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Discussione: opposizione

  1. #61
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    Predefinito Ma che cosa vuole davvero....

    ....Romano Prodi?

    Questa è la domanda che si fanno, un po’ smarriti, i dirigenti politici del centrosinistra, e non solo quelli meno propensi a cedere tutto il potere al professore bolognese.
    Che non voglia ripetere l’esperienza del leader usa e getta del 1998 è comprensibile, ma le garanzie che pretende Prodi sono superiori a quelle, già assai robuste, che Silvio Berlusconi intende introdurre nella Costituzione con la norma antiribaltone. Paradossalmente Prodi, che ha indotto i suoi a chiudere ogni dialogo sulla riforma istituzionale - riforma federale ma anche di rafforzamento del premierato - vuole ancora più leaderismo del suo storico antagonista.
    Aveva chiesto che si formasse una lista unitaria per le elezioni europee, ed è stata fatta;
    ha chiesto una forma solenne e plebiscitaria di investitura, attraverso primarie a candidato unico, e ha avuto anche questo. Ora chiede che vengano rimossi gli “ostacoli”, che non indica con chiarezza, contrapposti alla federazione, ma che sembrano consistere in quell’autonomia politica rivendicata dai partiti che pure potrebbero sottoscrivere il patto.
    Qualche lume si può trarre dal paragone che Prodi ha fatto tra federazione e Unione europea. Sul piano logico non sta in piedi, perché i confini fra gli Stati europei sono ovviamente stabili, mentre fra i partiti è permanente l’azione concorrenziale per conquistare consensi anche in casa di vicini ed alleati.
    Il senso che si può trarre però è che ai partiti spetta di concordare un trattato, cioè un programma, la cui esecuzione deve essere affidata all’autorità superiore della federazione. Cioè di Prodi.
    Un meccanismo di questo tipo, che per la verità non ha funzionato neppure in Europa, visto che gli stati più forti continuano a violare allegramente i trattati economici, non può essere affidato semplicemente a impegni e dichiarazioni.
    Di queste buone intenzioni è lastricata la storia del centrosinistra, senza che ciò abbia impedito le crisi interne.
    Quello che Prodi vuole, probabilmente, è un assetto interno ai partiti che assegni la leadership alle correnti a lui più vicine.
    Fra i diesse, per esempio, si è aperta una gara piuttosto strabiliante a chi è più “prodiano”, tra Piero Fassino e Massimo D’Alema, che ha avuto peraltro l’effetto di iniettare sospetti in gran parte della Margherita. Qui, dove sono in molti a temere una saldatura tra l’egemonismo prodiano e quello postcomunista, si giocherà la partita più aspra.
    Il tema vero non sono le frasi sulla “cessione di sovranità”, ma la concretissima questione di chi decide le candidature, che è il core business dei partiti. Con le primarie si indica il candidato premier, ma tutto il resto, dai presidenti regionali ai sindaci e ai parlamentari, è l’esito di una contrattazione tra i partiti.
    Se invece l’ultima parola in merito spettasse alla federazione, cioè a Prodi, il ruolo dei partiti finirebbe per diventare puramente propagandistico.
    E’ anche per questo che la Margherita ha deciso di presentarsi alle elezioni regionali di primavera con liste proprie, su cui gli altri non hanno diritto ad interferire.
    E questa è una delle ragioni principali di tensione con Prodi.
    Si tratta infatti di una schermaglia preventiva per mettere le mani avanti su quello che sembra sempre di più il vero tema di scontro, quello delle candidature. I partiti tendono a suddividersi i collegi, per poi decidere in casa con quali candidati coprirli, come hanno sempre fatto. Prodi invece vuole che le candidature siano scelte anche nominativamente dalla federazione. La quale finirebbe per assegnare al candidato premier anche la possibilità di fare eleggere una folta schiera di fedelissimi.
    Forse la risposta alla domanda su che cosa vuole davvero Prodi è più semplice di quanto sembri, ed è un forte controllo personale sul sistema di potere del centrosinistra.
    Si tratta di un tema sul quale non bastano le dichiarazioni di fedeltà e i documenti politici. Gli stati maggiori di Ds e Margherita continueranno a vantare la loro coerenza sul progetto di federazione, ma probabilmente, finchè non molleranno il controllo delle candidature, il professore continuerà a rilanciare.
    Franco Marini e Willer Bordon pensano che sia meglio fare le primarie di investitura di Prodi prima delle regionali, in modo da chiarire che non c’è “ammutinamento” come teme Ugo Intini.
    Ma difficilmente questo basterà.

