Da tradizionalista qual sono, vi lascio immaginare il mio umore...........

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ROMA – A Giovanni Paolo II la sconfitta brucia moltissimo, ma che egli voglia cambiare la sua squadra, è tutto da vedere.

La sconfitta è l’assenza di una menzione del cristianesimo nella nuova carta d’Europa varata il 18 giugno.

E la squadra battuta è la diplomazia vaticana, con capitano il segretario di stato, cardinale Angelo Sodano.

Da un paio di settimane in Vaticano c’è un crescendo di rumori sull’imminente sostituzione di Sodano. Anche lo scorso autunno era stato così: si dava per certo che assieme a Sodano anche un altro cardinale di peso, Joseph Ratzinger, fosse lì lì per essere rimosso. Ma poi dagli appartamenti papali il segretario personale di Karol Wojtyla, l’arcivescovo Stanislaw Dziwisz, mise tutti a tacere. Il 23 ottobre fece riferire sul “Corriere della Sera” che le voci erano “apocrife”e che “fino a quando Wojtyla sarà papa non si priverà né di Sodano né di Ratzinger”, nonostante entrambi abbiano passato l’età limite canonica dei 75 anni. “Sarà loro compito accompagnarlo ‘fino a quando il Signore vorrà’”. Questo per “scelta compiuta in piena avvertenza dal papa in persona”.

Allora perché questa nuova ondata di voci? Per cominciare a capirlo, basta guardare da dove esse provengono: non da dentro le mura vaticane, ma da un palazzo nel pieno centro di Roma, all’imbocco di piazza di Spagna. È il palazzo della congregazione “de Propaganda Fide”.

Lì regna il cosiddetto “papa rosso”: rosso perché cardinale, e papa perché ha poteri quasi assoluti sulle terre di missione della cattolicità, in sostanza sulle Chiese dell’Africa e dell’Asia.

Il prefetto di Propaganda è dall’aprile 2001 il cardinale Crescenzio Sepe. Ed è lui, stando alle voci, l’uomo destinato a sostituire Sodano nella carica di segretario di stato, il primo ministro di Sua Santità.


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Di ogni gradino della sua pur brillante carriera Sepe non s’è mai appagato, ha sempre puntato più in alto. Nato nel 1943 a Carinaro, in diocesi di Aversa, prete dal 1967, passò rapido dagli ascetici banchi delle facoltà di teologia e filosofia a quelli ben più promettenti della Pontificia Accademia Ecclesiastica di piazza della Minerva, la fucina dei diplomatici. Nel 1972 era addetto di nunziatura a Brasilia.

La sua biografia autorizzata, nel sito web di Propaganda, riferisce che a Brasilia “sua meta preferita era la baraccopoli di Guara Dois, dove portava medicine e latte”. Ma anche l’allora nunzio Umberto Mozzoni fu oggetto delle sue attente cure. Grazie a Mozzoni, divenuto suo cardinale protettore, rientrò a Roma in segreteria di stato, prima nella sezione internazionale e poi all’informazione: un ufficio che nell’annuario pontificio neppure compare, ma è di straordinaria importanza.

Con un papa come Giovanni Paolo II i media contano più che mai, e Sepe era al posto giusto. Nel 1984 fece due colpi da maestro. Alla direzione della sala stampa vaticana collocò Joaquín Navarro-Valls, spagnolo, numerario dell’Opus Dei, e alla direzione dell’”Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa Sede, mise un suo amico di lunga data, Mario Agnes, già presidente dell’Azione Cattolica e fratello di Biagio, all’epoca supermanager della radiotelevisione italiana.

Gli Agnes erano dell’Irpinia, attigua alla terra natale di Sepe. Irpino era Ciriaco De Mita, numero uno in quegli anni del partito cattolico dominante in Italia. Irpina era suor Tekla Famiglietti, badessa generale delle suore di Santa Brigida, altra grande amica di Sepe, una potenza per via delle relazioni altolocate e delle offerte copiose portate in dono al papa. In Vaticano lo chiamarono il clan degli irpini, con Sepe come boss.

Oggi, vent’anni dopo, Navarro, Agnes e suor Tekla sono sempre lì al loro posto. Sepe no, è molto più su.

Nel 1987 è promosso assessore della segreteria di stato, il numero tre del supremo organo di governo vaticano, sezione affari generali.

