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  1. #31
    Fiamma Rossa
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    Ma lui è seminarista, cerca di capire.... un uomo di fede.

  2. #32
    Paul Atreides
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    :: Sezione > Medio Oriente
    INTERVISTA A GEORGE HABASH: IL PUNTO DI VISTA DELLA SINISTRA RADICALE PALESTINESE
    di Redazione
    pubblicato il 11/12/2002


    Questo è il testo tradotto dell’intervista rilasciata da George Habash al Centro per il Ritorno dei Palestinesi il 29 giugno del 2002. Il gruppo da lui fondato, il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (Fplp) di ispirazione marxista è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte degli Usa e dell’Unione Europea. A parte la retorica roboante e il taglio che rende le risposte simili ad un comizio l’intervista è interessante e fa capire molto bene lo storico rifiuto di ogni compromesso da parte del Fronte che non esita a vedere nel fondamentalismo islamico un alleato per sconfiggere definitivamente lo stato di Israele.

    Domanda Come risultato della sua esperienza nella resistenza contro l'occupazione, come valuta la situazione della lotta attraverso ciò che le persone stanno vivendo dopo un anno e un mezzo di Intifada e come respingono il potere militare e tecnologico più arrogante del mondo?
    Risposta Credo che la lotta nazionale palestinese contro l'occupazione sionista sia entrata in una fase qualitativamente nuova, che mai è stata vista prima, all’interno del mondo palestinese. L'Intifada al-Aqsa rappresenta un alto livello di resistenza che ha messo insieme la forza delle masse e la lotta armata. L'Intifada di massa è proseguita, col coinvolgimento di settori più larghi della società Palestinese, e parallelamente le operazioni militari sono continuate contro l'esercito di occupazione e i coloni israeliani della West Bank e di Gaza.
    Sommato a tutto questo, le operazioni di martirio sono continuate nei territori occupati del 1948 (lo Stato di Israele internazionalmente riconosciuto). Queste operazioni sono emerse in un contesto di autodifesa, in risposta alle sanguinose e barbare operazioni di assassinio, repressione, e terrore praticate dalle forze di occupazione sioniste, e contro la guerra aperta che il nemico ha dichiarato contro le città, i villaggi e i rifugiati scatenata con lo scopo di terrorizzare le persone e distruggere istituzioni, proprietà, e infrastrutture palestinesi.
    Quello che è incredibile è che lo spirito combattente dei palestinesi sta crescendo, nonostante la ferocia dell'offensiva militare israeliana, il loro scopo si è allargato con l’utilizzo di vari tipi di armi: pesanti, moderne, come carri armati, aeroplani, artiglieria, razzi, cannoni, e atti proibiti a livello internazionale. È divenuto chiaro che oggi la resistenza palestinese cresce in modo più violento e più esteso, inventando forme nuove e metodi di confronto con il nemico per penetrare all’interno dei confini israeliani e superare le misure di sicurezza.
    Appare in modo chiaro oggi, più che in passato, che i palestinesi non sopporteranno più l'occupazione. Non si può più ritornare al tavolo degli accordi di Oslo, dopo l'esperienza lunga e amara che ha visto il nemico seguire una politica di dettami, dilazioni, temporeggiamenti e mancato rispetto degli accordi firmati. I palestinesi ora sono convinti che quegli accordi erano sbagliati e dannosi, come coloro che li hanno firmati a nome del popolo palestinese. I palestinesi non sopporteranno più l'occupazione, e stanno dimostrando molta determinazione nel continuare a lottare fino a che i loro scopi di libertà e indipendenza non saranno raggiunti. A dispetto di tutte le forme di assedio, distruzione, fame, uccisioni e terrore; a dispetto di tutta la politica americana di aiuto e propaganda a favore del nemico; a dispetto dell'impotenza e del disfattismo da parte dei regimi arabi, arrivato a livelli senza precedenti; i palestinesi continuano la loro battaglia multiforme, senza esitazione, immune alle pressioni politiche, psicologiche, e militari esercitate da Israele, America, Europa, e dai regimi arabi.
    Lasciatemi dimostrare meglio il livello alto di resistenza e lo spirito di combattimento crescente fra i palestinesi nelle attuali condizioni. La prima cosa che posso citare per chiarire è che il mondo può vedere che il livello di resistenza popolare di fronte alla forza della macchina militare sionista è marcato da un carattere ormai leggendario, nonostante tutte le difficoltà e amarezze causate dalla perdita del sangue palestinese nel confronto con la violenza sionista. La seconda è che la lotta armata palestinese si è distinta attualmente per i miglioramenti qualitativi. Questo fatto può essere visto osservando il numero maggiore di perdite subite dagli israeliani - a livello militare e per quanto riguarda i coloni, le forze di sicurezza e di intelligence; risultato del livello qualitativamente nuovo di operazioni armate distinte per il coraggio senza pari e per il senso di sfida.
    E’ giusto ricordare qui che le perdite umane che gli israeliani stanno sostenendo sono molto alte. L'entità Sionista non ha mai sostenuto un numero così alto di perdite in qualsiasi battaglia del passato. La cifra è, secondo le ultime stime, un israeliano ucciso per ogni tre martiri Palestinesi. Questo nonostante la grande differenza di potere e lo squilibrio dei mezzi di combattimento di equipaggiamento disponibile per i palestinesi.
    Se noi aggiungiamo alle perdite umane del nemico quelle economiche, noteremo la grande difficoltà in cui si trova l'entità Sionista, le azioni armate palestinesi in tale contesto non fanno altro che aumentare lo spirito di combattimento del popolo. Naturalmente l'entità Sionista ha cominciato a sentire adesso, più che in passato, l'enormità del pericolo che minaccia la sua esistenza ora e nel futuro. Questo fatto ha risvegliato un senso di paura, e la popolazione israeliana è stata colta da un panico che ha forti ripercussioni sul tasso di emigrazione da Israele.
    Domanda L’eroismo epico sorto nel campo dei rifugiati di Jenin e a Nablus ha imposto un linea contraria alla resa. Quali sarebbero stati i risultati se la stessa linea fosse stata seguita a Bitounia, nella sede centrale dell'Autorità Palestinese di Ramallah e nella Chiesa della Natività?
    Risposta L’eroismo nel campo di Jenin e nella città vecchia di Nablus ha avuto un grande significato politico e militare. Le battaglie combattute in questi luoghi hanno dimostrato la prontezza dei palestinesi nel lottare e nel resistere. Hanno inconfondibilmente rivelato l'estensione della loro energia nascosta e il sacrificio che i coraggiosi combattenti palestinesi non esitano a rendere. Come tutti sanno, l’accampamento di Jenin misura un chilometro e alcune centinaia di metri quadrati, ciononostante ha resistito risolutamente alla macchina militare Sionista per dodici giorni, a dispetto di tutte le distruzioni e le rovine piovute sui difensori, e in dispetto della grande disparità di forze per il taglio dell’acqua, dell’elettricità, e per l'esaurimento degli approvvigionamenti. Gli israeliani hanno ammesso di aver usato ogni tipo di arma, incluso aerei, carri armati, missili, e artiglieria, sostituendo molte volte i loro uomini e i comandanti della forza di assalto per soggiogare il campo e la città vecchia di Nablus. Nonostante questo, l'esercito israeliano non ha potuto occupare il campo fino a quando i combattenti della resistenza palestinese, hanno terminato le munizioni. Grazie al loro coraggio e al loro eroismo, sono riusciti ad infliggere un gran numero di morti e feriti all’esercito di occupazione. I comandi israeliani hanno ammesso che 23 dei loro uomini e ufficiali sono stati uccisi e un centinaio feriti.

