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  1. #21
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    El Greco, S. Pietro, 1610-14, Museo de El Greco, Toledo

    El Greco, SS. Pietro e Paolo, 1592, Hermitage, San Pietroburgo

    El Greco, S. Pietro, 1610-13, Monasterio de San Lorenzo, El Escorial

    El Greco, SS. Pietro e Paolo, 1605-08, Nationalmuseum, Stoccolma

    El Greco, S. Pietro penitente, 1580 circa, Bowes Museum, Barnard Castle

    El Greco, S. Pietro penitente, 1605 circa, Hospital Tavera, Toledo

    El Greco, S. Pietro penitente, 1600 circa, Phillips Collection, Washington

    Guercino, Martirio di S. Pietro, 1618-19, Galleria Estense, Modena

  2. #22
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    Filippino Lippi, Martirio di S. Pietro, 1481-82, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Masaccio, Resurrezione di Teofilo e S. Pietro in trono, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Masaccio, S. Pietro guarisce lo storpio, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Masaccio, S. Pietro battezza un neofita, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Masaccio, Tributo della moneta, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

  3. #23
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    Masaccio, Predica di S. Pietro, 1426-27, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

    Jean Hey o Maestro di Moulins, Pietro di Borbone ed il suo santo Patrono (S. Pietro), 1498-99, Cattedrale di Moulins

    Jean Hey o Maestro di Moulins, Pietro II Duca di Borbone presentato da S. Pietro, 1492-93, Musée du Louvre, Parigi

    Michelangelo, Martirio di S. Pietro, 1546-50, Cappella Paolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

    Michelangelo, S. Pietro, 1501-04, Duomo, Siena

    Pierre Etienne Monnot, S. Pietro, 1708-13, Basilica di San Giovanni in Laterano, Roma

  4. #24
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    Pietro Perugino, Cristo consegna le chiavi a S. Pietro, 1481-82, Cappella Sistina, Vaticano

    Pierre Puget, S. Pietro con le chiavi del Paradiso, 1653-59, Chiesa parrocchiale, Grandcamp

    Raffaello Sanzio, Madonna in trono con Santi (SS. Pietro e Paolo, Caterina e Cecilia), 1504-05, Metropolitan Museum of Art, New York

    Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Rinnegamento di S. Pietro, 1660, Rijksmuseum, Amsterdam

    Jusepe de Ribera, S. Pietro penitente, Hermitage, San Pietroburgo

    Tiziano Vecellio, Papa Alessandro VI presenta Jacopo Pesaro a S. Pietro, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

    Tiziano Vecellio, Tributo della moneta, 1516, Gemäldegalerie, Dresda

  5. #25
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    Sebastiano Torriggiani, S. Pietro, 1585 circa, Basilica di San Pietro, Vaticano

    Nicolas Tournier, Rinnegamento di S. Pietro, 1625 circa, Museo del Prado, Madrid

    Maestro tedesco sconosciuto, SS. Anna, Cristoforo, Gereone e Pietro, 1480 circa, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

    Francisco de Zurbaran, Apparizione di S. Pietro apostolo a S. Pietro Nolasco, 1629, Museo del Prado, Madrid

    Domenico Ghirlandaio, SS. Giacomo Maggiore, Stefano e Pietro, XV sec.

    Guido Reni, Il rinnegamento di Pietro, XVII sec.

  6. #26
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    Predefinito Dai Discorsi di san Leone Magno.

    Sermo LXXXII, 2-5. PL 54, 423-425.

    Il Signore, buono e giusto e onnipotente, mai aveva negato la sua misericordia al genere umano, sempre anzi con la generosità stessa dei suoi doni aveva parlato a tutti gli uomini, senza eccezione, perché lo conoscessero. Egli ebbe compassione della loro colpevole cecità, della loro malizia sicuramente peggiorativa, dei loro errori.
    A tal fine, secondo un disegno misterioso e profondo, con un atto di sublime pietà, inviò loro il suo Verbo, a lui uguale e coeterno. Ed il Verbo incarnandosi congiunse la natura divina alla natura umana in modo tale che il suo abbassamento estremo si risolse nella nostra elevazione suprema. Perché poi gli effetti di questa grazia ineffabile potessero diffondersi in tutto il mondo, la divina Provvidenza predispose l’impero romano e ne favorì lo sviluppo, dilatando i suoi confini fino a raggiungere tutte quante le genti.

