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  1. #1
    smrt fašismu
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    Predefinito Drammatica frattura nel partito comunista della Federazione Russa

    di Mauro Gemma

    L’aspro scontro, in corso da anni nel Partito Comunista della Federazione Russa e acutizzatosi dopo la dura sconfitta elettorale del dicembre 2003, tra i sostenitori del presidente Ghennadij Zjuganov, oggi duramente contrapposti all’amministrazione Putin, e l’ala che fa riferimento a Ghennadij Semighin (ex responsabile del Comitato Esecutivo dell’Unione Popolare Patriottica di Russia, l’alleanza che ruota attorno al PCFR, già espulso dal partito nel marzo scorso), ha avuto il suo drammatico epilogo nella frattura consumatasi nei primi giorni di luglio, in occasione dello svolgimento del decimo congresso. O, sarebbe meglio dire, dei due congressi avvenuti in contemporanea, in cui i contendenti, rivendicando entrambi la maggioranza dei consensi, si sono reciprocamente delegittimati.

    Le ragioni del contenzioso sono numerose e riconducibili, in particolare, alla critica che viene avanzata nei confronti di una gestione giudicata eccessivamente “personalistica” del presidente Zjuganov, ma anche alla diversa valutazione dell’atteggiamento da tenere nei confronti della politica di Putin, considerato, dagli oppositori di Zjuganov, il “capofila” di quella “borghesia nazionale” impegnata oggi in un duro scontro con i grandi oligarchi, affermatisi nell’era Eltsin, e alleati degli interessi imperialistici, in particolare americani. La critica rivolta a Zjuganov è appunto quella di aver cercato, negli ultimi anni, di instaurare alleanze tattiche con i magnati (ottenendo finanziamenti e appoggi politici), in funzione antipresidenziale.

    Da parte loro, i sostenitori di Zjuganov accusano i critici di essere “marionette” manovrate dal Cremlino, intenzionato a spingere il partito comunista verso l’approdo della sua completa socialdemocratizzazione e della subalternità a politiche “autoritarie” e “antipopolari”.

    Con Zjuganov si è schierata la maggioranza dei più alti dirigenti del partito, tra cui Ivan Melnikov, eletto primo vicepresidente al posto di Valentin Kuptzov (dimessosi polemicamente alla vigilia del congresso, ma rimasto con Zjuganov e riconfermato nell’Ufficio Politico). Anche Nikolay Kharitonov, candidato alle ultime elezioni presidenziali, si è schierato nettamente con Zjuganov. Il leader del PCFR può contare anche sul sostegno di dirigenti “storici”, come, ad esempio, Egor Ligaciov, ex “numero due” del PCUS dei tempi di Gorbaciov. Anche la generazione più giovane di dirigenti ventenni e trentenni si è schierata con Zjuganov: è il caso di Ilya Ponomariov, acceso fautore di una “modernizzazione” del partito e di audaci alleanze, che includano quelle forze che vanno dalla “nuova sinistra” ai partiti liberali vicini agli oligarchi, unite nella critica all’ “autoritarismo” di Putin e che auspicano la costruzione di processi che favoriscano l’emergere di una “normale” dialettica democratica di tipo “occidentale”.

    Agli “scissionisti”, capeggiati, oltre che da Semighin, anche da Vladimir Tikhonov, governatore della regione di Ivanovo, eletto presidente del partito “alternativo”, e dagli ex segretari del comitato centrale Serghey Potapov e Tatjana Astrakhankina, si sono aggiunti i rappresentanti di quella che può essere definita la componente “leninista” del partito. E’ il caso di Aleksandr Kuvajev, segretario dell’organizzazione moscovita, noto per le sue posizioni “di sinistra”, di Aleksandr Shabanov, e degli intellettuali Viktor Trushkov e I. Osadcij, già appartenenti all’ “Associazione degli studiosi di orientamento socialista” (RUSO), editrice della rivista teorica “Dialog”.

    In merito agli ultimi sviluppi della drammatica lacerazione del PCFR, ci riserviamo di intervenire nei prossimi numeri di “Nuove resistenti”, con la traduzione di documenti originali e nostri più dettagliati commenti.

    www.resistenze.org

  2. #2
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    Molto interessante ...bisognerebbe tenersi costantemente aggiornati sulla situazione del PCFR che è cmq il piu' grande Partito Comunista in Europa e capire meglio cosa si muove al suo interno in modo tanto traumatico da causare queste fratture.

    Ne sai qualcosa in piu' Vetero?

  3. #3
    smrt fašismu
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    In origine postato da pietro
    Molto interessante ...bisognerebbe tenersi costantemente aggiornati sulla situazione del PCFR che è cmq il piu' grande Partito Comunista in Europa e capire meglio cosa si muove al suo interno in modo tanto traumatico da causare queste fratture.

    Ne sai qualcosa in piu' Vetero?
    Sinceramente non ne so molto di più...
    per quanto mi riguarda, basandomi su questo testo, sarei propenso a simpatizzare con chi critica Zyuganov (per il quale ho sempre comunque nutrito stima), ammesso sia vero che Zyuganov abbia cercato un'entente con gli oligarchi filoamericani.

    Perchè se è vero come è vero che Putin è sostanzialmente un autocrate, se non un dittatore, è pur vero che, rispetto all'alcolizzato Elsin, ha in qualche modo ridato un qualche prestigio internazionale alla Russia e dignità al popolo, rivalutando anche alcuni aspetti (esteriori) del passato sovietico.

    Detto questo è anche vero che nel 2001 Putin non esitò a far fronte comune con gli yankee dopo l'11 settembre...

    Probabilmente questa spaccatura nasconde questioni di spartizione di potere interne al PCFR...

  4. #4
    smrt fašismu
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    Predefinito un altro articolo interessante

    http://perso.wanadoo.fr/collectiv-communiste-polex/

    I PARTITI COMUNISTI NELL'EST, OGGI

    Bruno Drweski

    Negli ex paesi del “campo socialista”, l’introduzione del pluralismo politico dopo il 1989/91 è sfociata nella costituzione di nuovi partiti che hanno teso, dopo qualche esitazione, a riposizionarsi nella tradizionale divisione destra/sinistra. Tale nozione deve essere tuttavia precisata in funzione della situazione specifica di ogni società. Ovunque gli eredi delle formazioni politiche al potere prima del 1989/91 sono riusciti a ricostituire partiti spesso influenti, ma sulla base di legittimazioni molto differenti. In certi casi, il riferimento al comunismo è stato totalmente rigettato. In altri, si è selezionato in modo molto diversificato solamente alcuni elementi provenienti dal comunismo. In altri, l’eredità del comunismo ufficiale è stata rivendicata in quanto tale. Ma la classificazione tra partiti allineati al social-liberalismo, “ex comunisti riformati” o comunisti “ortodossi” resta molto sommaria.