    Naturalmente, le sfiancanti battaglie svoltesi nel campo di Jenin e nella città vecchia di Nablus non sono state le prime di questo genere nella storia della lotta contro il nemico sionista, prima o dopo la formazione dell’entità sionista nel 1948. Gli anni tra il 20 e il 40 videro succedersi molte battaglie nelle quali i palestinesi ben si difesero, nonostante la loro limitata abilità militare e le loro armi nettamente inferiori. Dopo il 1948, e in particolare dopo la sconfitta del giugno 1967, ci furono molte eroiche battaglie nelle quali i combattenti palestinesi dimostrarono coraggio, tranquillità e un alto livello di competenza e che furono caratterizzate anche dal loro eccezionale spirito guerriero e da un’impareggiabile devozione al sacrificio in difesa dei diritti nazionali palestinesi, della terra e dell’onore nazionale. Nelle battaglie svoltesi nel Libano meridionale, al di là del Giordano e durante l’assedio sionista di Beirut del 1982, ci furono numerosi esempi di epico coraggio da parte palestinese. Continuando sulla stessa linea, possiamo ritrovare questi esempi nelle centinaia, anzi migliaia di attacchi che i guerriglieri palestinesi hanno portato contro l’esercito israeliano dall’interno del paese e oltre i confini nel corso dell’attuale rivoluzione palestinese.
    Partendo da questi eventi storici e attuali, sono convinto che il risultato del confronto militare organizzato sarebbe stato piuttosto diverso nelle altre città, se la leadership palestinese avesse abbandonato le sue illusioni, adottato una ferma risoluzione e si fosse preparata per il confronto e la resistenza in tutte le sue forme, se avesse preparato il terreno per l’unificazione delle energie e delle capacità militari nazionali palestinesi, così da poter intraprendere la battaglia nelle migliori condizioni possibili.

