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    Predefinito La Questione Settentrionale, la Lega Nord...e dintorni

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    " L’identità settentrionale
    di Roberto Chiarini

    Da quando la Lega ha fatto la sua comparsa, ogni qual volta si presenta ad una prova elettorale, è data in grande difficoltà: da alcuni in probabile caduta, da altri addirittura in rotta. È in gran parte il portato di un’incomprensione del fenomeno, di una difficoltà – o, peggio, rifiuto – a cogliere i caratteri strutturali che sono alla base, prima, della sua insorgenza e poi della sua fortuna. Ciò ha incoraggiato i più a considerarlo un movimento essenzialmente di protesta, cioè al fondo effimero, destinato quindi presto o tardi ad essere riassorbito. Cambiano di volta in volta le ragioni addotte per motivare l’infausta prognosi. Resta la propensione ad emettere con una certa faciloneria vaticini pessimistici: una propensione solo attenuata dalle ripetute smentite nel frattempo accumulate.

    La capacità di tenuta e il radicamento sul territorio dimostrati dalla “protesta leghista” – se proprio di protesta si vuol continuare a parlare – non ci esimono dal compito di verificare, di volta in volta, le condizioni ambientali esterne e lo stato di salute interno del movimento, se almeno non si vuole incappare in nuovi fraintendimenti o emettere spericolati pronostici. Impegno, questo, tanto più doveroso nell’attuale frangente che vede il partito di Bossi chiamato ad affrontare una doppia prova elettorale – voto per le amministrative e per le europee – nell’inedita condizione che gli viene dalla prolungata (ben tre anni ininterrotti) condivisione di responsabilità di governo e dall’improvvisa indisponibilità della figura, risultata sinora insostituibile, del suo leader fondatore. Non si tratta di due novità marginali, bensì centrali per il modo d’essere della Lega e quindi con ogni probabilità destinate ad esercitare serie conseguenze non solo sulla sua resa elettorale ma forse anche sul suo stesso futuro politico. Esse investono infatti almeno due dei caratteri unanimemente individuati dalla letteratura sociologica e politologica come portanti del successo leghista. Questi possono essere così riassumibili nella rappresentanza politica della “subcultura bianca”, nella valorizzazione del pregiudizio “anti-politico”, nell’offerta di una tutela ai settori borghesi ed anche popolari delle aree periferiche delle regioni settentrionali afflitti da un senso di insicurezza e di deprivazione relativa e, da ultimo, in una forte leadership dalla spiccata impronta carismatica e plebiscitaria. Se si ripercorre la dinamica dell’avanzata leghista, non è difficile cogliere come siano oggi in forse proprio due degli elementi portanti della sua forza sopra-evidenziati.

    Il Nord che cambia: all’origine della Lega

    Lungi dal costituire la semplice, ricorrente ma effimera, emersione dell’atavica disaffezione plebea allo Stato e alla politica, il leghismo affonda le radici nel grande sommovimento che ha scosso la società e la politica italiana nell’ultimo quarto del secolo scorso. Una forte e diffusa disaffezione nei confronti dei partiti, specie nei settori meno politicizzati dell’opinione pubblica, è stata una costante della nostra Repubblica. Diventa, però, per la prima volta un’effettiva forza politica solo a partire dagli anni Ottanta. L’allentamento della presa ideologica e del controllo esercitato dai partiti fa venire meno i fattori che avevano ostacolato fino allora il tracimare del cronico scontento nutrito dal paese verso il sistema.

    Non è solo la crisi delle forme consolidate della mobilitazione e della rappresentanza politica ad offrire nuovi spazi all’intraprendenza di un nuovo imprenditore politico. Sono in atto, sempre negli stessi anni, massicci processi di modificazione strutturale della società. I cosiddetti “partiti d’integrazione di massa” hanno avuto in Italia la loro stagione d’oro negli anni del “miracolo economico”, hanno occupato lo spazio e svolto il ruolo propri di ogni agenzia sociale capace di erogare nuove identità collettive nel momento in cui quelle tradizionali venivano erose.

    Ora, quanto più vasto e profondo è stato il controllo esercitato dai partiti, tanto più rovinoso è il processo che si origina in seguito al loro collasso. La chiusura del ciclo di prima industrializzazione aveva già creato le condizioni perché i partiti ideologici di massa uscissero di scena, almeno nella loro originaria versione di agenti primari della socializzazione e della partecipazione politica. A scavare sotto i loro piedi una fossa ancor più profonda sono la qualità e la forza della domanda politica che prende forma dalle viscere della società – chiamiamola per brevità – post-industriale. Con l’avanzare delle nuove forme di organizzazione del lavoro, tramontano la fabbrica fordista e, insieme ad essa, la figura dell’operaio-massa: i due pilastri su cui aveva poggiato per circa mezzo secolo un’area di relativa omogeneità culturale nel mondo del lavoro che aveva orientato le preferenze politiche verso i partiti di massa, soprattutto verso uno stile politico fatto di identificazione ideologica, di solidarietà umana, di partecipazione attiva alla causa.

    Sulle ceneri di questo mondo è nato un complesso fondato sulla piccola industria e la comunità locale. Non si tratta tanto di specifiche realtà economiche, quanto di formazioni sociali produttrici di comportamenti collettivi, di stili di vita, di valori interiorizzati condivisi che configurano un orizzonte ed una domanda politica nuovi rispetto agli anni di fondazione della società industriale di massa. L’opposizione “vitalità della piccola industria/decadenza della grande” ha spostato a favore della prima tutto il richiamo e la forza simbolica sprigionata dal cambiamento in atto. In questo humus hanno attecchito valori – e si sono propagati comportamenti – orientati al liberismo, alla contrarietà verso l’intervento statale nella regolazione e soprattutto nella gestione economica, alla preferenza per il privato rispetto al pubblico, al pregiudizio sfavorevole nei confronti della politica e dei partiti in particolare. Ne è derivata la condivisione di un codice di comportamento che aiuta a trasferire sul terreno della politica atteggiamenti e modi di fare sempre intrisi di individualismo.

    La perdita del partito come fonte primaria di produzione di valori, di solidarietà, di obbligazioni – e qui siamo ad un ulteriore aspetto del cambiamento intervenuto nella società italiana – ha fatto riscoprire e rilanciare la sponda della comunità locale. Su questo terreno è stato possibile ritrovare un concreto riferimento per le relazioni sociali e un ambiente favorevole in cui ricostruire solide identità collettive compensative ed alternative alle vecchie. La riscoperta/valorizzazione delle reti fiduciarie primarie – dalla famiglia alla comunità – è solo il risvolto socioculturale della diffusione di un modello di sviluppo centrato sulla Terza Italia, sulla micro-impresa, sui distretti industriali e costituisce il supporto del subentro del sistema politico locale a quello nazionale. Le società municipali non hanno accusato alcuna difficoltà a convivere con l’Italia nuova, prima, del miracolo economico e poi della stag-inflation. Si sono anzi col tempo consolidate, ritagliandosi un ruolo ed una funzione addirittura sistemici perché congruenti con le caratteristiche strutturali della società italiana.

    La frattura centro/periferia e l’irrompere di bossi

    Le subculture territoriali sono sempre state la testimonianza vivente della frattura consumatasi tra centro e periferia all’interno della società italiana e stabilmente riprodottasi nelle varie fasi dello sviluppo economico e sotto i diversi regimi politici. Si possono considerare l’espressione della frattura storica, ma anche il suo occultamento/depotenziamento. Grazie alla capacità di governo – per via di aggregazione e mediazione – dei vari interessi anche confliggenti presenti sul territorio, esse hanno garantito la tenuta delle società locali. Di più: esse hanno promosso il loro sviluppo assicurando al contempo il più basso tasso di conflittualità, esempio originale di conciliazione tra tradizione e modernità.

