Europa ed Italia: non cristiane ma democristiane!
Il 1994 portò l’occasione a Giovanni Paolo II di riferirsi sovente alla vita politico-religiosa dell’Italia e dell’Europa, sia
profittando di ricorrenze della Seconda Guerra Mondiale (come il discorso sulla battaglia di Montecassino), sia a causa dell’attuale svolta politica italiana (più apparente, invero, che reale).
Premettiamo, innanzitutto, che, al contrario dei laicisti di ogni risma, non neghiamo, ed anzi rivendichiamo, alla Gerarchia Ecclesiastica il diritto ed il dovere di pronunciarsi, alla luce
della fede e della morale cristiana, sui fatti storici come sull’attualità politica delle nazioni. Non ci anima quindi il sofisma secondo il quale “i preti non dovrebbero fare politica” oppure “il Papa dovrebbe occuparsi d’altro”. Quello che è preoccupante è piuttosto la visione liberale e democristiana di Giovanni Paolo II, in
contrasto con la dottrina sociale della Chiesa. Iniziamo la nostra analisi dalla “Lettera di Giovanni Paolo II ai Vescovi italiani” del 6
gennaio 1994, intitolata: “Le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico. Appello ad una grande preghiera per l’Italia” (cf. L’Osservatore Romano.
Documenti. 13 gennaio 1994). Una grande preghiera per l’Italia è senza dubbio opportuna, ma sconcertano le considerazioni che l’accompagnano. Nel n. 1 del documento, si rende testimonianza alle tre eredità dell’Italia: quella della fede, quella della cultura, quella dell’unità “maturata nel corso del XIX secolo”
come unità politica. Giudizio positivo per la storia dell’Italia laica anche nell’udienza ai membri della Banca d’Italia (O. R., 28 gennaio 1994, pag.5, n. 2): “Da quando ha raggiunto, nel secolo scorso, la sua unità politica, l’Italia ha compiuto enormi progressi, degni della sua storia”. Un cattolico non può accettare il giudizio implicitamente positivo dato all’unità d’Italia come si è realizzata nel secolo scorso, in violenta opposizione alla Chiesa ed alla più autentica tradizione italiana, e come tuttora è realizzata... Dopo aver accennato al “crollo” del comunismo (tutto da verificare) nel n. 2, si auspica la “edificazione di una nuova Europa” (n. 3). Su quali basi? “In convinta adesione a quegli ideali che, nel recente passato, hanno ispirato e guidato statisti di grande levatura, quali Alcide De Gasperi in Italia, Konrad Adenauer in Germania, Maurice Schuman in Francia, facendone i padri dell’Europa contemporanea. Non è significativo che, tra i principali promotori dell’unificazione del continente, vi siano uomini animati da profonda fede cristiana? Non fu forse dai valori evangelici della libertà e della solidarietà che essi trassero ispirazione per il loro coraggioso disegno?”. Lo stesso concetto è espresso nel Messaggio ai Polacchi per il 50° della battaglia di Montecassino (O. R., 19 maggio 1994, pagg. 4-5, n. 4) e ne La grande preghiera per l’Italia e con l’Italia del 15 marzo (Meditazione di Giovanni Paolo II alla concelebrazione eucaristica con i Vescovi italiani..., O. R. Do-cumenti, 15/3/94) ove, al nome di De Gasperi, viene aggiunta “quella figura carismatica che fu il sindaco di Firenze Giorgio La Pira” (n. 8). Questi, secondo il “magistero ordinario” di Giovanni Paolo II, i migliori interpreti della dottrina sociale della Chiesa! Dottrina che avrebbero messo in atto in Italia: “ispirandosi ai valori cristiani, hanno contribuito a governare l’Italia nel corso di quasi mezzo secolo, acquistando innegabili meriti verso il Paese ed il suo sviluppo...” (Lettera ai Vescovi, n. 6). Quali sono questi meriti? “Un bilancio onesto e veritiero degli anni del dopoguerra ad oggi non può dimenticare però tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche [ovvero i partiti laico-massonici, liberale e repubblicano, ed i socialisti!] hanno fatto per il bene dell’Italia. Non si possono dimenticare cioè tutte quelle significative realizzazioni che hanno portato l’Italia ad entrare nel numero dei sette Paesi più sviluppati del mondo, né si può sottovalutare o scordare il grande merito di aver salvato la libertà e la democrazia” (n. 6). È notevole che, in 50 anni, i “meriti” politici citati da Giovanni Paolo II, di un partito (non confessionale, si badi bene) di ispirazione cristiana, siano puramente di ordine materiale (e anche su di essi ci sarebbe da discutere). In realtà, come ha sottolineato il filosofo cattolico
