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  1. #21
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    Predefinito Re: Re: Re: Il senso della vita, la società, la politica

    In origine postato da Franzele
    Anche la concezione cattolica del tempo è lineare.
    E ovviamente anche la mia (magari il tempo dipende anche dalla velocità dell'osservatoreo o da altro, ma ne ho una concezione lineare).


    Più che di Tradizione Occidentale parlerei di cultura occidentale, con tante tradizioni e tante differenze al suo interno.

    saluti
    F.

    Infatti tra Tradizione e cattolicesimo non c'è affatto una continuità, a differenza di quanto qualcuno sostiene, piuttosto si parla di occultamento della stessa.

  2. #22
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    Predefinito Re: Il senso della vita, la società, la politica

    In origine postato da Franzele
    La dimensione che più può dar senso alla vita è quella religiosa. Se esiste un Dio da sempre e per sempre che ha creato il mondo, umanità compresa, ci troviamo all’interno di un ordine universale con una sua razionalità (magari incompresibile, ma c'è; si veda il discorso sulla Provvidenza) costituito prima della nostra esistenza. E la nostra esistenza in esso assume un senso.
    Naturalmente anche chi non crede in un ordine superiore può dare un senso alla vita, ma non con la stessa forza. Si può essere spinti nella vita dall’istinto, dalla solidarietà, dall’amicizia, dall’amore…
    Anche il contesto sociale potrebbe dare un senso alla vita. Il sentirsi parte di una comunità con delle regole può equivalere a sentirsi come un organo di un corpo più grande (può anche voler dire sentirsi oppressi da questa società…).
    Credo che coloro che aderiscono alla vostra Area in buona fede (quindi non per menare le mani, per nostalgismo, per banale anticomunismo o razzismo: e così penso già di escludere un bel po’ di gente), siano spinti dal non ricevere un senso alla propria esistenza dall’appartenenza a questa società. E in effetti consumismo ed edonismo non trasmettono un senso alla vita. Siamo individui che si muovono tra realtà reale e realtà virtuale e a volte ci si chiede in che cosa la reale si differenzi dalla virtuale (mi riferisco, ad esempio, alla visione di Pirandello).

    Così i tradizionalisti ricercano il ritorno al passato. Perché le società passate erano più rigide, c’erano dei ruoli prestabiliti, c’era meno individualismo.
    Ma sbagliano.
    Perché non si può tornare indietro.

    Se vuole bloccare le spinte di libertà e di equità sociale il potere non può che diventare autoritario.

    Il fascismo non è semplice “ritorno al passato”,

    Perché anche il fascismo se vuole vincere deve collegarsi alle dinamiche socioeconimiche ed inevitabilmente si colloca con i poteri forti. Il fascismo è stato il manganello dei proprietari terrieri, delle fabbriche d’armi, della borghesia…

    Da notare che l’aspetto della vita più significativo per i fascisti era la sue fine: la morte.

    Saluti
    Franzele

    P.S.: in parte lo stesso discorso fatto per tradizionalismo e fascismo vale anche per il nazismo, con la differenza che è un’ideologia completamente criminale: non credo possano esistere nazisti in buona fede, se non folli.
    3ad davvero interessante, mi consenta di rallegrarmi.

    Purtroppo, la Sua analisi di quello che Ella definirebbe "mondo tradizionalista" tradisce una conoscenza dello stesso inevitabilmente incompleta un po' "ex partibus infidelium" ; come se volesse valutare le istituzioni cartaginese basandosi solo su un disistimatore assoluto come Polibio.

    Mi sono permesso di enucleare alcuni passi del Suo lungo discorso, su cui vorrei invitarla ad approfondire. Non ho però segnalato la prima e determinante Sua frase "se esiste un Dio ....". Se esiste UN Dio, tutti noi possiamo essere solo giocattoli o schiavi o vittime. Ma non vorrei parlarLe di religione (credo che nemmeno si possa su POL), sibbene di religiosità, senso del sacro e visione spirituale della vita.

    Ella ci ha fatto leggere : "i Tradizionalisti ricercano il ritorno al passato. Ma sbagliano, perchè non si può tornare indietro". Premesso che i Tradizionalisti non cercano affatto il ritorno del passato, sibbone la comprensione dell'Eterno, la Sua affermazione è errata. Mentre scrivo queste righe, sono le ore 17,30. Le 17,30 ritorneranno, ma non attraverso una pure e semplice "retrocessione" delle ore 18,00. Perchè ritornino, dovrà farsi mezzanotte, poi trascorrere mezzogiorno.

