Fanti e non serve cercarne troppo le ragioni.
    La Lega del Po
    Nel 1970 viene approvata la legge per l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario con l’opposizione dei nazionalisti, che gridano all’attentato all’unità della patria, e con più di venti anni di ritardo, visto che l’attuazione del dettato costituzionale avrebbe dovuto avvenire entro il 31 dicembre 1948. Finalmente le strutture regionali si organizzano e nella primavera nel 1975 vengono eletti i Consigli regionali: sembra che – pur con più di un secolo di ritardo e in termini piuttosto blandi – si possa finalmente costruire quel decentramento che era negli auspici dei più accorti patrioti risorgimentali.
    Il 6 novembre del 1975 su La Stampa compare un articolo di Francesco Santini dal titolo “Ma nascerà davvero la super regione della Padania? Fanti spiega la sua proposta per una grande Lega del Po”. È una intervista esplosiva al comunista Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia Romagna, che descrive il suo progetto di aggregazione delle cinque regioni ordinarie della Valle padana, per coordinare e rendere più efficienti alcune funzioni e servizi che superano la dimensione regionale, ma in realtà anche per dare più forza al Nord nel confronto con lo Stato centrale e per rimediare ad alcuni degli squilibri con il Sud nella gestione e distribuzione complessiva delle risorse. La Padania di Fanti viene concepita come modello geopolitico funzionale, di organizzazione di interessi socio-economici rispetto a un centro politico governato dalla Dc, in coerenza con l’idea pluralista di Europa delle regioni tratteggiata in quegli anni da Denis de Rougemont.
    Vale la pena di riportare alcuni dei passi più significativi dell’articolo.
    Alla vigilia dell’incontro Governo-Regioni fissato a Roma per metà novembre, Guido Fanti Presidente della Giunta dell’Emilia Romagna, rilancia con il tema Padania il ruolo dell’area del Po e giudica improcrastinabile un accordo tra Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto ed Emilia per superare la crisi che ha colpito il Paese.
    C’è sul tavolo del governo Moro il piano di intervento a medio termine e Guido Fanti propone la partecipazione delle Regioni al dialogo per il rilancio economico.
    Chiede perciò che al discorso con i Sindacati, il Governo affianchi in parallelo quello con le Regioni impegnate in queste settimane ad attuare i decreti anticongiunturali e a preparare i bilanci del prossimo anno.
    “E’ un’occasione che il Paese non può perdere – dice – un appuntamento al quale gli Enti locali, proprio per le funzioni loro attribuite, non possono mancare”.
    Inserisce su questo punto il progetto di un accordo tra le cinque Regioni dell’area del Po e subito aggiunge che la proposta non nasconde l’insidia di scaricare una nuova forza sul governo centrale: vuole al contrario, “convogliare l’apporto coordinato di un’area geografica che ha in comune un groviglio di problemi irrisolti, di scelte non fatte”.
    “Nessuno vuole indebolire il governo Moro – dice – anzi la nostra è una proposta di sostegno” e liquida i timori di una aggregazione tra Regioni forti, fatalmente contrapposte ad un Mezzogiorno debole, chiarendo: “Nel Centro-Nord la crisi economica non si è tradotta come al Sud, in crisi sociale: quindi in un discorso ampio di programmazione, la strategia di intervento non si deve risolvere sulla testa del Meridione d’Italia, anzi le cinque Regioni del Po sono chiamate a incidere come fattore di equilibrio”.



    (..) Il Presidente della Giunta emiliana, individua nel superamento delle vecchie strutture dello Stato centralistico e nella rapida attuazione del nuovo Stato decentrato, “la via d’uscita per il Paese”.

    “Le Regioni – dice Fanti – rifiutandosi di chiudersi in se stesse, sono chiamate a svolgere il ruolo di protagoniste della politica nazionale e il consolidarsi dei rapporti permanenti, nell’area padana, rappresenta un contributo decisivo”.
    Le singole realtà regionali sono per Fanti limitate e i grandi temi, da quello dell’industrializzazione e dell’occupazione a quello degli investimenti “si estendono su aree geografiche ben più vaste; le risorse potenziali del Po sono disperse e inutilizzate, la crisi dell’agricoltura investe pesantemente anche le zone padane tradizionalmente più avanzate. Il patrimonio zootecnico si depaupera di giorno in giorno mentre il più grande fiume italiano è oggi una minaccia naturale, non una fonte di ricchezza”.