    Il loro ruolo nel sistema politico nazionale cambia con il progressivo scollamento in corso tra politica e comunità locale. Questo lascia la subcultura bianca, per così dire, politicamente orfana, oltre che largamente insoddisfatta nelle sue domande. Vengono meno infatti sia il ruolo del partito – la Dc – quale tramite della domanda politica tra comunità locale e governo sia la capacità dell’amministrazione municipale di contrattare direttamente con il centro burocratico e istituzionale romano. Il tutto si consuma peraltro in una stagione contrassegnata dai profondi e radicali cambiamenti indotti dall’integrazione economica europea e dalla mondializzazione degli scambi; il che si traduce per la comunità locale in nuove e più impegnative sfide da affrontare.

    Lo scontento, equamente ripartito tra governo e centro, finisce per riattivare e rilanciare gli antichi e mai sopiti pregiudizi dell’anti-politica, dell’anti-statalismo e dell’anti-centralismo. Sono i temi su cui monta la mobilitazione leghista un po’ dappertutto nel Settentrione, di preferenza nelle zone storiche di insediamento dell’associazionismo cattolico. La subcultura cattolica paga il carattere eminentemente aggregativo da essa impresso al sistema politico locale. Il danno si aggrava complicandosi con il processo di secolarizzazione che la scompone al proprio interno, oltre naturalmente ad eroderla. Una parte del mondo cattolico reagisce alla perdita di rilevanza della dimensione religiosa nella vita collettiva riscoprendo la passione per la testimonianza personale dei valori di solidarietà e fratellanza il cui naturale sbocco è l’impegno nelle varie forme del volontariato, per definizione a-politico e, a maggior ragione, a-partitico. Un’altra parte, avendo invece interiorizzato i valori neo-materialistici della società mercantile, è portata ad appoggiarsi a quel che resta della subcultura cattolica per rifondare un senso di appartenenza alla comunità locale. Spogliata della componente etico-religiosa, essa si risolve a questo punto in mera risorsa politica utile a tutelare gli interessi particolaristici del territorio, in aperta contrapposizione alla politica ed allo Stato, identificati spregiativamente col Centro.

    La partita innestatasi sulla frattura centro/periferia, rimasta per tutto quel tempo in uno stato – per così dire – di latenza politica, eppur saldamente presente nel sentire nazionale, fa la sua fragorosa comparsa sulla scena politica. Nel momento in cui essa incontra un imprenditore politico deciso a farne la propria issue privilegiata, non a caso riceve un decisivo rinforzo nel moto di protesta e, presto, di vero rigetto verso la politica ufficiale dei partiti e dello Stato che sale nel paese e che sfocia al tornante degli anni Novanta nella mobilitazione insorta a sostegno della questione morale e nel cosiddetto movimento referendario. A dispetto delle diverse, se non opposte, ideologie ispiratrici dei tre “popoli in rivolta” – i leghisti, i giustizialisti, i referendari – la loro azione assomiglia molto ad una di quelle manovre d’attacco a tenaglia che muovono per linee separate ma concentriche contro lo stesso nemico: ossia contro lo Stato dei partiti, del centralismo, della corruzione.

    La spinta dell’anti-politica

    L’assalto alla «Roma capitale dello Stato centralista, della partitocrazia e della corruzione» rilancia e virulenta l’antica ispirazione impolitica dell’Italia profonda e sommersa che ha trovato nell’identità settentrionale – un’identità fatta di etica del lavoro, di cultura del merito, di orgoglio per la sana e onesta amministrazione – il suo caposaldo. Non è un caso che, per quanto in forme e in misura assai diverse, tutti e tre i moti di protesta trovino proprio nel Settentrione le loro roccaforti: siano esse le zone bianche della Lombardia e del Veneto, i fans del pool di Mani Pulite di Milano o i lettori de il Giornale montanelliano, sempre di Milano.

    È un movimento tumultuoso e scomposto che si distribuisce in alvei diversi: nella Lega, ma anche in Forza Italia, oltre che nella sinistra, tutti a diverso titolo interpreti di un sentimento anti-politico. È comunque il partito del Carroccio a trovare un supporto più saldo degli altri proprio in quel che resta della realtà e del mito della comunità locale unificando le sparse e non sempre coerenti membra della “nazione lumbarda” nella contrapposizione-ostilità al Centro e nella identificazione-fedeltà ad un leader carismatico. L’unicum che contraddistingue il movimento di Bossi sta proprio nella diversità/alterità irriducibili rispetto al sistema istituzionale e politico dei partiti nazionali: ai contenuti della loro politica come ai simboli ed allo stile di cui si nutre. Ragion per cui la sua è una condizione liminare: perennemente in bilico tra contestazione e riforma del sistema, tra secessione e federalismo, tra opposizione frontale a tutti e tutto e partecipazione al governo. La prima opzione comporta il rischio della marginalità proprio di ogni movimento di protesta, la seconda quello della omologazione. Rischi entrambi mortali e debitamente (sinora) scansati dalla Lega grazie ad una navigazione perigliosa affidata alle abili e spregiudicate giravolte del suo nocchiero che ha fatto della totale libertà di movimento l’elemento di forza del partito e dei successi ottenuti il decisivo rinforzo della sua personale legittimazione. È evidente che la continuativa permanenza al governo in solidale (per quanto litigiosa e perennemente ricontrattata) collaborazione con gli altri ospiti della Casa delle Libertà ha esposto il partito di Bossi ad un logoramento che può lasciare il segno sulle sue prossime performances elettorali. Nondimeno è ricca di incognite per la Lega una competizione elettorale che la vede – anche in questo caso per la prima volta nella sua storia ormai più che ventennale – priva della guida e persino della presenza del suo leader.

    Dei due handicap è forse il primo quello destinato ad avere le più pesanti conseguenze. Nell’immediato infatti è molto probabile che il danno dell’indisponibilità del leader maximo sia ampiamente risarcito – il pensiero va al precedente del popolo comunista che volle tributare l’ultimo caloroso omaggio a Berlinguer con un massiccio sostegno alle liste di partito dopo la sua scomparsa o, più vicino a noi, alla lista Pim Fortuyn all’indomani dell’assassinio del suo leader dal forte richiamo emotivo suscitato nei quadri e nello stesso elettorato leghista spinti a raccogliersi attorno alla bandiera del Carroccio in spirito di solidarietà con Bossi bloccato dalla malattia. Certo che il discorso cambierebbe nel malaugurato caso che il fondatore della Lega non tornasse presto alla guida del partito. È difficile ipotizzare una gestione collegiale e, tanto più, una successione altrettanto carismatica per una formazione che ha visto la sua storia identificarsi con la figura e il ruolo di un personaggio carismatico come Bossi.

    25 giugno 2004
    "

    Saluti liberali

  2. #2
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    " La Lega, Bossi e il dopo
    di Adalberto Signore

    «Tornerà presto. E allora saranno dolori per tutti». Sulle scale che portano al quinto piano dell’ospedale di Varese, la cravatta verde allentata e l’ennesima sigaretta da fumare, Roberto Calderoli cerca di scacciare i fantasmi. Dopo quella tragica mattina dell’11 marzo, la corsa in ambulanza al presidio medico di Cittiglio, la concitazione della prima diagnosi e la paura di non farcela, c’è tutto un partito che vive nell’ansia di non esserci più. Perché ormai da molti giorni al cuore “stanco” di Umberto Bossi sono legati – come fossero una lunga fila di perline – tutti i cuori della Lega. E la malattia tutta privata del Senatùr è diventata una sorta di pena collettiva per l’intero popolo padano, per tutti i militanti che in questi anni lo hanno seguito, ascoltato e acclamato. Sono loro, e non solo, a vivere con lo spettro di una campagna elettorale per la prima volta senza Bossi dopo un quarto di secolo.

