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    Predefinito Se Bush è il Giudice, Saddam è legittimo Presidente

    Della pagliacciata della transizione democratica in Iraq questo processo e’ quindi la quint’essenza

    SE BUSH E’ IL GIUDICE, SADDAM E’ LEGITTiMO PRESIDENTE

    E’ disgustoso come tutti i media italiani presentano il passaggio di consegne avvenuto a Bagdad. La sceneggiata del trasferimento dei poteri dalle mani del Proconsole americano P. Bremen a quelle dei suoi passacarte iracheni (tutti da tempo nel libro paga della CIA), e’ presentata come la prova lampante che il popolo dell’Iraq ha riconquistato la sua sovranita’. La liberta’ pero’ non si ottiene come la Grazia, e Bush non e’ il Dio misericordioso. Fino a quando piu’ di duecentomila mercenari (regolari o irregolari) restaranno in Iraq, legittimati solo da un atto unilaterale d’imperio, non solo quel popolo non sara’ libero, chiunque sia al governo e’ un Quisling, un fantoccio, un manutengolo degli occupanti. Viceversa la Resistenza, per quanto possa risultare brutta agli occhi del PTPC (Partito Trasversle Politicamente Corretto), non e’ soltanto legittima, essa ha il pieno diritto di vincere e cacciare gli invasori. Ma al disgusto non c’e’ limite. Anche la consegna di Saddam Hussein al fittizio Governo ad Interim presieduto dalla spia americana Allawi, viene strombazzata come l’evento-simbolo del risorto Stato di Diritto iracheno. Se non andiamo sbagliati (ministro Martino, se c’e’ batta un colpo!) e’ di Diritto quello Stato in cui gli stessi che amministrano la legge si sottopongono ad essa. Che abbiamo invece? Che Bush l’aggressore incarica il Proconsole Bremen, che Bremen trasferisce i suoi poteri ad Allawi, che quest’utimo sceglie come Presidente del Tribunale che giudichera’ Saddam (non come Procuratore, si badi! come Presidente dei giudicanti), un certo Salem Chalabi, nipote del golpista e sperimentato agente americano Ahmed Chalabi. Non c’e’ Stato di Diritto in un paese occupato militarmente e in cui gli americani, dopo aver violato con l’aggressione le leggi e le convenzioni internazionali, impongono istituzioni e scelgono unilaterlamente chi debba occuparle. Non c’e’ legalita’ democratica e Stato di Diritto ove un Tribunale, invece di essere imparziale, e’ una cricca di nemici dichiarati di Saddam i quali hanno addirittura affermato di volerlo condannare a morte. Della pagliacciata della transizione democratica questo processo e’ quindi la quint’essenza. Anche un mediocre avvocato d’Ufficio, nella piu’ banana delle repubbliche, chiederebbe e otterrebbe la ricusazione del giudice Chalabi (o no, Ministro Castelli?). Ma l’Iraq non e’ la repubblica della banane, e’ messa peggio, e’ ora un protettorato americano e il diritto che si applica e’ quello colonialistico, lo spazio giuridico e’ quello imperiale. Viceversa e’ giusto affermare che la Resistenza, nonostante i suoi limiti, e’ mille volte piu’ democratica degli americani, e che nella commedia in cui Bush si atteggia a giudice Saddam ha il pieno diritto di fregiarsi del titolo di Presidente della repubblica irachena. I carcerieri di Guantanamo, i torturatori di Abu Ghraib, non hanno diritto di privare chicchessia della sua liberta’, nemmeno Saddam Hussein.

    www.antiimperialista.org

  2. #2
    eh?
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    Concordo al 200%

  3. #3
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    FLASHBACK: L'uomo degli americani
    Fulvio Grimaldi




    28 giugno 2003 - Oggi, per trattare il tema, mi soccorre l’intelligenza del bassotto Nando. Per sputtanare i cani, opina, non c’è di meglio che lo stereotipo: il cane è per sua natura servile. Magari ha morso il padrone, ma siccome sta sempre lì, sull’aja o in casa o in giardino, resta inesorabilmente servile, servo del padrone. Ci vuole pochissimo a capire che questo, come tutti gli stereotipi, oggi padroni del linguaggio – e quindi delle idee - come mai in passato (ci vorrebbe un D’Annunzio, o un Weber, o un Barthes, per i loro diversi versi, a disintegrarli), nasce da osservazione superficiale, specista ed antropocentrica, totalmente ignara della psicologia ed etologia del cane.
    Il pensiero di Nando bassotto è sollecitato da un fenomeno ricorrente che, come tutto il resto, non manco di sottoporre alla sua analisi. Appaiono siti che per qualche tempo catturano positiva attenzione sparando bordate di denunce e argomentazioni antimperialiste e antisharoniane (antisioniste no, per carità). Poi, un giorno, certi della credibilità conquistata negli ambienti-target, tra una cronaca di torture americane a prigionieri iracheni e lo strazio di una vecchia palestinese cui hanno sotterrato sotto le macerie della casa figli e nipoti, ecco che ti piazzano il colpo, il discorso che ti disgiunge le sconnessure del mondo. Ci resti sbigottito ma, tenuto conto di tutto il buon materiale che ti è arrivato prima, magari superi il dubbio e quel colpo lo prendi per buono. Rimani appeso all’amo. La crepa si è aperta e promette di diventare voragine, pronta ad accogliere ben altre nefandezze della disinformazione. Tattica vecchia come il cucco, ma sempre astuta ed efficace.

