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  1. #21
    SENATORE di POL
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    da www.giornale.it

    " Adesso è Follini che minaccia la crisi

    Occorre che Berlusconi scelga il nuovo ministro dell’Economia subito. Lo faccia liberamente, ma lo faccia. Non si può lasciare un vuoto in una posizione strategica, e tanto più in un momento come questo.
    E’ la richiesta che arriva al premier da Marco Follini. In pratica la risposta che il segretario dell’Udc da all’ipotesi di un interim lungo di Silvio Berlusconi al dicastero di via XX Settembre.
    Follini è irritato dalla scelta del presidente del Consiglio e arriva a minacciare la crisi.
    “Un eccesso di accentramento non è l’antidoto alla conflittualità, ne è il moltiplicatore. Se non si capisce questo, non si va lontano”, dice Follini che spiega: “Le minacce non fanno parte né del mio costume né del carattere del partito. Ma questa situazione, lasciata a se stessa, diventa minacciosa di per sé. E’ una situazione che si sta consumando”.
    Quindi Follini affronta i temi caldi del momento. Come il fisco e la riforma fiscale che Berlusconi considera un cardine dell’azione di governo.
    Dice il leader centrista: “Sulla riforma fiscale attendo le carte, senza il ragionamento non è di grande costrutto. Vorremmo tutti essere generosi con i contribuenti, ma occorre capire bene a quali condizioni e con quali costi si può essere di manica larga”.
    Altro tema rovente è il federalismo con la Lega che chiede un patto scritto entro due settimane. Al Carroccio Follini replica: “Le riforme istituzionali non sono un contratto stipulato davanti a un notaio, sono un progetto. L’impegno a fare le riforme nella legislatura c’è e lo ribadisco, come ribadisco che è altrettanto forte l’impegno a ripensare, migliorandolo, il lavoro fatto fin qui”. L’Udc pensa a delle modifiche rispetto all’attuale testo. In particolare chiede di rivedere ruolo e competenze del Senato federale per renderlo “meno onnipossente rispetto al governo” e un premier maggiormente vincolato al Parlamento.


    6 Lug 2004
    "


    Saluti liberali

  2. #22
    SENATORE di POL
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    Pierluigi Battista
    Appoggio esterno, torna la prima repubblica
    Ormai è un crescendo, un argine che si è frantumato e che lascia dilagare una tendenza che fino a poco tempo fa c'era ma come mimetizzata, quasi timorosa di manifestarsi apertamente per non apparire retrò e inguaribilmente nostalgica di un passato non riattualizzabile. Irrompe nel messaggio di Marco Follini (peraltro anticipato nei mesi scorsi da timide allusioni di Gianfranco Fini) una formula politica di stampo antico: "appoggio esterno". Un'alchimia difficile da decifrare nella mistica dicotomica del "o di qua o di là" cara alla seconda repubblica. [...]
    LA STAMPA.
    www.supergiornale.it

    Cordiali saluti

  3. #23
    Superpol
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    Caro Pieffebi, anche se al momento gongolo alquanto al vedere lo sfacio della ex-Casa delle Liberta', reputo, indubbiamente, il ritorno in auge dei DC, quale la peggior soluzione per questa crisi.

    Ma, del resto, chi e' causa del suo mal pianga se stesso. Berlusconi ha voluto re-imbarcare Bossi e Buttiglione nel 2001? Ha voluto far finta di nulla e far incacrenire la situazione per semplice orgoglio personale?
    I risultati sono quelli che si merita

  4. #24
    SENATORE di POL
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    In origine postato da MetaPapero
    Caro Pieffebi, anche se al momento gongolo alquanto al vedere lo sfacio della ex-Casa delle Liberta', reputo, indubbiamente, il ritorno in auge dei DC, quale la peggior soluzione per questa crisi.