    Tutto iniziò quasi per caso un giorno di febbraio del 1979. Davanti all’Università di Pavia, il giovane Umberto incontra Bruno Salvadori, dirigente dell’Union valdotaine, il più solido movimento autonomista nato in Italia nel secondo dopoguerra. I due chiacchierano una decina di minuti, poi si mettono comodi al tavolino di un bar e infine si salutano scambiandosi i numeri di telefono. Passano due mesi e Salvadori lo chiama chiedendogli un impegno come attivista. Bossi dice no, poi si fa convincere. Più tardi ammetterà: «Se un giorno di aprile Salvadori non mi avesse telefonato, oggi sarei quasi certamente un tranquillo medico di paese». In qualche notte di lavoro Umberto attacca per il Varesotto i cinquecento manifesti dell’Union valdotaine. La sua carriera politica – volendo tralasciare una certa vicinanza al Pci alla metà degli anni Settanta – è a tutti gli effetti iniziata. Ma sarà nell’estate del 1980 che – con la morte di Salvadori in un incidente stradale – Bossi si concentrerà sull’autonomia a lui più cara, quella della Lombardia. Passano due anni e tutto è pronto per il battesimo della Lega autonomista lombarda. La base del neonato movimento, ovviamente, è a Varese, nel monolocale di una certa Manuela Marrone. Piccolina, bruna, occhi luminosi, quell’insegnante appassionata di dialetti locali diventa presto la seconda compagna di vita di Umberto. Senza di lei, forse, il talento creativo e disorganico di Bossi non avrebbe mai trovato un ancoraggio certo. «Un momento difficile – ammette Manuela nell’unica intervista “privata” che si sia concessa – c’è stato. La nostra relazione era già cominciata e venni a sapere che era sposato e, soprattutto, che aveva un bambino piccolo. Lì per lì, ammetto, ero tentata di mollare tutto». Ma fu l’esatto contrario: Manuela diventerà la seconda moglie di Bossi, gli darà tre figli (Renzo, Roberto Libertà e Sirio Eridano) e sarà una delle colonne della Lega. E con Roberto Maroni, Dino Daverio, Sandro Ambrosetti e Giuseppe Leoni (oggi uno degli amici più intimi di Bossi) darà vita alla prima campagna elettorale lumbard, fatta a colpi di lettere su carta intestata con tanto di disegno stilizzato dell’Alberto da Giussano che troneggia nella piazza centrale di Legnano.

    Dopo un primo e disastroso tentativo elettorale sotto il simbolo della Lista per Trieste, il 12 aprile 1984 davanti ad un notaio di Varese nasce ufficialmente la Lega. Che conquista subito simpatizzanti e militanti un po’ in tutta la Lombardia e che presto cerca alleanze strategiche con i cugini veneti (la Liga) e piemontesi (l’Arnassita). Dopo un altro tentativo elettorale alle Europee del 1984, questa volta sotto il simbolo della Lv-Europa federalista, arrivano le Amministrative del 1985 ad aprire finalmente la strada a Bossi e compagni. Due anni dopo, alle Politiche del 14 e 15 giugno 1987, la consacrazione: 320.000 preferenze, Leoni eletto alla Camera e Bossi al Senato (da qui il soprannome di Senatùr). Artigiani, operai, piccoli imprenditori e anche studenti si lasciano affascinare dalle arringhe di quello che è forse l’ultimo politico “puro” uscito dalla Prima Repubblica. Molti sono stanchi di pagare tasse troppo alte, altri intolleranti verso la partitocrazia dei Palazzi romani. E poi c’è il lassismo meridionale, la burocrazia centralista e una buona dose d’insofferenza verso l’immigrazione extracomunitaria. La battaglia per la libertà della Padania è a tutti gli effetti iniziata. Perché – spiegava già allora Bossi – «quello leghista non è un voto di protesta generico, ma mirato. È la richiesta di cambiare la forma dello Stato e il rapporto tra le Regioni a statuto ordinario e lo Stato».

    La cosmogonia

    Pian del Re, pendici del Monviso, provincia di Cuneo. È il 13 settembre 1996, pochi minuti prima delle 17.30 il Senatùr solleva al cielo l’ampolla con l’acqua appena prelevata dalla sorgente del Po. È stata forgiata per l’occasione da un vetraio di Murano e fino a qualche minuto prima che inizi lo stravagante rituale viene gelosamente custodita da due giovani e bionde leghiste in camicia verde, Marisa e Ilaria. Davanti a circa cinquecento persone, Bossi spiega il mistero di quella cerimonia: «Questa acqua pura e spumeggiante ha fatto la pianura padana. I nostri avi ritenevano che l’acqua fosse Dio, immanente a tutte le cose. Noi la porteremo a Venezia e la libereremo nella laguna, così libereremo anche noi». Sono passati già nove anni dalla consacrazione del Senatùr, ma la prima cerimonia dell’ampolla – forse più dei raduni oceanici sul “sacro” prato di Pontida – dà l’idea di qual è lo spirito originario della Lega, quello che ha conquistato e appassionato un elettorato in cerca di qualcosa di più dei soliti comizi un po’ imbalsamati di quegli anni.

    È il colpo di genio di Bossi, la nuova politica del dopo Tangentopoli. Strategia di comunicazione, direbbero gli esperti. L’Umbert ha iniziato con «la Lega ce l’ha duro» e ha finito per creare un nuovo universo della politica: c’è una divinità (il Po, appunto), dei rituali (dalla cerimonia dell’ampolla al tradizionale incontro di Pontida, dove nel 1176 giurarono i Comuni che, uniti nella Compagnia del Carroccio, si liberarono di Federico Barbarossa), degli antenati (i Celti), una storia («furono i padri padani – diceva Bossi qualche anno fa – a fare l’Italia e i Risorgimenti») e una chimera (l’indipendenza della Padania). Ed è proprio in virtù di quest’ultima che il Senatùr ha messo su uno straordinario palcoscenico dove di tanto in tanto porta in scena le sue rappresentazioni migliori. Non rinuncia a nulla. Istituisce un Parlamento del Nord (ma poi arriva lo sfratto per morosità), se la prende con la burocrazia e il lassismo della Capitale («Roma ladrona, la Lega non perdona»), boicotta le mozzarelle di Caserta, incita la Guardia padana, minaccia la secessione con l’uso delle armi («ma preferirei la trattativa») ed indica ai militanti la strada da seguire in fatto di colori (il verde), musica (Va’ pensiero), cinema (Braveheart), calcio (Atalanta) e perfino donne (con il concorso Miss Padania).

    Prove tecniche di successione

    Dieci minuti dieci. Tanto è durato l’incitamento di militanti e dirigenti che hanno partecipato all’assemblea federale della Lega a Bergamo il 27 e 28 marzo. «Bo-ssi-bo-ssi-bo-ssi», urlava ritmato la platea assiepata sotto un tendone su cui troneggiava la scritta «Mai molà, tègn dur». Da molti giorni il ministro delle Riforme “riposa” in coma farmacologico in un letto d’ospedale ma i pensieri del popolo padano sono tutti per lui. Qualche giorno prima dell’appuntamento di Bergamo, il Senato ha approvato in prima lettura (ma servono altri tre passaggi parlamentari) la cosiddetta devoluzione. È la prima vittoria della Lega senza il suo condottiero, un successo che tutti, dai colonnelli del partito all’ultimo dei militanti, dedicano al cuore “stanco” di Umberto. Con una domanda che aleggia come uno spettro su tutto il partito: e ora che si fa? C’è in questi casi un codice d’onore che impone alla politica di non affrettare giudizi e non anticipare e precipitare eventi. Ma è inutile girare intorno alla questione: quell’11 marzo la storia della Lega è cambiata. Troppo forte l’identificazione con il leader, troppo importante il ruolo di battitore libero che il Senatùr ha saputo costruirsi negli anni. Al punto che sono in molti a sostenere che «la Lega nasce e muore con Bossi». Insomma, due entità imprescindibili. Ma se nel lungo periodo è questo probabilmente lo scenario più realistico, c’è pure da ragionare su quello che sarà oggi, alla vigilia delle Europee, e soprattutto domani, a seggi chiusi e con la devoluzione in corsa verso la Camera per il secondo passaggio parlamentare.