    I termini “comunismo” o “socialdemocrazia” veicolano infatti contenuti molto differenti a seconda del contesto. Quando viene rivendicata, l’eredità del “socialismo reale” non è di fatto mai ripresa in maniera integrale e, quando succede il contrario, alcuni elementi di tale eredità risorgono in modo più o meno percettibile. Tuttavia nell’insieme, i “ritorni” al potere o anche solo la possibilità di avere accesso ai circoli del potere, come nel caso del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF), o di giocare un ruolo regionale, come nel caso del Partito del Socialismo Democratico (PDS) nei Landers est-tedeschi, spinge ogni partito ad accettare in modo più o meno esplicito le “leggi di mercato”.

    In ogni caso l’allineamento della Russia di Putin agli USA dopo l’11settembre 2001, ha spinto l’ala predominante del KPRF a denunciare la politica del Cremlino e a subire, quale ritorsione, l’espulsione dei rappresentanti di questo partito dalle commissioni parlamentari. I dirigenti espressi dalle formazioni al potere nei paesi dell’Est prima del 1989/91 cercano generalmente di collocarsi, per essere credibili, più o meno a sinistra. Ma questa non è la regola assoluta, dal momento che partiti di destra sono stati spesso formati da uomini che hanno occupato funzioni importanti nei partiti “comunisti” prima del 1989/91, come ad esempio Eltsin in Russia o Tudjman in Croazia.

    Parallelamente, sono apparse formazioni che fanno riferimento a correnti marxiste che erano al bando prima del 1989/91 (trotskismo, bukharinismo, socialdemocrazia marxista di prima del 1939), ma raramente esse hanno conquistato un posto di rilievo. Ciò riguarda anche i partiti che rivendicano l’eredità di Stalin, i quali, salvo che in Albania, erano stati proibiti formalmente dopo il 1956. Sono stati anche creati partiti socialdemocratici “moderni” senza legami con i regimi di prima del 1989/91, spesso senza successo.

    Studiare i PC dell’Est dopo il 1989/91 rimanda a categorie molto diverse. Ci limiteremo ai partiti che accettano la loro filiazione ai regimi politici ufficialmente sconfitti nel 1989/91. Analizzeremo anche le formazioni che ripudiano il comunismo, ma che restano segnate in modi differenti dalla sua eredità. Menzioneremo anche i partiti esplicitamente staliniani poiché, pur non essendo essi gli eredi diretti dei partiti di prima del 1989/91, fanno riferimento comunque ad un’eredità che ha esercitato un’influenza fondamentale sul funzionamento del “socialismo reale” in certe epoche.

    La ricomposizione politica che ha avuto luogo negli Stati del “socialismo reale” a partire dagli anni ’80 non è terminata, poiché la struttura di queste società non ha ancora raggiunto una stabilizzazione relativa simile a quella dei paesi occidentali. Già prima del 1989/91, i partiti-Stato nascondevano realtà sociali molto differenti e l’emersione di una borghesia in questi paesi è iniziata ben prima dello smantellamento ufficiale del “socialismo”. I partiti politici al potere erano divisi in sensibilità sociali e politiche, in gruppi di interesse, elemento questo che rende pertinente la tesi secondo cui la lotta di classe esisteva nell’Est, ma in modo “sotterraneo e camuffato”, nel quadro di strutture apparentemente monolitiche.

    Le idee di destra erano d’altronde diffuse nei partiti comunisti ufficiali ben prima della “svolta” degli anni 1989/91, in particolare tra i “notabili” e i figli dei quadri, in particolare coloro che esercitavano attività nei settori economici e coloro che intrattenevano contatti con le “elites” occidentali, politiche e affaristiche. Questo pluralismo di fatto, che esisteva prima del 1989, spiega perché solo una piccola frangia dei membri dei partiti al potere prima del 1989/91 si sia riconosciuta in seguito nelle formazioni scaturite dai “partiti-Stato”, avendo la maggioranza di loro optato per un liberalismo “senza complessi”.

    I gruppi che si richiamano al comunismo sono andati ovunque in minoranza, salvo che in Moldavia dove il PC ha ottenuto il 50% dei voti alle ultime elezioni, ma ugualmente ovunque sono riapparsi partiti che si richiamano al comunismo, incluso là dove gli eredi dei poteri di prima del 1989/91 hanno rotto con questa ideologia per aderire all’Internazionale Socialista (IS). Nell’Europa centrale, baltica e balcanica, le correnti che si richiamano al comunismo hanno incontrato particolari difficoltà nella fase della rinascita, salvo che in Cechia. Dall’Albania all’Estonia, passando per le Jugoslavie e la Polonia, gli ex “partiti-Stato” hanno rinunciato alla denominazione comunista e al marxismo quale fondamento teorico.

    Ma esistono delle differenze rimarchevoli negli atteggiamenti tenuti nei confronti del capitalismo tra la SLD polacca, ad esempio, e il PS serbo o il PS bulgaro (BSP). La sola eccezione di rilievo è costituita dalla Cechia, dove un PC importante ha riconquistato e mantenuto un posto fondamentale nello scacchiere politico, contando tra l’altro sul fatto che i comunisti erano già ben radicati nel paese prima del 1938. Altrove, essi non si sono imposti, se non in occasione della Seconda Guerra Mondiale e nel periodo seguente. Nelle repubbliche che facevano parte dell’URSS prima del 1939, al contrario, l’affermazione di partiti socialdemocratici resta difficile, mentre partiti comunisti consistenti si sono ricostituiti pressoché ovunque.

    La divisione socialdemocrazia/comunismo sembra da attribuire a differenze politiche dovute al radicarsi della mentalità sovietica, anzi della tradizione russa come tende ad affermare il presidente del KPRF che pensa che il comunismo corrisponda alla mentalità tradizionale dell’ “uomo russo” del paese più profondo. Tale fenomeno pone degli ostacoli all’emergere di un’autentica corrente rivoluzionaria, ma il riferimento al marxismo, seppur solo formale, resta emblematico e permette di stabilire la differenza tra coloro che si allineano grosso modo al “modello occidentale” e coloro che continuano, anche se spesso nell’ambiguità, a manifestare reticenze a tal proposito.

    Riflettere su ciò è importante per scoprire, al di là delle dichiarazioni ufficiali, quali formazioni possano essere eventualmente fautrici di progresso sociale e di riavvicinamento dei popoli e quali siano quelle che in realtà servono, qualsiasi denominazione adottino, gli interessi delle oligarchie, la cui aspirazione, nei fatti, è solo quella di allargare il proprio potere politico, sociale o economico. E’ anche nell’interesse dei comunisti occidentali la comprensione di questo fenomeno, poiché i loro partiti, pur mantenendo fino alla fine rapporti privilegiati con quei regimi, in virtù dell’opinione che essi avevano dei rapporti di forza internazionali e della necessità di trovare dei contrappesi di fronte alla potenza degli Stati Uniti e dei loro numerosi alleati, sembrano aver subito anch’essi in molti casi, “per procura” e di riflesso, gli effetti della demoralizzazione caratteristici della nomenklatura.