    Se dovessi risponderLe con uno slogan (ma le questioni da Lei poste mertiterebbero più di un semplice slogan) rammenterei che "la Tradizione non è di ieri, nè di domani ; ma di oggi e di SEMPRE". Trattasi naturalmente di un SEMPRE comunitario, che va descritto e spiegato. Può avere un esempio siginificatio, recandosi a contemplare il più vicino prato.

    Con occhi di pragmatismo individualista, vedrà un insieme (id est : un gran numero) di steli d'erba, fragili e contingenti (come noi, del resto). Qualche settimane ancora, e saranno ingialliti, e poi di essi resterà più nulla. Tranne ... il prato. Caduco è il singolo stelo, duraturo è il prato, che tornerà a Primavera composto - come ognuno può vedere - di steli diversi ; ma eguali.

    Comprenderà dunque come i combattenti nazionalpopolari (e nazionalsocialisti, tutt'altro che criminali o folli) facevano dono della propria vita recando seco una lama con incisa l'iscrizione "sono solo un anello nella interminabile catena della parentela".

    Naturalmente, la catena della parentela - pur essendo assai più duratura di Lei e di me - non è interminabile - nulla di contingente può esserlo (nemmeno il prato, com'è ovvio). Però L'IDEA di prato (o di comunità, o di vita) può esserlo. La comunità è dunque una tappa verso la comprensione dell'Universale (cioè della categoria, astratta ed indefinita, che racchiude l'insieme).
    La prova di quanto Le ho appena scritto, ella La porta quotidianamente con Sè. Guardi la Sua carta di identità.

    Essa attesta la sua individualità : ha il suo nome, Mario o magari - lettto il nick - Franco. Ha anche un cognome (Rossi, o Neri), che denota la Sua consanguineità. Lei può sentirsi più Mario che Neri, o più Rossi che Franco ? No ; è la sommatoria di tutti questi parametri . Scorra ancora un centimetro e troverà ancora una coordinata universale : "Lei è Italiano" (anche se deplorevolmente il suo documento parla di un dato burocratico contingente come la Sua cittadinanza, non di uno intrinseco come la Sua nascita, Nazionalità). Poi vengono descritti i Suoi dati biometrici (altezza, elementi cromatici, segni particolari) ; ma Lei è ancora qualcosa di più di un essere con nome cognome, diritti civili e politici, altezza e peso. Lei è un Uomo, con aspirazioni spirituali che trascendono gli aspetti strettamente fisici e materiali.

    Mi scuso di aver scritto molto, ma volevo che fosse chiaro come la Tradizione e la Comunità fossero passaggi (collettivi) attraverso cui l'Uomo parcellizzato e soggettivo, che si scopre solo e limitatamente contingente, coglie in se' elementi non individuali e non effimeri. Ciò consente di affrontare con serenità, e talvolta (quando diviene necessario) con eroismo il materiale ed inevitabile timore della morte.

    Ella ha ha scritto "per i fascisti l'aspetto più siginificativo della vita è la morte". Mi perdoni : per Lei no ? Io per vivere faccio l'avvocato, ed istruisco cause in vista delle Sentenze. E solo dopo di esse mi permetto di dire che la causa è andata bene o male. Forse però è anche errato valutare un esito come "bene o male". Diciamo che con l'atto finale - decesso o Sentenza - si raggiunge lo scopo. Altra è più complessa questione è comprendere codesto scopo o senso - della vita (e anche delle Sentenze, spesso, mi creda).

    E' solo la consapevolezza di uno scopo ultramondano, universale, che rende la vita tollerabile. Il collettivo ed il comunitario sono passaggi intermedi verso l'universale ; con questa consapevolezza , la morte ritorna essere evento da attendere, senza fretta ma anche senza timore. Per i soli Fascisti ?

    Mi induce dunque a postarLe due pensieri di "camerati" assai lontani nel tempo e nello spazio.
    "Nelle cose umane, il tratto dominante è il dovere verso al comunità : ciò che non è nell'interesse dell'alveare, non può essere nemmeno nell'interesse dell'ape" (Marco Aurelio Divus, 176 EV, 930 AUC).
    "Voi avete notato che ogni cosa fatta da un Indiano è in un cerchio. Questo succede perchè il Potere dell'Universo agisce secondo dei cerchi, ed ogni cosa tende ad essere rotonda. Nei tempi antichi, quando eravamo un popolo forte e felice, ogni nostro potere derivava dal Cerchio Sacro della Nazione, e per tutto il tempo in cui non venne spezzato, il nostro Popolo prosperò. Tutto ciò che il Potere del Mondo compie è realizzato in un cerchio. Persino le stagioni nel loro alternarsi formano un grande cerchio e tornano sempre al punto di partenza. la vita dell'uomo è un cerchio dall'infanzia all'infanzia, ed è lo stesso per ogni cosa che il Potere anima". (Alce Nero, Oglala Lakota).