Del Noce, l’Italia si è scristianizzata proprio sotto 50 anni di governo di un partito di sedicente ispirazione cristiana. Un partito ed una corrente ideologica, in realtà, laicista, liberale,
progressista, erede di Lamennais, di Sangnier, Di Murri, tutti condannati dalla Chiesa. Un partito responsabile, in Italia, di una Costituzione atea, delle firme alle leggi sul divorzio e
sull’aborto ecc. Un partito ed un pensiero che non sono altro che il “modernismo sociale” condannato da Pio XI. Ma l’abbandono della
dottrina sociale della Chiesa da parte di Giovanni Paolo II traspare anche dai dettagli, come la condanna, nel n. 7, delle “tendenze cor-porative” (dove “corporativo” è per lui sinonimo di egoismo; qual distanza da Leone XIII!) o la citazione del “compianto Presidente Pertini”, il primo capo di Stato italiano pubblicamente ateo. E grave è la falsificazione storica nella “Grande preghiera...” (n. 5) nell’attribuire a “Gregorio VII” (scanonizzato... inavverti-tamente?) la teoria dell’indipendenza e autonomia tra Stato e Chiesa affermata dal Vaticano II, quando San Gregorio VII era per la di-pendenza (per lo meno indiretta) dello Stato dalla Chiesa! Il fatto è che Giovanni Paolo II è un grande estimatore delle democrazie occi-dentali, ritenute l’unica forma di governo possibile. Nel discorso ai Polacchi sulla vittoria di Montecassino (che per la popolazione italiana, stuprata ed uccisa dalle truppe alleate marocchine, e per l’antico monastero sacrilegamente, empiamente ed inutilmente distrutto dagli “alleati”, fu una sconfitta atroce) dichiara: “Essa è stata lo scontro di due progetti: uno tendente, sia in Oriente che in Occidente, allo sradicamento dell’Europa dal suo passato cristiano (...), l’altro teso a difendere la tradizione cristiana dell’Europa e lo spirito europeo” (n.4), naturalmente... radendo al suolo un monastero occupato solo da monaci e civili! Il rifiuto del totalitarismo pagano e del totalitarismo marxista non deve farci attribuire alle democrazie liberal-massoniche che combatterono a Montecassino una qualsiasi difesa della “tradizione cristiana”... a meno che non si identifichino, con Maritain e Montini, la tradizione
cristiana con princìpi delle rivoluzioni inglese, americana e francese, ovvero coi princìpi delle logge massoniche oggi purtroppo trionfanti, anche mediante quelle “esigenze di una crescente
mondializzazione delle dinamiche finanziarie” che, secondo Wojtyla (e non solo lui!) sono da assecondare! (ai membri della Banca d’Italia, n. 4).
Un orizzonte puramente terreno.
Udienza a nove Ambasciatori in occasio-ne della presentazione delle lettere credenziali,il 13 gennaio 1994 (O. R., 14/1/1994, pag. 5).
Giovanni Paolo II, riferendosi “ai Paesi più giovani”, afferma: “Essi desiderano costruire un futuro di libertà e di autodeterminazione inaccordo con le proprie tradizioni culturali e religiose” . E se le “tradizioni religiose” di questi Paesi non sono cristiane, che ci sta a fare la Chiesa? Dovrà andare contro i legittimi desideri dei “Paesi più giovani” predicando una nuova “tradizione religiosa”? Non pare. “La Santa Sede - spiega Giovanni Paolo II -cerca, in modo consono alla natura e alla missione specifiche della Chiesa, di servire l’umanità proprio promuovendo questa indispensabile cultura di cooperazione e solidarietà, basata sul rispetto per le verità di ordine morale, sulla sollecitudine verso l’autentico sviluppo umano e la difesa della dignità umana”. Un orizzonte puramente umano e filantropico, riduttivo se non falsificante della “missione specifica della Chiesa”, che per giunta dev’essere sempre condito con salsa ecumenica: “Li invito - aggiunse Giovanni Paolo II lo stesso giorno parlando all’Ambasciatore del Mali dei cristiani di questo Paese - ad essere dei dinamici testimoni del Vangelo, nel rispetto delle credenze altrui, ed a stringere dei legami di amicizia gli uni con gli altri (...). Mi auguro che un tale dialogo, sempre più costruttivo, si sviluppi tra di essi ed i loro compatrioti musulmani, come pure con gli appartenenti ad altre confessioni o coloro che praticano le religioni africane tradizionali” (pag. 5, traduzione dal francese). Del tutto simili le parole rivolte agli altri Ambasciatori dal “Servitore dell’Uomo”, Giovanni Paolo II.