    Rispondeva perfettamente al piano dell’azione divina l’associazione dei diversi regni in un unico impero, in quanto più rapida e facile sarebbe riuscita l’opera universale di evangelizzazione tra i popoli, grazie all’unità del regime politico di Roma.
    Sennonché questa città, ignorando il vero autore della sua grandezza, quantunque avesse esteso il suo dominio su quasi tutte le genti, si era in realtà resa schiava dei loro stessi errori; pensava di possedere addirittura una grande religione, perché non aveva mai rifiutato nessuna falsa dottrina. Perciò quanto più tenaci erano i vincoli con cui l’aveva legata il demonio, tanto più magnifica fu la liberazione che le ottenne il Cristo Signore.
    Quando, infatti, i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue (cf At 2,4), cominciarono la loro missione per educare il mondo al vangelo e a questo scopo si divisero la terra in settori particolari, ecco che san Pietro come capo del collegio apostolico viene destinato alla prima sede dell’impero romano.
    In questo modo la luce della verità, la cui manifestazione era in funzione della salvezza universale delle genti, si sarebbe più efficacemente diffusa come dal capo in tutto l’organismo mondiale.

    Non c’erano forse allora in questa città uomini di ogni nazione? C’erano forse in qualche luogo popoli che ignoravano quel che Roma conosceva? Era qui che bisognava schiacciare certe teorie filosofiche e spazzar via le frivolezze della sapienza terrena e abbattere il culto dei demoni e distruggere l’irriverenza sacrilega di tutti i sacrifici; proprio qui, infatti, si ritrovava raccolto ad opera della superstizione più diligente tutto quanto altrove avevano elaborato gli errori più disparati.
    Tu dunque, o santissimo apostolo Pietro, non hai paura di metter piede in questa nostra città; mentre l’apostolo Paolo, colui che avrai compagno nella gloria, è ancora occupato nell’opera di organizzazione delle altre chiese, fai il tuo ingresso in questa giungla di animali ruggenti, in quest’oceano agitato e profondo, certo con più coraggio di quando camminasti sopra le acque (Cf Mt 14, 28-31). E non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nel palazzo di Caifa provasti spavento dinanzi alla serva del sacerdote (cf Mt 26,69-70).
    Che forse il potere di un Claudio e la crudeltà di un Nerone erano minori in confronto del giudizio celebrato da Pilato o dal furore dimostrato dai Giudei? Era dunque la forza del tuo amore a vincere tutto quel che poteva alimentare la paura, e non pensavi certo di dover temere coloro che già avevi accolto nella corrente del tuo affetto.

    Non c’è dubbio che tale sentimento di carità a tutta prova si destò nel tuo cuore, o Pietro, fin da quando ti fu rivolta la triplice e arcanamente significativa interrogazione; che ti confermò nel dichiarare il tuo amore al Signore. E se questo fu allora l’atteggiamento del tuo spirito, ti fu chiesto solo che nel pascere il gregge di colui che amavi procurassi loro quel cibo, di cui eri ricchissimo.
    A darti maggiore fiducia c’erano anche i tanti prodigi e miracoli, i tanti doni e carismi, i tanti poteri di cui avevi dato prova. In precedenza avevi catechizzato i fedeli provenienti dall’ambiente giudaico; avevi fondato la Chiesa di Antiochia, dove per la prima volta fu usato il nome glorioso di cristiano; avevi poi iniziato alle leggi proprie del messaggio evangelico le regioni del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia.
    Proprio così, sicuro del buon esito della tua fatica, ma cosciente anche dei limiti della tua età, tu portavi l’emblema trionfale della croce di Cristo nella roccaforte della potenza romana. Ti precedevano per disposizione provvidenziale di Dio, l’onore dell’alto potere e la gloria del santo martirio.


  7. #27
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    Predefinito Dalle Omelie di sant’Ambrogio sul vangelo di Luca.

    Expositio Evangelii sec. Luc. VI, 93-95.97-99, in15, 1693-1694.

