Fonte: Area

Orrore! L'Europa ha un "modello sociale"
di Marcello de Angelis

"Le lobby bruciano il futuro dell’Europa", è il titolo sorprendente di un fondo de Il Sole 24 ore. Sorprendente almeno per chi identifica le lobby con i gruppi di pressione dei potentati economici che cercano di influenzare la politica. Sembrerebbe quasi un titolo del manifesto. Invece le lobby a cui fa riferimento il quotidiano di Confindustria sono i sindacati e altri non identificati gruppi che bloccherebbero lo sviluppo imponendo "rigidità strutturali" al mercato del lavoro.

Sulla necessità di riformare il "mercato del lavoro", che noi preferiamo chiamare "mondo del lavoro" - perché il lavoro per noi non è una merce ma uno strumento a cui tutti avrebbero diritto per garantirsi il sostentamento ed una vita dignitosa - siamo tutti d’accordo, ma leggendo quel fondo ci si chiarisce bene le idee su quanto sia importante fare chiarezza sul modello da adottare.

A detta degli autori dell’articolo - uno laureato in economia ad Harvard e l’altro corrispondente da New York - i modelli che si confrontano sono due: "la centralizzazione, l’intervento del Governo, il paternalismo e la dipendenza formano quello che gli europei chiamano, spesso con una punta d’orgoglio, "l’economia di mercato sociale" in contrasto con l’economia di mercato americana, bollata altrettanto spesso come "selvaggia"".

Noi solitamente la chiamiamo, a dire il vero, "economia sociale di mercato" e l’inversione dei termini nell’articolo non è casuale se poi si procede nel sostenere che il riferirsi a "mercati sociali" è solo un mascheramento per l’incapacità di affrontare "lobby superprotette". Parlare di economia sociale e di mercato, significa invece adattare l’economia, che deve essere comunque indirizzata ai valori sociali, alle necessità del mercato. Un assunto logico, almeno per chi non riesce a concepire l’attività economica svincolata dall’interesse della nazione e del popolo che crea e beneficia del prodotto dell’economia. Se invece ci si è formati ad una scuola che colloca l’economia su un piano quasi metafisico scollegato totalmente dal fattore umano, coltivando la credenza superstiziosa nell’esistenza di un’entità superna, quasi personalizzata, che fissa regole e si autogestisce e si chiama "il Mercato" con la M maiuscola, tutto cambia.

Il concetto è lapalissiano anche per gli autori, che infatti invitano a rinunciare alla parola "mercato" - che secondo loro comunque sta meglio da sola - e chiamare l’economia europea per quel che è, cioè una "economia sociale", un vetusto modello così radicato da venir propugnato sia da destra che da sinistra, "al punto che l’estrema destra, interventista quanto la sinistra, ama definirsi "destra sociale"" (sic).

E così mettiamo al loro posto quel manipolo di membri del governo che osano osteggiare ancora la volontà del dio con la M maiuscola.

Quello che ci vorrebbe, secondo loro, per rimettere le cose a posto - e ce lo dicono in tempo utile per le elezioni europee - sarebbe "un centro politico coeso e "pro mercato"".

Ma è mai possibile, si chiedono ancora allibiti, che all’Europa continentale (fatta così salva l’illuminata Albione) piaccia la sua "cultura" di "mercati sociali", con crescita debole, governi paternalistici, una vasta rete di garanzie e sicurezze, giornate di lavoro corte, protezione degli "insider" e una campagna che vive di sussidi?

Effettivamente sarebbe meglio un mondo senza governi nazionali, dove la sovranità ce l’ha il Mercato - dotato degli strumenti utili per assicurare a se stesso la garanzia e la sicurezza di gestire e controllare le risorse del pianeta - dove la protezione ce l’hanno solo i privilegiati prescelti come suoi "insider", e tutti gli altri a fare la fila per dare in affitto la propria "forza lavoro", ovviamente sottratta alle campagne ormai rese deserto dall’assenza di sussidi. Daltronde il problema del cibo si risolve con gli Ogm…

Ha una sua logica: la ricchezza cresce e può generare più ricchezza se si concentra, non se si distribuisce. Infatti l’avanzamento progressivo dei nuovi Paesi industrializzati come la Cina e l’India è dovuto al fatto che hanno una marcia in più rispetto all’Europa: una gran massa di poveracci che non si formalizzano su salari e garanzie per non morire di fame.

Ciò detto, i nostri esperti invitano l’Europa a "scegliere tra il preservare lo status quo dell’"economia sociale" e il crescere tenendo conto dei ritmi delle nuove potenze economiche emergenti". La prima strada porta, secondo loro, a un declino economico relativo, la seconda invece consentirebbe di tenere il passo con la concorrenza globale. Infine si augurano che il prossimo G7 sottoscriva questa seconda scelta in occasione della prossima riunione, celebrando così in maniera appropriata il sessantesimo anniversario degli accordi di Bretton Woods, che evidentemente loro ritengono siano stati una storica svolta nell’interesse del Mercato.

In tutto ciò, all’interno dello stesso quotidiano si descrive con entusiasmo il "volto sociale" della Confindustria, descritta come "un’associazione che svolge una forte attività di lobby nei confronti delle istituzioni, è interlocutore del sindacato, realizza un monitoraggio continuo sulla situazione economica degli italiani e iniziative per sostenere ricerca e innovazione e si impegna per la formazione dei giovani coinvolgendo migliaia di scuole".

Ma il nuovo presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, da che parte sta?