    LA PREDOMINANTE ATTRAZIONE DELLA SOCIALDEMOCRAZIA NELL’EUROPA CENTRALE, BALTICA E BALCANICA

    Tranne che in Cechia, gli ex PC hanno tutti ripudiato il riferimento al marxismo-leninismo. In effetti ogni partito ha manifestato una propensione diversa verso lo strappo e i discorsi variano sovente in funzione dell’interlocutore a cui i dirigenti si rivolgono. D’altronde, non ci troviamo solo di fronte alla scelta socialdemocratica, dal momento che alcuni partiti sono tentati anche dalla retorica patriottica, come nel caso del PS serbo o, in misura minore, del Fronte di salvezza nazionale romeno, divenuto in seguito un partito socialdemocratico (PSD) “come gli altri”.

    1). I partiti social-liberali: nei partiti che sono approdati all’IS e che, in apparenza, hanno totalmente ripudiato il “socialismo reale” persistono certe specificità in rapporto al modello socialdemocratico occidentale. Le loro tradizioni e il fatto che abbiano adottato rapidamente e senza riflettere modalità di funzionamento e di legittimazione importate dall’Occidente e appiccicate ad abitudini organizzative differenti, conferiscono a questi partiti tratti specifici.

    La riconquista da parte di questi partiti di un elettorato consistente, a partire dalle elezioni lituane del 1992 – fenomeno che è proseguito altrove – fa leva su una certa nostalgia nella popolazione per lo “Stato protettore” scomparso. Gli ex comunisti sono dunque indotti in permanenza ad oscillare tra un discorso social-liberale destinato agli Occidentali, comportamenti elitisti ereditati dal “socialismo post-feudale” di prima del 1989 e “ammiccamenti neo-comunisti” indirizzati alla loro base elettorale. Le inchieste di opinione che riguardano le privatizzazioni, i capitali stranieri, il periodo precedente il 1989, ecc. dimostrano che una parte spesso maggioritaria di queste società resta attaccata all’ideale di un modello sociale egualitario.

    Gli ex dirigenti di prima del 1989/91 hanno contratto abitudini differenti da quelle conosciute ad Ovest e le utilizzano per la “costruzione del capitalismo”. La comprensione dei processi sociali, la capacità di costruire organizzazioni disciplinate e cinghie di trasmissione, lo spirito di corpo proprio dell’abitudine alla militanza in seno ad un’organizzazione semi-segreta, i metodi di cooptazione,ecc., tutto ciò è servito enormemente agli “ex comunisti” per rimanere nelle stanze del potere dopo il 1989.

    L’esempio polacco costituisce a tal riguardo un caso da manuale, per analizzare i partiti che, del passato, hanno mantenuto le tecniche di radicamento del leninismo, la capacità di analisi dei processi sociali del marxismo e l’attrazione verso la modernità, ma ponendo tutto ciò al servizio del capitalismo. Quando il Partito Operaio Unificato Polacco (PZPR) ha ceduto il potere, si è trasformato prima di tutto in Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia (SdRP). Il nome scelto allora è già segno di abilità. Poiché questa denominazione costituiva un segnale per i partigiani di una socialdemocratizzazione “moderna”, ma anche perché, agli occhi di coloro che intendevano restare fedeli al comunismo, ricordava il partito di Rosa Luxemburg e di Felix Dzierzynski, la “Socialdemocrazia del Regno di Polonia”. La SdRP ha, in verità, mantenuto solo circa 60.000 dei 2 milioni di membri del PZPR, contribuendo in tal modo ad allontanare la sua vecchia base dai centri decisionali. I dirigenti hanno spesso ceduto i posti dell’apparato a vantaggio di loro sostituti più giovani. Questo partito ha poi creato l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD), una struttura all’inizio flessibile che raggruppava sindacati, associazioni (di donne, di giovani, di ex combattenti,ecc.) e alcuni piccoli partiti come l’Unione dei comunisti polacchi “Proletariato” (ZKPP). Tali “cinghie di trasmissione” si sono rivelate efficaci al servizio della SdRP e della sua linea “moderna” di ampio schieramento. La SLD ha in seguito aperto al Partito Socialista Polacco (PPS), un gruppo radicale e marxista espresso dalla dissidenza, che le ha permesso di presentarsi come ormai “al di fuori” delle divisioni di prima del 1989. Stabilizzatosi l’elettorato e adottata, con il consenso della “sinistra” e della “destra” polacche, una costituzione “che proibisce i metodi fascisti e comunisti”, la ZKPP è stata spinta ai margini della SLD, la quale è stata trasformata in un partito unificato, forzando il PPS a scegliere tra la sua dissoluzione e una rottura che l’avrebbe condannato all’emarginazione, in virtù della logica del “voto utile”. La creazione di una SLD unificata, al posto di un’alleanza plurale, permette oggi ai quadri espressi dalla nomenklatura di scegliere essi stessi a quali dirigenti sindacali o delle associazioni satelliti offrire posti nell’amministrazione. Il processo sta concludendosi oggi con il ritorno a posti di direzione della SLD di vecchi quadri del PZPR che si erano ritirati in “seconda linea” nel 1989. Se la metamorfosi ideologica degli “ex comunisti” che si richiamano al “blairismo” è completa, la “cultura di apparato” sembrerebbe mantenere il marchio di origine.

    Molti dei polacchi di sinistra, compresi quelli che si considerano sempre comunisti, trovano tuttavia difficile dissociarsi dalla SLD, per realismo o per fedeltà. Anche l’Unione del Lavoro (UP), partito a caratterizzazione socialdemocratica, creato dal dissidente Karol Modzelewski, che aveva tentato di superare le divisioni del 1989, ha finalmente deciso di associarsi alla SLD e di rinunciare alla propria autonomia. Simili evoluzioni sono riscontrabili anche in Lituania, in Slovacchia, in Slovenia, ecc. Altrove, la deideologizzazione è stata meno totale.

    2). I partiti socialdemocratici pluralisti: il BSP (Partito Socialista Bulgaro) costituisce uno dei migliori esempi di tale tipo di partito. A differenza della SLD, l’ex PC bulgaro ha cambiato nome, ma ha cercato di conservare il grosso dei suoi membri e ha preso meno le distanze dal periodo precedente il 1989. Ha accettato l’esistenza di frazioni organizzate, di cui due si richiamano al marxismo. Questo partito si è avvicinato lentamente all’IS, pur mantenendo contatti con i partiti comunisti, in particolare con il PC greco. Il BPS si è per molto tempo dichiarato contrario alla politica della NATO nei Balcani. L’assenza di russofobia nella società bulgara facilita la persistenza di correnti che cercano di salvaguardare legami stretti con la Russia, in particolare nella diplomazia e negli affari. Il radicamento notevole dei comunisti in Bulgaria prima del 1939 può anche spiegare questa situazione. Esistono nel paese due piccoli PC. Il Nuovo Partito Comunista Bulgaro (NPCB), che si proclama staliniano e che ha rotto con il BSP al tempo del cambio del nome, e il Partito Comunista Bulgaro “G. Dimitrov” che rifiuta i metodi staliniani. Il nuovo PCB ha organizzato la Nuova Internazionale Comunista che raggruppa partiti che esaltano innanzitutto l’eredità di Stalin. Alla vigilia delle elezioni del 2001, sono stati avviati negoziati per la formazione di un partito unificato che raggruppasse i due PC e la frazione marxista del BSP. Secondo i sondaggi, questa formazione avrebbe potuto ottenere più del 10% dei suffragi, ma i negoziati non hanno avuto successo e alcuni comunisti si sono presentati candidati contro il BSP, mentre quest’ultimo faceva eleggere un comunista nella sua lista, il primo deputato esplicitamente comunista dopo il 1989.