    Ma, del resto, chi e' causa del suo mal pianga se stesso. Berlusconi ha voluto re-imbarcare Bossi e Buttiglione nel 2001? Ha voluto far finta di nulla e far incacrenire la situazione per semplice orgoglio personale?
    I risultati sono quelli che si merita

    Non mi pare che la sinistretta sia messa meglio, e poniamo il caso che torni al governo con Prodi... reimbarcando Bertinotti e dipendendo dagli umori del Correntone.... per non dire dei democristiani "di sinistra" alla Mastella o alla.....Castagnetti. Te li raccomando.

    Saluti liberali

  5. #25
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    dal quotidiano LIBERO di oggi

    " Caro Follini, per vincere non basta dirsi moderati
    di ALBERTO MINGARDI

    Pare che, in questi giorni convulsi, si debba celebrare la riscossa dei "moderati", la riapertura - come ha detto Francesco Rutelli - del mercato politico del centro. Il fatto che le sorti del governo restino appese agli azzardi misurati di Marco Follini sembra segnalare, cioè, una imminente resurrezione della Democrazia Cristiana. Nella trama fantapolitica che va per la maggiore, una volta tolto di mezzo Berlusconi, il suo elettorato dovrebbe coagularsi attorno all'Udc, restituendo al Paese quel grande centro cattolico-democratico spazzato via impietosamente dalla mezza rivoluzione giudiziaria. Può essere davvero così? E come sono fatti, a che specie appartengono, questi "moderati" di nuovo protagonisti? Da una parte, c'è una questione di stile: il moderato non alza la voce, porta la cravatta, sa dialogare anche con chi vanta punti di riferimento diversi dai suoi. Moderazione, allora, non è che un sinonimo di civiltà: ma non è detto che estremismo delle idee ed estremismo dei modi s'intreccino. Si possono portare avanti tesi radicali senza accarezzare le tentazioni della piazza, senza giocare a Masaniello. In occasione della morte di Ronald Reagan, il candidato democratico alla Casa Bianca John F. Kerry ha rilasciato una dichiarazione di rara signorilità: «L'amore di Ronald Reagan per l'America era contagioso, anche quando picchiava duro sui democratici, lo faceva con un sorriso e nello spirito di un dibattito onesto ed aperto». Quest'imprevedibile intesa, per quanto post mortem, fra Kerry e Reagan ne fa dei moderati, uno per il gesto di togliersi il cappello, l'altro per aver "picchiato duro" ma con fair play? No, se guardiamo ai programmi, che sono poi le cose che contano.
    "

    Saluti liberali

  6. #26
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    dal quotidiano IL GIORNALE del 9 luglio