Democrazia, ora e sempre
Dall’udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (15 gennaio
1994; O. R., 16/1/94, pagg. 4 - 7)
“Numerosi popoli hanno manifestato nuovamente le loro legittime rivendicazioni pluraliste e democratiche. È una realtà positiva, di cui dobbiamo tener conto. Non possiamo tornare indietro! (...) Il Sud Africa ha coraggiosamente superato gli ultimi ostacoli creati dai
riflessi razziali, per fondare una società plurietnica dove ognuno dovrebbe sentirsi responsabile della felicità dell’altro. Nel vicino
Oceano Indiano, il Madagascar ha saputo effettuare pacificamente la transizione verso una società democratica. Ci auguriamo che questi esempi siano contagiosi (...) Speriamo anche che il processo di democratizzazione avviato nel Gabon non venga frenato (...)” (n. 5). Giovanni Paolo II è l’apostolo... della democrazia, anche quelle col pugno chiuso (cf. il saluto abituale del nuovo "capo di Stato" sudafricano, Mandela) ed i “collari di fuoco”. Dure e ripetute le condanne al razzismo ed al nazionalismo (cf. n. 6 e 7), il che è giusto, ma per favorire delle società plurietniche ed egualitarie, il che è sbagliato: “quando gli Stati non sono più uguali, le persone finiscono anch’esse per non esserlo più” (n. 7); “il mondo non potrà conoscere adesso il tempo delle esclusioni! È al contrario il tempo dell’incontro e della solidarietà fra l’Est e l’Ovest, fra il Nord e il Sud” (n. 9). Il Governo Unico Mondiale è alle porte, spacciato per cristianesimo. Poco o nulla sui paesi in cui i cattolici sono perseguitati o uccisi, anzi, solo elogi per la Cina. Dove, come tutti sanno, c’è una grande democrazia...
Neocatecumenali
Molti autori, anche tra gli aderenti al Vaticano II, hanno pubblicamente denunciato le numerose eresie neo-luterane e giudaizzanti del cosiddetto “Cammino Catecumenale”, fondato da Kiko e Carmen (cf. le opere di p. Enrico Zoffoli, passionista ed ex-docente alla Pontificia Università Lateranense, nonchè le 20 puntate dedicate a questi nuovi eretici da don Villa su Chiesa viva tra il 1992 e il 1994, Via Galilei 121, 25123 Brescia). Eppure Giovanni Paolo II ha approvato il “Cammino” e lo ha pubblicamente elogiato numerose volte. il 17 gennaio 1994 (O. R. 17-18/1/94, pag. 6). “Il vostro Cammino intende attingere allo spirito del Concilio Vaticano II, per offrire un esempio di nuova evangelizzazione che dà speranza alla Chiesa alla vigilia del terzo millennio cristiano. Vostro merito è l’avere riscoperto una predica-zione cherigmatica che invita alla fede anche i lontani, realizzando un itinerario post-battesimale secondo le indicazioni dell’Ordo initiationis Christianæ Adultorum, richiamate dal Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. n. 1231)” Sarebbe stato bello poter porre un quesito a Padre Zoffoli, ma il buon passionista è morto alcuni anni fa ed ora sa quale sia la verità: come può la Chiesa, per mezzo di un legittimo successore di Pietro, approvare e raccomandare un movimento che, come Lei ha dimostrato, è eretico? Cosa si può rispondere a quei catecumenali eretici, che ribattono ai nostri argomenti mettendo in avanti le parole di Giovanni Paolo II? Non potrebbero dire a ragione che sono stati ingannati dal Papa e dalla Chiesa, il che è impossibile? In una parola: l’approvazione del “Cammino Catecumenale” non pone perlomeno dei dubbi sull’Autorità di Giovanni Paolo II?