    I partiti “ex comunisti” balcanici dei paesi di tradizione ortodossa (Bulgaria, Serbia, Romania) manifestano una più visibile reticenza riguardo al capitalismo rispetto ai loro omologhi di Albania, Bosnia, Croazia, Slovenia o Ungheria. In questi ultimi paesi, in particolare il Partito Socialista Ungherese, ala maggioritaria del vecchio “partito-Stato”, include una frazione marxista, “Alternativa di Sinistra”. Esiste anche un PC ungherese, il Partito Operaio, la cui influenza resta limitata. In Germania, anche il PDS rifiuta il social-liberalismo. Si è impegnato, soprattutto dopo il suo arrivo al potere con la SPD nel Land di Berlino, in una strategia di associazione con il Partito Socialdemocratico (SPD) su una piattaforma prevalentemente “regionalista est-tedesca” con concezioni “alternative” assai moderate. Un’altra corrente nel suo seno riafferma il marxismo. L’esistenza di frazioni è autorizzata nel PDS, il che permette ai comunisti di manifestarsi in quanto tali. E’ anche il solo erede di “partiti-Stato”, in cui sia presente la corrente trotskista.

    3). I partiti comunisti “mantenuti”: nell’Europa Centrale, baltica e balcanica, partiti che si definiscono comunisti si sono formati dappertutto, ma sono raramente riusciti ad ottenere un’influenza reale, salvo che in Bulgaria, Ungheria, Lettonia (sotto il nome di Partito Socialista Lettone, dal momento che il comunismo è proibito nel paese) o Slovacchia, dove costituiscono una forza potenzialmente in grado di contare. Il KSCM (Partito Comunista di Boemia-Moravia) rappresenta un caso specifico. Costituito poco prima dello smantellamento della federazione cecoslovacca, ha ottenuto l’11% dei voti nelle elezioni del 1998 e raccoglie oggi dal 15% al 20% delle intenzioni di voto (20,3% dei suffragi nelle ultime elezioni europee del 13 giugno 2004, nota del traduttore). Ha un approccio relativamente critico nei confronti del periodo 1948/1989, che ha spinto uno dei dirigenti di prima del 1989, Miroslav Stepan, a creare il “Partito dei comunisti cecoslovacchi”, che conta decine di migliaia di membri, ma che non è mai riuscito a radicarsi elettoralmente. Sul versante opposto, le due frazioni del KSCM che hanno tentato di rompere con il comunismo hanno fallito. Il caso della Cechia è specifico, perché è il solo paese in cui si sia formato un partito socialdemocratico (CSSD) potente non scaturito da correnti comuniste. Il KSCM è attraversato da dibattiti virulenti in merito al suo progetto sociale, all’adesione all’UE e ad un’eventuale alleanza con la CSSD. I suoi membri più anziani esprimono spesso un orientamento più moderato, mentre quelli più giovani propongono soluzioni a volte particolarmente radicali. Il KSCM è molto attivo sul terreno internazionale e mantiene contatti con tutti i PC.

    Traduzione di Mauro Gemma

  5. #5
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    IL PCFR NON HA RINUNCIATO ALLA COSTRUZIONE DEL COMUNISMO
    Intervista concessa dal vicepresidente del PCFR Ivan Melnikov a
    "Finmarket-Business", ripresa dal sito internet del PCFR

    http://www.kprf.ru/melnikov/articles/15396.shtml
    19 luglio 2003

    Dal momento della sua formazione il PCFR è comunemente considerato
    l´erede del PCUS. Da alcuni ciò viene considerato un fatto positivo, da
    altri il profilo del PCFR viene associato all´odiato passato sovietico.
    Alla vigilia delle elezioni parlamentari sempre più frequentemente si
    sente pronunciare dai suoi leader la parola "modernizzazione". Quale
    significato attribuiscano i dirigenti comunisti a tale termine cerca di
    spiegarlo il vicepresidente del partito Ivan Melnikov.

    D. Si può parlare di modernizzazione del PCFR? Se è vero, essa comporta
    solo parziali cambiamenti nell´attività del partito, o è possibile
    parlare di un vero e proprio processo di trasformazione?

    R. Il nostro partito è un organismo vitale. Inoltre, ci troviamo nelle
    condizioni di dover esercitare una dura opposizione. L´esperienza ci
    insegna che dobbiamo percorrere vie inedite di sperimentazione. E´
    fondamentale che ricerca e sperimentazione vengano continuamente
    esercitate. Perciò ritengo che della modernizzazione sia opportuno
    parlare come di un processo che si svolge permanentemente nel nostro
    partito.

    D. In cosa si manifesta il processo di modernizzazione del PCFR?

    R. In primo luogo nel mutamento della composizione del partito. Ogni
    anno accogliamo nel PCFR 18-20.000 nuovi membri. Solo nella prima metà
    del 2003 i nuovi iscritti sono stati 11.000. Soprattutto giovani.
    Entrando nelle nostre file, i giovani portano con sé nuove idee, nuove
    energie e ciò non può non avere la sua influenza sul profilo del
    partito.
    C´è poi da rilevare - elemento questo che sottolinea che il processo di
    modernizzazione richiama l´attenzione dell´elettorato - il cambiamento
    della composizione di coloro che votano per il nostro partito. Non
    hanno trovato conferma le previsioni relative ad una riduzione
    dell´elettorato del PCFR, dovuta alla scomparsa della vecchia
    generazione. Al contrario, osserviamo che, di elezione in elezione, per
    il PCFR votano sempre più elettori. Nel 1993 abbiamo iniziato con 6
    milioni di voti, nel 1999 abbiamo ricevuto il voto di circa 16 milioni
    di elettori. Il progresso è evidente.
    Cambiano anche le caratteristiche dei nostri elettori. Per noi oggi
    votano in modo convinto gli abitanti delle grandi città, le persone con
    un elevato livello d´istruzione e quelle delle generazioni intermedie.
    Anche la gioventù ha cominciato a votare in maniera rilevante per il
    PCFR. Ritengo che tutto ciò dimostri come i luoghi comuni diffusi a
    proposito del PCFR vengano accolti in modo critico dalla popolazione.
    I nostri oppositori cercano di presentare il PCFR come una forza
    rivolta verso il passato. Ma commettono un errore. O peggio, un
    tentativo consapevole di travisare la verità. Affermazioni di questo
    tipo risuonano più frequentemente alla vigilia di elezioni e vengono
    utilizzate per confondere una parte dell´elettorato.
    Noi pensiamo che ad ogni periodo corrispondano sia tratti positivi che
    negativi. Vi sono aspetti che occorre preservare, avendone riguardo, e
    sviluppare. Al contrario è indispensabile riformare o addirittura
    eliminare ciò che impedisce di avanzare. Con un simile approccio noi ci
    rapportiamo anche con il passato sovietico. Pensiamo che, nel periodo
    sovietico, il nostro paese abbia ottenuto grandi successi: l´economia
    si sviluppava in modo dinamico, si godeva di un alto grado di difesa
    sociale della popolazione, i sistemi di istruzione e di sostegno
    statale alla scienza erano i migliori nel mondo. Il paese prestava una
    grande attenzione alle persone anziane e si prendeva cura della
    gioventù. Naturalmente, ciò era positivo. E ci distingueva in meglio
    praticamente da tutti gli altri paesi.
    Allo stesso tempo c´erano alcuni fattori che ci impedivano di avanzare.
    In primo luogo, il regime di monopolio nell´economia e nella politica.
    Esisteva un´unica forza politica, mancava la competizione tra partiti
    politici. Nella sfera dell´ideologia la giustezza di un´idea non veniva
    dimostrata, ma propagandata. Anche il regime di monopolio nei "media"
    ha giocato un ruolo negativo.
    Noi comunisti, meglio di altri, abbiamo saputo trarre gli opportuni
    insegnamenti dal recente passato. Ad esempio, oggi siamo convinti
    sostenitori della libertà di parola e del multipartitismo. Non si può
    però mettere in dubbio che oggi ciò che di positivo caratterizzava il
    periodo sovietico sia stato ridotto in polvere e che i germogli della
    democratizzazione siano stati calpestati dal potere attuale. Ritengo
    che si stia percorrendo la via dell´autoritarismo e del rigido
    controllo sui "media". Il potere è invischiato negli affari di partito,
    costruisce "partiti del potere" e favorisce il loro dominio nell´arena
    politica. Per quanto riguarda il mondo degli affari, si fa un gran
    parlare di concorrenza, ma, in realtà, essa tende a restringersi.