    I combattenti palestinesi di Jenin e Nablus hanno la stessa volontà e determinazione di quelli di Gaza, Khan Younus, al-Khalil (Hebron), Ramallah, Tulkarem, Qalqiliya e delle altre città palestinesi e campi profughi. Se l’ordine di affrontare il nemico fosse stato preparato sulla falsariga di quanto venne fatto nel campo di Jenin e nella città vecchia di Nablus, essi avrebbero scritto un’epica pagina di eroismo che sarebbe costata a Israele pesanti perdite e che avrebbe loro impartito un’importante lezione.
    Il problema, dunque, non risiede nei combattenti o nei modesti mezzi militari a loro disposizione. Il problema che abbiamo affrontato e stiamo ancora affrontando è che la leadership ufficiale palestinese sta ancora scommettendo su un accordo che coinvolga la mediazione americana ed europea. La leadership sta lottando per tornare al tavolo negoziale e agli Accordi di Oslo, nonostante la lunga e amara esperienza che aveva accompagnato questa fase di negoziati. Quella esperienza aveva dimostrato come i successivi governi israeliani, retti dai laburisti o dal Likud, non avessero voluto porre fine all’occupazione, né accettare alcuno degli accordi. Essi avevano apertamente dichiarato di non essere pronti ad un miglioramento delle risoluzioni ONU riguardanti il diritto palestinese al rimpatrio, all’autodeterminazione e a uno stato indipendente. Avevano invece continuato a cambiare le cose per favorire i propri interessi nel continuare l’occupazione e negare alle genti palestinesi i diritti nazionali, legittimi e stabiliti; in primo luogo il loro diritto di rientrare nella madrepatria, di esercitare l’autodeterminazione e di costituire il loro stato indipendente con capitale Gerusalemme.

    Probabilmente è ovvio affermare che questa situazione, con tutte le sue amarezze, obbliga tutte le forze patriottiche, democratiche e islamiche a continuare la lotta contro l’occupazione israeliana al fine di esercitare una pressione ancora più forte perché l’Anp lasci da parte le sue illusioni e si prenda il compito di unificare le energie e le potenzialità dei palestinesi nello sforzo di resistere e realizzare quelli che sono gli scopi del nostro popolo: libertà, indipendenza e il diritto al rimpatrio.

    Domanda: recentemente è stato arrestato il Segretario Generale del Fronte Popolare. Prima era stato assassinato il martire Abu Ali Mustafa. Ahmad Saadat è ancora in prigione. Fino a che punto lei pensa che queste particolari campagne, in special modo dopo l’assassinio del terrorista Ze’evi, (ex-ministro del governo Sahron freddato da un commando Fplp a Gerusalemme) abbiano limitato l’azione del Fronte Popolare, e lei crede che sia stata saggia la decisione del Fronte Popolare di concentrare tutti questi leader all’interno della Palestina?
    Risposta: prima di tutto vorrei precisare che gli assassinii, le persecuzioni, le cacce all’uomo e gli arresti subiti dal Fronte Popolare negli ultimi mesi, particolarmente dopo l’assassinio di Ze’evi, non sono i primi di questo genere. Durante gli anni 70 e 80 e fino ai primi anni 90, il nemico sionista dedicò molte delle sue forze a operazioni militari volte all’assassinio, alla persecuzione e alla caccia all’uomo al fine di annientare la presenza politica e organizzativa del Fronte Popolare tra le masse e come organizzazione armata dentro e fuori la Palestina.
    Penso che tutti ricorderanno la grande campagna portata dal nemico contro il Fronte Popolare, campagna che sfociò nell’arresto di centinaia di persone e nel martirio del compagno Muhammad al-Aswad, “il Guevara di Gaza”, membro del comitato politico del Fronte Popolare e del compagno Muhammad al-Amsi, membro del comitato centrale.
    Lo stesso si può dire delle campagne condotte tra gli anni 80 e i primi 90 che condussero all’arresto di centinaia di militari e funzionari del Fplp e alla deportazione di decine di persone dalla madrepatria occupata, per non parlare dell’assassinio di molti quadri militari e amministrativi nelle prigioni nemiche e nei successivi scontri che scoppiarono.