    Successe con un sito USA, Emperors clothes, di Jared Israel. Questo Israel lo incrociai parecchie volte in Jugoslavia, prima e dopo la caduta di Milosevic e della Federazione. Era tra i più accaniti ed acclamati, dai compagni serbi, denuncianti della cospirazione imperialista anti-Jugoslavia. Dal suo sito, poi, si diffusero documentate accuse, non solo sulle tresche Nato e USA contro quel grande paese ucciso, ma addirittura sconvolgenti rivelazioni sui retroscena istituzionali degli attentati dell’11/9, cioè sulle dirette, poi anche altrimenti documentate, responsabilità della banda di golpisti al potere a Washington. Israel si rovesciò come un calzino nel suo opposto: un bel giorno incominciò a mitragliare i corrispondenti delle sue e-mail e i visitatori del suo sito con fantastiche accuse di nefandezze terroristiche ai palestinesi e agli arabi tutti, riscrivendo negazionisticamente una storia del conflitto che faceva degli ebrei la civiltà in arrivo e degli arabi poco più di ignoranti e sanguinarie belve. Poco mancò che riesumasse quello slogan che mi accolse in Palestina nel 1967, inviato alla guerra dei Sei Giorni, e che era affisso su mille muri e sopra cadaveri di soldati egiziani lasciati alle mosche: “L’unico arabo buono è quello morto”.

    Qualcuno ci cascò: ma come, Jared era stato tanto bravo sulla Jugoslavia! Non poteva non essere credibile adesso! E le crepe si aprivano.
    Non dico che lo stesso discorso valga pari pari per il sito Al Awda che da qualche tempo ci offre ampi e validi resoconti non solo sulla Palestina,. ma anche sugli altri gironi infernali dell’imperialismo USA.
    Ma certo sorprende e sconcerta quando, tra tanta accuratezza e passione, spunta un bel giorno l’inusitato ma non insolito stereotipo dell’intossicazione Mossad-CIA: “Saddam, uomo degli americani”.

    Vedete, quello di attribuire al leader di una comunità aggredita e ribelle il ruolo di un doppiogiochista è il sistema più raffinato e perfido per decapitare una resistenza e minare la solidarietà a sinistra che le spetta (Saddam si è venduto, ha contrattato il suo salvacondotto con gli USA in cambio della dissoluzione del suo esercito). Lo fecero anche con Slobodan Milosevic, attaccandosi al fatto che aveva fatto uno stage in una banca di New York e che aveva firmato, spalle al muro con tutto il suo popolo sotto embargo e minacciato di sterminio, la pace di Dayton. E ricordate come giocarono sul presunto conflitto Che-Fidel?

    L’operazione “Saddam americano” è stata affiancata dall’operazione “Arafat tiranno”, poi malamente corretta, operazione per tempistica analoga ai clamori dirittiumanisti pro-società civile iraniana in simultanea con l’escalation aggressiva USA.

    Sono questi tanto uomini degli americani che vengono perseguitati, incarcerati, uccisi insieme al loro popolo. Incongruo, vero? Ma veniamo ai fatti, alle accuse di “americanismo” a Saddam. “E’ un dittatore”. Me ne sono già occupato. Ecco il classico colonialismo eurocentrico della “Sinistra”. Incapacità di esaminare come un altro popolo percepisca il suo governo e la sua cultura, espressi da retroterra, percorsi, valori, tempi totalmente diversi dai nostri, e totale subalternità ai criteri di valutazione strumentali dell’imperialismo “dei diritti umani”. La tua democrazia, (*.*.), è il sistema perfetto e ultimo. Va totalitariamente imposto a tutti, che ne sentano la necessità o no. Anche se per diritti umani questi popoli – vedi anche Cuba o i bolshevichi – intendono per primo la conoscenza (istruzione gratuita per tutti), la salute (sanità gratuita per tutti), l’alimentazione (lo Stato che ha fatto mangiare gratuitamente il 75% per cento della popolazione fino all’ultimo giorno dell’embargo in quello che l’ONU ha definito “il più efficiente e meno corrotto sistema di distribuzione di cibo del mondo”), la protezione (casa garantita a tutti), la riproduzione sociale e biologica (piena occupazione con in sovrappiù, in Iraq, 2 milioni di lavoratori stranieri dal mondo arabo), la piena emancipazione delle donne. E magari più in là il diritto umano individuale e individualistico di dire ognuno la sua, anche a rischio di far crollare uno sforzo gigantesco e vittorioso di emancipazione nazionale, sociale e culturale. Facile predicare la democrazia, poi, dimenticando (ignoranza, malafede?) chi l’ha praticata nel proprio contesto specifico, governando in coalizione con comunisti e democratici kurdi fino al 1979, e poi si è ritrovato sotto un assedio micidiale di aggressori imperialisti, con terrorismi, guerre, infiltrazioni di spie e sabotatori, compravendita di quisling e ceti malavitosi. S’è visto cosa è costato a Milosevic l’insistenza a mantenere, perfino sotto le bombe Nato, una democrazia pluralistica, con tanto di diritto di associazione partitica e pluralismo di mezzi d’informazione: tutta l’opposizione comprata e corrotta dai tedeschi, prima, e dagli USA, poi.