    ....ma che bella festa!!

    saluti

  2. #62
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    Predefinito Ma che cosa vuole davvero....

    ....Romano Prodi?

    Questa è la domanda che si fanno, un po’ smarriti, i dirigenti politici del centrosinistra, e non solo quelli meno propensi a cedere tutto il potere al professore bolognese.
    Che non voglia ripetere l’esperienza del leader usa e getta del 1998 è comprensibile, ma le garanzie che pretende Prodi sono superiori a quelle, già assai robuste, che Silvio Berlusconi intende introdurre nella Costituzione con la norma antiribaltone. Paradossalmente Prodi, che ha indotto i suoi a chiudere ogni dialogo sulla riforma istituzionale - riforma federale ma anche di rafforzamento del premierato - vuole ancora più leaderismo del suo storico antagonista.
    Aveva chiesto che si formasse una lista unitaria per le elezioni europee, ed è stata fatta;
    ha chiesto una forma solenne e plebiscitaria di investitura, attraverso primarie a candidato unico, e ha avuto anche questo. Ora chiede che vengano rimossi gli “ostacoli”, che non indica con chiarezza, contrapposti alla federazione, ma che sembrano consistere in quell’autonomia politica rivendicata dai partiti che pure potrebbero sottoscrivere il patto.
    Qualche lume si può trarre dal paragone che Prodi ha fatto tra federazione e Unione europea. Sul piano logico non sta in piedi, perché i confini fra gli Stati europei sono ovviamente stabili, mentre fra i partiti è permanente l’azione concorrenziale per conquistare consensi anche in casa di vicini ed alleati.
    Il senso che si può trarre però è che ai partiti spetta di concordare un trattato, cioè un programma, la cui esecuzione deve essere affidata all’autorità superiore della federazione. Cioè di Prodi.
    Un meccanismo di questo tipo, che per la verità non ha funzionato neppure in Europa, visto che gli stati più forti continuano a violare allegramente i trattati economici, non può essere affidato semplicemente a impegni e dichiarazioni.
    Di queste buone intenzioni è lastricata la storia del centrosinistra, senza che ciò abbia impedito le crisi interne.
    Quello che Prodi vuole, probabilmente, è un assetto interno ai partiti che assegni la leadership alle correnti a lui più vicine.
    Fra i diesse, per esempio, si è aperta una gara piuttosto strabiliante a chi è più “prodiano”, tra Piero Fassino e Massimo D’Alema, che ha avuto peraltro l’effetto di iniettare sospetti in gran parte della Margherita. Qui, dove sono in molti a temere una saldatura tra l’egemonismo prodiano e quello postcomunista, si giocherà la partita più aspra.
    Il tema vero non sono le frasi sulla “cessione di sovranità”, ma la concretissima questione di chi decide le candidature, che è il core business dei partiti. Con le primarie si indica il candidato premier, ma tutto il resto, dai presidenti regionali ai sindaci e ai parlamentari, è l’esito di una contrattazione tra i partiti.
    Se invece l’ultima parola in merito spettasse alla federazione, cioè a Prodi, il ruolo dei partiti finirebbe per diventare puramente propagandistico.
    E’ anche per questo che la Margherita ha deciso di presentarsi alle elezioni regionali di primavera con liste proprie, su cui gli altri non hanno diritto ad interferire.
    E questa è una delle ragioni principali di tensione con Prodi.
    Si tratta infatti di una schermaglia preventiva per mettere le mani avanti su quello che sembra sempre di più il vero tema di scontro, quello delle candidature. I partiti tendono a suddividersi i collegi, per poi decidere in casa con quali candidati coprirli, come hanno sempre fatto. Prodi invece vuole che le candidature siano scelte anche nominativamente dalla federazione. La quale finirebbe per assegnare al candidato premier anche la possibilità di fare eleggere una folta schiera di fedelissimi.
    Forse la risposta alla domanda su che cosa vuole davvero Prodi è più semplice di quanto sembri, ed è un forte controllo personale sul sistema di potere del centrosinistra.
    Si tratta di un tema sul quale non bastano le dichiarazioni di fedeltà e i documenti politici. Gli stati maggiori di Ds e Margherita continueranno a vantare la loro coerenza sul progetto di federazione, ma probabilmente, finchè non molleranno il controllo delle candidature, il professore continuerà a rilanciare.
    Franco Marini e Willer Bordon pensano che sia meglio fare le primarie di investitura di Prodi prima delle regionali, in modo da chiarire che non c’è “ammutinamento” come teme Ugo Intini.
    Ma difficilmente questo basterà.