    Il progetto di aggregazione per le Regioni della Valle Padana è in formazione e si annunciano i primi contatti tra i Presidenti delle Giunte regionali. Fanti individua i punti al primo posto e le Regioni padane, nel tentativo di collaborare debbono tenere presenti essenzialmente, con gli sbocchi professionali dei giovani, il lavoro nelle campagne.
    (..) Dall’agricoltura passa all’industria: “C’è da tener conto della domanda sociale, ma è necessario individuare tutti insieme, gli sbocchi sui mercati interni e su quelli esteri, ecco la necessità del confronto fra le Regioni del Po. Non si può ignorare la politica delle localizzazioni industriali, per uno sviluppo equilibrato del territorio”.
    (..) Questa della Padania, è per Fanti una proposta essenzialmente politica. Ne ha parlato a Bruxelles, la settimana scorsa in sede CEE con il Presidente Ortoli e dice: “E’ inutile andare a Bruxelles a chiedere soldi per le Regioni quando non ci sono: la nostra proposta è stata diversa: chiediamo piuttosto che siano le Regioni e non la Cassa per il Mezzogiorno a gestire i fondi riservati in sede comunitaria, alle aree depresse del nostro Paese”.
    Fanti è uomo di sinistra che ha evidentemente ben presenti le posizioni di Turati e di Grieco, è stato partigiano ed ha respirato a fondo il Vento del Nord; prima di disertare era stato anche ufficiale della Rsi e non si può non pensare che qualcosa di quella esperienza sia rimasto nell’idea stessa di raccogliersi a difesa attorno alla valle del Po.
    Il disegno fantiano è supportato da una serie di studi di dettaglio redatti da un gruppo di esperti, fra i quali spicca il giovane ricercatore Romano Prodi.
    Il suo progetto per la nascita della Padania trova scarso favore; con l’eccezione del presidente della Liguria, tutto il mondo istituzionale manifesta forte opposizione: partono subito il coro dei patrioti e l’ostensione delle icone tricolori. Il repubblicano Francesco Compagna stigmatizza – con poca originalità – i pericoli per l’unità, vedendo nel “mito della Padania” la “premessa, se non di una scissione dell’Italia, certo di una erosione della sua unità”, oltre al pericolo che “si potesse innestare il separatismo del Nord, armato di interessi ben più consistenti di quelli che operavano nell’arcaico retroterra del separatismo siciliano”.
    Negli stessi giorni, la Montedison organizza un convegno sul tema per discutere “la proposta, di particolare rilevanza sotto il profilo politico-istituzionale, di dar vita ad una forma di coordinamento tra le regioni padane”. É ancora Compagna che si incarica di contrastare l’iniziativa, attribuendo alla Montedison di Cefis (e a Miglio, che ne è il consigliere) l’intenzione di sganciarsi dal Sud. Gli argomenti che utilizza sono i soliti del piagnisteo meridionalista.
    Ma sono anche gli stessi comunisti che osteggiano Fanti. Togliatti era infatti stato fin troppo chiaro quando in un discorso in preparazione dell’Assemblea costituente pubblicato su L’Unità del 30 dicembre 1945, aveva scritto: “Noi non siamo federalisti, noi siamo contro il federalismo, noi riteniamo che lo Stato italiano deve essere organizzato come uno stato unitario (..). Uno Stato federalistico sarebbe una Italia nella quale risorgerebbero tutti gli egoismi e particolarismi locali ostacolando la soluzione di tutti i problemi nazionali nell’interesse di tutta la collettività. Una Italia federalistica su base regionale sarebbe un’Italia nella quale in ogni regione finirebbero per trionfare delle forme di vita economica e politica arretrate, vecchi gruppi reazionari”.
    Su questa iniziativa Fanti si gioca la sua carriera politica. E perde.
    Fra i pochissimi che comprendono la portata del progetto e che lo difendono c’è Gianfranco Miglio, che, con un articolo su Il Corriere della Sera del 28 dicembre 1975, ripropone il tema delle tre Italie: “Considerata la pietosa esperienza dello Stato “nazionale-unitario” (..) l’unica esperienza alternativa da tentare è quella costituita dalla consapevole integrazione tra grandi aggregazioni geo-economicamente omogenee: il Nord, il Centro, il Sud (più le due isole autonome)”.