    " Le tattiche degli ex DC
    di Gianni Baget Bozzo
    «S'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo»: i postdemocristiani si muovono come le monadi, per armonia prestabilita. Rutelli ha intimato al listone Prodi la sua volontà di non farne parte nelle elezioni regionali, citando la frase di Follini sulla fine della "monarchia" di Berlusconi. Ambedue intendono, simbolicamente, decapitare il loro re.
    Per la verità, i postdemocristiani di sinistra hanno dato un contributo maggiore all'Ulivo di quello che i postdemocristiani di destra l'abbiano concesso al Polo. I postdemocristiani di sinistra hanno mantenuto il loro ruolo di garanzia di centro verso la sinistra postcomunista, che la DC aveva nei confronti del PCI.
    I postdemocristiani di destra sono nati salvati da Berlusconi dalla mano dei giudici e sono stati annessi al popolo di centrodestra come garantiti da Berlusconi e non viceversa. E il loro atteggiamento verso il governo Berlusconi è stato quello di una cordiale marginalità.
    Il loro leader politico effettivo è il presidente della Camera, e il linguaggio di Pierferdinando Casini può essere a un tempo identificato come un linguaggio istituzionale e come un linguaggio politico nella Casa delle Libertà. Il vero luogo di potere e di politica dei postdemocristiani è la presidenza della Camera, che essi hanno ottenuto - come, del resto, la loro coloritura politica di centro destra - solo dalla grazia berlusconiana.
    Essi non hanno chiesto ministeri per veri esponenti del loro partito: Buttiglione è del CDU, Giovanardi è stato eletto in quota Forza Italia. In realtà i postdemocristiani non si sono mai impegnati al governo altro che come coscienza critica giustificata e impersonata dal presidente della Camera. Se mai essi dovessero uscire dal governo, il presidente della Camera si troverebbe in una posizione politica diversa, rappresenterebbe potenzialmente un governo della Casa delle Libertà diverso da quello diretto da Berlusconi. Non è un governo possibile, ma i postdemocristiani seguono le tattiche e non le strategie. Non intendono mettere in crisi il governo e rimarranno fedeli alla maggioranza se mai giungesse una tale decisione.
    Vogliono solo rafforzare la loro componente politica, offrire una sponda ai postdemocristiani di sinistra, suscitando una analoga autonomia: potenziare l'intercorpo democristiano che si oppone al bipolarismo con una solidarietà tattica dei postdemocristiani dei due poli.
    La richiesta centrale di Follini riguarda il proporzionale ed è certamente la medesima richiesta che farebbero i postdemocristiani di sinistra se i postcomunisti permettessero loro tanta libertà. Certamente i postdemocristiani non usciranno dal governo nemmeno per i tempi di durata dell'interim del presidente del Consiglio: a loro basta, da buoni democristiani, dare segnali in politichese e non delineare politiche reali.
    Alleanza Nazionale ha bisogno di subordinare la tattica alla strategia, il partito di Fini, che deve tutto al bipolarismo, non può essere solidale a priori con i postdemocristiani, che hanno il bipolarismo e l'alternanza "in gran dispitto". Infatti, sono cominciate in AN le differenziazioni in ciò che fu il subgoverno Follini-Fini. Proprio l'emersione postdemocristiana obbliga AN alla sua scelta strategica, l'alleanza con Forza Italia e Lega Nord, i partiti del bipolarismo e dell'alternanza, respingendo la tentazione ghettizzante di divenire un partito del Sud, il limite della storia del Movimento Sociale Italiano. Con Fini, AN ha passato la "linea gotica"; perché prestare orecchio così a lungo, per motivi tattici, alle sirene postdemocristiane?



    Gianni Baget Bozzo
    bagetbozzo@ragionpolitica.it "

    www.ragionepolitica.it


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  7. #27
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    dal quotidiano di via Solferino