    Perché mentre il leader di tante battaglie è alle prese con il suo «malanno di stagione» (così lo ha definito affettuosamente Leoni in un’intervista a la Padania), la Lega sta dimostrando di aver imparato la lezione. E i tre Roberto (Maroni, Calderoli e Castelli) ne hanno dato prova proprio a Bergamo. “No” al decreto salva-calcio, “no” al pacchetto Tremonti e “chiarezza” sui tempi di approvazione della riforma federalista. «Altrimenti – hanno tuonato uno dopo l’altro dal palco – lasciamo il governo». È l’ennesimo omaggio a Bossi («non faremo correnti, dobbiamo essere tutti uniti», ha sempre predicato fin dagli albori il Senatùr), ma anche l’avvio di una corsa di riposizionamento che avrà fine solo dopo le Europee. E dove ci saranno solo due Roberto a farla da padrone. Già, perché se è vero da qualche settimana i tre colonnelli si sono muniti di telefonino supplementare (con tanto di numero segreto) solo per tenersi in contatto tra loro ventiquattro ore al giorno, è pur vero che dei tre triumviri Castelli sembra essere quello politicamente più debole.

    Al di là delle smentite ormai quotidiane, infatti, nella Lega ci sono due correnti di bossiani, entrambe fautrici dell’alleanza di ferro con Berlusconi. La prima è guidata da Roberto Maroni, la seconda da Roberto Calderoli. Appassionato di musica, già ministro dell’Interno nel ’94, il titolare del welfare viene dalla sinistra ed è nato e cresciuto a Varese, città natale della Lega. Dentista, sposato con rito celtico e coordinatore delle segreterie “nazionali” della Lega, il vicepresidente del Senato ha invece militato nell’estrema destra e viene da Bergamo. Al primo, dunque, andrà l’appoggio della base del Varesotto, mentre il secondo ha in mano il Bergamasco. Cosa di non poco conto se si analizza un’eventuale corsa alla successione dal punto di vista geografico.

    Per come è strutturata la Lega, infatti, potrebbe essere proprio questo il fattore determinante. E visto che la Lombardia resta la roccaforte elettorale del Carroccio, in questa disputa bisognerà pure vedere come si collocherà Alessandro Cè, capogruppo alla Camera, bresciano. Mentre Francesco Speroni – l’unico vero bossiano doc al punto che il Senatùr se l’è portato al ministero delle Riforme come capo di gabinetto – alla fine dovrebbe correre per Maroni che resta pur sempre uno dei fondatori della Lega (c’era anche lui in quel monolocale di Varese all’inizio degli anni Ottanta). E lo stesso, dicono i bene informati, farà Giancarlo Giorgetti, segretario “nazionale” della Lombardia. Calderoli, da parte sua, punterà sul resto del nord Italia: dal friulano Edouard Ballaman al veneto Giancarlo Gentilini, fino al piemontese Mario Borghezio. Senza dimenticare il rapporto preferenziale con Aldo Brancher, sottosegretario di Forza Italia alle Riforme e vero e proprio ufficiale di collegamento tra la Lega e Berlusconi. Resta solo Castelli, comasco, del quale però nessuno dimentica i forti motivi di frizione con Maroni. Insomma, la battaglia dei triumviri è ormai iniziata. Con una sola certezza: non finirà come tra Cesare, Pompeo e Crasso, figli – non a caso – della Roma “ladrona” che così poco piace ai popoli padani.

    25 giugno 2004
    "


    Shalom

  3. #3
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    " Il triangolo dell’eccellenza
    di Chiara Genisio

    Il Nord-Ovest cuore pulsante dell’Europa unita. Sogno o realtà? L’obiettivo è focalizzato su quella parte di Italia, speculare al “florido” Nord-Est, che fino agli anni Novanta era identificata nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova (poi archiviato nel dimenticatoio con il poco felice acronimo Ge-Mi-To), e che ha saputo compensare gran parte del progressivo declino industriale con lo sviluppo del terziario. Si è giunti così ad una nuova etichetta: il Nord-Ovest. Una sigla che ha allargato i confini dei tre capoluoghi a tutte le 24 province di Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Un’area caratterizzata da un alto tasso di sviluppo imprenditoriale e turistico. Nel 2001 Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta hanno siglato a Torino il patto “Sistema del Nord-Ovest”, un accordo di cooperazione per scambiare le rispettive esperienze e realizzare sistemi informativi innovativi per la pubblica amministrazione. Un passo basilare verso il piano di e-government nazionale. Oggi il Nord-Ovest sta assumendo una nuova connotazione, non più parte estrema della penisola, ma agile locomotiva d’Europa. Un territorio che si estende per oltre 57.000 kmq con una popolazione di quasi 15 milioni di persone, in cui operano più di un milione di imprese. Ma quest’area produttiva, privilegiata a livello internazionale, è stata fortemente penalizzata dalla mancata modernizzazione delle infrastrutture che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni. Sono evidenti i risultati delle carenze infrastrutturali: la crescente congestione di alcune arterie strategiche, l’innalzamento dei costi della logistica, l’abbassamento della qualità della vita, il maggiore impatto ambientale. Senza tralasciare un altro punto, fondamentale: la difficoltà ad attrarre investimenti internazionali.

    Ad ammettere questa penalizzante situazione è lo stesso viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ugo Martinat, ma d’altro canto assicura che il governo sta lavorando per eliminare questo svantaggio e favorire il sistema delle imprese e dell’occupazione. Alcuni dati. Si parte dalla realizzazione della quarta corsia dell’autostrada Milano-Bergamo, percorso troppo spesso all’onore della cronaca per il numero di incidenti mortali e per il traffico elevato. Sempre in Lombardia è prevista la realizzazione, in project financing, di una nuova autostrada che metterà in comunicazione la tangenziale est di Milano con la futura tangenziale sud di Brescia. Dal 2009 con la nuova linea ferroviaria ad alta velocità si potrà andare da Milano a Verona in poco meno di un’ora. Proseguono i lavori sul terzo valico Milano-Genova, un’opera che farà parte del futuro Corridoio europeo Genova-Rotterdam.

    Un capitolo importante per il Nord-Ovest è la costruzione della Torino-Lione, collegamento ferroviario fondamentale del Corridoio europeo numero 5 che parte da Kiev per arrivare fino a Lisbona. Un progetto rilevante soprattutto per il Piemonte che non ha però avuto vita facile fin dall’inizio. Osteggiato da anni da una parte delle comunità della Valle di Susa, (territorio confinante con la Francia), ancora all’inizio di marzo una delegazione di sindaci e amministratori ha presentato al ministro Pietro Lunardi un documento con i punti ritenuti “nevralgici” da oltre trecentomila abitanti. Negli stessi giorni il governatore Enzo Ghigo ha dichiarato la disponibilità della Regione Piemonte a contribuire al reperimento della somma necessaria alla realizzazione della linea superveloce, sia coinvolgendo le regioni italiane interessate dal Corridoio 5 (Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria e Valle d’Aosta), sia con l’erogazione di cento milioni di euro a partire dal 2008 fino alla conclusione dei lavori.

    Se per alcuni la Torino-Lione è ancora molto, troppo lontana, certamente la tratta Torino-Novara ha una scadenza ravvicinata: le Olimpiadi invernali 2006.

    Olimpiadi invernali: la scommessa di Torino 2006

    Una data importante non solo per Torino e le montagne olimpiche. Il 19 giugno 1999 la crisi della Fiat, la più grande industria automobilistica italiana, non era ancora scoppiata, ma per alcuni era già nell’aria, quando a Seul risuonò il grido di gioia di Evelina Christillin, attuale vicepresidente Toroc, alla notizia che la battaglia per portare le Olimpiadi a Torino era stata vinta. Oltre all’innegabile importanza di una vetrina mondiale per il Piemonte, i Giochi olimpici da qui al 2007, secondo i dati elaborati da uno studio promosso dall’Unione Industriale di Torino e dal Toroc, indicano una crescita del valore aggiunto piemontese di 1.400 milioni di euro, con una ricaduta di occupazione che porterà solo nel 2005 alla creazione di 9.700 nuovi posti di lavoro. L’Agenzia Torino 2006 realizzerà 65 opere olimpiche (circa 1.179 milioni di euro finanziati dallo Stato, a cui si devono aggiungere 507 milioni a carico di enti pubblici e privati) che lasceranno un patrimonio di infrastrutture di oltre 500 milioni di euro tra strade, impianti, complessi alberghieri e privati. Le Olimpiadi rappresentano la dimostrazione di come la città abbia saputo “giocare di squadra” e portare a casa un risultato. Ne è convinto Giuseppe Pichetto, presidente della Camera di commercio industria, artigianato e agricoltura di Torino, già presidente dell’Unione industriale torinese. «La stessa forza che sta permettendo alla Regione di far fronte alla grave crisi industriale. Un settore che perde in modo strutturale in tutta l’Europa, Canada e Stati Uniti. Come è già successo in passato gli industriali spostano la loro produzione dove i costi sono inferiori. È la logica di mercato».