    D. Ci dica quali sono, a suo avviso, le difficoltà che incontra il
    partito sulla via della modernizzazione?

    R. In primo luogo, è ancora insufficiente il processo di
    ringiovanimento. Vorrei che procedesse più velocemente. Secondo: ci
    siamo posti l´obiettivo di reclutare ogni anno il 10% del totale degli
    iscritti del PCFR. E, malgrado i risultati siano confortanti, non siamo
    ancora del tutto soddisfatti.
    Ma le difficoltà maggiori le incontriamo nel far conoscere le nostre
    posizioni, valutazioni e programmi alla maggioranza della popolazione.
    Sostenitori potenziali del partito sono circa l´80% dei cittadini. Ma
    di questi per noi vota solo un terzo. Oggi, mentre al PCFR viene
    impedito l´accesso agli strumenti radiotelevisivi, abbiamo
    assolutamente la necessità di allestire un efficace sistema di
    comunicazione con i nostri concittadini e di instaurare con essi un
    dialogo fruttuoso. Solo per questa via è possibile individuare
    soluzioni corrette ed essere compresi dall´opinione pubblica.

    D. A tal proposito, desidereremmo sentire un suo commento in merito
    alla recente affermazione di Gleb Pavlovskij, secondo cui il PCFR
    vivrebbe un momento difficile sul piano elettorale. In particolare,
    egli ha detto che il PCFR si troverebbe in un´insormontabile
    contraddizione, la cui sostanza consisterebbe nell´incompatibilità del
    suo elettorato tradizionale con quello più recente, costituito da
    esponenti della piccola e media imprenditoria.

    R. Non vedo in questo alcuna contraddizione. Prendiamo ad esempio la
    Cina, in cui, da un lato, esiste un alto grado di difesa sociale e,
    dall´altro, vengono garantite le condizioni per lo sviluppo
    dell´imprenditoria. La dichiarazione di Gleb Pavlovskij è il tentativo
    di creare artificiosamente una contraddizione. E´ il tentativo di
    cacciarci in un angusto corridoio, dicendo: "Ecco, percorrendo questo
    corridoio non riuscirete a svoltare né a destra né a sinistra. Per voi
    sta scritto che potete contare su un elettorato del 20%. Allora
    statevene tranquilli, limitandovi ad operare su questo elettorato". Non
    possiamo certo essere d´accordo.

    D. Come si confronta allora il PCFR con l´eterogeneità del suo
    elettorato?

    R. Abbiamo un programma molto chiaro che si rapporta con ogni categoria
    di cittadini, dai pensionati agli imprenditori. La realizzazione di
    tale programma non va contro gli interessi di nessun lavoratore onesto.
    Ad esempio, l´efficace sviluppo della piccola e media imprenditoria
    potrebbe favorire la soluzione di molti problemi del paese, in
    particolare quelli della povertà.

    D. Così il partito cerca di attirare verso di sé gli imprenditori. Non
    si pone forse il problema della modernizzazione della piattaforma
    ideologica del PCFR, ad esempio, nel senso di una netta
    socialdemocratizzazione?

    R. La socialdemocrazia ha subito dei mutamenti radicali nel corso della
    sua storia. Ciò viene percepito in modo negativo dalla gente, dal
    momento che i socialdemocratici in Germania e in molti altri paesi
    dell´Europa Occidentale, giunti al governo, in generale non hanno
    risolto i problemi fondamentali della maggioranza della popolazione. E
    se qualche volta hanno cercato di risolverli, ciò è avvenuto solo in
    virtù di una forte pressione dal basso. Sotto questo punto di vista
    essi hanno abbandonato le stesse fonti originarie della
    socialdemocrazia. Per noi percorrere questa strada significa tradire
    gli interessi di quei cittadini, a favore dei quali abbiamo creato il
    partito e condotto la nostra lotta.

    D. Allora in che modo si può dare una definizione della piattaforma
    ideologica del PCFR?

    R. Il nostro partito è comunista. Ci siamo posti l´obiettivo di
    costruire una società socialista. Non abbiamo mai abbandonato l´analisi
    di classe dei processi che si svolgono nella società. Ma ritengo che,
    nel rapportarci con i cittadini sia meglio, piuttosto che utilizzare il
    frasario politico, cercare di far capire le caratteristiche della
    società a cui tendiamo. Sarà il discorso più convincente. La gente
    comprenderà che noi aspiriamo alla giustizia sociale nel suo più vasto
    significato.

    D. Se il partito rimane comunista, ciò significa che esso aspira alla
    costruzione della società comunista. Ma non è un´utopia?

    R. Non sono d´accordo. La prospettiva della costruzione della società
    comunista è certamente molto lontana. Ma essa rimane il nostro
    obiettivo strategico. E´ naturale, comunque, che per il momento occorra
    presentare programmi che cercano di risolvere i problemi concreti
    immediati.

    D. Ma proprio l´aspetto ideologico della piattaforma del PCFR è, a mio
    parere, fondamentale per la creazione di stereotipi negativi nei
    confronti del suo partito. Quale lavoro viene sviluppato dal PCFR per
    evitare che tali stereotipi si manifestino, soprattutto in ambiente
    giovanile?