    Converrà con me che ciò che nulla di materiale può essere infinito, Lei non può tracciarmi una retta .... ma può ben tracciare un cerchio, il quale pure non ha fine. Ella invece si ostina a ricercare o predicare un fine fisico e materiale, un "incatenamento del presente nel contingente", un "destino nella storia". Lo individua nelle "spinte di libertà ed equità sociale", a Suo parere talmente naturali ed irresistibili che per bloccarle occorre il ricorso all'autoritarismo.
    Potrebbe essere bello che Lei avesse ragione, ma - ahimè - mi sembra che l'esame del quotidiano evidenzia un innegabile compressione della libertà (di pensiero, ed anche di parola), ed anche una minore equità sociale .... entrambe compiute attraverso l'inganno, non certo attraverso l'Autorità - che, essendo elemento di ordine, non potrebbe determinare un regresso, sintomo di caos. SE comunque esistesse un "destino" alla libertà ed al benessere diffuso, non sarebbe possibile vedere ciò che pur entrambi stiamo vedendo (e cioè che l'onesto e quotidiano lavoro di un artigiano o operaio, che ai tempi dei nostri padri o nonni consentiva di mantenere una famiglia, educare la prole, acquistargli la sicurezza di un'abitazione; oggi a ciò non è più sufficiente).

    Il Destino è altra cosa e - mi creda - non si occupa della politica dei redditi. Se ne occupa invece la solidarietà - che presuppone il senso di comune appartenenza. Il Destino - ed anche i fascisti - non si pongono davvero il problema del "vincere", men che meno delle dinamiche socioeconomiche (che vanno semplicemente governate) o dei poteri forti - che sono semplicemente ostili, posto che non provengono dal Sacro, nè dal Popolo.

    Scopo della vita non è "vincerla" - lo è soltanto nei filmetti giudoamericani. Scopo della vita è viverla dignitosamente sino alla fine - e, dunque, morire con dignità ed onore. Se scopo della vita fosse protrarla sino a cent'anni - come predica la perniciosa razza umanoide - sarebbe davvero una beffa demoniaca. L'unica cosa certa del tragitto in questa valle di lacrime - è che non ne usciremo vivi.

    Mi perdoni per la prolissità ; spero di poterLe esser stato utile.

  3. #23
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    Le risposte di Felix e di Decima Regio hanno sicuramente dei punti interessanti, soprattutto quando affrontano quella che possiamo chiamare "il grande rimosso del nostro tempo": la morte. Credo che Freud, esattamente come nella sua epoca dovette affrontare il sesso come estremo tabu sociale per arrivare all'inconscio, oggigiorno lo tralascerebbe per mettere in primo piano la morte. Certo... essa è rappresentata dai media, nella cronaca e nella fiction, esplicitamente e spesso drammaticamente, ma è sempre qualcosa che spaventa, terrorizza, da rimuovere. Il senso della perdita, del morire stesso, del rapporto che la morte ha con la vita è trascurato, e non certo per distrazione. Consumare e divertirsi sono gli unici due imperativi: la ricerca non basata sul piacere (che ha in sè la relazione con l'oggetto) ma sempre e soltanto il divertimento.
    Rimuovere la morte in rapporto alla vita significa deprivare la vita di senso. Perdere la percezione dell'esistere, della sofferenza, del vivere in relazione. Insomma, siamo nel puro nichilismo.
    Quindi percepisco le vostre osservazioni, però sono dubbioso. Non comprendo bene dove volete arrivare. Cosa significa "bella morte", Felix? Coronamento della vita? Non è detto che vivere per morire bene, eroicamente o in battaglia sia la soluzione. Del fascista, aggiungo ci è rimasto impresso l'urlo del generale spagnolo: - Abbasso l'intelligenza. Viva la muerte! -, che suscitò il giusto sdegno di Unamuno (non certo uomo di sinistra o "comunista"): - Sento arrivare un urlo insensato e necrofilo!
    Personalmente, e non parlo per le Nuove Sintesi, credo che al momento della morte faremo i conti con le persone che abbiamo incontrato, amato e magari anche odiato, con la relazione che abbiamo saputo stabilire col mondo. Parafrasando Winnicot, è fondamentale il modo in cui sappiamo stare con i nostri simili, mantendo il giusto grado di partecipazione e di spirito critico. Si può non essere eroi, non cercare per forza una "bella morte" e sapere di aver vissuto con la giusta partecipazione e indipendenza.
    Non è facile in un mondo di rettili, di autistici slegati l'uno dall'altro e convinti che la soddisfazione dei prorpi egoismi sia l'imput per la felicità (sebbene poi nessuno sia davvero felice, vivendo in un agone continuo).
    Statemi sani.