    La crisi della Fiat ha colpito non solo la città ma, con un effetto a domino, anche tutto il comparto delle piccole e medie imprese legate al settore automobilistico, tuttavia il mondo dell’impresa ha saputo reagire. «Abbiamo capito per primi – spiega Pichetto – che da luoghi di produzione ci dovevamo trasformare in luoghi di progettazione». Essere la testa pensante, insomma. Una trasformazione che è già realtà e che caratterizza tutto il Nord-Ovest. A Torino ha sede il Centro ricerche Fiat, che ha appena ricevuto il premio “Il solare Europeo 2003” per l’innovativo impianto che, accoppiato ai pannelli solari, produce energia sfruttando due fonti pulite come il sole e il metano. L’industria Pininfarina, da anni all’avanguardia per il design, continua la attività di ricerca e sperimentazione. «Senza tralasciare le piccole imprese super specializzate nella produzione di tecnologie innovative», ricorda sempre il presidente della Camera di commercio. Il documento di programmazione economico-finanziario regionale rileva che il Piemonte è la sola regione italiana ad esprimere un potenziale di ricerca tecnologica paragonabile a quello delle altre regioni forti d’Europa. Tuttavia in questa regione si brevetta poco, con un gap notevole se si confrontano i numeri dei brevetti con le altre aree tecnologiche europee. Mentre la Lombardia regge bene il confronto con le aree di maggior sviluppo industriale in termini di quota di spesa in ricerca e sviluppo sostenuta dalle imprese. Un risultato ottenuto dalla forte presenza di laboratori e centri di ricerca strutturati che operano in settori industriali e dei servizi tecnologicamente avanzati.

    Un sostegno alla ricerca arriva anche dalla Compagnia San Paolo, la Fondazione torinese che un recente studio britannico ha collocato al sesto posto tra le maggiori Fondazioni in Europa per fondi erogati. E non è un caso se si considera che, secondo i dati della Banca d’Italia, il Nord-Ovest è in vetta alla classifica dei depositi. Solo nel 2003 ha stanziato 19 milioni di euro spalmati su 111 interventi e per il 2004 la Compagnia ha messo in bilancio 21 milioni. «Abbiamo preso di fronte alla collettività – riferisce il presidente Onorato Castellino – l’impegno a non rallentare la nostra attività, nonostante la difficile situazione economica complessiva».

    Il Nord-Ovest si sta trasformando in terra di eccellenze. Come la recentissima acquisizione da parte di Genova del nuovo Iit (Istituto italiano delle tecnologie). «L’Iit assegnerà a Genova e alla Liguria il ruolo di capitale italiana della ricerca e credo possa contribuire a rallentare la fuga dei cervelli dall’Italia e dall’Europa verso gli Stati Uniti e altri paesi. Un’occasione di rilancio formidabile che non ci troverà impreparati». Sono le parole del presidente della Regione Liguria Sandro Biasotti, al varo del nuovo polo italiano per lo sviluppo tecnologico che troverà la sua definitiva collocazione nel villaggio tecnologico progettato da Renzo Piano sulla collina degli Erzelli. Un nuovo centro di ricerca ispirato ai poli di eccellenza internazionali che completa il sistema universitario e di ricerca del paese facendo da stimolo competitivo e punto di riferimento e che, ad onor del vero, ha creato un acceso dibattito tra i pro e i contro, anche sulla sua collocazione. Tra le altre città pure Milano e Torino erano candidate ad ospitare questo nuovo Istituto che si inserisce all’interno del processo di riforma avviata dal governo per la modernizzazione e il potenziamento del sistema scientifico e tecnologico italiano.

    Liguria felix, la primavera di Genova

    Ad influenzare la scelta sul capoluogo ligure non sono state solo le notevoli risorse investite per lo sviluppo della ricerca scientifica. Da mettere nel conto c’è sicuramente anche la vivacità culturale e l’offerta turistica di questa terra. Non è un caso che Genova celebri il 2004 come capitale europea della cultura. Per anni questa città è stata, grazie al suo porto e alle sue fabbriche, il terzo vertice del triangolo industriale. Poi venne la crisi, ma l’anima dell’antica repubblica marinara non si è lasciata sopraffare ed è riuscita a rinascere. E in questo nuovo sviluppo si è ritrovata ricca di storia, di arte, di teatro. Non sono negativi neppure i dati economici. Le previsioni per il triennio 2004-2006, formulate da Unioncamere-Prometeia, stimano per la Liguria incrementi al di sopra della media nazionale per il tasso di crescita del Pil, per la ripresa delle esportazioni e per l’andamento degli investimenti. Nel 2004 la crescita del Pil ligure dovrebbe collocarsi all’1,9 per cento, registrando un incremento superiore a quello del Nord-Ovest (1,8 per cento) e a quello nazionale (1,7 per cento). La sanatoria del lavoro extracomunitario, il massiccio ricorso alla Cassa integrazione e l’effetto trainante dell’avvio delle grandi opere per le Olimpiadi sono in effetti i tre fattori determinati dell’aumento dell’occupazione in Piemonte. I dati Istat 2003 registrano la crescita di 40.000 posti di lavoro, un aumento in percentuale più alto tra le regioni italiane, riportando gli occupati sopra la soglia di 1.800.000, un fatto che non accadeva dal 1985.

    Anche la Lombardia registra nel quarto trimestre del 2003 una positiva inversione di tendenza trascinata dalle imprese maggiori e, dopo un anno di flessione, torna a crescere l’indice della produzione industriale. Critica la situazione, come d’altronde in Piemonte, del tessile. I recenti dati dell’Istat sull’export registrano una contrazione nell’ultimo trimestre. Focalizzando l’obiettivo sul Nord-Ovest emerge che nel 2003 solo la Valle d’Aosta ha registrato un aumento (+7,6 per cento). Di particolare rilievo invece il dato della Lombardia (-2,7) se si considera che le sue esportazioni rappresentano oltre un quarto dell’export italiano. In flessione anche l’export di Liguria (-0,8 per cento) e Piemonte (-0,4 per cento). Secondo l’Unioncamere la vulnerabilità del Sistema Italia al commercio internazionale è tuttora legata essenzialmente al grado di tecnologia incorporato nei beni esportati. Innovazione diventa per tutti la parola magica: ricerca, sviluppo e innovazione costituiscono ormai il fattore-chiave per la competitività. «Solo chi ha puntato sulla formazione e sull’innovazione tecnologica regge alle difficoltà», lo vive sulla propria pelle Paolo Musumeci, amministratore unico della Musumeci Spa, azienda editoriale di Aosta. «Abbiamo risentito della forte crisi che ha colpito anche la Francia e la Germania. Nel settore grafico-editoriale si è recepita in modo particolare. L’euro forte ci ha penalizzati, abbiamo quasi perso il mercato inglese/americano e non c’è stata una crescita di quello europeo. Come piccole medie imprese abbiamo più difficoltà di accesso ai crediti». In generale, a parere dell’imprenditore, la Vallée segue un trend di non crescita e l’onda della crisi Fiat è arrivata anche nel fondo Valle. Anche se il declino della casa torinese ha coinvolto tutto il paese, ha segnato in modo maggiore il capoluogo piemontese costringendo i torinesi a ricercare nuove strade di sviluppo e di occupazione. Non si deve però scordare che l’azienda ha solo subito un ridimensionamento, ma rimane un grande gruppo. A ricordarlo è Giuseppe Pichetto. «Lo stabilimento torinese di Mirafiori potrebbe ospitare la produzione di altre case automobilistiche. È perfettamente attrezzato e nell’hinterland ci sono imprese in grado di fornire servizi adeguati. Non dobbiamo buttare un patrimonio e una professionalità che si è creata nel tempo. La nostra realtà resta comunque sempre industriale».