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  3. #63
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    ....Romano Prodi?

    Questa è la domanda che si fanno, un po’ smarriti, i dirigenti politici del centrosinistra, e non solo quelli meno propensi a cedere tutto il potere al professore bolognese.
    Che non voglia ripetere l’esperienza del leader usa e getta del 1998 è comprensibile, ma le garanzie che pretende Prodi sono superiori a quelle, già assai robuste, che Silvio Berlusconi intende introdurre nella Costituzione con la norma antiribaltone. Paradossalmente Prodi, che ha indotto i suoi a chiudere ogni dialogo sulla riforma istituzionale - riforma federale ma anche di rafforzamento del premierato - vuole ancora più leaderismo del suo storico antagonista.
    Aveva chiesto che si formasse una lista unitaria per le elezioni europee, ed è stata fatta;
    ha chiesto una forma solenne e plebiscitaria di investitura, attraverso primarie a candidato unico, e ha avuto anche questo. Ora chiede che vengano rimossi gli “ostacoli”, che non indica con chiarezza, contrapposti alla federazione, ma che sembrano consistere in quell’autonomia politica rivendicata dai partiti che pure potrebbero sottoscrivere il patto.
    Qualche lume si può trarre dal paragone che Prodi ha fatto tra federazione e Unione europea. Sul piano logico non sta in piedi, perché i confini fra gli Stati europei sono ovviamente stabili, mentre fra i partiti è permanente l’azione concorrenziale per conquistare consensi anche in casa di vicini ed alleati.
    Il senso che si può trarre però è che ai partiti spetta di concordare un trattato, cioè un programma, la cui esecuzione deve essere affidata all’autorità superiore della federazione. Cioè di Prodi.
    Un meccanismo di questo tipo, che per la verità non ha funzionato neppure in Europa, visto che gli stati più forti continuano a violare allegramente i trattati economici, non può essere affidato semplicemente a impegni e dichiarazioni.
    Di queste buone intenzioni è lastricata la storia del centrosinistra, senza che ciò abbia impedito le crisi interne.
    Quello che Prodi vuole, probabilmente, è un assetto interno ai partiti che assegni la leadership alle correnti a lui più vicine.
    Fra i diesse, per esempio, si è aperta una gara piuttosto strabiliante a chi è più “prodiano”, tra Piero Fassino e Massimo D’Alema, che ha avuto peraltro l’effetto di iniettare sospetti in gran parte della Margherita. Qui, dove sono in molti a temere una saldatura tra l’egemonismo prodiano e quello postcomunista, si giocherà la partita più aspra.
    Il tema vero non sono le frasi sulla “cessione di sovranità”, ma la concretissima questione di chi decide le candidature, che è il core business dei partiti. Con le primarie si indica il candidato premier, ma tutto il resto, dai presidenti regionali ai sindaci e ai parlamentari, è l’esito di una contrattazione tra i partiti.
    Se invece l’ultima parola in merito spettasse alla federazione, cioè a Prodi, il ruolo dei partiti finirebbe per diventare puramente propagandistico.
    E’ anche per questo che la Margherita ha deciso di presentarsi alle elezioni regionali di primavera con liste proprie, su cui gli altri non hanno diritto ad interferire.
    E questa è una delle ragioni principali di tensione con Prodi.
    Si tratta infatti di una schermaglia preventiva per mettere le mani avanti su quello che sembra sempre di più il vero tema di scontro, quello delle candidature. I partiti tendono a suddividersi i collegi, per poi decidere in casa con quali candidati coprirli, come hanno sempre fatto. Prodi invece vuole che le candidature siano scelte anche nominativamente dalla federazione. La quale finirebbe per assegnare al candidato premier anche la possibilità di fare eleggere una folta schiera di fedelissimi.
    Forse la risposta alla domanda su che cosa vuole davvero Prodi è più semplice di quanto sembri, ed è un forte controllo personale sul sistema di potere del centrosinistra.
    Si tratta di un tema sul quale non bastano le dichiarazioni di fedeltà e i documenti politici. Gli stati maggiori di Ds e Margherita continueranno a vantare la loro coerenza sul progetto di federazione, ma probabilmente, finchè non molleranno il controllo delle candidature, il professore continuerà a rilanciare.
    Franco Marini e Willer Bordon pensano che sia meglio fare le primarie di investitura di Prodi prima delle regionali, in modo da chiarire che non c’è “ammutinamento” come teme Ugo Intini.
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  4. #64
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    ....Romano Prodi?