    Sia Fanti che Miglio hanno perfettamente compreso che le Regioni nascono vecchie e che devono essere superate da aggregazioni con ben diversa valenza socio-economica e identitaria: così come sono concepite, esse infatti riproducono tutti i mali dello Stato centrale, e rischiano di diventare la parte più conservatrice del vecchio e corrotto apparato unitario, e – per queste ragioni – di trovare nell’opinione pubblica o l’indifferenza o un giudizio francamente spregiativo.
    Fanti torna sull’argomento più di 20 anni dopo in occasione della marcia leghista sul Po, in una intervista a Il Giornale. Vi si legge: “Allora Romano Prodi era un giovane economista (..) pieno di voglia di fare, di lavorare alla creazione di questa macroregione. Io lo stimavo molto e così gli ho affidato un incarico delicato che lui ha egregiamente portato avanti.
    – Quale esattamente?
    Di presidente del Comitato scientifico per la politica di programmazione economica della giunta dell’Emilia Romagna.
    – E che ruolo aveva questo organismo?
    Studiare la fattibilità di una sorta di aggregazione regionale ampia che comprendesse tutte le regioni che si affacciavano sul Po.
    – E come volevate chiamarla questa aggregazione?
    Beh, il termine appunto era Padania, oppure Lega del Po: rendeva bene.
    – Che regioni dovevano confluire a quel progetto?
    Quelle più forti: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Liguria.
    – Quando è nata l’idea di Padania?
    Subito dopo la creazione delle Regioni, istituite nel ’70. In quel periodo c’era molto fermento sul ruolo di questi enti locali. La legge consentiva poca libertà d’azione soprattutto nelle aree strategiche. Così il nostro comitato scientifico aveva studiato una ricetta che garantiva un maggiore decentramento e più potere alle Regioni nel campo della programmazione economica.
    – Dunque Prodi era favorevole all’idea di un decentramento forte, forse anche a una creazione di un nucleo politico diverso da quello nazionale?
    Io, Prodi e gli altri esperti che avevo chiamato a far parte di questo comitato, eravamo in perfetto accordo sulle cose da proporre. Noi volevamo creare un soggetto regionale ampio molto forte, con dei poteri di gestione su materie strategiche, l’economia, le infrastrutture. Ma a Roma non ce l’hanno permesso. Ci hanno bloccato tutto.
    – Chi vi ha bloccato tutto?
    Il partito a cui appartenevo. Il Pci in testa. Ricordo un attacco violentissimo fatto da Gerardo Chiaromonte sull’Unità. Diceva che la nostra proposta politica era antimeridionalista, razzista, invece non era affatto così. Non avevano capito nulla o forse volevano nascondersi dietro quel falso problema per non perdere il potere decisionale sulle cose che contavano.
    – E Prodi cosa pensava delle critiche che piovevano addosso alla sua proposta?
    Sono passati troppi anni, non ricordo le parole precise, ma Romano diceva che sbagliavano, che non capivano, la pensava esattamente come me, era dalla mia parte. Del resto lui stesso aveva confermato scientificamente la validità di un progetto di decentramento spinto in cui il gruppo delle regioni all’avanguardia rivendicavano un ruolo strategico nella politica di programmazione nazionale e internazionale.
    – Una sorta di piccolo stato autonomo?
    Non era un problema di nazionalismo. Noi volevamo più poteri per evitare che Roma bloccasse iniziative importanti per le regioni del Nord. E da Roma ci hanno bloccato.
    – Hanno avuto paura, secondo lei?
    Certamente. Tutta la partitocrazia ha avuto paura di perdere consenso e potere. Cinque regioni ricche messe insieme costituivano una mina vagante per il potere centralista. La Padania avrebbe potuto avere una forza contrattuale fortissima e un peso politico nella politica economica enorme. Così hanno subito affossato l’idea politica di cui io rivendico la paternità ed è finito tutto sotto silenzio. Peccato”.

    Ripartiamo da Guido Fanti e dalla Lega del PO | L'Indipendenza Nuova



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