  4. #24
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    Una vita si caratterizza più per come è vissuta più che per come è terminata.
    holyfire
    Del fascista, aggiungo ci è rimasto impresso l'urlo del generale spagnolo: - Abbasso l'intelligenza. Viva la muerte! -, che suscitò il giusto sdegno di Unamuno (non certo uomo di sinistra o "comunista"): - Sento arrivare un urlo insensato e necrofilo!
    In Chiapas si dice “Viva la vida, muera la muerte!”
    E uno dei punti di forza del cristianesimo è proprio il messaggio di vittoria della Vita sulla morte.
    Ciao
    F.

  5. #25
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    La ringrazio, Decima Regio, e mi permetto di sottopoeLe le stesse due questioni che ho posto a Felix
    1. effetti devastanti per la persona possono provenire anche da una società gerarchica ed autoritaria. Sono cristallizzate inequità sociali. Ci si sente compressi in un ruolo. Ci sono limiti intollerabili alla libertà, alla realizzazione di sé, all’anticonformismo…
    2. come intende realizzare il tuo modello? Con lo Stato etico? Una rivoluzione culturale può avvenire solo se ci sono consenso e partecipazione diffusi.

    Lei sostiene l’equazione autorità=ordine=positività, ma è smentita dai fatti: troppo spesso l’autorità politica è stata utilizzata per difendere gli interessi delle classi dominanti. Siamo in periodo di crisi economica, ma non può sostenere che dai tempi dei nostri nonni le cose sono peggiorate: sto leggendo Il mondo dei vinti, testimonianze raccolte da Nuto Revelli. Se non lo ha già letto glielo consiglio.
    Sono consapevole del fatto che nella società ci sono rapporti dialettici tra interessi diversi, a volte in conflitto, e tra sfera culturale e sfera socioeconomica. E mi pare di avere interessi che vanno oltre la politica e l’economia, altrimenti non avrei aperto questo 3D.

    Saluti
    F.

  6. #26
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    Predefinito Re: Re: Il senso della vita, la società, la politica

    In origine postato da Decima Regio
    Ma non vorrei parlarLe di religione (credo che nemmeno si possa su POL), sibbene di religiosità, senso del sacro e visione spirituale della vita.
    Riporto dal regolamento di Pol:
    (…)
    Comportamento - Non sono consentiti: (…) 1b - offese alle istituzioni o alla religione di qualunque fede. A prescindere dall'ampia facoltà e diritto di discutere di tali argomenti, devono essere evitati commenti in chiave sarcastica, sbeffeggiatoria, sacrilega e denigratoria.
    (…)

    E’ comunque possibile per i moderatori impedire discussioni che non ritengano in relazione con il forum.
    Saluti
    F.

  7. #27
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    In origine postato da Franzele
    La ringrazio, Decima Regio, e mi permetto di sottopoeLe le stesse due questioni che ho posto a Felix
    1. effetti devastanti per la persona possono provenire anche da una società gerarchica ed autoritaria. Sono cristallizzate inequità sociali. Ci si sente compressi in un ruolo. Ci sono limiti intollerabili alla libertà, alla realizzazione di sé, all’anticonformismo…
    2. come intende realizzare il tuo modello? Con lo Stato etico? Una rivoluzione culturale può avvenire solo se ci sono consenso e partecipazione diffusi.

    Lei sostiene l’equazione autorità=ordine=positività, ma è smentita dai fatti: troppo spesso l’autorità politica è stata utilizzata per difendere gli interessi delle classi dominanti. Siamo in periodo di crisi economica, ma non può sostenere che dai tempi dei nostri nonni le cose sono peggiorate: sto leggendo Il mondo dei vinti, testimonianze raccolte da Nuto Revelli. Se non lo ha già letto glielo consiglio.
    Sono consapevole del fatto che nella società ci sono rapporti dialettici tra interessi diversi, a volte in conflitto, e tra sfera culturale e sfera socioeconomica. E mi pare di avere interessi che vanno oltre la politica e l’economia, altrimenti non avrei aperto questo 3D.