    Ricordiamo anche la campagna militare condotta dagli invasori allo scopo di annientare la pratica della guerriglia, che il Fronte stava portando avanti alla fine degli anni 60 sulle montagne di al-Khalil (Hebron) sotto il comando del Martire Abu Mansour.
    Queste continue operazioni hanno finito per eliminare la presenza politica, organizzativa e militare del Fronte Popolare in Palestina. Il Fronte è stato capace, ogni volta che è stato sottoposto a eliminazioni, arresti, cacce all’uomo, persecuzioni e deportazioni, di risorgere e di continuare la lotta in forme diverse e con differenti mezzi e metodi. Sono convinto che anche l’attuale campagna alla quale è sottoposto il Fronte, per quanto dura e massiccia possa essere, non riuscirà a fermare la sua lotta.
    Nonostante la grande perdita causata dall’assassinio del martire compagno Abu Ali Mustafa, Segretario Generale del Fronte, i capi del partito sono stati veloci a riorganizzare le fila e a eleggere un nuovo Segretario Generale, il compagno Ahmad Saadat, e il suo vice, compagno Abd al-Rahim Malluh.
    Il Fronte è anche stato capace di vendicarsi del martirio del suo Segretario Generale entro 40 giorni, quando gli è riuscito di eliminare il ministro israeliano Rehavam Ze’evi nel cuore di Gerusalemme.

    Questo fatto ha costituito un duro colpo alla sicurezza del nemico sionista e a tutte le sue istituzioni militari e di sicurezza. E’ stato un accadimento che i leader militari, quelli della sicurezza e i politici israeliani hanno considerato come un salto qualitativo senza precedenti nella storia dell’entità israeliana, un passo che ha posto una seria e pericolosa minaccia e che ha innalzato il livello della battaglia a un piano mai sperimentato prima da Israele.
    E’ stata questa lettura del significato dell’assassinio di Ze’evi che ha portato i sionisti a reagire con violenza su grande scala con l’aiuto di tecniche diverse.
    La prima ha visto l’esercito israeliano lanciare una pesante campagna militare contro l’Anp, le sue istituzioni e le organizzazioni armate islamiche e palestinesi. La seconda è stata la forte pressione politica sull’Anp perché procedesse all’arresto del compagno Ahmad Saadat e dei quattro compagni responsabili dell’assassinio di Ze’evi. Questo è avvenuto dopo che Israele non era riuscito a catturarli con i propri mezzi. La terza è stata quella che ha portato Israele a lanciare una massiccia campagna politica e diplomatica, volta a spingere l’America, l’Europa e alcuni paesi arabi a intervenire presso Arafat per convincerlo a prendere provvedimenti contro il Fronte Popolare sulla base del fatto che è un’organizzazione terroristica. Queste pressioni sono sfociate sfortunatamente nell’arresto del compagno Ahmad Saadat e dei quattro eroi, mentre le forze militari e della sicurezza israeliane procedevano all’arresto di centinaia di membri e quadri del Fronte, culminato con l’arresto del compagno Abd al-Rahim Malluh, il vice Segretario Generale.
    Naturalmente, questa massiccia campagna mirata a colpire il Fronte Popolare all’interno dei territori occupati ha influito negativamente sul suo livello operativo. Ma sono assolutamente convinto che il Fronte continuera’ nella propria attività militante, come del resto é diventata sua consuetudine. Risorgerà nuovamente e con forza. Credo che l’Intifada e le attività militari del Fronte nei mesi scorsi siano indice della sua capacità di superare gli attacchi a cui é stato soggetto. Per quanto riguarda la seconda parte della sua domanda, mi lasci riaffermare che io ero favorevole al ritorno di tutti i compagni che potevano tornare in patria. Nonostante le perdite che abbiamo subito in seguito all’assassinio del compagno martire Abu Ali e l’arresto del compagno Malluh, continuo a credere che il Fronte in quel momento prese la giusta decisione. In ogni caso, il Fronte Popolare é abituato a rivedere le proprie decisioni in ogni fase della lotta nazionale, per imparare dagli errori e per preparare i piani di lavoro per la fase successiva. I gruppi di comando prenderanno sicuramente una pausa di riflessione per valutare questa fase, non solo da questo punto di vista ma anche per una riflessione globale della capacità esecutiva del Fronte ma anche riguardo la situazione nazionale della Palestina.