    " Corriere della Sera del 12/07/2004


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    Berlusconi-Follini, duello sull'orlo della crisi
    «Niente stravolgimenti, o la rottura sarà colpa loro». L'Udc: no al ribaltone. Ma resta la minaccia dell'appoggio esterno
    Paola Di Caro
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    ROMA - Ribattezzato il vertice della verità, quello in cui si decidono le sorti del governo Berlusconi, preceduto da tamburi di guerra - le condizioni ultimative dell'Udc, l'altolà di Berlusconi contro i diktat di Follini -, apparentemente in forse fino all'ultimo visto che non tutti scommettevano sulla presenza dei centristi, l'incontro fiume della maggioranza rischia di rivelarsi non risolutivo.
    Era questa almeno, a vertice ancora in corso, la previsione e forse l'intenzione dell'Udc, anche se il premier ha invece tutte le intenzioni di arrivare al più presto a una conclusione, e da Forza Italia ammettevano che "gli esiti sono tutti possibili", sia la fumata grigia, sia la decisione dei centristi di passare all'appoggio esterno al governo (per votare su questo è convocato il Consiglio nazionale del partito venerdì) sia l'accordo.
    Così, dopo una giornata scandita da due lunghe riunioni-quella dello stato maggiore dell'Udc e quella dei vertici di Forza Italia, con il premier, a palazzo Grazioli -si respirava tra tutti un'aria di grande cautela. Il premier, raccontano i partecipanti al pre-vertice azzurro, esaminando con i suoi ancora una volta le richieste dell'Udc, ha ribadito che "io sono pronto a lasciare l'interim prestissimo, ho massima apertura al dialogo, ma non si possono fare stravolgimenti che porterebbero alla rottura con altri alleati, avete visto la reazione dei leghisti sul federalismo: se è questo che vogliono, la colpa della crisi sarà solo loro". "Come finirà? Molto dipende da come sarà, a livello di pelle, l'incontro al tavolo dei leader - sussurrava un autorevole esponente azzurro -, però in fondo le ultime ore non hanno portato elementi negativi: sembra ci sia consapevolezza generale che una crisi non farebbe bene al Paese, noi pensiamo si debbano privilegiare le ragioni dello stare insieme e non quelle del dividersi...".
    D'altra parte, se si vanno a guardare le dichiarazioni precedenti il vertice, tutti i protagonisti giuravano che all'incontro si presentavano con "spirito costruttivo". Su questo è stato duro Marco Follini, a metà di una giornata in cui sono girate prima voci di una diserzione dell'Udc ai tavoli, poi quelle di un rinvio del vertice e infine anche quella, più fondata, di un incontro tra il segretario dell'Udc e il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti (ma i diretti interessati smentiscono ogni contatto): "Chi ci descrive in modo caricaturale come un partito pronto a fare un ribaltone o un mezzo ribaltone non ci conosce". "Ho il sospetto - ha aggiunto - che chi evoca questi fantasmi stia solo cercando di girare alla larga dai problemi che abbiamo posto", problemi che restano nella loro interezza e che necessitano risposte su quattro fronti, e cioè un diverso federalismo, una diversa politica economica, un ministro dell'Economia di alto profilo e la legge sul conflitto di interessi da varare subito.
    "Follini dice che non vuole fare ribaltoni?
    Bene, ne prendiamo atto...", dice laconico l'azzurro Fabrizio Cicchitto dopo che la Lega per tutto il giorno ha avvertito che "il federalismo non si tocca", e la sensazione è che la preoccupazione di tutti sia ancora quella di non restare con il cerino in mano e di non vedersi attribuita la colpa di una rottura. Ma è vero che Follini può contare almeno sulla non ostilità di An, visto che il capogruppo Nania dice che "le richieste dell'Udc sono interessanti, alcune non condivisibili, ma lo spirito di Marco è costruttivo".
    "


    Saluti liberali

  8. #28
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    da www.ilfoglio.it

    " Follini fa il duro su devolution Rai ed economia, minaccia ma spera di non rompere
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    “Qui c’è da giocarsi la tripla, 1-X-2”. Sulle variabili che fino alle 21 di ieri hanno reso vacillante ogni previsione sull’incontro tra i leader politici e Berlusconi, bastava ascoltare le battute a sfondo calcistico dei leghisti. Di certo c’era che, dopo la lite di domenica sera con Silvio Berlusconi, Marco Follini ha tenuto il suo partito sulla linea dell’intransigenza formale ma senza rinunciare al dialogo. Il segretario dell’Udc ha ordinato ai suoi di disertare il tavolo della verifica pomeridiana sulle riforme istituzionali, non però quello sull’economia su cui peraltro il senatore Ivo Tarolli ha gettato il suo pessimismo: “Clima costruttivo, ma niente documento unitario”. In concerto con An, l’Udc ha continuato infatti a eccepire, in base ai numeri relativi al deficit 2005, sugli interventi radicali di riduzione delle aliquote previsti da Tremonti e trattabili ma non troppo secondo il Cav. Per bocca del sottosegretario Mario Baccini, i centristi hanno invece rilanciato dettando le loro condizioni prioritarie su via XX Settembre: “Il nuovo ministro del Tesoro sia una personalità di altissimo profilo o in alternativa uno dei leader della maggioranza”. La richiesta ha spostato il cono di luce su Gianfranco Fini. E ridotto di molto le quotazioni di Antonio Martino e Letizia Moratti – a favore di Pellegrino Capaldo e Mario Draghi – e anche quelle di Domenico Siniscalco, il cui nome ieri sera continuava comunque a circolare, caldeggiato con prudenza da Forza Italia.