Rispetto e dialogo con le religioni dei sacrifici umani
La "dichiarazione conciliare" Nostra Ætate (28 X 1965) ha stabilito quali siano i rapporti tra la “Chiesa cattolica” e le religioni non cristiane: rispetto e dialogo (n. 2). (“Rispetto” significa, per il dizionario Zingarelli, “sentimento nato da stima o da considerazione verso persone ritenute superiori, verso princìpi o istituzioni”). I documenti che commentiamo non sono altro che una applicazione del Con-cilio Vaticano II. Innanzitutto, la lettera del Pontificio Consiglio per il Dialogo InterReligioso ai Presidenti delle Conferenze Episco-pali di Asia, America e Oceania, intitolato “Attenzione Pastorale alle religioni tradizionali” (23 XI 1993, O. R., 21 gennaio 1994,
pag. 7). Cosa sono mai queste “Religioni tradizionali” di cui non troverete traccia nella Scrittura o nella Tradizione della Chiesa?
Sono quelle religioni un tempo chiamate pagane o idolatre. Ma “alcuni nomi (per esempio paganesimo, feticismo) hanno un significato negativo e oltre a ciò non descrivono realmente il contenuto delle stesse” (n. 2). Ci vuole un nome “positivo” (Religione Tradizionale, Popolare, Indigena) per delle "religioni" che non sono più considerate come idolatre. Sì, la Bibbia... non aveva ragione! Sono arrivati i sociologi e gli etnologi vaticani a spiegarci che questi
ex-pagani “hanno in genere una chiara credenza in un unico Dio” (n. 3). Sono, quindi, monoteisti! Benché credano anche negli “spiriti”, che alcuni chiamano “dèi” o “divinità”, e negli antenati. E benché “il culto si rivolga in generale agli spiriti e agli antenati e alle volte a Dio. (...) Il timore degli spiriti maligni o degli antenati motiva molti atti di culto” (n. 3). Quindi, di Dio si occupano pochino, e preferiscono render culto agli dèi ed ai demoni (o spiriti maligni). La “Parola di Dio”, di cui, dopo il Concilio, ci si riempe tanto la bocca, non dice forse che dèi e demoni sono la stessa cosa? “Tutti gli dèi delle genti son demoni” (Ps. 95, 5). E san Paolo, l’Apostolo per eccellenza, non diceva ai pagani convertiti di Corinto che “quel che sacrificano i Gentili lo immolano ai demoni, non a Dio” (1 Cor. 10, 20)? Tanto più che tra le “ombre” o gli “elementi negativi” delle “Religioni tradizionali” ci sono anche, per ammissione del documento stesso della “Santa Sede”, i “sacrifici umani” (n. 5). Eppure, “la Chiesa rispetta le religioni e le culture dei popoli” (n. 8) e “con coloro che aderiscono alla religione tradizionale e non desiderano ancora diventare cristiani, il dialogo deve essere inteso nel senso ordinario di incontro, comprensione reciproca, scoperta dei semi del Verbo in queste religioni e ricerca comune delle volontà di Dio” (n. 9). E noi che pensavamo che bisognasse semplicemente annunciare il Vangelo e, se non si è accolti, si dovesse scuotere la polvere dai calzari “in testimonianza contro di loro” (cfr. Mt 10, 14; Mc 6, 11; Lc 9, 5). Il "cardinale" Arinze, firmatario del documento, ed il Concilio stesso, obbietteranno che anche nel paganesimo c’è qualcosa di “nobile, vero e buono” (n. 8). Certamente, giacché il Male assoluto non esiste ed ogni male consiste in una privazione di bene: anche il diavolo ha qualche cosa di “nobile, vero e buono” (la natura angelica creata da Dio). Il che non ci autorizza ad avere stima e rispetto verso di lui o a instaurare con lui un dialogo. Si potrà obbiettare altresì che la religione cristiana non ha rifiutato gli apporti positivi della cultura classica greco-romana. Perché non compiere il medesimo processo di “inculturazione” con le civiltà con le quali viene a contatto il Vangelo? Si tratta di una vecchia questione che la Chiesa risolse, sostanzialmente, condannando i “riti cinesi” ideati dai missionari gesuiti del XVII secolo. Il