    Un Piemonte a stelle e strisce

    Se da un lato il distretto dell’auto piemontese conserva in grande misura intatta la capacità produttiva con aree industriali attrezzate, logistica, rete di impresa per la fornitura di componentistica, know how, design, risorse professionali appetibili per le case automobilistiche straniere, bisogna rilevare che il tessuto sociale, imprenditoriale e pubblico, ha messo in cantiere nuovi filoni di sviluppo. Fino a qualche anno fa era impensabile pensare ad un Piemonte turistico. Ora è una realtà. Con l’aiuto di alcune leggi regionali, intere aree sono state riqualificate e offrono opportunità interessanti. Dalla cosiddetta “Provincia Granda” di Cuneo dove il turismo enogastronomico ha toccato punte di eccellenza come il Barolo, conosciuto in tutto il mondo o il tartufo d’Alba che richiama nella storica cittadina gourmet di diverse nazionalità, alle valli che ospiteranno i Giochi olimpici. Ancora deficitaria l’offerta dell’ospitalità a cinque stelle, che però dovrebbe essere ovviata nei prossimi anni. Un difetto, questo, riscontrato in particolare dagli americani sempre più numerosi a Torino al punto che a partire dal prossimo anno l’istituto scolastico americano di Pecetto (paese sulla collina famoso per le sue ciliegie) aumenterà i posti dagli attuali 405 a 625 con un incremento del 33 per cento.

    E sempre legata al mondo americano è la notizia dello “sbarco” a Torino della Coca Cola. Da fine febbraio nei locali del Lingotto si è insediato il team che si occupa del progetto olimpico della multinazionale americana. È dal 1928 che la Coca Cola sponsorizza le Olimpiadi estive e invernali. Sede logistica nel periodo olimpico sarà lo stabilimento di Gaglianico in provincia di Biella, l’unico presente nel Nord-Ovest. A settembre, dopo le Olimpiadi estive di Atene, verrà aperto un nuovo magazzino di 14mila metri quadrati. Sul territorio nazionale la company di Atlanta ha 11 stabilimenti e 16 centri di distribuzione, con un totale di circa tremila dipendenti.

    Quasi in sordina, senza clamori sta cambiando il volto di Torino, e quando nel 2008 gli architetti di tutto il mondo si riuniranno per il loro congresso internazionale nella città della Mole, la troveranno rinnovata. Dai lavori per le Olimpiadi alla realizzazione della metropolitana, passando per una attivissima proposta culturale. Già oggi con la Film commission Torino e il Piemonte sono diventati scenari eccellenti per film, fiction e documentari di livello. Operativa dal 2001, ha portato a Torino e in Piemonte 83 produzioni per il cinema e la televisione, tra cui Elisa di Rivombrosa, per un totale di 513 settimane di lavorazione che hanno interessato 1804 maestranze tecniche, 962 attori locali e oltre 18.000 comparse.

    Lavorare a Milano e vivere a Torino? Tra quattro anni sarà una realtà. Un recente studio ha calcolato che saranno oltre ventimila i milanesi che potrebbero essere interessati a trascorre il weekend nel capoluogo subalpino dopo che sarà attivo il collegamento ferroviario veloce tra le due città. Molti saranno i piemontesi che torneranno nel loro comune di origine, ma tanti altri saranno attratti da una città architettonicamente affascinante, facilmente raggiungibile e con una buona qualità della vita.

    25 giugno 2004
    "


    Shalom

  4. #4
    Padania libera dai padioti
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    In origine postato da Pieffebi
    dal sito di IDEAZIONE

    " Il triangolo dell’eccellenza
    di Chiara Genisio

    Il Nord-Ovest cuore pulsante dell’Europa unita. Sogno o realtà? L’obiettivo è focalizzato su quella parte di Italia, speculare al “florido” Nord-Est, che fino agli anni Novanta era identificata nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova (poi archiviato nel dimenticatoio con il poco felice acronimo Ge-Mi-To), e che ha saputo compensare gran parte del progressivo declino industriale con lo sviluppo del terziario. Si è giunti così ad una nuova etichetta: il Nord-Ovest. Una sigla che ha allargato i confini dei tre capoluoghi a tutte le 24 province di Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Un’area caratterizzata da un alto tasso di sviluppo imprenditoriale e turistico. Nel 2001 Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta hanno siglato a Torino il patto “Sistema del Nord-Ovest”, un accordo di cooperazione per scambiare le rispettive esperienze e realizzare sistemi informativi innovativi per la pubblica amministrazione. Un passo basilare verso il piano di e-government nazionale. Oggi il Nord-Ovest sta assumendo una nuova connotazione, non più parte estrema della penisola, ma agile locomotiva d’Europa. Un territorio che si estende per oltre 57.000 kmq con una popolazione di quasi 15 milioni di persone, in cui operano più di un milione di imprese. Ma quest’area produttiva, privilegiata a livello internazionale, è stata fortemente penalizzata dalla mancata modernizzazione delle infrastrutture che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni. Sono evidenti i risultati delle carenze infrastrutturali: la crescente congestione di alcune arterie strategiche, l’innalzamento dei costi della logistica, l’abbassamento della qualità della vita, il maggiore impatto ambientale. Senza tralasciare un altro punto, fondamentale: la difficoltà ad attrarre investimenti internazionali.

    Ad ammettere questa penalizzante situazione è lo stesso viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ugo Martinat, ma d’altro canto assicura che il governo sta lavorando per eliminare questo svantaggio e favorire il sistema delle imprese e dell’occupazione. Alcuni dati. Si parte dalla realizzazione della quarta corsia dell’autostrada Milano-Bergamo, percorso troppo spesso all’onore della cronaca per il numero di incidenti mortali e per il traffico elevato. Sempre in Lombardia è prevista la realizzazione, in project financing, di una nuova autostrada che metterà in comunicazione la tangenziale est di Milano con la futura tangenziale sud di Brescia. Dal 2009 con la nuova linea ferroviaria ad alta velocità si potrà andare da Milano a Verona in poco meno di un’ora. Proseguono i lavori sul terzo valico Milano-Genova, un’opera che farà parte del futuro Corridoio europeo Genova-Rotterdam.

    Un capitolo importante per il Nord-Ovest è la costruzione della Torino-Lione, collegamento ferroviario fondamentale del Corridoio europeo numero 5 che parte da Kiev per arrivare fino a Lisbona. Un progetto rilevante soprattutto per il Piemonte che non ha però avuto vita facile fin dall’inizio. Osteggiato da anni da una parte delle comunità della Valle di Susa, (territorio confinante con la Francia), ancora all’inizio di marzo una delegazione di sindaci e amministratori ha presentato al ministro Pietro Lunardi un documento con i punti ritenuti “nevralgici” da oltre trecentomila abitanti. Negli stessi giorni il governatore Enzo Ghigo ha dichiarato la disponibilità della Regione Piemonte a contribuire al reperimento della somma necessaria alla realizzazione della linea superveloce, sia coinvolgendo le regioni italiane interessate dal Corridoio 5 (Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria e Valle d’Aosta), sia con l’erogazione di cento milioni di euro a partire dal 2008 fino alla conclusione dei lavori.

    Se per alcuni la Torino-Lione è ancora molto, troppo lontana, certamente la tratta Torino-Novara ha una scadenza ravvicinata: le Olimpiadi invernali 2006.