    Follini avrà pure ascoltato il consiglio alla cautela proveniente da Pier Ferdinando Casini (che ieri ha incontrato Gianni Letta), ma al momento in cui questo giornale va in stampa gli elementi a disposizione dicono che si è spinto oltre, per sfibrare gli alleati tenendoli in sospeso fino all’incontro serale. “Meglio chiuderli su un tavolo solo, i conti politici con il premier”, era il suo ragionamento. E stabilire se il governo avrà ancora il sostegno dell’Udc, sotto sotto sperando di non dover rompere davvero. Al limite puntando all’ennesimo rinvio. Non è infatti scontato, lo ha ammesso anche il coordinatore di An Ignazio La Russa, che le fibrillazioni non proseguano fino all’intervento parlamentare del Cav. (domani).

    In mattinata Follini aveva inviato a Palazzo Chigi Rocco Buttiglione a comunicare che “senza una premessa politica non ha senso perdersi in tecnicalità”. Concetto spiegato al Foglio con toni ruvidi dal relatore al Senato del ddl sulle riforme, Francesco D’Onofrio (Udc), atteso invano all’appuntamento con i colleghi della maggioranza: “Se Berlusconi non capisce è perché non vuole capire. Nove emendamenti su dieci di quelli presentati dall’Udc sulla devolution sono di carattere po-li-ti-co. Dunque niente sedute spiritiche attorno a tavoli tecnici, se non arriva una risposta chiara a una domanda precisa: la maggioranza intende seriamente trasformarsi da cartello elettorale in coalizione collegiale?”.

    Poco prima che la “diserzione” dei centristi fosse evidente, ad accrescere la confusione d’una giornata fitta d’incontri bilaterali e vertici informali di partito, si alternavano l’ottimismo trattenuto sparso da leghisti, finiani e qualche centrista, e le veroniche con cui Buttiglione ha ammesso che “alcuni ostacoli sono superati, per altri si deve ancora trovare una soluzione”. Forse un riferimento alla necessità di raggiungere un accordo sulla mozione di sfiducia al cda Rai che l’Udc minaccia di votare oggi assieme all’opposizione in commissione di Vigilanza. Nonostante l’assoluta e compatta contrarietà degli alleati. Questione decisiva, questa, dal momento che un mancato accordo prima del voto, con Berlusconi oggi a Londra, aprirebbe un vulnus tale da compromettere le speranze di rinviare a stasera la dead line della verifica. Non a caso Roberto Maroni, che pure s’è detto “garantito” dai centristi sulla devolution (unica clausola su cui la Lega non cederà), ha ammonito che “sarebbe irresponsabile far cadere il governo per il rinnovo del cda Rai”. Se si arriva allo stallo e l’Udc opta per l’appoggio esterno, dicono in via Bellerio, “il Carroccio farà immediatamente saltare la baracca”.

    Sulla questione dei vertici Rai, nel pomeriggio a Palazzo si rincorrevano voci. Chi ribadiva che la riscrittura della mozione centrista era “serenamente” ultimata (“maggioranza d’accordo nel chiedere che il cda decada a novembre, secondo il dettato della Gasparri”). Chi paventava la fumata nera sulle competenze del cda in scadenza (“ordinaria amministrazione o no?”). Chi ancora lamentava l’ingordigia dell’Udc (“vogliono piazzare Giancarlo Leone alla direzione generale, Sergio Valzania alla direzione dei Tg regionali, al posto di Angela Buttiglione che immaginano alla direzione di Rai1, mentre Casini cerca ancora un posto all’amico Vincenzo Porcacchia”). Chi infine, ancora D’Onofrio, puntava l’indice contro “il blocco An-Lega-Fi che si divide i Tg e tratta i centristi come paria”. “Se c’è la volontà – auspicavano ambienti di FI – si può almeno giungere a un rinvio del voto in Vigilanza”.
    "