    Questa è la domanda che si fanno, un po’ smarriti, i dirigenti politici del centrosinistra, e non solo quelli meno propensi a cedere tutto il potere al professore bolognese.
    Che non voglia ripetere l’esperienza del leader usa e getta del 1998 è comprensibile, ma le garanzie che pretende Prodi sono superiori a quelle, già assai robuste, che Silvio Berlusconi intende introdurre nella Costituzione con la norma antiribaltone. Paradossalmente Prodi, che ha indotto i suoi a chiudere ogni dialogo sulla riforma istituzionale - riforma federale ma anche di rafforzamento del premierato - vuole ancora più leaderismo del suo storico antagonista.
    Aveva chiesto che si formasse una lista unitaria per le elezioni europee, ed è stata fatta;
    ha chiesto una forma solenne e plebiscitaria di investitura, attraverso primarie a candidato unico, e ha avuto anche questo. Ora chiede che vengano rimossi gli “ostacoli”, che non indica con chiarezza, contrapposti alla federazione, ma che sembrano consistere in quell’autonomia politica rivendicata dai partiti che pure potrebbero sottoscrivere il patto.
    Qualche lume si può trarre dal paragone che Prodi ha fatto tra federazione e Unione europea. Sul piano logico non sta in piedi, perché i confini fra gli Stati europei sono ovviamente stabili, mentre fra i partiti è permanente l’azione concorrenziale per conquistare consensi anche in casa di vicini ed alleati.
    Il senso che si può trarre però è che ai partiti spetta di concordare un trattato, cioè un programma, la cui esecuzione deve essere affidata all’autorità superiore della federazione. Cioè di Prodi.
    Un meccanismo di questo tipo, che per la verità non ha funzionato neppure in Europa, visto che gli stati più forti continuano a violare allegramente i trattati economici, non può essere affidato semplicemente a impegni e dichiarazioni.
    Di queste buone intenzioni è lastricata la storia del centrosinistra, senza che ciò abbia impedito le crisi interne.
    Quello che Prodi vuole, probabilmente, è un assetto interno ai partiti che assegni la leadership alle correnti a lui più vicine.
    Fra i diesse, per esempio, si è aperta una gara piuttosto strabiliante a chi è più “prodiano”, tra Piero Fassino e Massimo D’Alema, che ha avuto peraltro l’effetto di iniettare sospetti in gran parte della Margherita. Qui, dove sono in molti a temere una saldatura tra l’egemonismo prodiano e quello postcomunista, si giocherà la partita più aspra.
    Il tema vero non sono le frasi sulla “cessione di sovranità”, ma la concretissima questione di chi decide le candidature, che è il core business dei partiti. Con le primarie si indica il candidato premier, ma tutto il resto, dai presidenti regionali ai sindaci e ai parlamentari, è l’esito di una contrattazione tra i partiti.
    Se invece l’ultima parola in merito spettasse alla federazione, cioè a Prodi, il ruolo dei partiti finirebbe per diventare puramente propagandistico.
    E’ anche per questo che la Margherita ha deciso di presentarsi alle elezioni regionali di primavera con liste proprie, su cui gli altri non hanno diritto ad interferire.
    E questa è una delle ragioni principali di tensione con Prodi.
    Si tratta infatti di una schermaglia preventiva per mettere le mani avanti su quello che sembra sempre di più il vero tema di scontro, quello delle candidature. I partiti tendono a suddividersi i collegi, per poi decidere in casa con quali candidati coprirli, come hanno sempre fatto. Prodi invece vuole che le candidature siano scelte anche nominativamente dalla federazione. La quale finirebbe per assegnare al candidato premier anche la possibilità di fare eleggere una folta schiera di fedelissimi.
    Forse la risposta alla domanda su che cosa vuole davvero Prodi è più semplice di quanto sembri, ed è un forte controllo personale sul sistema di potere del centrosinistra.
    Si tratta di un tema sul quale non bastano le dichiarazioni di fedeltà e i documenti politici. Gli stati maggiori di Ds e Margherita continueranno a vantare la loro coerenza sul progetto di federazione, ma probabilmente, finchè non molleranno il controllo delle candidature, il professore continuerà a rilanciare.
    Franco Marini e Willer Bordon pensano che sia meglio fare le primarie di investitura di Prodi prima delle regionali, in modo da chiarire che non c’è “ammutinamento” come teme Ugo Intini.
    Ma difficilmente questo basterà.