    Non è senza significato la supposizione della folla, per cui alcuni credevano che fosse risuscitato Elia, che essi ritenevano dovesse ritornare; altri pensavano a Giovanni, che sapevano decapitato, oppure a uno dei profeti precedenti.
    Ma investigare queste cose è sopra le nostre forze: richiede l’opinione di ben altri, la sapienza di ben altri. Se a Paolo apostolo basta sapere nient’altro che Cristo Gesù, e lui crocifisso, che cosa dovrei io desiderare di sapere, oltre Cristo? In questo solo nome sono espresse l’incarnazione e la divinità, ed è attestata la verità della passione. Per questo motivo, sebbene gli altri Apostoli sappiano, è Pietro tuttavia che risponde davanti agli altri: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro sapeva che nel Figlio di Dio sono poste tutte le cose: Il Padre ha dato al Figlio tutte le cose (cf. Gv 3,35). Se gli ha dato ogni cosa in mano, ha riversato in lui l’eternità e la maestà che possiede.
    Ma perché mai mi sto dilungando tanto? Il compimento della mia fede è Cristo, il compimento della mia fede è il Figlio di Dio. Non mi è consentito conoscere il processo della sua generazione, ma non mi è consentito disconoscere la realtà indubitabile della sua generazione.

    Credi, così come Pietro ha creduto, affinché anche tu sia felice, e anche tu sia meritevole di udire: Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. La carne e il sangue possono rivelare soltanto ciò che è terreno, mentre invece colui che parla in spirito dei misteri, non si basa sull’insegnamento della carne e del sangue, ma sull’ispirazione divina.
    Non fidarti, dunque, della carne e del sangue, per non ricevere gli insegnamenti dalla carne e dal sangue e per non diventare anche tu carne e sangue. Infatti, chi rimane attaccato alla carne, è carne, ma chi si unisce a Signore forma con lui un solo spirito (1 Cor 6,17). Chi vince la carne è un fondamento della Chiesa, e, se pure non può uguagliare Pietro, lo può imitare; grandi, infatti, sono i doni di Dio, il quale non soltanto ha restaurato per noi quanto era nostro, ma ci ha anche donato quanto apparteneva esclusivamente a lui.

    È grande la condiscendenza del Signore, il quale ha fatto dono ai suoi discepoli di quasi tutti i suoi nomi. Io sono la luce del mondo (Gv 8,12), dice; ma questo nome, di cui egli stesso si gloria, lo ha accordato ai discepoli, affermando: Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Io sono il pane vivo (Gv 6,51); ma anche: Tutti partecipiamo dell’unico pane (1 Cor 10,17). Io sono la vera vite (Gv 15,1); ma anche a te dice: Io ti avevo piantato come vigna scelta, tutta di vitigni genuini (Ger 2,21).
    Cristo è la pietra – tutti bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo (1 Cor 10,4) -; ma anche al suo discepolo egli non ricusò questo bel nome, in modo che anch’egli sia Pietro affinché attinga dalla pietra la saldezza della perseveranza, l’incrollabilità della fede.

    Sfòrzati di essere anche tu una pietra. Ma per questo non cercare fuori di te, ma dentro di te la pietra. La tua pietra sono le tue azioni, la tua pietra è il tuo pensiero. Su questa pietra viene edificata la tua casa, perché non venga flagellata da nessuna tempesta degli spiriti del male.
    La tua pietra è la fede, perché la fede è il fondamento della Chiesa. Se sarai una pietra, starai dentro la Chiesa, perché la Chiesa sta sopra la pietra.
    Se starai dentro la Chiesa, le porte degli inferi non prevarranno contro di te. Le porte degli inferi sono le porte della morte, ma le porte della morte non possono essere le porte della Chiesa.

  8. #28
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    BENEDETTO XVI

    OMELIA

    CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO


    Basilica di S. Pietro 29 giugno 2005

    La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste – la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio – è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di "essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani… oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo" (Rm 15,16). Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s'aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolicità che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: "Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli" (Sal 21,28). Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.

    Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. Il vero fondatore della teologia cattolica, sant'Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell'Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità" (Adv. haer. I 10,2). L'unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro "di dove?" e "verso dove?", è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

    Sono contento che ieri – nella festa di sant'Ireneo e nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo – ho potuto consegnare alla Chiesa una nuova guida per la trasmissione della fede, che ci aiuta a meglio conoscere e poi anche a meglio vivere la fede che ci unisce: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello che nel grande Catechismo, mediante le testimonianze dei santi di tutti i secoli e con le riflessioni maturate nella teologia, è presentato in maniera dettagliata, è qui ricapitolato nei suoi contenuti essenziali, che sono poi da tradurre nel linguaggio quotidiano e da concretizzare sempre di nuovo. Il libro è strutturato come colloquio in domande e risposte; quattordici immagini associate ai vari campi della fede invitano alla contemplazione e alla meditazione. Riassumono per così dire in modo visibile ciò che la parola sviluppa nel dettaglio. All’inizio c’è un’icona di Cristo del VI secolo, che si trova sul monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. "Io sono colui che sono" – questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza – è riportato lì come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da Lui; Egli è la fonte originaria di ogni essere. E perché è unico, è anche sempre presente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come "indicatore" sulla via della nostra vita, anzi essendo Egli stesso la via. Non si può leggere questo libro come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima. Spero che sia accolto in questo modo e possa diventare una buona guida nella trasmissione della fede.

