DENTRO O FUORI, MA TUTTI INSIEME
L'articolo del vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini pubblicato oggi sul Secolo d'Italia
Il presidente del Consiglio ha espresso in Parlamento con chiarezza le linee generali della politica economica che il governo intende adottare nella seconda parte della legislatura. Non si può negare che le idee per imprimere la svolta auspicata da Alleanza nazionale ci sono. L’obiettivo di rilanciare la crescita facendo leva su meno spesa corrente, meno tasse, più investimenti in infrastrutture e innovazione è tanto rischioso quanto obbligato. Credo però che a nessuno sfugga che, proprio perché è ambizioso e profondamente innovatore, il percorso indicato da Berlusconi può essere difficile da percorrere, pieno di insidie. Non tanto per la condizione della finanza pubblica, assai meno grave di quanto sostiene l’opposizione e ancora in linea con gli obblighi europei, quanto per la necessità di compiere precise scelte politiche.
Una manovra finanziaria con riforme strutturali da trenta miliardi di euro, e per giunta nell’ultimo scorcio della legislatura, è possibile solo con una maggioranza che la sostenga fortemente, per sincera convinzione e non per costrizione, in Parlamento e nel Paese.
Il confronto nel Paese, il dialogo con le parti sociali e con le autonomie locali è sempre un dovere cui il governo non può sottrarsi, ma diventa un obbligo quando si è mossi dalla necessità e dalla volontà di imprimere uno choc all’economia.
Ogni terapia d’urto ha infatti un costo politico, può presupporre un sacrificio o comunque richiede un’assunzione di responsabilità che vale per tutti: governo, sindacati, imprese, enti locali, partiti. Compresi quelli dell’opposizione, cui sarebbe bene sottrarre la facile rendita di posizione che deriva dal poter contestare ogni proposta governativa senza avvertire l’onere di avanzare credibili proposte alternative.
Si è fatto giustamente un gran parlare delle divisioni del centrosinistra sulla politica estera per la vicenda irachena, ma il terreno che dimostra la pericolosità sociale del sinistra-centro e la sua impossibilità di governare un Paese complesso come l’Italia è proprio quello economico.
La terapia che Berlusconi ha indicato per far uscire l’economia dalle secche della bassa crescita non può quindi essere calata dall’alto, deve essere messa a punto nel confronto con le parti sociali e ovviamente deve essere condivisae sostenuta senza riserve dalla maggioranza parlamentare.
È la ragione per cui, prima ancora di chiedersi chi sostituirà Tremonti, bisogna chiedersi se c’è la olontà di seguire questo metodo e, soprattutto, se ci sono le condizioni politiche per affermare che la maggioranza è in grado di varare e difendere una manovra da trenta miliardi di euro facendo quadrato e spiegandola unitariamente al Paese.
Il doppio quesito non è ozioso; è vitale per capire se davvero tutti nella Cdl sono convinti che nel 2006 si possano nuovamente vincere le elezioni. .A mio avviso è possibile, il voto europeo lo dimostra , ma bisogna rifiutarsi di vivere alla giornata pur di durare e, soprattutto, bisogna essere coscienti che il giudizio degli italiani riguarderà la coalizione e non solo i singoli partiti che la compongono. Nei prossimi mesi sarà in gioco la credibilità complessiva della Cdl, non la credibilità di questo o quel partito, di questo o quel leader. Si vince (o si perde) tutti insieme.
Purtroppo le crescenti nostalgie per la legge elettorale proporzionale che valorizza le identità di partito spesso a scapito dellacoalizione non aiutano a far maturare questa consapevolezza, e spero che ciò serva a far comprendere perché An, nata per favorire il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza, è perlomeno prudente (per usare un eufemismo) a riguardo. Ma di ciò avremo modo per tornare a discutere.
Quel che mi preme chiarire in questa fase così delicata è che se vogliamo onorare l’impegno del 2001 e rilanciare l’economia secondo le linee indicate dal presidente Berlusconi, non dobbiamo cercare un ministro taumaturgo per il megadicastero di via XX Settembre. . Nessuno potrebbe fare più e meglio di Tremonti. Le sue dimissioni dolorose, ma per noi inevitabili, hanno chiuso una fase. Ne dobbiamo aprire un’altra in cui le responsabilità e le scelte siano plurime e non accentrate (il tremontismo senza Tremonti sarebbe ridicolo);
una fase in cui i leader dei partiti di maggioranza siano tutti (a partire da Marco Follini) nel governo; una fase in cui tutti i partiti della coalizione siano chiamati ad operare in prima linea nella politica economica e sociale, perché questo è oggi il fronte in cui il centrodestra gioca la sua partita per poter vincere nel 2006. È quella collegialità che riteniamo necessaria da oltre un anno perché la società italiana è complessa, isomogenea, squilibrata socialmente e geograficamente; quella collegialità che da necessaria è diventata indispensabile se vogliamo che le identità e le sensibilità dei partiti non siano la causa delle difficoltà del governo bensì le risorse cui attingere per rilanciare la sua azione.
Fonte : SECOLO D'ITALIA
Autore : GIANFRANCO FINI