    Guerra Iraq-Iran, Iraq al servizio della Nato e degli USA. Saddam è stato tanto filo-occidentale da fare, nel 1958, una rivoluzione socialista antimperialista, da essere perseguitato e incarcerato insieme ai comunisti dalla dittatura di Aref dal 1963 al 1968, da fare una nuova rivoluzione con Baath, comunisti, nasseriani e democratici kurdi nel 1968, rispostando l’Iraq nell’area non allineata e filo-sovietica, da nazionalizzare il petrolio nel 1972, cacciando le multinazionali angloamericane dal monopolio del petrolio iracheno, da concedere ai kurdi un’ampia ed effettiva autonomia con autogoverno e parlamento a Irbil (prima che gli USA, Kissinger, riattizzassero la rivolta dei pashà fantocci Balzani e Talabani e che i curdi si schierassero con il decimatore di kurdi iraniani, Khomeini, per la promessa di spartizione dell’Iraq e indipendenza kurda); da riunire nel 1979 a Baghdad, contro la resa araba di Camp David (Sadat-Begin) e il tradimento della causa palestinese, il Fronte del Rifiuto, che raccolse la maggioranza degli Stati arabi e soprattutto tutte le organizzazioni sociali, sindacati, movimenti e partiti di sinistra, che da sempre avevano in Baghdad un punto di riferimento. Non per nulla immediatamente scoppia la guerra Iraq-Iran, certo istigata dagli angloamericani (Kissinger: “E’ necessario che queste due potenze, minacciose per Israele, si dissanguino a vicenda”). L’Iran aveva rimesso in discussione il confine tra i due paesi, avanzando richieste territoriali (Shatt el Arab) e aveva minacciato di strangolare l’Iraq laico e apostata chiudendogli lo stretto di Hormuz, vitali per i suoi scambi. Ero presente io, quando nel 1980, unità militari iraniane, in piena pace, facevano sortite provocatorie oltre i confini. L’Iran fu subito sostenuto da Israele (quello sì, strumento degli USA) che, bombardata piratescamente la centrale nucleare dell’”amerikano” Saddam, Osirak, fornì all’Iran, istruttori, piloti e mezzi. Ricordate l’Iran-contras: Israele fornisce armi a Khomeini e col ricavato, attraverso la banca mafiosa e narcotrafficante BCCI, sostiene i macelli dei contras in Nicaragua. Gli USA si limitano, per simmetria (Kissinger!) a fornire comprensione diplomatica all’Iraq. La storia di forniture di armi USA è una bufala: basta vedere l’armamentario iracheno nelle due guerre del Golfo: neanche un obice USA, tutta vecchia roba sovietica, francese, italiana e irachena. Fallita l’aggressione integralista e pari e patta la guerra, l’imperialismo USA si rivolge direttamente contro un nemico storico (dal 1958) che non pare né distrutto, né domo nel suo appoggio ai palestinesi (è il paese che in tutte le guerre arabo-israeliane ha fornito il maggior numero di caduti e, fino all’ultimo, i finanziamenti più cospicui alla resistenza palestinese). Tanto che Saddam è da anni per tutti i 300 milioni di arabi (escluse le cliques dirigenti) il punto di riferimento nella lotta contro l’espansionismo israeliano, la nuova colonizzazione imperialistica e la classi dirigenti proconsolati e compratore. Questa è la realtà di massa con cui un comunista, un rivoluzionario si deve confrontare.