    Saluti liberali

  9. #29
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    da www.adnkronos.com

    " Berlusconi: ''Intervento costruttivo''
    Follini: ''Non siamo congiurati, ne' saltafossi''
    Il segretario dell'Udc alla Camera: ''I nostri argomenti sono utili all'azione di governo''. Calderoli: ''Sono venuti meno gli accordi della maggioranza del 2001''

    Roma, 14 lug. - (Adnkronos) - L'Udc non e' una forza di ''congiurati'' ne' di ''saltafossi'', e pone argomenti che ''possono essere ragione di forza, equilibrio, capacita' realizzativa per il governo'' che il presidente del Consiglio puo', se vuole, ''renderli utili all'azione di governo''. E' questo il senso dell'intervento di Marco Follini alla Camera, in replica al discorso del presidente del Consiglio.
    Il leader dell'Udc ha premesso che ''ci troviamo in un passaggio difficile'', per la situazione dell'Europa e del nostro Paese, e che e' ''difficile la situazione della maggioranza e del governo''. Poi ha chiarito che ''le dimissioni di Tremonti non sono la soluzione di fronte a questa difficolta'''. Cio' detto, il leader centrista ha ricordato: ''Abbiamo posto l'esigenza che questa fase interinale si chiuda al piu' presto'', parlando di ''un ministro dell'Economia a tempo pieno e di alto profilo'' per ''un miglior funzionamento della compagine di governo''. Serve, in questo caso, ''un colpo d'ala'', una scelta ''per valore aggiunto'' e non un ''rimescolamento di carte o competenze''.
    Dieci minuti secchi quelli di Follini accolti dal gelo della maggioranza. Ad applaudire e congratularsi con lui al termine dell'intervento sono solo i suoi compagni di partito e qualche deputato, qua e la', tra i banchi di An. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha le braccia incrociate e la faccia scura. Il vicepremier Gianfranco Fini fa una smorfia di incertezza e nient'altro.
    ''Un intervento costruttivo'' e' stato il commento scarno di Berlusconi, mentre per il leghista Roberto Calderoli, ''l'intervento di Follini oggi in aula conferma, purtroppo, i nostri timori sullo stato di salute della maggioranza''. ''Follini anche con il suo intervento -ha sottolineato Calderoli- teorizza il diritto dell'Udc alle 'mani libere' con riferimento particolare al federalismo. Questo testimonia definitivamente il venir meno degli accordi della maggioranza del 2001. Il presidente Berlusconi deve prendere atto di tutto cio'''.
    "

    Saluti liberali

  10. #30
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    dal quotidiano IL GIORNALE

    " il Giornale del 15/07/2004


    --------------------------------------------------------------------------------

    Il bivio centrista
    Mario Sechi
    --------------------------------------------------------------------------------