    R. Se si conoscesse davvero "l´aspetto ideologico" della nostra
    piattaforma, non esisterebbero da tempo gli stereotipi. Ripeto ancora:
    noi stessi sviluppiamo un´analisi critica sia del passato che del
    presente. Proprio per questo abbiamo sempre più sostenitori tra i
    giovani, dal momento che la gioventù si confronta criticamente con
    tutto. E io ne sono molto lieto. Sono convinto che se tale
    atteggiamento dovesse conservarsi negli ambienti giovanili, il paese
    avrebbe un futuro. Oggi la gioventù non presta molta fede alla
    propaganda ufficiale e vuole capire per conto suo cosa è l´attuale PCFR.

    D. Il suo partito è intenzionato ad instaurare un dialogo con gli altri
    partiti di sinistra? Pensate che esso possa essere solo di forma o
    reale?

    R. Le idee della sinistra sono sempre più popolari e moltissimi oggi
    amano definirsi di sinistra. Io non mi sono mai espresso contro la
    discussione sulle più svariate questioni in diverse assemblee che
    raccolgono gli intellettuali. Ma in questo caso non si tratta di un
    dialogo tra partiti. Se parliamo dei partiti di sinistra realmente
    esistenti nell´arena politica della Russia, forse è possibile citare il
    solo Partito Comunista Operaio Russo-Partito Rivoluzionario dei
    Comunisti (PCOR-PRC). Tutti gli altri o non sono di sinistra o non sono
    partiti. Con il PCOR-PRC i rapporti non sono affatto semplici, ma un
    dialogo è stato avviato. Ci sono serie possibilità che ci presentiamo
    insieme alle prossime elezioni.

    D. Ma in una sua recente dichiarazione, il PCOR-PRC non ha forse
    rimproverato alla dirigenza del PCFR di non avere l´intenzione di
    presentarsi in un blocco elettorale comune alle prossime elezioni?

    R. La verità è che stiamo facendo di tutto per raccogliere in un unico
    blocco elettorale il più ampio ventaglio di forze di sinistra e
    patriottiche. Per quanto riguarda la definizione giuridica di tale
    coalizione, devo dire che si tratta di una questione complessa. In
    considerazione della legislazione vigente è per noi più sicuro
    procedere per la strada giuridicamente sperimentata, vale a dire con il
    blocco elettorale con la denominazione "PCFR". Nell´attuale
    legislazione esistono molti ostacoli, probabilmente insormontabili, se
    decidessimo di imboccare strade non ancora percorse.
    La seconda considerazione da fare è che il PCFR può contare sempre sul
    sostegno, come minimo, del 20-25% degli elettori. Per questa ragione
    rinunciare alla sigla "PCFR" appare semplicemente privo di senso.

    D. Ultimamente si è parlato di una crisi di leadership nel PCFR. Lei
    pensa che tale problema esista?

    R. Si è avuta l´impressione che sia soprattutto il potere a
    preoccuparsene. Dal momento che un colpo inferto al leader è allo
    stesso tempo un colpo assestato all´insieme del partito. Si sa che se
    hai intenzione di indebolire un esercito nemico, devi fiaccarne il
    comando. Naturalmente, un problema di leadership esiste in qualsiasi
    partito. Ma non bisogna dimenticare che ogni partito investe nel
    proprio leader un enorme capitale e che nei confronti della questione
    del leader occorre rapportarsi con prudenza. Ancor più nel caso di una
    personalità come Ghennadij Zjuganov, i cui successi non può negare
    nessuno. Proprio sotto la sua direzione, per il partito già all´inizio
    hanno votato 6 milioni di persone e oggi gli elettori sono aumentati di
    oltre 10 milioni. Zjuganov nelle elezioni presidenziali ha raccolto una
    volta e mezzo più voti di quanti ne abbia conseguiti il partito nelle
    elezioni parlamentari. Certamente, prima o poi, ci sarà un cambiamento
    generazionale e, di riflesso, un cambiamento di leadership. E già da
    oggi occorre prepararsi a tale avvicendamento. Perciò stiamo cercando
    di coinvolgere i giovani nelle strutture dirigenti del partito. Siamo
    interessati a far loro acquisire esperienza nel lavoro pratico, in modo
    che, in qualsiasi momento, siano in grado di ricoprire gli incarichi
    più importanti.

    Traduzione dal russo
    di Mauro Gemma

  6. #6
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    Predefinito La grave crisi del movimento comunista russo

    www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 17-07-04

    LA SCISSIONE

    Evghenij Evdokimov
    http://www.strana.ru 2 luglio 2004

    Il commento del sito ufficioso dell’amministrazione presidenziale russa, alla vigilia del X congresso del PCFR

    Mentre Ghennadij Zjuganov e il governatore di Ivanovo Vladimir Tikhonov combattono per la leadership del PCFR, lanciandosi reciproche accuse di palese violazione dello statuto, i circa 350 delegati del congresso del Partito comunista, che dovrebbe aprirsi domani a Mosca, sono in preda allo smarrimento. Nessuno è in questo momento in grado di rispondere alla domanda: in quali mani si trovano in realtà le leve della direzione del partito e, di conseguenza, il diritto giuridico di gestire le procedure di elezione nell’assise congressuale?

    Oggi, la stravagante scissione, che si è consumata alla vigilia del comitato centrale del PCFR, si è ulteriormente approfondita. Si sono appena svolti due plenum paralleli dell’organo dirigente del partito. Riunitisi nelle periferie opposte di Mosca, i sostenitori e gli avversari di Ghennadij Zjuganov hanno votato le dimissioni delle reciproche fazioni. Secondo la versione fornita dal plenum degli “oppositori”, sono stati allontanati dalle loro cariche lo stesso Zjuganov, tutti i suoi vice e i segretari del comitato centrale. Di rimando, il plenum dei seguaci di Zjuganov ha sanzionato gli “scissionisti” più attivi. Dalla responsabilità di segretario del comitato centrale sono stati esonerati Serghey Potapov e Tatjana Astrakhankina, mentre un altro membro del CC, Oleg Korjakin, è stato espulso dal partito. Quanto a Ghennadij Semighin, che, prestando fede a quanto afferma Zjuganov, è il principale responsabile della guerra intestina, era già stato espulso nel marzo scorso e, per questa ragione, non è più sanzionabile dal partito.

    E’ degno di rilievo che il conteggio dei membri del CC, che hanno preso parte ai plenum contrapposti, abbia prodotto un paradosso aritmetico. Secondo gli “scissionisti”, al loro plenum avrebbero preso parte 96 membri del CC. I seguaci di Zjuganov, da parte loro, hanno contato al loro plenum 84 persone. Se si considera che il comitato centrale del PCFR è composto da 154 membri, risulta incomprensibile da dove sbuchino più di due decine di funzionari.

    Vladimir Tikhonov, che il “gruppo Potapov-Semighin” ha indicato come proprio presidente, ha dichiarato che il plenum, diretto da Zjuganov, non ha alcuna legittimità. La risposta della parte avversa si è fatta attendere un po’. I sostenitori di Zjuganov hanno dovuto fare i conti con le strane vicissitudini del sito internet ufficiale del PCFR. Per alcune ore, nella sua pagina principale, si sono avvicendate dichiarazioni in contrasto tra loro, pubblicate a nome di uno e dell’altro gruppo in competizione. L’ufficio stampa del PCFR (di Zjuganov), attribuendo la responsabilità di quanto accaduto ad un “attacco di hacker, aiutati dai servizi speciali del Cremlino”, finalmente ha pubblicato una dichiarazione dal titolo “La solita provocazione delle forze antipartito”. In essa si afferma che il plenum che ha costretto Zjuganov alle dimissioni, non rappresentava che l’ultimo tentativo precongressuale del “gruppetto di oppositori interni al partito” di cambiare la composizione della direzione del comitato centrale e “di trasformare il partito comunista in un’appendice socialdemocratica dei funzionari del Cremlino”.