termine “inculturazione” non si ritrova nel Vaticano II, ma se ne ritrova l’idea (particolarmente nella sciagurata "Gaudium et Spes" e Ad Gentes).Ora, la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti ha emanato la “IV Istruzione per una corretta applicazione della Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia (nn. 37-40)” intitolata “La liturgia romana e l’inculturazione” (25 gennaio 1994, O. R. 30 marzo 1994, pagg. 6-9). Un esempio pratico riassumerà il lungo documento che non possiamo, come vorremmo, commentare dettagliatamente: le danze tribali che tutti hanno potuto osservare durante le “Messe” del Sinodo Africano, sono solo l’applicazione del numero 42 dell’Istruzione che autorizza nella liturgia il “battito delle mani”, il “movimento ritmico del corpo”, i “movimenti di danza dei partecipanti”. Quali gli errori dell’ “inculturazione”? Innanzitutto, pensare che il processo di cristianizzazione di una cultura pagana possa essere decretato a tavolino; esso è un fatto spontaneo che nasce dalla vita e non dalle decisioni dei burocrati vaticani. In seguito, e soprattutto, il presupposto che tutte le culture abbiano la medesima dignità e la medesima possibilità di conciliarsi col cristianesimo. È, in fondo, l’errore neomodernista condannato da Pio XII in Humani Generis a proposito della filo-sofia: l’opera di cristianizzazione di quella aristotelica operata da San Tommaso non è ripetibile con le altre filosofie. Similmente per le culture diverse, di cui la filosofia è un aspetto. Certo, il cristianesimo non è sottomesso ad una cultura, in quanto è cattolico, cioè univer-sale. Tuttavia, è Dio che ha scelto un popolo, quello ebraico, per affidargli la Rivelazione. E Dio stesso ha scelto Roma per essere la sede del Suo Vicario in terra. La Chiesa è romana. Pretendere che essa è bantù quanto è romana non è conforme alla volontà di Dio. Malgrado le affermazioni contrarie del documento vaticano (nn. 46-51) il risultato dell’ “inculturazione” è la “ri-paganizzazione” di popoli già convertiti al cattolicesimo, coi bei risultati che si sono visti in Rwanda e altrove. Il 10 aprile Giovanni Paolo II “ha presieduto nella Basilica Vaticana alla solenne "concelebrazione eucaristica" [con balli e danze!] per l’apertura dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi” (O. R., 11-12 aprile 1994, pag. 5) ribadendo la centralità del Vaticano II (n. 5) e dell’ecumenismo (n. 8). Quali sono i frutti del Sinodo? Il noto missionario padre Gheddo li commenta per noi: “La Chiesa di Roma apre le porte allo stregone”. «Il tema che più colpisce per la sua novità -scrive p. Gheddo - è il “dialogo con la religione tradizionale” (...). “Un dialogo strutturato attorno all’eredità religiosa - dice il messaggio finale del Sinodo - è fortemente raccomandato dalle nostre Chiese locali con i garanti dei nostri valori culturali e della nostra religione tradizionale”. I “garanti” sono i cosiddetti “stregoni” e gli “antenati” vivi e defunti». Il risultato? Ce lo dice - tutto contento - lo stesso p. Gheddo: “In Africa la grande maggioranza dei cristiani va a Messa la domenica ma poi frequenta anche il culto tradizionale” (La Voce). Aspetteremmo invano che il Sinodo, di cui “il Concilio Vaticano II è la principale fonte di ispirazione” (Giovanni Paolo II), ricordi ai cattolici africani quanto disse San Paolo a quelli di Corinto: “non potete bere il calice del Signore ed il calice dei demonii, non potete partecipare alla mensa del Signore e a quella dei demonii” (I Cor. X, 21). Non c’è più lo zampino del diavolo, per il Vaticano II, nell’ ex-idolatria, ora “religione tradizionale”. E gli africani non hanno più il diritto di diventare veramente cristiani, liberandosi, come i nostri antenati, dalle tenebre del paganesimo.