    Domanda Recentemente e sotto pressione internazionale, l’Autorità Nazionale Palestinese ha annunciato quello che venne definito un programma di riforme. I nomi dei ministri sono stati resi pubblici in un momento in cui i carri armati israeliani ancora stavano invadendo le città palestinesi, uccidendo, distruggendo e arrestando. Lei crede che questa Autorità stia vivendo uno sdoppiamento rispetto alla realtà distanziandosi sempre più dalle preoccupazioni e dai problemi del popolo palestinese?
    Risposta Mi lasci innanzitutto dire che le riforme politiche in generale nascono da una specifica richiesta palestinese. Esse sono appoggiate da tutte le forze nazionali palestinesi, quale che sia il loro orientamento intellettuale e politico nonché da tutte le organizzazioni del popolo palestinese. Questa richiesta é stata e costituisce tuttora una preoccupazione cruciale della nazione palestinese all’ombra di tutte le forme di egemonia, leadership individuale e dispotismo praticate nelle varie istituzioni dell’OLP e dell’ANP, riguardo al potere decisionale. Durante gli ultimi tre decenni l’OLP é passato attraverso una vera e propria lotta per riformare le proprie istituzioni e ricostruire i propri fondamenti democratici, in modo da poter servire il programma nazionale, portare avanti la lotta per recuperare i diritti nazionali palestinesi e assicurare il raggiungimento degli obiettivi di libertà e indipendenza del nostro popolo. Nonostante alcuni successi ottenuti durante gli anni 70 e 80 nel riformare le strutture dell’OLP a livello politico, organizzativo e sindacale, queste riforme sono state limitate e di carattere provvisorio. Vennero ignorate e abbandonate per poter riportare indietro le cose ai livelli precedenti – caratterizzate dal dispotismo nei procedimenti decisionali che mancavano di credibilità- approfondendo concetti, abitudini e tradizioni in alcun modo legati alla causa comune e ad una genuina leadership collettiva.

    Tutto ciò avvenne mentre in teoria il potere esecutivo teoricamente riconosceva l’OLP come una larga coalizione nazionale e propugnava il mantenimento di un’ampia rappresentanza allo scopo di unire sotto un unico ombrello tutti i legittimi rappresentanti del popolo palestinese. Per ritornare alla questione della situazione attuale, mi lasci dire che, sfortunatamente, le riforme democratiche e politiche attualmente proposte dall’Autorità Palestinese sono il risultato di pressioni Americano-Europee-Israeliane e Arabe mirate a raggiungere gli obiettivi di sicurezza Israelo-Americani. L’essenza di questi obiettivi é la costituzione di un regime politico palestinese che vada incontro alle richieste e agli incarichi di politica e sicurezza che servano gli interessi, le inclinazioni e i piani di America e Israele. Il primo di questi incarichi viene dimostrato dalla repressione delle forze di opposizione patriottiche palestinesi, la repressione dell’Intifada e di tutte le forme di resistenza armata che le organizzazioni patriottiche, democratiche e di militanza islamica hanno tentato per lottare contro l’occupazione israeliana.

    Penso che nessuno, sia egli palestinese o arabo, creda alla sincerità delle lacrime versate da americani, europei e israeliani riguardo all’assenza di democrazia in Palestina, o riguardo al dispotismo dei servizi di sicurezza, al non sottomettersi alle ordinanze della corte o alle regole basilari palestinesi, all’incremento della corruzione e burocratizzazione nelle agenzie e istituzioni dell’ANP. Le loro affermazioni di interesse riguardo ai suddetti argomenti mancano di ogni credibilità. Infatti la storia dimostra che questi tre entità, sono costantemente impegnate a spingere molti paesi e regimi del terzo mondo verso un aumento di repressione, terrore, oppressione e corruzione negando ai popoli i più basilari diritti umani e democratici. Fanno questo con il solo proposito di garantire i propri interessi. Sarebbe arduo contare tutti gli esempi di queste politiche e i numerosi modi usati per mascherarle. Sono stati scritti molti libri da autori occidentali che denunciano il ruolo dei servizi segreti americani ed europei nel sostegno a molti regimi dittatoriali. Nonostante la chiara natura delle pressioni che Israele, America e alcuni stati europei e arabi hanno imposto sull’Autorità Palestinese per l’introduzione di riforme che servono soltanto i loro interessi, non dobbiamo esitare un istante a ingaggiare la battaglia delle riforme con tutta la nostra abilità ed energia, in modo che ci possa essere una riforma vera e radicale creata su una base onesta, libera e democratica.