    Saluti
    F.
    1. In effetti si dice che la società dell'ancien regime era "la società dello status", mentre quella che consegue alla rivoluzione del XVIII Secolo diviene "la società del contratto". Ma, come acutamente rilevato da Massimo Fini ne "La ragione aveva torto ?" (che mi permetterei di consigliarLe di ritorno ; io mi procurerò senz'altrro il volume di Revelli, che non ho letto), tale passaggio se ha aumentato - per un certo periodo ; ora molto meno - la mobilità verticale degli agglomerati sociali, non ha certamente contribuito alla autostima ed alla gratificazione degli associati.

    Nella società dello status, io non posso rimproverarmi o sentirmi insoddisfatto se non sono Re ; se non sono nato Re ma artigiano o agricoltore, non è colpa mia, non posso farci niente, non ho nulla da recriminare.
    A ben vedere non ci sarebbe nulla da rimproverarsi neanche per non esser ricchi come Bill Gates : però la valutazione sociale oggi è collegata solo al livello di reddito. Se non sei ricco sei una merda : o sei pigro, o sei tonto, o non sai fare il tuo lavoro (Gates si è arricchito in pochi anni con il suo lavoro). Io personalmente ho un livello reddituale assai superiore alla media, ma ciò è irrilevante, perchè C'E' SEMPRE QUALCUNO CHE GUADAGNA DI PIU', CHE FA VACANZE PIU' COSTOSE, CHE HA LA MACCHINA VENTI CENTIMETRI PIU' LUNGA. Se colleghi la tua autostima all'apprezzamento degli altri, sei inesorabilmente destinato a condannarti.
    In effetti il torto intrinseco della società del contratto è evidente :
    l'attività contrattuale, "negoziale", doverosa sin quando occorre a soddisfare le esigenze vitali mie, della mia famiglia e della comunità, diventa una catena non appena supera tale limite. Il negotium uccide l'otium (che per noi era una parolaccio, per i Padri era studio operoso, ciò che in effetti rende la vita degna. Io leggerò quanto prima il testo che Lei mi ha consigliato, perchè ormai è Agosto ; durante l'anno compro libri che conservo intonsi in attesa di leggerli durante la sospensione feriale dei termini (tanto peggio negli ultimi mesi, che mi son messo a scribacchiare su POL .....). Per conseguenza, la società del contratto rende negoziabile anche ciò che non dovrebbe esserlo .... ci son paesi in India in cui un terzo della popolazione si è venduta un rene per comprare il telefonino o il motorino.
    Vero per contro che la società dello status è esposta al rischio di aver TROPPO POCA mobilità sociale .... la comunità può perdere, sprecare un grande poeta o un brllante scienziato, perchè nati da umili agricoltori. Però, già nella Repubblica di Platone (XXV Secoli or sono) erano accennate valide soluzioni ....

    2. non con lo Stato etico ; se mai con uno Stato organico . Lo Stato è Ente meramente convenzionale (che come tale può avere solo un diritto positivo) ; ha una valenza culturale solo in quanto Ente esponenziale di una comunità caratterizzata.
    Lo Stato organico ha peraltro inevitabilmente - come ogni agglomerato umano - un proprio ethos ; se poi ha anche la grazia di uno o più sacerdoti, la comunità organica ha anche un'etica. Poichè l'etica non può esistere senza comprensione, non può essere "creduta" ; e quindi può esistere nelle comunità secondo natura, quelle "degli Dei che si onorano in piedi, a fronte alta", poichè gli Enti monocratici che si adorano prosternati nell'abbandono devoto non condividono, nulla, ovviamente : si limitano a dettare Torah .
    Sono naturalmente 'd'accordo con Lei che tutti le coordinate culturale, perfino i condizionamenti, hanno valenza culturale se sono condivise (del resto, se abbiamo detto che l'individuo si configura e completa solo nel momento comunitario ...).
    Ma una comunità organica appunto viene accettata e condivisa, non imposta ; pensi alla Sua famiglia. I rapporti organici tra madre, figlio padre e coniugi hanno una naturale configurazione (non han dovuto spigerci, nè ordinarci, di amare i nostri genitori, o di aiutare i nostri figli. Esiste un solo "popolo" cui han dovuto ordinare per iscritto di onorare almeno i genitori ....
    Se la famiglia è comunità organica (RISTRETTISSIMA) di consanguinei, vorrà convenire che i termini gens, tribù Nazione e razza esprimono lo stesso concetto, in termini più ampi (come cerchi concentrici o scatole cinesi). Tutti aventi una identità culturale ed una condivisione di valori.