    E per venire alle elucubrazioni sulle “ambiguità” dell’attuale resistenza (l’esercito iracheno dissoltosi, ma, come si vede ora, saggiamente, per preservare le forze in vista di una guerriglia che è già poderosa) e sulle perfidie propagandistiche del sedicente Partito Comunista dei lavoratori iracheno, avanzate da un altro interlocutore, si chieda se una sinistra antimperialista debba sostenere i “nazionalisti” del Baath e islamici che, uniti, si oppongono con la lotta armata di liberazione, avendo per questo scopo sottratto le proprie forze al macello tecnologico degli angloamericani in fase di invasione, oppure un partitello “comunista” solidale, in esilio, con la banda di ladroni venduti del Consiglio Nazionale Iracheno di Londra e della CIA, che ora saluta l’invasione come necessaria alla caduta del regime e l’occupazione come utile per la fase di ricostruzione di un movimento operaio di massa (ma figurarsi cosa ne pensa Paul Bremer).

    IL PCI se non è creazione della CIA, poco ci manca. La solita falsa sinistra, collaborazionista, che serve a depistare la lotta contro il nemico e che in nessuno dei suoi decennali documenti ha mai denunciato l’ecatombe dell’embargo angloamericano. Perché si ignorano le informazioni sui comunisti della Coalizione Nazionale Irachena, che hanno tenuto insieme ad altre forze progressiste il loro congresso a febbraio a Parigi e che hanno posto come contraddizione principale quella nazionale tra Iraq e invasori imperialisti, tanto che oggi lottano insieme a migliaia di volontari arabi con i partigiani del Baath?

    Si denuncia il carattere “ nazionalista” della rivolta armata guidata dal Baath e da Saddam Hussein. E meno male che è nazionalista: non è una nazione che è stata aggredita, strangolata, disintegrata, squartata? Non è oggi una priorità assoluta, come nella lotta anticolonialista condotta in egemonia dal Baath contro gli inglesi, la cacciata dell’occupante dalla nazione tutta? Patria o muerte. Vuole suscitare scontri etnici? Peccato che, nonostante tutti gli sforzi USA per suscitare conflitti interetnici, finora il popolo iracheno (ad esclusione delle bande kurde narcotrafficanti di Barzani e Talabani) pare fortemente unito nell’obiettivo prioritario della cacciata del “liberatore” e, ahinoi, lo è sotto la guida di una resistenza ben organizzata, diffusa su tutto il territorio, la cui correttezza e sacrosanta giustezza può essere diffamata solo da un titolo inaccettabile come quello di Liberazione del 26/6, “Soldati inglesi linciati dalla folla”, passivamente e non innocentemente, temo, tratta dalle agenzie capitaliste, a rovesciamento non solo della realtà (vedi il Manifesto) di una battaglia con armi da fuoco tra inglesi, assassini di civili, e partigiani armati, ma anche del diritto di ogni iracheno di difendere, anche con le nudi mani, il proprio paese. Ricordo una pediatra irachena che, nell’imminenza dell’arrivo degli statunitensi a Baghdad, aveva affilato i propri coltelli da cucina (vedi il video “Un deserto chiamato pace”).

    Per la sinistra, dopo l’imbarazzante guerra del bandito Bush alla “belva sanguinaria”, ora c’è l’imbarazzo di scegliere tra l’astuta e unilateralmente disarmante nonviolenza dei “moderati” e il sostegno a una lotta armata di liberazione popolare, necessariamente e ineluttabilmente “nazionale”, dove chi ci sta è un compagno e un patriota e chi non ci sta un rinnegato o un arreso, PCI o non PCI. PC iracheno che farebbe meglio a denunciare le stragi di civili in corso a opera degli angloamericani, la natura colonialista dell’occupazione, il carattere brigantesco e quislinghiano di Chalabi e Co., la minaccia mondiale dell’imperialismo (e non solo per mascherare il proprio sostanziale collaborazionismo), e a prendere le armi insieme ai compagni del Baath e agli islamici, che mettono la vita al servizio della sovranità e dignità della propria comunità nazionale e della resistenza mondiale contro gli USA motore del capitalismo e del’imperialismo. La storia è maestra di verità: la liberazione araba negli anni ’50 e ’60 è stata condotta dalle borghesie nazionali e dalle intellighenzie in collaborazione con le masse sfruttate dalle monarchie vassalle al soldo del colonialismo. Pare che questa situazione debba ripetersi. Chi ha più filo, tesse e fa egemonia.

    C’è da trarre una conclusione non esaltante: palestinesi, iracheni, arabi, cubani, ecc. vanno bene, vanno sostenuti e compianti quando li si fanno a pezzi, se ne polverizzano le case, se ne fa un olocausto, se ne uccidono i bambini. Sono terroristi, nazionalisti, etnicisti quando combattono.

    Intifada fino alla vittoria, in Palestina e in Iraq. Anche con Arafat e Saddam, visto che gli altri si è visto quanto sono credibili.

    http://mondocane.splinder.com/1054429200

    http://uruknet.web.at.it/documenti/uomo_degli_amer
    icani_grimaldi.html

 

 

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