Passano appena tre anni e corrono voci che abbia in tasca la nomina a sostituto, il numero due, colui che ha accesso quotidiano e diretto al papa. Bastano le sole voci a provocare una sollevazione. Una lettera collettiva firmata da nunzi e diplomatici gli sbarra la strada. Il nuovo sostituto sarà Giovanni Battista Re, lo stesso che oggi, da cardinale prefetto della congregazione per i vescovi, è il vero candidato a un’eventuale successione a Sodano, e quindi il maggiore ostacolo alle ambizioni di Sepe.

Mancata la nomina a sostituto, Sepe centra invece, nel 1992, la consacrazione ad arcivescovo e la promozione a segretario della congregazione per il clero. Dove mette a frutto un’altra sua dote, quella di impresario di sacri spettacoli. Non c’è ricorrenza vaticana o papale che non sia salutata da cantautori, orchestre, soubrette, in piazza San Pietro o nell’aula Nervi, sulla tv italiana o in mondovisione. A partire dal 1996, in vista dell’anno santo del 2000, Sepe organizza incontri internazionali per migliaia di preti da tutto il mondo: il primo a Fatima, il secondo a Yamoussoukro in Costa d’Avorio, in piena savana, con consuntivo un po’ di morti per malaria.

Risultato: nel 1997 il papa dà a lui il comando della grande macchina del giubileo, ne apprezza l’organizzazione monstre e nel 2001 lo fa cardinale e prefetto di Propaganda.


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Con Sepe come prefetto, Propaganda diventa un Vaticano bis sotto il suo controllo esclusivo. Fuori i vecchi quadri dirigenti e avanti i suoi protetti. Via padre Bernardo Cervellera dalla direzione dell’agenzia di stampa missionaria, “Fides”, e dentro l’amico Luca De Mata, autore televisivo. Ritiro di tutti i depositi dallo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana, e loro reinvestimento in proprio.

Nessuna di queste mosse è priva di effetti studiati. Cacciando padre Cervellera, grande specialista della Cina e giornalista troppo indipendente agli occhi della prudente diplomazia vaticana, Sepe ha fatto un grosso piacere anche alla segreteria di stato.

Avendo De Mata come direttore, Sepe si assicura una copertura entusiastica di tutti i propri atti anche su “Fides”, oltre che sull’”Osservatore Romano” diretto da Agnes.

E anche dalla tv italiana Sepe spera buoni ritorni. Dal 23 giugno per sette settimane va in onda su Rai Uno un programma sui dieci comandamenti, realizzato da De Mata con la consulenza di padre Massimo Cenci, sottosegretario di Sepe a Propaganda, e di monsignor Mauro Piacenza, suo sottosegretario quand’era alla congregazione del clero.

Quanto allo IOR, separandosene, Sepe si fa paladino di quelli che in Vaticano mal sopportano il rigore calvinista del banchiere che ha risanato l’Istituto dai passati disastri, Angelo Caloia.

Per impiegare il ricco patrimonio di Propaganda, Sepe preferisce affidarsi a un suo amico manager più disinvolto, Francesco Silvano, uomo di Comunione e Liberazione. E in questo fa il paio col cardinale Sodano, un altro che in Vaticano ha lo stesso debole per la finanza pasticciona. Il manager di Sodano è Walter Maria Bonino, consigliere d’amministrazione della Peregrinatio ad Petri Sedem e della Casa Sollievo della Sofferenza fondata da padre Pio a San Giovanni Rotondo.

Ma anche Propaganda, ormai, a Sepe sta stretta. La segreteria di stato è il suo nuovo traguardo. Nuovo ma non ultimo: basta vedere come egli gira il mondo vestito di bianco, tra folle che “mi salutano come un papa”.

A far campagna per lui, in curia, c’è il fior fiore dei cardinali pro Opus Dei: Julián Herranz, Eduardo Martínez Somalo, Darío Castrillón Hoyos, Javier Barragán Lozano. Quanto a Giovanni Paolo II, Sepe provvede di persona, per conquistarne il favore: è in udienza da lui ogni due settimane, e mai a mani vuote. A Dziwisz, l’onnipotente segretario del papa, dà del tu. È sicuro anche questa volta di farcela, c’è quasi sempre riuscito.


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