    Deve essere una riforma che racchiuda sia le istituzioni dell’Autorità, dell’OLP, delle municipalità e dei consigli comunali dei villaggi che sindacati e organizzazioni popolari e professionali. Abbiamo di fronte a noi l’opportunità reale di introdurre una massiccia operazione di riforme per cui abbiamo combattuto per anni. Perché ciò abbia successo bisogna imporre un limite a tutte le forme di egemonia, autorità individuale e dispotismo e stabilire istituzioni trasparenti basate sul principio della rappresentanza proporzionale. Ovviamente tali riforme ed elezioni devono avere luogo in circostanze vantaggiose – lontane dalle condizioni degli Accordi di Oslo e dall’influenza diretta o indiretta dell’occupazione. E’ altresì ovvio che esse debbano avere luogo in condizione di completa sollecitudine e a preparativi terminati, all’interno di una nuova e contemporanea struttura elettorale. Oltretutto devo dire chiaramente che é necessario enfatizzare l’estrema importanza di coordinare gli sforzi delle forze combattenti patriottiche, democratiche e islamiche e di tutte le forze civili e delle istituzioni palestinesi, per assicurarsi che le elezioni democratiche garantiscano l’opportunità di instaurare reali riforme e ottenere le condizioni che diano alle masse palestinesi e alle loro risorse vitali la forza necessaria di combattere l’occupazione, per perseguire la libertà e l’indipendenza del nostro popolo, per porre fine alla sofferenza e riconquistare i diritti saccheggiati – tra cui i più importanti sono sicuramente il diritto al Ritorno, all’autodeterminazione e la costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale.

    Domanda Nel corso degli anni i profughi palestinesi hanno giocato un ruolo importante nella battaglia contro il progetto sionista. Ciò é naturale in quanto i profughi costituiscono la parte cruciale del conflitto. Abbiamo visto come i campi siano stati sistematicamente colpiti – ricordiamo per esempio gli atroci massacri di Sabra e Shatila. Durante l’attuale Intifada al-Aqsa tutti i campi profughi sono stati colpiti e vi è stato il macello del campo di Jenin. Perché i campi sono stati colpiti durante ogni fase del conflitto, secondo lei, non é sufficiente che il nostro popolo soffra nell’ essere rifugiato e a vivere nei campi?
    Risposta Si, i profughi palestinesi hanno giocato un importante ruolo nella battaglia nazionale contro il progetto sionista. Ciò é naturale, come lei sottolinea nella sua domanda, perché la causa del ritorno dei profughi palestinesi sulla loro terra era ed é ancora il punto cruciale del conflitto contro la visione colonialista Occidentale-Sionista. Così, quando parliamo dei profughi palestinesi, significa che stiamo parlando di cinque milioni di palestinesi che vivono nei campi all’interno dei territori occupati e all’estero in aree dove hanno cercato rifugio. La vita di queste persone é stata caratterizzata da condizioni primitive ed inumane per le loro esigenze primarie di sanità, educazione, abitazione etc. Le loro vite sono anche state caratterizzate da incertezza costante. I profughi palestinesi hanno portato via le loro chiavi di casa conservandole nella speranza di poter tornare alle loro città, ai loro villaggi, alle loro proprietà e alle loro case. Quando l’attesa cominciò a diventare lunga, quando la dura vita di infelicità e privazioni umane, economiche e sociali continuò senza fine, essi cominciarono a organizzare i loro ranghi per combattere per il diritto a ritornare.

    Questa lotta ha preso varie forme, che non staremo ad elencare qui, fino a che raggiunse la fase esplosiva della contemporanea rivoluzione Palestinese nel 1965. Non é esagerato dire che la rivoluzione palestinese ha attinto i propri combattenti ed eroi dai campi profughi. Quando la rivoluzione crebbe e maturò, i campi sono rimasti la naturale risorsa di forza vitale. I campi palestinesi abbracciarono la resistenza patriottica armata e attraverso i decenni hanno consistentemente sopportato enormi sacrifici. Questo é un fatto oggettivo; non é, almeno credo, qualcosa che possa essere messo in discussione. Non vi sono differenze di opinione a riguardo. Proprio per questi motivi, in questi decenni i campi profughi palestinesi sono stati continuamente oggetto di attacchi da parte dell’entità sionista, e dei regimi arabi con i complotti dell’America e dei paesi dell’Europa Occidentale per riorganizzare coloro che risiedono nei campi in un modo da negargli il diritto di ritornare. A livello politico, i circoli sionisti, americani e dell’Europa occidentale hanno proposto dozzine di piani per ricollocare i profughi. Ma questi piani non sono riusciti a convincere i palestinesi ad abbandonare il diritto a tornare alle loro case e proprietà, nonostante tutti i tentativi di seduzione. Al contrario, i palestinesi si sono aggrappati ai loro diritti e hanno insistito per ritornare alla loro terra nonostante le durissime condizioni in cui sono costretti a vivere quotidianamente.