    Ci si azzarda anche a sottolineare che “qualsiasi dichiarazione di qualsivoglia “organo alternativo” non ha alcuna autorità giuridica e politica”. E, a proposito del destino del partito, si afferma che esso “sarà deciso il 3-4 luglio dai 360 delegati del X congresso, forti della decisione dei comunisti russi di appoggiare la candidatura di G.A. Zjuganov al posto di presidente del comitato centrale del PCFR”.

    Come si comporteranno i delegati-comunisti, che aspettano l’inizio del congresso nel complesso alberghiero di Izmaylovo, sarà chiaro domani. Non è neppure escluso che, dopo quanto è avvenuto con il plenum, anche il congresso del partito possa “sdoppiarsi”, con una metà pronta a rieleggere Ghennadij Zjuganov, e l’altra “alternativa” a ratificare le sue dimissioni. In ogni caso, gli avvenimenti dei primi giorni di luglio hanno già inferto un serio colpo a tutto il partito e, in primo luogo, agli occhi dei potenziali elettori). Perciò, chi degli antagonisti dovesse ottenere la pienezza dei diritti sul simbolo del PCFR, per lungo tempo dovrà faticare per far riconquistare la reputazione del partito, compromessa dalla scandalosa disputa avvenuta ai suoi vertici.

    IL CONGRESSO
    http://www.partaktiv.info 3 luglio 2004

    La cronaca della giornata del congresso, in una corrispondenza del sito comunista ucraino di informazioni e commenti

    Oggi a Mosca è in corso di svolgimento il decimo congresso del Partito Comunista. In realtà due congressi: dei sostenitori e degli avversari di Ghennadij Zjuganov.
    I sostenitori di Zjuganov si riuniscono nel cinema-teatro “Izmaylovo”. Ma alcuni altri comunisti particolarmente in vista, come Aleksandr Kuvajev, Vladimir Tikhonov, Tatjana Astrakhankina, Serghey Potapov, Leonid Ivancenko, partecipano ai lavori del congresso alternativo del partito comunista, che si svolge nello stesso momento a Mosca, nel quartiere del “Parco della cultura”, sotto la direzione del governatore di Ivanovo Vladimir Tikhonov.

    Ghennadij Zjuganov ha definito i delegati del congresso alternativo “partecipanti ad un’assemblea incomprensibile”. Egli ha dichiarato ai giornalisti che “il partito deve assolutamente salvaguardare la propria unità”.

    Il congresso dei sostenitori di Zjuganov è iniziato tra gli imprevisti. Nella sala, dove si riunivano i delegati, è stata tolta la corrente elettrica. Per questo l’assemblea si è svolta nell’oscurità. I partecipanti sono stati costretti ad illuminare i testi dei loro interventi con torce elettriche, mentre due riflettori hanno permesso lo svolgimento della relazione del leader.

    Zjuganov ha iniziato il suo discorso, affermando che nel partito comunista imperversano la discordia e il disorientamento. “E’ venuto il momento di chiederci se siamo o non siamo un partito”, ha rilevato Zjuganov, aggiungendo che “la crisi nel PCFR per molti versi è oggettiva”.

    Il leader del partito ha accusato il potere di aver “permanentemente condotto una guerra contro il partito, finalizzata al suo annientamento”. Ma, a parere di Ghennadij Andrejevic, “non si è riusciti nell’intento di privare il partito della sua natura sociale-di classe e di addomesticarlo, rendendolo socialdemocratico”. L’assenza di alcuni delegati dal congresso è stata definita da Zjuganov come una mancanza di rispetto delle regole. I delegati presenti hanno appoggiato all’unanimità il loro leader e hanno espresso la loro condanna degli “scissionisti”.

    Intervenendo al congresso, il “governatore rosso” Vasilij Starodubtzev ha definito l’opposizione interna al partito “un pugno di nani politici che ambiscono a cacciare Zjuganov e altri compagni dalla direzione del partito”. Egli ha accusato gli esponenti del gruppo di Ghennadij Semighin e Serghey Potapov “di avere usato i soldi degli oligarchi, che sono disposti a spendere qualunque cifra, pur di indebolire il partito. “Ma Ghennadij Andrejevic ha saputo far fronte all’ondata di attacchi, e di questo gli dobbiamo essere grati”, ha esclamato Starodubtzev, invitando quindi i membri del partito “a fare pulizia dei compagni di strada che impediscono di lavorare”.

    Da parte sua, il rappresentante dell’organizzazione cittadina di Mosca del PCFR, Evghenij Lysenko, ha affermato che “i comunisti di Mosca appoggiano le azioni del comitato centrale e del compagno Zjuganov, dirette al rafforzamento dell’unità del partito”. A suo avviso, l’organizzazione moscovita del PCFR “ha condannato le attività degli scissionisti, che introducono la minaccia della degenerazione borghese e del passaggio del partito ai ranghi socialdemocratici”. Egli ha indirizzato la critica verso il segretario del Comitato cittadino moscovita del PCFR Aleksandr Kuvajev, che ha partecipato ai lavori del congresso “alternativo” del PCFR. “I comunisti di Mosca gli negano la loro fiducia e ritengono non fattibile l’elezione di Kuvajev a membro del comitato centrale”,- ha sottolineato Lysenko.

    Una dura critica alle azioni dell’opposizione interna è venuta anche dal leader dell’Unione agro-industriale Nikolay Kharitonov, che ha aggiunto, tra i fragorosi applausi dei delegati: “sono sicuro che rieleggerete alla presidenza del partito Ghennadij Andrejevic Zjuganov”.

    Il presidente della commissione verifica poteri Svjatoslav Sokol ha comunicato che, dei 317 delegati eletti al congresso, uno –l’ex segretario del comitato centrale Serghey Potapov – è stato espulso alla vigilia dal partito. In tal modo, sono state formalizzate 316 deleghe. 24 delegati sono assenti giustificati, e altri 46 per motivi non resi noti (i nomi di questi delegati, quasi tutti dirigenti di alto livello, sono stati comunicati in seguito, nota del traduttore).

    In questo momento è in corso una pausa dei lavori del congresso, dopo la quale verrà proseguita la discussione sui punti all’ordine del giorno. Non è escluso che il congresso si concluda entro la giornata odierna (così effettivamente è avvenuto, nota del traduttore).