    Circa il regresso delle condizioni materiali : leggerò, come Le ho scritto, il libro di Revelli, ma credo descriva le condizioni del mondo contadino di quattro generazioni fa - gli anni '20 del Secolo scorso. La diffusione del benessere (anzi, l'aumento della produttività che l'ha reso possibile) in Italia è attribuibile alla opera di acculturazione di massa ed obbligatorietà della Previdenza sociale iniziata dal Fascismo, e proseguita dall'Italia democristiana degli anni '50.
    Quando segnalavo lo scadimento delle condizioni ecnomiche e il dilatarsi della sperequazione reddituale, non pensavo a quattro generazioni, ma ad una sola, LA NOSTRA : quando eravamo ragazzi, una ventina di anni fa, uno stipendio bastava per una famiglia, le disuguaglianze tra il secondo ed il penultimo decile di nreddito erano assai meno marcate (se ne accorge con la Sua esperienza, ma se non si fida ci sono indicatori statistici eloquentissimi), la frazione di popolazione sotto la quota di povertà aumenta.

    Correggerei la Sua equazione, autorità = ordine = positività in :
    autorità = ordine = appartenenza = amore. In una comunità organica, non c'è una classe dominante (i governanti sono i primi servitori). Non vorrei finire con l'apologo di Menenio Agrippa sulla disputa delle membra del corpo, per cui Le richiamo il testo della canzone "l'appartenenza", contenuta su "La mia generazione ha perso", ultimo - purtroppo - album di Giorgio Gaberscik (peraltro notoriamente antifascista) ;

    e Le rifilo l'ennesimo Capo indiano :

    "amici miei, quanto disperatamente abbiamo bisogno di essere amati ed amare. Quando Cristo disse che l'uomo non vive di solo pane, parlava di una fame. Questa fame non era la fame del corpo. Non era la fame di pane. Parlava di una fame che ha origine nel profondo del nostro essere. Parlava di un bisogno necessario come l'aria che respiriamo. Parlava del bisogno di amore.
    L'amore è qualcosa che tu ed io dobbiamo avere. Dobbiamo averlo perchè il nostro spirito si nutre di esso. Noi dobbiamo averlo perchè senza di esso noi perdiamo le nostre forze e ci indeboliamo. Senza amore la nostra autostima viene meno. Senza amore il nostro coraggio viene a mancare. CI RIPIEGHIAMO SU NOI STESSI e cominciamo a trovare nutriment0o NELLE NOSTRE STESSE PERSONALITA'. E così, poco a poco, ci distruggiamo.
    Grazie ad esso siamo creativi. Grazie ad esso procediamo infaticabilmente. Grazie ad esso, e solamente grazie ad esso, siamo capaci di sacrificarci per gli altri". (Dan George, Capo dei Salish) .

  8. #28
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    Un ritorno alle disuguaglianze di diritto (non solo di fatto) dell’ancien regime è impraticabile, perché estraneo al senso comune (se poi vuole accusare il senso comune di ipocrisia, visto che c’è ancora chi muore di fame, non posso che darLe ragione).
    E ritengo la Rivoluzione francese l’esplosione di istanze giuste(purtroppo poi degenerata nel terrore e nell’espansionismo napoleonico). La ringrazio cmq per il consiglio bibliografico: se ne avrò il tempo cercherò di metterlo in pratica.

    Decima Regio
    2. non con lo Stato etico ; se mai con uno Stato organico . Lo Stato è Ente meramente convenzionale (che come tale può avere solo un diritto positivo) ; ha una valenza culturale solo in quanto Ente esponenziale di una comunità caratterizzata.
    Lo Stato organico ha peraltro inevitabilmente - come ogni agglomerato umano - un proprio ethos ; se poi ha anche la grazia di uno o più sacerdoti, la comunità organica ha anche un'etica. Poichè l'etica non può esistere senza comprensione, non può essere "creduta" ; e quindi può esistere nelle comunità secondo natura, quelle "degli Dei che si onorano in piedi, a fronte alta", poichè gli Enti monocratici che si adorano prosternati nell'abbandono devoto non condividono, nulla, ovviamente : si limitano a dettare Torah .
    Sono naturalmente 'd'accordo con Lei che tutti le coordinate culturale, perfino i condizionamenti, hanno valenza culturale se sono condivise (del resto, se abbiamo detto che l'individuo si configura e completa solo nel momento comunitario ...).
    Ma una comunità organica appunto viene accettata e condivisa, non imposta ; pensi alla Sua famiglia. I rapporti organici tra madre, figlio padre e coniugi hanno una naturale configurazione (non han dovuto spigerci, nè ordinarci, di amare i nostri genitori, o di aiutare i nostri figli. Esiste un solo "popolo" cui han dovuto ordinare per iscritto di onorare almeno i genitori ....
    Se la famiglia è comunità organica (RISTRETTISSIMA) di consanguinei, vorrà convenire che i termini gens, tribù Nazione e razza esprimono lo stesso concetto, in termini più ampi (come cerchi concentrici o scatole cinesi). Tutti aventi una identità culturale ed una condivisione di valori.
    E come si realizza lo Stato organico se i cittadini (o forse Lei preferisce parlare di componenti, non so…) ragionano in un'altra ottica e se i conflitti sociali sono nei fatti?
    Potrei anche accettare il paragone tra comunità (ma si può usare questa parola in relazione alla società, d’oggi, ma non solo d’oggi?…) e famiglia; ma c’è modo e modo di concepire ed organizzare una famiglia. Saprà molto meglio di me che il diritto famigliare è stato riformato (parità di diritti tra marito e moglie, divorzio, assistenti sociali per la tutela di minori…). E anche i costumi sono cambiati. Così io sostengo uno Stato che riconosce e tutela la libertà dei singoli e delle associazioni, mentre il fascismo l’aveva soppressa.