    Per quanto riguarda la sicurezza e gli affari militari, prima che scoppiasse la rivolta, i campi profughi erano soggetti a numerose operazioni di repressione, azioni terroristiche e a campagne di arresti da parte della polizia araba e dei servizi segreti. Tale repressione aveva come obiettivo quello di ostacolare l’attività politica dei palestinesi. Come si sa, dall’inizio della rivoluzione i campi profughi sono stati soggetti ad una serie di brutali attacchi militari e a campagne di accerchiamento e assedio estremamente difficili da sopportare. Gli attacchi portati a campi come Sabra e Shatila, Jenin e Tell al-Zaatar (Libano 1976 ad opera dei siriani e dei cristiani) sono alcuni fra gli esempi più noti dei massacri perpetrati nei campi. Ma non basterebbero molti volumi a contenere la memoria delle atrocità alle quali i campi profughi palestinesi sono stati sottoposti.
    Detto questo, nonostante il nostro dolore, i campi profughi hanno continuato a rappresentare una risorsa essenziale per il flusso di combattenti per la rivoluzione palestinese e la continuazione della lotta – in tutte le sue forme – contro il nemico sionista. Io credo che questa sia la ragione principale dell’accanimento dei sionisti e dei servizi segreti arabi e di altri paesi contro i campi profughi. Essi hanno rappresentato e ancora rappresentano l’esempio più evidente della tragedia del nostro tempo, della tragedia che il popolo palestinese subisce da più di cinquanta anni. Non sorprende che i colonialisti sionisti e occidentali cerchino in ogni modo di liberarsi di questo esempio, di liberarsi cioè di uno dei motivi più importanti per la continuazione della lotta per il diritto al ritorno, che Israele considera contrario alla propria esistenza e che come tale categoricamente rifiuta.

    E’ importante ricordare che esiste un opinione in Israele contraria al ritorno dei profughi palestinesi alle proprie case, ai propri villaggi e alle proprie città, dai quali sono stati cacciati con la forza, ingiustamente. Esiste anche un idea nell’opinione pubblica israeliana che è contraria alla realizzazione della risoluzione 194 dell’ONU. Tale consenso include partiti, movimenti politici, istituzioni civili e popolari di varia ispirazione politica, di destra, di sinistra, di centro, e persino i movimenti per la pace. Poiché i campi profughi sono la residenza di coloro che hanno il diritto al ritorno e che rappresentano il bastione reale e tangibile della determinazione della nazione palestinese, e una fonte inesauribile di combattenti rivoluzionari e di guerrieri martiri, questi campi rimangono un obiettivo costante delle forze nemiche in ogni fase della lotta; un obiettivo permanente per tutti i progetti politici, sociali e di sviluppo che cercano di far stabilire i Palestinesi fuori della Palestina, disconoscendo i loro legittimi diritti all’identità nazionale.

    Il Diritto al Ritorno
    Lasciatemi dire che il diritto dei palestinesi al ritorno è entrato in una nuova fase negli ultimi anni, in particolare dopo la Conferenza di Madrid e gli Accordi di Oslo. I compromessi e le complesse trasformazioni seguite agli Accordi di Oslo hanno fatto emergere fra i palestinesi la consapevolezza che esistono fazioni rilevanti intenzionate a disconoscere il diritto al ritorno, sostituendolo con soluzioni politiche che includono l’allontanamento dei palestinesi dietro compenso, negando il loro diritto naturale a rientrare nella loro patria, nelle città, nei villaggi, nelle terre e nelle case dalle quali sono stati cacciati.
    Questo diritto, sancito in risoluzioni e in numerosi documenti e convenzioni riconosciuti a livello internazionale, costituisce un inalienabile diritto individuale e collettivo che non può essere delegato.
    Appare chiaro che i circoli sionisti, americani, e dell’Europa Occidentale abbiano rafforzato la loro determinazione a negare la risoluzione 194 e tutte le altre risoluzioni che affermano il diritto dei palestinesi espulsi con la forza dalla loro terra, attraverso pratiche sistematiche di pulizia etnica. Ciò allo scopo di realizzare la menzogna sionista secondo la quale “la Palestina é una terra senza un popolo per un popolo senza una terra”. I sionisti e i loro sostenitori occidentali propagano continuamente progetti che mirano a far stabilire i profughi nei luoghi in cui si trovano attualmente o in altri luoghi fuori dalla Palestina, ovvero ad espellerli ancora una volta. Questi elementi estranei hanno tentato di diffondere fra la popolazione la loro interpretazione della risoluzione 194, negando il suo reale obiettivo e sostenendo falsamente che essa prevede o il ritorno o una forma di compensazione. In certi casi si sentono voci che rinforzano questi piani americani, europei e israeliani, voci che appartengono a rappresentanti palestinesi i quali suggeriscono soluzioni parziali, che in sostanza svendono il diritto dei palestinesi al ritorno. Nonostante queste voci rimangano poche ed isolate dalle masse, esse rivelano un problema pericoloso legato alla pochezza delle opzioni a disposizione della classe dirigente palestinese. Questo problema porta con sé anche il bisogno di prendere posizione rispetto alla tendenza a ricercare il compromesso anche a costi intollerabili, e a rifiutare affermazioni disonorevoli quali quelle rilasciate recentemente da Sari Nuseibeh.

