MARTEDÌ 27 OTTOBRE 2009
Le disinfestazioni tedesche alla luce di quelle americane

DISINFESTAZIONE IN STILE AMERICANO

Di Richard Widmann (2009)[1]

Il governo nazionalsocialista tedesco non fu né il primo né l’ultimo a occuparsi di questioni sanitarie provocate dal concentramento di grandi numeri di persone in aree chiuse. Purtroppo, è tipico che molti di coloro che valutano i resoconti dei testimoni del sistema concentrazionario nazista considerino gli eventi conosciuti come l’”Olocausto” come qualcosa di assolutamente unico. E’ importante e nello stesso tempo illuminante esaminare [invece] le procedure tedesche di gestione dei trasferimenti di popolazione alla luce delle procedure analoghe osservate negli Stati Uniti e in altri paesi. Ho scoperto di recente un importante articolo che aiuta a gettare luce sulle procedure americane di disinfestazione negli anni correnti fino alla seconda guerra mondiale. Da un articolo del New York Times, “Nuovo impianto di disinfestazione”, pubblicato il 17 Luglio del 1921 apprendiamo che l’allora governatore di New York, Nathan Lewis Miller, era molto preoccupato per la diffusione del tifo portato dagli immigrati appena arrivati. L’articolo racconta la visita di Miller, con diversi altri funzionari, all’impianto di disinfestazione allora in costruzione sull’isola di Hoffman. Oggi largamente dimenticata, l’isola di Hoffman è una piccola isola della Baia di Lower New York che all’inizio del ‘900 veniva usata come stazione di quarantena per gli immigrati identificati come portatori di malattie una volta giunti nella più nota Ellis Island.

L’articolo del Times descrive il bisogno di combattere il panico che provavano gli americani quando gli immigrati provenienti dall’Europa meridionale venivano trovati infetti dal tifo. Il commissario alla sanità di New York viene descritto come colui che ha “la tremenda responsabilità di proteggere l’intera nazione contro il tifo”. L’articolo prosegue riferendo che il Surgeon General degli Stati Uniti dichiarò che “la stazione è tristemente priva di attrezzature per affrontare l’emergenza attuale, ed è cruciale che le precauzioni sanitarie di questo porto vengano rafforzate e nello stesso tempo che il commercio non venga ostacolato”. Il Surgeon General comunicava direttamente con il Governatore Miller, che dirigeva l’architetto Lewis Pilcher onde accelerare l’allestimento di tutte le attrezzature necessarie nella stazione di quarantena per arrestare l’invasione del tifo. Miller autorizzò la spesa di ogni “somma ragionevole” di fondi pubblici per costruire un impianto di disinfestazione sull’isola di Hoffman. I piani di Pilcher vennero approvati dalle autorità del Servizio Sanitario Nazionale. Apprendiamo anche che il progetto di Pilcher non era limitato all’area di New York: anche il governo italiano adottò dei piani per le sue stazioni di quarantena per emigranti.

L’impianto di disinfestazione viene descritto nel modo seguente:

“La caratteristica più importante dell’edificio è l’eliminazione completa di tutte le guarnizioni, per rendere impossibile ai parassiti di nascondersi da qualche parte. I pavimenti, una volta completati, saranno fatti interamente di cemento, inclinati verso una fogna centrale, in modo da permettere il lavaggio con acqua salata”.

Viene anche descritto il procedimento di disinfestazione:

“Gli immigrati che devono essere sottoposti al processo di disinfestazione entrano in una stanza capace di ospitare gruppi di persone che vanno da un numero di 75 fino a 100 alla volta. Si chiede loro di togliersi i vestiti. Scarpe, cinture di pelle, e oggetti simili vengono posti in una stanza, dove vengono trattati con benzina e petrolio, mentre gli altri vestiti vengono messi in sacchi di tela, uno per persona. I sacchi sono numerati e ogni persona riceve un cartellino. I sacchi pieni di vestiti vengono fatti passare attraverso due camere, dove vengono trattati con gas al cianuro, che non li distrugge, o con vapore pressurizzato. Questi trattamenti penetrano nei materiali e distruggono sia i pidocchi che le uova. Gli immigrati vengono poi sottoposti a una serie di docce, in cui vengono trattati con una certa mistura di sapone e petrolio o di acido acetilico, il cui principio è quello di soffocare i parassiti. I capelli degli uomini vengono tagliati e quelli delle donne trattati a dovere con il petrolio. Quando il trattamento è ultimato i vestiti vengono restituiti agli immigrati, ognuno in un sacco personale”.

Questa procedura viene descritta come calcolata per mantenere “scrupolosità ed efficienza”. Secondo il Times, essa permetteva il trattamento di 100 immigrati all’ora. Non c’è dubbio che, proprio come la città, lo stato e il governo federale combattevano il tifo a New York, il governo tedesco costruì stazioni di disinfestazione e utilizzò procedure per combattere il tifo nei campi di concentramento. In realtà, tutti i prigionieri che arrivavano nei campi erano sottoposti a un procedimento non dissimile da quello dell’isola Hoffman.

Il testimone dell’Olocausto Primo Levi descrive tale procedimento nel suo Se questo è un uomo. Levi, che era detenuto a Monowitz (in certi casi nominata come Auschwitz III) descrive la procedura di disinfestazione nel modo seguente:

“Improvvisamente l’acqua è scaturita bollente dalle docce, cinque minuti di beatitudine; ma subito dopo irrompono quattro (forse sono i barbieri) che, bagnati e fumanti, ci cacciano con urla e spintoni nella camera accanto, che è gelida; qui altra gente ci butta addosso non so che stracci, e ci schiaccia in mano un paio di scarpacce a suola di legno, non abbiamo tempo di comprendere e già ci troviamo all’aperto, sulla neve azzurra e gelida dell’alba, e scalzi e nudi, con tutto il corredo in mano…”.

Non diversamente dagli immigrati arrivati nell’impianto di disinfestazione dell’isola di Hoffman, Primo Levi e quelli come lui, una volta giunti ad Auschwitz, venivano fatti spogliare, forniti di sapone e spediti in docce calde mentre i loro vestiti venivano disinfestati con acido cianidrico. Le stanze avevano tubi di scolo nel pavimento per l’acqua che fluiva in eccesso. Invece della restituzione dei loro vestiti appena disinfestati, i detenuti di Auschwitz e di altri campi ricevevano gli abiti a strisce dei prigionieri. La procedura era scrupolosa e efficiente. La paura, la confusione, e l’impatto psicologico, che in seguito produssero i racconti macabri nei quali il sapone igienico diventò il grasso delle vittime e l’agente disinfestatore salva-vita uno strumento di morte, non potevano essere predetti dai funzionari tedeschi che agivano in base all’ordine tassativo di abbassare il tasso di mortalità causato dal tifo.
[1] Traduzione di Andrea carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newsite/sr/online/sr_165.pdf
PUBBLICATO DA ANDREA CARANCINI A 12.28

Andrea Carancini: Le disinfestazioni tedesche alla luce di quelle americane