    Abbiamo detto che cattolicità della Chiesa e unità della Chiesa vanno insieme. Il fatto che entrambe le dimensioni si rendano visibili a noi nelle figure dei santi Apostoli, ci indica già la caratteristica successiva della Chiesa: essa è apostolica. Che cosa significa? Il Signore ha istituito dodici Apostoli, così come dodici erano i figli di Giacobbe, indicandoli con ciò come capostipiti del popolo di Dio che, diventato ormai universale, da allora in poi comprende tutti i popoli. San Marco ci dice che Gesù chiamò gli Apostoli perché "stessero con lui e anche per mandarli" (Mc 3,14). Sembra quasi una contraddizione. Noi diremmo: o stanno con lui o sono mandati e si mettono in cammino. C'è una parola sugli angeli del santo Papa Gregorio Magno che ci aiuta a sciogliere la contraddizione. Egli dice che gli angeli sono sempre mandati e allo stesso tempo sempre davanti a Dio: "Ovunque sono mandati, ovunque vanno, camminano sempre nel seno di Dio" (Omelia 34,13). L'Apocalisse ha qualificato i Vescovi come "angeli" della loro Chiesa, e possiamo quindi fare questa applicazione: gli Apostoli e i loro successori dovrebbero stare sempre con il loro Signore e proprio così – ovunque vadano – essere sempre in comunione con Lui e vivere di questa comunione.

    La Chiesa è apostolica, perché confessa la fede degli Apostoli e cerca di viverla. Vi è una unicità che caratterizza i Dodici chiamati dal Signore, ma esiste allo stesso tempo una continuità nella missione apostolica. San Pietro nella sua prima lettera si è qualificato come "co-presbitero" con i presbiteri ai quali scrive (5,1). E con ciò ha espresso il principio della successione apostolica: lo stesso ministero che egli aveva ricevuto dal Signore ora continua nella Chiesa grazie all'ordinazione sacerdotale. La Parola di Dio non è soltanto scritta ma, grazie ai testimoni che il Signore nel sacramento ha inserito nel ministero apostolico, resta parola vivente. Così ora mi rivolgo a Voi, cari confratelli Vescovi. vi saluto con affetto, insieme con i vostri familiari e con i pellegrini delle rispettive Diocesi. Voi state per ricevere il pallio dalle mani del Successore di Pietro. L'abbiamo fatto benedire, come da Pietro stesso, ponendolo accanto alla sua tomba. Ora esso è espressione della nostra comune responsabilità davanti all’"arci-pastore" Gesù Cristo, del quale parla Pietro (1 Pt 5,4). Il pallio è espressione della nostra missione apostolica. È espressione della nostra comunione, che nel ministero petrino ha la sua garanzia visibile. Con l'unità, così come con l'apostolicità, è collegato il servizio petrino, che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi, difendendo in tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni della Chiesa e possono compromettere così la sua indipendenza interna. Con questo non vogliamo dimenticare che il senso di tutte le funzioni e ministeri è in fondo che "arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo", perché cresca il corpo di Cristo "in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,13.16).

    In questa prospettiva saluto di cuore e con gratitudine la delegazione della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, che è inviata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Guidata dal Metropolita Ioannis, è venuta a questa nostra festa e partecipa alla nostra celebrazione. Anche se ancora non concordiamo nella questione dell'interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili. In quest'ora del mondo piena di scetticismo e di dubbi, ma anche ricca di desiderio di Dio, riconosciamo nuovamente la nostra missione comune di testimoniare insieme Cristo Signore e, sulla base di quell'unità che già ci è donata, di aiutare il mondo perché creda. E supplichiamo il Signore con tutto il cuore perché ci guidi all'unità piena in modo che lo splendore della verità, che sola può creare l'unità, diventi di nuovo visibile nel mondo.