    E’ indubbio che contrastare queste tendenze e influenzare l’opinione pubblica internazionale è possibile solo attraverso una crescita della lotta nazionale e attraverso uno sforzo ancora maggiore di organizzazione dei rifugiati palestinesi ovunque essi si trovino: nei territori della Palestina occupati nel 1948, nei territori occupati nel 1967, oppure dispersi all’estero. E’ necessario rafforzare il movimento di massa teso a difendere il diritto al ritorno opponendosi a qualunque manovra intesa ad annullare quel diritto. Ovunque si trovino, i palestinesi hanno formato comitati e organizzazioni basate sull’impegno comune del popolo, nella convinzione fondamentale che il diritto al ritorno è sacro, legale e possibile. Permettetemi allora di elogiare il vostro centro, il Centro per il Ritorno dei Palestinesi che costituisce un collegamento importante nella catena dei movimenti in difesa del diritto dei Palestinesi al ritorno. E’ importante ribadire che queste organizzazioni e comitati popolari sono necessari ad assistere i tentativi dei partiti politici e delle organizzazioni palestinesi di ottenere unità nel loro lavoro in difesa del diritto al ritorno, in modo da rendere possibile l’azione concreta in difesa di quel diritto. La capacità delle organizzazioni, dei partiti, dei gruppi, dei comitati e delle istituzioni di migliorare il livello della loro attività politica, informativa, di massa e militante, e la capacità di organizzare i propri ranghi, costituisce il presupposto per respingere i tentativi di rimpiazzare il diritto al ritorno con progetti di risistemazione dei palestinesi all’estero o, secondo l’ultima espressione di queste tendenze, di porli in quarantena nei campi.

    Vorrei allora sottolineare il bisogno di maggiore unità negli sforzi di coloro che operano per la difesa del diritto al ritorno. E’ necessario che in tutti i luoghi dove si trova la nostra gente siano unificati gli sforzi tesi a creare un unico movimento in difesa del diritto al ritorno, in modo che questo possa funzionare come una orchestra ben affiatata in cui ciascun componente lavora in armonia con gli altri.
    Anche se é prematuro proporre una immagine definitiva delle forme specifiche dell’opera delle masse palestinesi in patria e all’estero, sono fermamente convinto che la nostra gente sarà capace di trovare le forme migliori e più efficienti per servire questa fondamentale e giusta causa.
    Permettetemi di dire, in conclusione, che i congressi che sono stati convocati, i comitati che sono stati formati, e le attività che sono state avviate ai quattro angoli della terra costituiscono una reale svolta nel cammino della lotta nazionale dei palestinesi per il sacro diritto al ritorno.
    Personalmente, io valuto grandemente questo impegno. Vedo in esso un risveglio di grandissima importanza. Auspico la sua continuazione con ancora più grande ardore e seria diligenza così da sconfiggere tutti i tentativi ostili che hanno l’obiettivo di disconoscere il diritto al ritorno con pretesti falsi che il popolo palestinese assolutamente respinge.
    Stiamo affrontando una situazione difficile e dolorosa. Ma il popolo palestinese con la sua leadership sincera, i suoi quadri, i suoi intellettuali ed accademici, e tutte le sue istituzioni popolari, é capace di superare queste condizioni e di stabilire il suo diritto sacro, continuando la lotta per affermarlo. Dunque, andiamo avanti, e vinceremo!

    (Traduzione a cura della redazione di Wema si ringrazia: Luca Sivieri, Paolo Di Motoli, Christina Pezzoli e Stefania Bernini)

    http://www.wema.com/art.asp?id=426

    ADDENDA MIA

    Il conflitto in Libano è molto più complesso. Nel 1975/1976 i falangisti erano alleati dei siriani. Il massacro del campo profughi palestinese di Tell al-Zaatar, avvenuto nel 1976, fu opera di falangisti e siriani, cosa ricordata anche da Habash nell'intervista che ho riportato

 

 
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