    Olimpiadi invernali: la scommessa di Torino 2006

    Una data importante non solo per Torino e le montagne olimpiche. Il 19 giugno 1999 la crisi della Fiat, la più grande industria automobilistica italiana, non era ancora scoppiata, ma per alcuni era già nell’aria, quando a Seul risuonò il grido di gioia di Evelina Christillin, attuale vicepresidente Toroc, alla notizia che la battaglia per portare le Olimpiadi a Torino era stata vinta. Oltre all’innegabile importanza di una vetrina mondiale per il Piemonte, i Giochi olimpici da qui al 2007, secondo i dati elaborati da uno studio promosso dall’Unione Industriale di Torino e dal Toroc, indicano una crescita del valore aggiunto piemontese di 1.400 milioni di euro, con una ricaduta di occupazione che porterà solo nel 2005 alla creazione di 9.700 nuovi posti di lavoro. L’Agenzia Torino 2006 realizzerà 65 opere olimpiche (circa 1.179 milioni di euro finanziati dallo Stato, a cui si devono aggiungere 507 milioni a carico di enti pubblici e privati) che lasceranno un patrimonio di infrastrutture di oltre 500 milioni di euro tra strade, impianti, complessi alberghieri e privati. Le Olimpiadi rappresentano la dimostrazione di come la città abbia saputo “giocare di squadra” e portare a casa un risultato. Ne è convinto Giuseppe Pichetto, presidente della Camera di commercio industria, artigianato e agricoltura di Torino, già presidente dell’Unione industriale torinese. «La stessa forza che sta permettendo alla Regione di far fronte alla grave crisi industriale. Un settore che perde in modo strutturale in tutta l’Europa, Canada e Stati Uniti. Come è già successo in passato gli industriali spostano la loro produzione dove i costi sono inferiori. È la logica di mercato».

    La crisi della Fiat ha colpito non solo la città ma, con un effetto a domino, anche tutto il comparto delle piccole e medie imprese legate al settore automobilistico, tuttavia il mondo dell’impresa ha saputo reagire. «Abbiamo capito per primi – spiega Pichetto – che da luoghi di produzione ci dovevamo trasformare in luoghi di progettazione». Essere la testa pensante, insomma. Una trasformazione che è già realtà e che caratterizza tutto il Nord-Ovest. A Torino ha sede il Centro ricerche Fiat, che ha appena ricevuto il premio “Il solare Europeo 2003” per l’innovativo impianto che, accoppiato ai pannelli solari, produce energia sfruttando due fonti pulite come il sole e il metano. L’industria Pininfarina, da anni all’avanguardia per il design, continua la attività di ricerca e sperimentazione. «Senza tralasciare le piccole imprese super specializzate nella produzione di tecnologie innovative», ricorda sempre il presidente della Camera di commercio. Il documento di programmazione economico-finanziario regionale rileva che il Piemonte è la sola regione italiana ad esprimere un potenziale di ricerca tecnologica paragonabile a quello delle altre regioni forti d’Europa. Tuttavia in questa regione si brevetta poco, con un gap notevole se si confrontano i numeri dei brevetti con le altre aree tecnologiche europee. Mentre la Lombardia regge bene il confronto con le aree di maggior sviluppo industriale in termini di quota di spesa in ricerca e sviluppo sostenuta dalle imprese. Un risultato ottenuto dalla forte presenza di laboratori e centri di ricerca strutturati che operano in settori industriali e dei servizi tecnologicamente avanzati.

    Un sostegno alla ricerca arriva anche dalla Compagnia San Paolo, la Fondazione torinese che un recente studio britannico ha collocato al sesto posto tra le maggiori Fondazioni in Europa per fondi erogati. E non è un caso se si considera che, secondo i dati della Banca d’Italia, il Nord-Ovest è in vetta alla classifica dei depositi. Solo nel 2003 ha stanziato 19 milioni di euro spalmati su 111 interventi e per il 2004 la Compagnia ha messo in bilancio 21 milioni. «Abbiamo preso di fronte alla collettività – riferisce il presidente Onorato Castellino – l’impegno a non rallentare la nostra attività, nonostante la difficile situazione economica complessiva».

    Il Nord-Ovest si sta trasformando in terra di eccellenze. Come la recentissima acquisizione da parte di Genova del nuovo Iit (Istituto italiano delle tecnologie). «L’Iit assegnerà a Genova e alla Liguria il ruolo di capitale italiana della ricerca e credo possa contribuire a rallentare la fuga dei cervelli dall’Italia e dall’Europa verso gli Stati Uniti e altri paesi. Un’occasione di rilancio formidabile che non ci troverà impreparati». Sono le parole del presidente della Regione Liguria Sandro Biasotti, al varo del nuovo polo italiano per lo sviluppo tecnologico che troverà la sua definitiva collocazione nel villaggio tecnologico progettato da Renzo Piano sulla collina degli Erzelli. Un nuovo centro di ricerca ispirato ai poli di eccellenza internazionali che completa il sistema universitario e di ricerca del paese facendo da stimolo competitivo e punto di riferimento e che, ad onor del vero, ha creato un acceso dibattito tra i pro e i contro, anche sulla sua collocazione. Tra le altre città pure Milano e Torino erano candidate ad ospitare questo nuovo Istituto che si inserisce all’interno del processo di riforma avviata dal governo per la modernizzazione e il potenziamento del sistema scientifico e tecnologico italiano.

    Liguria felix, la primavera di Genova

    Ad influenzare la scelta sul capoluogo ligure non sono state solo le notevoli risorse investite per lo sviluppo della ricerca scientifica. Da mettere nel conto c’è sicuramente anche la vivacità culturale e l’offerta turistica di questa terra. Non è un caso che Genova celebri il 2004 come capitale europea della cultura. Per anni questa città è stata, grazie al suo porto e alle sue fabbriche, il terzo vertice del triangolo industriale. Poi venne la crisi, ma l’anima dell’antica repubblica marinara non si è lasciata sopraffare ed è riuscita a rinascere. E in questo nuovo sviluppo si è ritrovata ricca di storia, di arte, di teatro. Non sono negativi neppure i dati economici. Le previsioni per il triennio 2004-2006, formulate da Unioncamere-Prometeia, stimano per la Liguria incrementi al di sopra della media nazionale per il tasso di crescita del Pil, per la ripresa delle esportazioni e per l’andamento degli investimenti. Nel 2004 la crescita del Pil ligure dovrebbe collocarsi all’1,9 per cento, registrando un incremento superiore a quello del Nord-Ovest (1,8 per cento) e a quello nazionale (1,7 per cento). La sanatoria del lavoro extracomunitario, il massiccio ricorso alla Cassa integrazione e l’effetto trainante dell’avvio delle grandi opere per le Olimpiadi sono in effetti i tre fattori determinati dell’aumento dell’occupazione in Piemonte. I dati Istat 2003 registrano la crescita di 40.000 posti di lavoro, un aumento in percentuale più alto tra le regioni italiane, riportando gli occupati sopra la soglia di 1.800.000, un fatto che non accadeva dal 1985.

    Anche la Lombardia registra nel quarto trimestre del 2003 una positiva inversione di tendenza trascinata dalle imprese maggiori e, dopo un anno di flessione, torna a crescere l’indice della produzione industriale. Critica la situazione, come d’altronde in Piemonte, del tessile. I recenti dati dell’Istat sull’export registrano una contrazione nell’ultimo trimestre. Focalizzando l’obiettivo sul Nord-Ovest emerge che nel 2003 solo la Valle d’Aosta ha registrato un aumento (+7,6 per cento). Di particolare rilievo invece il dato della Lombardia (-2,7) se si considera che le sue esportazioni rappresentano oltre un quarto dell’export italiano. In flessione anche l’export di Liguria (-0,8 per cento) e Piemonte (-0,4 per cento). Secondo l’Unioncamere la vulnerabilità del Sistema Italia al commercio internazionale è tuttora legata essenzialmente al grado di tecnologia incorporato nei beni esportati. Innovazione diventa per tutti la parola magica: ricerca, sviluppo e innovazione costituiscono ormai il fattore-chiave per la competitività. «Solo chi ha puntato sulla formazione e sull’innovazione tecnologica regge alle difficoltà», lo vive sulla propria pelle Paolo Musumeci, amministratore unico della Musumeci Spa, azienda editoriale di Aosta. «Abbiamo risentito della forte crisi che ha colpito anche la Francia e la Germania. Nel settore grafico-editoriale si è recepita in modo particolare. L’euro forte ci ha penalizzati, abbiamo quasi perso il mercato inglese/americano e non c’è stata una crescita di quello europeo. Come piccole medie imprese abbiamo più difficoltà di accesso ai crediti». In generale, a parere dell’imprenditore, la Vallée segue un trend di non crescita e l’onda della crisi Fiat è arrivata anche nel fondo Valle. Anche se il declino della casa torinese ha coinvolto tutto il paese, ha segnato in modo maggiore il capoluogo piemontese costringendo i torinesi a ricercare nuove strade di sviluppo e di occupazione. Non si deve però scordare che l’azienda ha solo subito un ridimensionamento, ma rimane un grande gruppo. A ricordarlo è Giuseppe Pichetto. «Lo stabilimento torinese di Mirafiori potrebbe ospitare la produzione di altre case automobilistiche. È perfettamente attrezzato e nell’hinterland ci sono imprese in grado di fornire servizi adeguati. Non dobbiamo buttare un patrimonio e una professionalità che si è creata nel tempo. La nostra realtà resta comunque sempre industriale».