    Il Vangelo di questo giorno ci parla della confessione di san Pietro da cui ha avuto inizio la Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Avendo parlato oggi della Chiesa una, cattolica e apostolica, ma non ancora della Chiesa santa, vogliamo ricordare in questo momento un'altra confessione di Pietro pronunciata nel nome dei Dodici nell'ora del grande abbandono: "Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6,69). Che cosa significa? Gesù, nella grande preghiera sacerdotale, dice di santificarsi per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte (Gv 17,19). Con questo Gesù esprime implicitamente la sua funzione di vero Sommo Sacerdote che realizza il mistero del "Giorno della Riconciliazione", non più soltanto nei riti sostitutivi, ma nella concretezza del proprio corpo e sangue. La parola "il Santo di Dio" nell'Antico Testamento indicava Aronne come Sommo Sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d'Israele (Sal 105,16; vgl. Sir 45,6). La confessione di Pietro in favore di Cristo, che egli dichiara il Santo di Dio, sta nel contesto del discorso eucaristico, nel quale Gesù annuncia il grande Giorno della Riconciliazione mediante l'offerta di se stesso in sacrificio: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,51). Così, sullo sfondo di questa confessione, sta il mistero sacerdotale di Gesù, il suo sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è santa da se stessa; consiste infatti di peccatori – lo sappiamo e lo vediamo tutti. Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo. Dio non solo ha parlato: ci ha amato molto realisticamente, amato fino alla morte del proprio Figlio. E’ proprio da qui che ci si mostra tutta la grandezza della rivelazione che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. Allora ciascuno di noi può dire personalmente con san Paolo: "Io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). Preghiamo il Signore perché la verità di questa parola si imprima profondamente, con la sua gioia e la sua responsabilità, nel nostro cuore; preghiamo perché irradiandosi dalla Celebrazione eucaristica, essa diventi sempre di più la forza che plasma la nostra vita.

  9. #29
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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS


    29 giugno 2005

    Oggi la Chiesa celebra la solenne memoria dei santi Apostoli Pietro e Paolo. È in festa specialmente Roma, dove questi due insigni testimoni di Cristo hanno subito il martirio e dove si venerano le loro reliquie. Il ricordo dei santi Patroni mi fa sentire particolarmente vicino a voi, cari fedeli della Diocesi di Roma. La Provvidenza divina mi ha chiamato ad essere il vostro Pastore: vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto e vi domando di pregare affinché i santi Pietro e Paolo mi ottengano la grazia di compiere con fedeltà il ministero pastorale affidatomi. Quale Vescovo di Roma, il Papa svolge un servizio unico e indispensabile alla Chiesa universale: è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità dei Vescovi e di tutti i fedeli.

    Segno liturgico della comunione che unisce la Sede di Pietro e il suo Successore ai Metropoliti e, per loro tramite, agli altri Vescovi del mondo è il pallio, che questa mattina, durante la Celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, ho imposto ad oltre trenta Pastori provenienti da varie Comunità. A questi cari Fratelli e a quanti fanno loro corona rinnovo il mio fraterno saluto. Un saluto cordiale rivolgo con affetto anche alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli venuta per questa speciale circostanza. Come non ricordare quest’oggi che il primato della Chiesa che è in Roma e del suo Vescovo è un primato di servizio alla comunione cattolica. A partire poi dal duplice evento del martirio di Pietro e di Paolo, tutte le Chiese incominciarono a guardare a quella di Roma come al punto di riferimento centrale per l’unità dottrinale e pastorale. Afferma il Concilio Vaticano II: "Nella comunione ecclesiastica, vi sono legittimamente le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità (cfr S. Ignatius M., Ad Rom., Preaf.: Funk, I, 252), tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva" (Cost. Lumen gentium, 13).

    La Vergine Maria ci ottenga che il ministero petrino del Vescovo di Roma non sia visto come pietra d’inciampo ma come sostegno nel cammino sulla via dell’unità, e ci aiuti a giungere quanto prima a realizzare l’anelito di Cristo: "ut unum sint". Intercedano per noi i santi Apostoli Pietro e Paolo.


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    Nicholas Poussin, Cristo consegna le chiavi a Pietro ovvero Il sacramento dell'Ordine, 1647, National Gallery of Scotland, Edimburgo

    Nicholas Poussin, Pietro e Giovanni guariscono lo storpio della Porta Bella, XVII sec., New York

    Guido Reni, SS. Pietro e Paolo, Pinacoteca di Brera, Milano

 

 
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