    Decima Regio
    Circa il regresso delle condizioni materiali : leggerò, come Le ho scritto, il libro di Revelli, ma credo descriva le condizioni del mondo contadino di quattro generazioni fa - gli anni '20 del Secolo scorso. La diffusione del benessere (anzi, l'aumento della produttività che l'ha reso possibile) in Italia è attribuibile alla opera di acculturazione di massa ed obbligatorietà della Previdenza sociale iniziata dal Fascismo, e proseguita dall'Italia democristiana degli anni '50.
    Quando segnalavo lo scadimento delle condizioni ecnomiche e il dilatarsi della sperequazione reddituale, non pensavo a quattro generazioni, ma ad una sola, LA NOSTRA : quando eravamo ragazzi, una ventina di anni fa, uno stipendio bastava per una famiglia, le disuguaglianze tra il secondo ed il penultimo decile di nreddito erano assai meno marcate (se ne accorge con la Sua esperienza, ma se non si fida ci sono indicatori statistici eloquentissimi), la frazione di popolazione sotto la quota di povertà aumenta.
    Revelli ha raccolto, nei primi anni ’70, testimonianze del mondo contadino sulla prima metà del XX secolo.
    Se si riferisce agli ultimi 20 anni ha ragione: ci sono stati dei regressi sociali.


    Decima Regio
    Correggerei la Sua equazione, autorità = ordine = positività in :
    autorità = ordine = appartenenza = amore. In una comunità organica, non c'è una classe dominante (i governanti sono i primi servitori). Non vorrei finire con l'apologo di Menenio Agrippa sulla disputa delle membra del corpo, per cui Le richiamo il testo della canzone "l'appartenenza", contenuta su "La mia generazione ha perso", ultimo - purtroppo - album di Giorgio Gaberscik (peraltro notoriamente antifascista) ;

    e Le rifilo l'ennesimo Capo indiano :

    "amici miei, quanto disperatamente abbiamo bisogno di essere amati ed amare. Quando Cristo disse che l'uomo non vive di solo pane, parlava di una fame. Questa fame non era la fame del corpo. Non era la fame di pane. Parlava di una fame che ha origine nel profondo del nostro essere. Parlava di un bisogno necessario come l'aria che respiriamo. Parlava del bisogno di amore.
    L'amore è qualcosa che tu ed io dobbiamo avere. Dobbiamo averlo perchè il nostro spirito si nutre di esso. Noi dobbiamo averlo perchè senza di esso noi perdiamo le nostre forze e ci indeboliamo. Senza amore la nostra autostima viene meno. Senza amore il nostro coraggio viene a mancare. CI RIPIEGHIAMO SU NOI STESSI e cominciamo a trovare nutriment0o NELLE NOSTRE STESSE PERSONALITA'. E così, poco a poco, ci distruggiamo.
    Grazie ad esso siamo creativi. Grazie ad esso procediamo infaticabilmente. Grazie ad esso, e solamente grazie ad esso, siamo capaci di sacrificarci per gli altri". (Dan George, Capo dei Salish) .
    Sono d’accordo con Dan Gorge, ma non con Lei che ne fa un discorso politico e fa derivare l’amore dall’autorità. E’ un dato di fatto che nella società ci siano interessi conflittuali (frequentando i tribunali se ne sarà accorto…). L’autorità è detenuta da gruppi che fanno riferimento a certi interessi e non ad altri. Non è un pur apprezzabile appello all’amore a cambiare le cose.

    Saluti
    F.