    Scarne notizie si hanno sullo svolgimento della discussione nel congresso degli avversari di Zjuganov. Il congresso alternativo si svolge a porte chiuse. Gli organizzatori dell’assise giustificano la segretezza con le misure di sicurezza, adottate per rispondere “alla guerra scatenata dai sostenitori di Zjuganov”. Come informa RIA “Novosti”, il congresso anti-zjuganoviano di una parte del PCFR avrebbe raggiunto il quorum dei delegati. “Il congresso ha avuto inizio e vi partecipano 171 dei 273 delegati, che sono stati indicati dal partito. Il congresso è legittimo”, - ha dichiarato una fonte del centro stampa del congresso. Tatjana Astrakhankina e Valentin Kysh avevano in precedenza dichiarato che al congresso erano presenti 146 membri legittimi del PCFR. Inoltre, essi hanno affermato che al congresso sono stati invitati esponenti del Ministero della Giustizia e della Commissione Elettorale Centrale. Astrakhankina e Kysh si sono poi rifiutati di rispondere ad una domanda sulla provenienza dei finanziamenti al nuovo partito.

    IL X CONGRESSO DEL PCFR. IL MOMENTO DELLA VERITA’:
    I PERICOLI “DI SINISTRA” E “DI DESTRA”

    Un commento di Jurij Solomatin, vicepresidente della commissione centrale di garanzia del Partito Comunista di Ucraina
    http://www.partaktiv.info 5 luglio 2004

    Come primo commento alle vicende drammatiche che hanno travagliato il PCFR, proponiamo l’intervento di un esponente del Partito Comunista di Ucraina, che testimonia della decisione dei principali partiti comunisti dell’ex URSS (confermata da una successiva risoluzione dell’Unione dei Partiti Comunisti-PCUS) – tra gli altri, anche il PC della Repubblica di Moldova al governo – di appoggiare (pur non risparmiando alcune critiche costruttive di merito e di metodo) Zjuganov e il congresso “ufficiale”. A questa assise erano presenti o hanno inviato messaggi decine di partiti comunisti di tutto il mondo (nessuno dall’Italia). Occorre registrare anche che tutte le fasi del dibattito e il successivo plenum del comitato centrale appena eletto sono stati inaspettatamente aperti alla partecipazione dei “media”.

    (…) Alla vigilia del X congresso del PCFR, che si è svolto il 3 luglio, nel partito si è sviluppata una discussione infuocata in merito ai risultati delle ultime, sconfortanti per il PCFR, elezioni per la Duma di Stato del dicembre 2003, quando il numero dei parlamentari comunisti si è ridotto di due volte, e delle elezioni presidenziali del 2004, in cui il partito ha presentato, al posto del suo leader, un altro noto candidato.

    Sono stati criticati gli errori commessi dal partito e dalla sua direzione, nella persona di Ghennadij Zjuganov, in merito ai suoi rapporti con uno dei finanziatori del partito – l’uomo d’affari “rosso” G. Semighin – che, nel corso della discussione, sono stati evidenziati con franchezza dallo stesso presidente del partito, ma che sono stati utilizzati da un “gruppo di compagni”, non solo per criticare la direzione del partito, ma anche per organizzare azioni concrete allo scopo di estromettere in modo illegittimo il presidente del partito e tutta la sua direzione dai loro incarichi.

    La posizione ponderata e precisa assunta dal presidente del partito Ghennadij Zjuganov, dopo un dibattito che ha coinvolto tutte le organizzazioni di base del partito alla vigilia del congresso, è stata attaccata sia da destra, dagli Otsovisti, che si sono raccolti nel gruppo del businessman “rosso” G. Semighin, con l’appoggio del secondo segretario del comitato centrale S. Potapov, del “governatore rosso” V. Tikhonov e di altri, che da sinistra, dai moderni liquidatori, rappresentati dalla dirigenza “marxista” (?) dell’organizzazione RUSO (Studiosi russi di orientamento socialista). Così la fedeltà a parole alla teoria rivoluzionaria, nella pratica si è trasformata in attività opportunistica, in fraternizzazione con gli opportunisti di destra.

    Nuovamente, in questo attacco al partito, è successo che sinistri e destri “antizjuganoviani” (così si sono definiti), si siano ritrovati insieme, rendendo pubblica la “risoluzione dei 62” (lettera aperta indirizzata tempo fa ai militanti del partito, nota del traduttore), in un Fronte unito.
    Alla vigilia del X congresso, dagli antizjuganoviani è stato allestito il 1 luglio, ampiamente pubblicizzato dai “media borghesi”, il cosiddetto Plenum alternativo, che ha approvato alcune comiche risoluzioni.

    Il X congresso ha assunto così il significato di momento della verità, mediante il sostegno della massa dei militanti al leader del partito G. Zjuganov, a cui è stato affidato il mandato di realizzare le decisioni assunte.
    Si deve aggiungere all’amarezza che, nello stesso giorno, si è svolto il cosiddetto Congresso alternativo. Con grande rammarico, occorre prendere atto che a questo sporco gioco si sono prestati molti militanti del partito-membri del comitato centrale, noti per la loro devozione alla causa, tra cui la segretaria del CC Tatjana Astrakhankina, E. Drapeko, V. Zorkalziov, V. Zorkin, il primo segretario del comitato cittadino di Mosca A. Kuvajev, A. Makashov, il primo segretario del comitato regionale di Mosca S. Nikkoyev, il presidente del RUSO I. Osadcij, A. Salij, il “governatore rosso” della regione di Ivanovo V. Tikhonov, V. Trushkov, A. Shabanov, e altri ancora: in tutto, 45 membri del comitato centrale.

    Sembra ora che il contenzioso possa essere trasmesso al Ministero della giustizia della Federazione Russa, perché sia questo organo del potere borghese a decidere quale congresso sia da considerarsi “più congresso”, vale a dire più legittimo. In ogni caso, il presidente del PCFR si è rivolto ai delegati con l’inusuale richiesta di scrivere personalmente al Ministero della giustizia, per certificare la loro partecipazione al congresso.

    A parere di molti partecipanti alla discussione precongressuale, che si è sviluppata sia nelle pubblicazioni del partito – “Pravda” e “Pravda Rossij” – che nella stampa indipendente di sinistra – “Sovetskaja Rossija” e altri -, la causa principale del cataclisma verificatosi nel partito è stata, prima di tutto, l’insufficiente attenzione riservata dalla direzione del partito allo sviluppo della teoria marxista-leninista nelle attuali condizioni delle nuove sfide globali dell’imperialismo del XXI secolo.

    Sono stati anche criticati l’eccessiva propensione della direzione del partito nei confronti dei metodi parlamentari di lotta a scapito del lavoro tra le masse, e gli errori nella formazione della lista per le elezioni della Duma di Stato.
    Vogliamo sperare che da questi avvenimenti, che hanno scosso il PCFR – avanguardia combattiva dei comunisti sovietici nello spazio postsovietico -, i nostri fratelli ideali escano con l’orgoglio che la loro vittoria non è stata una vittoria di Pirro. Ma anche noi, comunisti dell’Ucraina, dovremo trarre insegnamenti da quanto è accaduto.

    Traduzioni dal russo di M.G.

  7. #7
    legio_taurinensis
    Ospite

    Predefinito

    Mi dite qualcosa sulla situazione dei partiti neocomunisti (libertari e stalinisti) della Romania?

    una mia amica rumena deve fare una ricerca,e non sa...


    grazie ciao

  8. #8
    smrt fašismu
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