    Un Piemonte a stelle e strisce

    Se da un lato il distretto dell’auto piemontese conserva in grande misura intatta la capacità produttiva con aree industriali attrezzate, logistica, rete di impresa per la fornitura di componentistica, know how, design, risorse professionali appetibili per le case automobilistiche straniere, bisogna rilevare che il tessuto sociale, imprenditoriale e pubblico, ha messo in cantiere nuovi filoni di sviluppo. Fino a qualche anno fa era impensabile pensare ad un Piemonte turistico. Ora è una realtà. Con l’aiuto di alcune leggi regionali, intere aree sono state riqualificate e offrono opportunità interessanti. Dalla cosiddetta “Provincia Granda” di Cuneo dove il turismo enogastronomico ha toccato punte di eccellenza come il Barolo, conosciuto in tutto il mondo o il tartufo d’Alba che richiama nella storica cittadina gourmet di diverse nazionalità, alle valli che ospiteranno i Giochi olimpici. Ancora deficitaria l’offerta dell’ospitalità a cinque stelle, che però dovrebbe essere ovviata nei prossimi anni. Un difetto, questo, riscontrato in particolare dagli americani sempre più numerosi a Torino al punto che a partire dal prossimo anno l’istituto scolastico americano di Pecetto (paese sulla collina famoso per le sue ciliegie) aumenterà i posti dagli attuali 405 a 625 con un incremento del 33 per cento.

    E sempre legata al mondo americano è la notizia dello “sbarco” a Torino della Coca Cola. Da fine febbraio nei locali del Lingotto si è insediato il team che si occupa del progetto olimpico della multinazionale americana. È dal 1928 che la Coca Cola sponsorizza le Olimpiadi estive e invernali. Sede logistica nel periodo olimpico sarà lo stabilimento di Gaglianico in provincia di Biella, l’unico presente nel Nord-Ovest. A settembre, dopo le Olimpiadi estive di Atene, verrà aperto un nuovo magazzino di 14mila metri quadrati. Sul territorio nazionale la company di Atlanta ha 11 stabilimenti e 16 centri di distribuzione, con un totale di circa tremila dipendenti.

    Quasi in sordina, senza clamori sta cambiando il volto di Torino, e quando nel 2008 gli architetti di tutto il mondo si riuniranno per il loro congresso internazionale nella città della Mole, la troveranno rinnovata. Dai lavori per le Olimpiadi alla realizzazione della metropolitana, passando per una attivissima proposta culturale. Già oggi con la Film commission Torino e il Piemonte sono diventati scenari eccellenti per film, fiction e documentari di livello. Operativa dal 2001, ha portato a Torino e in Piemonte 83 produzioni per il cinema e la televisione, tra cui Elisa di Rivombrosa, per un totale di 513 settimane di lavorazione che hanno interessato 1804 maestranze tecniche, 962 attori locali e oltre 18.000 comparse.

    Lavorare a Milano e vivere a Torino? Tra quattro anni sarà una realtà. Un recente studio ha calcolato che saranno oltre ventimila i milanesi che potrebbero essere interessati a trascorre il weekend nel capoluogo subalpino dopo che sarà attivo il collegamento ferroviario veloce tra le due città. Molti saranno i piemontesi che torneranno nel loro comune di origine, ma tanti altri saranno attratti da una città architettonicamente affascinante, facilmente raggiungibile e con una buona qualità della vita.

    25 giugno 2004
    "


    Shalom
    ahahh ahah .La qualità della vita a Torino ?

    Allora l'italia del nord è davvero destinata ad un ben misero futuro.

  5. #5
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    la" fatica" di questa" ideazione" e' carta straccia che non aggiunge ne spiega nulla visto che parte come sempre da certi assiomi come la " mistica leghista" e " ill dio po " che stanno solo nella propaganda antilega ... Insomma il solito pattume ideologico " romano" in cui il sistema italiano tenta di seppellire da sempre le ragioni politiche del leghismo ...

    Solo che la lega non e' ancora morta ..

  6. #6
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    Credo che la Lega si stia pericolosamente giuocando "la devoluzione" grazie a certi suoi militanti......
    Shalom

  7. #7
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    ancora con questa barzelletta? ormai sn rimasti solo i dirigenti della lega a credere che si possa portare a casa la devoluzione...noi della base è un po' che abbiamo capito che ormai questo giochetto è vecchio...probabilmente ora apriranno gli occhi anche i cadregari...penso che ci sarà da ridere, rideremo noi leghisti della base...un po' meno avranno da ridere FI e forse anche AN
    SALUCC

  8. #8
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    In origine postato da FENRIR
    ancora con questa barzelletta? ormai sn rimasti solo i dirigenti della lega a credere che si possa portare a casa la devoluzione...noi della base è un po' che abbiamo capito che ormai questo giochetto è vecchio...probabilmente ora apriranno gli occhi anche i cadregari...penso che ci sarà da ridere, rideremo noi leghisti della base...un po' meno avranno da ridere FI e forse anche AN
    SALUCC
    In realta' non ci sara' da ridere proprio niente ..Fatto fuori berlusconi dal generume romano ci sara' solo una cappa di statalismo centralista su una lega a cui non sara' nemmeno permesso di concorrere al gioco politico ...

    perche' il problema e' nella volonta' politica dei PADANI .. Se questi scelgono amminstrazioni di sinistra puoi dare rapidamente addio ad ogni idea di localismo e di minimo identitarismo .... Gia' torino genova brescia verona e venezia erano sulla via di calcutta ... adesso pure milano e bergamo ...

  9. #9
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    Predefinito

    Certe volte per riprendersi bisogna picchiare ben forte i denti...sn sicuro che un po' di amministrazione di csx possa solo aver effetti benefici verso quei Padani che ancora nn hanno capito che la battaglia nn è CDX contro CSX...ma bensi' potere statalista contro Lega...d'altronde Larth non è che si siano viste cosi' tante differenze tra la sinistra al potere e l'attuale CDL (bHè certo nn sto guardando dall'ottica degli interessi del nano....)
    Salucc

  10. #10
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    Predefinito u

    In origine postato da FENRIR
    ancora con questa barzelletta? ormai sn rimasti solo i dirigenti della lega a credere che si possa portare a casa la devoluzione...noi della base è un po' che abbiamo capito che ormai questo giochetto è vecchio...probabilmente ora apriranno gli occhi anche i cadregari...penso che ci sarà da ridere, rideremo noi leghisti della base...un po' meno avranno da ridere FI e forse anche AN
    SALUCC
    Voi militanti siete certamente più intelligenti dei dirigenti.....ed è per questo che resterete con un pugno di mosche, per tutto il secolo XXI. Quando un partito ha dirigenti più stupidi dei milianti è sconfitto- Quando un partito ha militanti che si credono più furbi dei dirigenti......è già finito, anche se aumenta di qualche zerovirgola i voti.

    Shalom

 

 
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