  9. #29
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    In origine postato da holyfire
    Le risposte di Felix e di Decima Regio hanno sicuramente dei punti interessanti, soprattutto quando affrontano quella che possiamo chiamare "il grande rimosso del nostro tempo": la morte. Credo che Freud, esattamente come nella sua epoca dovette affrontare il sesso come estremo tabu sociale per arrivare all'inconscio, oggigiorno lo tralascerebbe per mettere in primo piano la morte. Certo... essa è rappresentata dai media, nella cronaca e nella fiction, esplicitamente e spesso drammaticamente, ma è sempre qualcosa che spaventa, terrorizza, da rimuovere. Il senso della perdita, del morire stesso, del rapporto che la morte ha con la vita è trascurato, e non certo per distrazione. Consumare e divertirsi sono gli unici due imperativi: la ricerca non basata sul piacere (che ha in sè la relazione con l'oggetto) ma sempre e soltanto il divertimento.
    Rimuovere la morte in rapporto alla vita significa deprivare la vita di senso. Perdere la percezione dell'esistere, della sofferenza, del vivere in relazione. Insomma, siamo nel puro nichilismo.
    Quindi percepisco le vostre osservazioni, però sono dubbioso. Non comprendo bene dove volete arrivare. Cosa significa "bella morte", Felix? Coronamento della vita? Non è detto che vivere per morire bene, eroicamente o in battaglia sia la soluzione. Del fascista, aggiungo ci è rimasto impresso l'urlo del generale spagnolo: - Abbasso l'intelligenza. Viva la muerte! -, che suscitò il giusto sdegno di Unamuno (non certo uomo di sinistra o "comunista"): - Sento arrivare un urlo insensato e necrofilo!
    Personalmente, e non parlo per le Nuove Sintesi, credo che al momento della morte faremo i conti con le persone che abbiamo incontrato, amato e magari anche odiato, con la relazione che abbiamo saputo stabilire col mondo. Parafrasando Winnicot, è fondamentale il modo in cui sappiamo stare con i nostri simili, mantendo il giusto grado di partecipazione e di spirito critico. Si può non essere eroi, non cercare per forza una "bella morte" e sapere di aver vissuto con la giusta partecipazione e indipendenza.
    Non è facile in un mondo di rettili, di autistici slegati l'uno dall'altro e convinti che la soddisfazione dei prorpi egoismi sia l'imput per la felicità (sebbene poi nessuno sia davvero felice, vivendo in un agone continuo).
    Statemi sani.
    l'espressione "bella morte" colpisce la fantasia proprio perchè è lontanissima dal sentire nichilista (negazione della morte) attuale. Implica vicinanza ed apprezzamento, anzitutto estetico, come indica l'aggettivo.
    Parliamo dell'estetica della morte... La bella morte significa un sussulto di dignità, di gloria sul punto finale della vita: un atto dottato di bellezza, di grazia, di garbo. Che non è necessariamente la morte con la spada in pugno nel campo di battaglia, ma piuttosto una morte densa di significato per il morituro e per la sua comunità. Penso per esempio alla morte-sacrificio per salvare qualcuno, al gesto eroico. Anche - perchè no? - all'eroismo bellico o per certe culture (giappone tradizionale) al suicidio rituale. Se possibile, il gesto deve contenere una scintilla di perfezione estetica e spirituale, una gestualità misurata, ed uno sfondo adeguato al momento in armonica comunione con il Grande Passaggio. Non importa dove si va ma COME si va. Al limite la morte può essere intesa come uscita verso il nulla, ma è importantissimo il momento dell'uscita, ed il lascito del gesto per la comunità: esempio, memoria, comunione.

    Tutto il contrario della morte negata, medicalizzata, individualista, degradante e francamente "brutta" che ci propone il mondo attuale.
    Che m'importa vivere 90 anni trascorrendo gli ultimi 10 come un relitto umano?! meglio viverne 40, 50 o 60 e fare una "bella fine"...

    È la "bella morte" una morte fascista?! non del tutto e non necessariamente. In fondo questo tipo di morte è sempre esistito in certe élites sacerdotali o guerriere; inoltre è un tratto culturale decisamente transpolitico.
    Ma il fascismo ha rappresentato nei tempi moderni l'espresione politica più vicina a quella weltanshauung estetico-eroica che vede nella morte bellezza e gloria. Non per nulla la fine di non pochi combattenti della RSI nel momento disperato di una disfatta senza speranze, riverbera il richiamo fascinoso di quella morte bella e gloriosa gettata in faccia come ultima nobile sfida al mondo borghese-proletario trionfante.

 

 
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