LA LEGGENDA DEI 300 CECENI
La Repubblica, 22/06/2004

di Adriano Sofri
Per tutta la domenica ogni telegiornale italiano ha aperto annunciando l´irruzione in Iraq, nella provincia di Nassiriya, di "trecento ceceni kamikaze telecomandati, mandati a colpire gli italiani". Io provo una solidarietà senza riserve per i militari della missione italiana, e tuttavia ho ascoltato con raccapriccio quel ritornello di apertura dei telegiornali.
"Ceceno", dopo dieci anni di stragi agghiaccianti, resta ancora per lo più un nomignolo buffo, un legume caucasico (è questa del resto l´origine russa del nome), o piuttosto un´ingiuria sanguinosa. Dopo dieci anni di una "guerra" fra la strapotenza russa e una sua repubblichetta di un milione di cittadini, che ne ha ammazzato uno su cinque, e disperso e umiliato i superstiti, la Cecenia resta una paroletta buffa o terribile. Se si sta al sangue versato, fra Cecenia e Israele-Palestina il rapporto è di uno a molte decine.

Certo che la Cecenia ebbe la sua mafia - incomparabile tuttavia con quella di cui noi italiani fummo e siamo ospiti ed esportatori. Certo che la Cecenia ha la sua frangia di terrorismo fanatico e spietato, fino alle donne mandate a uccidere e morire con o contro il loro assenso. Ma la Cecenia è il territorio, bellissimo e martoriato, di un volgo disperso che non riesce a riscattare neanche il proprio nome. Ed ecco che il nome russo di quell´infelice paese fa irruzione, non in Iraq, ma in tutte le nostre case (le nostre celle), col più stentoreo suono di ferocia e minaccia.
Qualcuno doveva pur esserci, nonostante la vigilia d´estate, che sapesse di che cosa si parlava. 300 kamikaze ceceni sono un quinto o un sesto di tutti i famosi combattenti ceceni, oggi, e neanche. 300 kamikaze ceceni, e per giunta "telecomandati", metterebbero a fuoco mezza Russia. E invece, in una situazione in cui la resistenza militare cecena è ridotta alla più grama sopravvivenza, e i seguaci di Shamil Basaev si affidano pressoché solo agli attentati indiscriminati e disperati, i ceceni si permettono il lusso di spedire 300 uomini dei più invasati e dei meglio addestrati a colpire gli italiani in Iraq. Quando ho sentito la notizia, e poi l´ho risentita e risentita tutto il giorno e tutta la notte, e citati i servizi militari inglesi come fonte, sono stato sgomento per la sua gravità e stupefatto per la sua enormità. Ieri mattina, gli ufficiali italiani a Nassiriya invitavano alla cautela e alle verifiche, e i giornali spiegavano che la notizia avrebbe potuto riferirsi a kamikaze arabi che avessero già combattuto in Cecenia o in Bosnia o in Afghanistan. Ma per tutto il giorno precedente erano stati "300 kamikaze ceceni". Anche dei cittadini russi di fede ebraica che sono emigrati in Israele dopo aver combattuto con l´Armata russa in Cecenia, e ora militano in Tsahal, sono soprannominati "i ceceni": amarissimo scherzo della storia e della geografia. Mentre il disgraziato presidente eletto della breve Cecenia fra le due guerre - due lunghe guerre in un corto decennio - Aslan Maskhadov, smentiva drasticamente la notizia sui 300 assassini e ne denunciava la cinica assurdità, i giornali di ieri davano per la prima volta qualche spazio all´altra notizia, questa sì accertata, che noi quattro poveri fissati di quel genocidio avevamo invano ripetuto cento volte: che fra i catturati dell´Afghanistan, a cominciare dai prigionieri di Guantanamo, c´era bensì un pugno di cittadini russi, ma neanche un ceceno. Né si era trovata traccia dei famigerati battaglioni ceceni cui si era attribuita una parte così clamorosa e spaventosa allo scoppio della guerra contro i Taliban. Qualche cronaca ha anche trovato il modo di ricordare che Maskhadov aveva dato un giudizio durissimo della dittatura di Saddam, e addirittura espresso comprensione per le ragioni dell´intervento americano in Iraq. L´incredibile attentato dello stadio di Grozny, che ha fatto esplodere sulla sua poltrona di presidente quisling Ahmad Khadirov, ha confermato che la tragedia cecena non ha uscita fuori dal silenzio delle armi, dall´arbitrato internazionale, dalla trattativa. Putin ha vinto le sue elezioni così strepitosamente e, per così dire, perpetuamente, da avere ogni interesse, se uno scampolo di ragione e di umanità abitasse in lui, al negoziato. Maskhadov è così alle corde, e insieme così irriducibilmente votato, come tanti ancora, alla resistenza spirituale prima ancora che materiale, che la sua invocazione di tregua e negoziato non può che essere sincera. E invece.
Pochi anni fa in un piccolo paese della Calabria avvenne un orrendo delitto. Due coniugi, trasferiti nel nord d´Italia, tornarono alla loro casa, e la trovarono occupata da una coppia di profughi da Grozny, chissà come arrivati fin lì, che assassinarono a colpi di scure l´anziano padrone di casa italiano. Tutti i titoli di allora scrissero della "Coppia di ceceni". Bastava scorrerne i nomi per accorgersi che si trattava non di ceceni, ma di russi. Provate a figurarvi due titoli su quell´efferato omicidio, uno che dicesse: "Ceceni", l´altro che dicesse: "Russi". La sentite, a orecchio, la differenza?
Prego il cielo che nessun assassino, e tanto meno un assassino ceceno, prenda a bersaglio gli italiani a Nassiriya - e nessun altro altrove. E tuttavia può succedere, e bisogna allarmarsene e, come dice il gergo burocratico, non abbassare la guardia.
Ma anche se la preghiera fosse accolta, e nessun ceceno sorgesse dal buio di Al Qaeda, qualcosa è già spensieratamente avvenuta, e niente la cancellerà: un giorno e una notte di telegiornali aperti da 300 ceceni kamikaze telecomandati. 300, nel paese della spedizione di Sapri. Putin e i suoi generali hanno giurato inimicizia mortale alla Cecenia, la vogliono annientata, hanno sfruttato l´11 settembre per far passare i patrioti ceceni come una succursale del terrorismo islamista di Al Qaeda. L´Italia è una grande amica di Putin, al punto di non chiedergli neanche per scherzo di arrestare i crimini di guerra e le torture, e di prendere la strada, così tenacemente invocata da Maskhadov, del negoziato e della tregua. L´Italia non ha neanche emulato da lontano le parole di denuncia dell´operato del Cremlino in Cecenia pronunciate perfino da Colin Powell. L´Italia non era riuscita a diventare amica della martoriata Cecenia. Ora l´Italia ha saputo di avere un nuovo nemico, l´agonizzante Cecenia.