    Dove i tavoli hanno fallito, è riuscito il Parlamento. Da ieri finalmente sono chiare le posizioni in campo nella maggioranza e i centristi si trovano ora a un bivio: continuare nella "politica delle mani libere" o impegnarsi per rilanciare il governo nella seconda parte della legislatura.
    Ieri abbiamo assistito a Montecitorio a una "chiamata" generale dei leader della maggioranza agli alleati dell'Udc. Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega hanno chiesto a Follini di assumere un ruolo-chiave nell'esecutivo e ora la palla è nel campo dell'Udc.
    L'agenda politica dice che la decisione sarà presa nel Consiglio nazionale dell'Udc di domani, ma i tempi stavolta non li detta solo Follini: li impongono tutti i leader della Casa delle libertà e il Quirinale. Nelle prossime ore dunque i centristi decideranno se giocare la palla, fare melina o buttarla in tribuna.
    Follini ieri in Parlamento ha svolto il suo compito con grande abilità, ha ribadito la sua lealtà e con altrettanta fermezza il suo ruolo di "pungolo" nella Casa delle libertà. È una strategia del pendolo che finora ha consentito ai centristi di distinguersi ma che è stata facilitata dall'assenza nell'esecutivo di ministri di peso. Collegialità però fa rima con responsabilità e per essere coerénti fino in fondo, la prima richiesta deve andare di pari passo con la seconda. Non si può infatti chiedere di partecipare alle decisioni fondamentali senza poi condividere il peso del potere. Follini per essere credibile ora deve fare il passo successivo: entrare nel governo e in uno dei ministeri che contano.
    Tramontata l'idea dell'appoggio esterno, ha davanti due sole scelte e una via di mezzo: o entra o esce. O resta a metà del guado. Nel primo caso gli elettori valuteranno la capacità dei centristi di risolvere problemi, disegnare scenari, misurarsi con l'opinione pubblica, in poche parole, governare. Nel secondo Follini dovrà spiegare perché non vuol fare parte dell'esecutivo e, a quel punto, l'unica carta che gli resta è quella dell'apertura della crisi. Oppure restare nella maggioranza, un piede dentro e un piede fuori, navigando a vista e giocando con le alleanze variabili sui temi dell'economia e del federalismo. In quest'ultimo caso; la crisi sarebbe solo una questione di tempo. Ma per l'Udc non è ancora un'opportunità, perché il disegno neocentrista ha mosso i primi passi ma non è maturo, perché il partito è sensibile al richiamo alla stabilità che viene dalla Chiesa (suo bacino di ispirazione culturale ed elettorale), dal Quirinale (punto di riferimento istituzionale), dalla Confindustria (con la quale ha aperto una corsia preferenziale) e sa che i nostri affari interni sono guardati con attenzione dagli Stati Uniti, principale alleato in politica estera (non si cambia un governo impegnato nella lotta al terrorismo).
    I centristi tuttavia non vogliono rinunciare al ruolo di battitore libero.

    Gianfranco Fini commentando il discorso di Follini ha detto: "Ha tenuto il punto, penso che non potesse fare diversamente visto che ha il Consiglio nazionale tra 48 ore".
    La strategia di Follini dunque sarà messa alla prova del dibattito interno nel partito dove, se è vero che il segretario gode di amplissimo appoggio, è altrettanto vero che quel consenso si misura con la distanza - notevole - che ancora separa l'Udc dalla realizzazione del Grande Centro. Un conto è infatti immaginare uno scenario di "centrodestra senza Berlusconi", ben altro è varare un disegno così vasto e ambizioso con un Berlusconi ancora più che mai presente sulla scena politica.
    L'Udc ha una percezione della sua essenza e della sua presenza nel governo diverse da quelle dell'ormai lontano 1994 e del più vicino 2001. L'Unione di centro, infatti, è il prodotto della federazione di tre componenti, (Ccd-Cdu e Democrazia Europea) che ha forza e natura differenti rispetto all'originario Centro ,cristiano democratico fondato da Pierferdinando Casini. Il partito del tre per cento ha raddoppiato i voti alle Europee e conta di mieterne altri, ha allevato una classe dirigente e, dopo l'uscita di Casini per assumere l'incarico di Presidente della Camera, ha costruito la figura di un leader, Follini, sul quale non tutti avrebbero scommesso.
    Il segretario dice di non voler costruire un progetto alternativo al centrodestra, ma le sue elaborazioni teoriche (i libri ne sono copiosa testimonianza) mettono in luce un orizzonte neocentrista di chiara matrice post-democristiana . Il suo percorso di maturazione è ora chiamato alla prova del governo ed è su questa esperienza che si potrà misurare anche la sua leadership di oggi e il suo progetto per il domani.
    "


    Saluti liberali

 

 
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