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  5. #65
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    Predefinito Il gioco delle....

    ….coppie

    Romano Prodi-Giuliano Amato: coppia a rischio.
    Il presidente della Commissione europea e l’ex premier finora, nonostante qualche dissapore, hanno retto. E, almeno nelle loro intenzioni, dovrebbe reggere anche il patto secondo il quale uno è destinato a palazzo Chigi e l’altro al Quirinale. Ma i Democratici di sinistra sono “gelosi”. Se veramente Prodi andrà alla presidenza del Consiglio, l’altra poltronissima dovrebbe essere occupata da un esponente del maggior partito dell’Ulivo, ovvero la Quercia.

    Romano Prodi-Fausto Bertinotti: finora, una coppia che regge.
    E, a quanto pare, il sodalizio tra il presidente della Commissione europea e il leader di Rifondazione comunista potrebbe sfidare l’onda d’urto della richiesta del ritiro della missione italiana dall’Iraq. Il Prc, infatti, nonostante le prese di posizione ufficiali, non avrebbe intenzione di arrivare alla prova delle aule parlamentari in tempi brevi. Se Bertinotti deve convincere il suo elettorato a presentarsi alle regionali, prima, e a quelle politiche, poi, con l’Ulivo, non può rompere su un tema che sta a così a cuore ai rifondatori. Insomma, non può né vuole dimostrare che il centrosinistra guidato da Prodi in realtà, almeno in questa fase, non punta al ritiro. Ragion per cui, sotto sotto, il primo a giocare le proprie carte con cautela e a puntare a spostare più in là l’appuntamento con le aule parlamentari è proprio il segretario del Prc.

    Piero Fassino-Massimo D’Alema: classico esempio di coppia in crisi costretta alla convivenza.
    Il segretario tenta, finora invano, di sganciarsi dall’onnipresenza dalemiana. Il presidente dei Ds comincerebbe a nutrire insofferenza nei confronti del segretario per il modo in cui questi sta gestendo le ultime vicende della politica. Ciò nonostante, i due potrebbero andare avanti per anni come una coppia annoiata che si detesta ma che vive sotto lo stesso tetto per i figli. Unico fattore di possibile rottura: un eventuale abbandono delle scene politiche da parte di Prodi. Infatti, se il presidente della Commissione europea dovesse convincersi che è meglio evitare di affrontare la competizione con Silvio Berlusconi, allora il tandem Fassino-D’Alema potrebbe rompersi. Il segretario dei Ds potrebbe essere tentato, in quel caso, di scendere in campo, proponendo a un esponente della Margherita (più probabilmente al prodiano Enrico Letta, in subordine al giovane Dario Franceschini) di affiancarlo in questa avventura. Un’avventura che chiuderebbe per sempre le porte a D’Alema: per la Quercia sarebbe impossibile mettere un’opzione sia su palazzo Chigi sia sulla presidenza della Camera o altro.

    Franco Marini-Romano Prodi: coppia improbabile.
    I prodiani stanno mettendo tutta la buona volontà di questo mondo ad accreditarla come coppia dell’anno, nella speranza di spaventare Rutelli e i suoi. Ma, viste le reazioni della Margherita, che non appare preoccupata, la coppia appare sempre più improbabile. Il che non significa che lo stesso Marini non accrediti questa versione.
    Lo fa per depistare sia i giornalisti sia i prodiani: uno sport che gli piace oltremodo.

    Francesco Rutelli-Walter Veltroni: prima si amavano, poi si odiavano.
    Si sono presi e lasciati innumerevoli volte. Ora potrebbero riprendere la relazione e tentare l’avventura, se Prodi dovesse abbandonare il campo.

    Walter Veltroni-Dario Franceschini. Sarebbe una new entry.
    O quasi. Però potrebbe rappresentare quel salto generazionale invocato da più parti.

    Romano Prodi-Walter Veltroni: coppia a sorpresa.
    C’eravamo tanto amati... E altrettanto odiati. Ma potrebbe essere proprio questa la coppia per il gran finale dell’Ulivo. Veltroni potrebbe convincere Prodi a spostare le proprie ambizioni sul Quirinale lasciandogli il posto di candidato premier. I maligni, nella Quercia, sostengono che il primo cittadino della capitale avrebbe fatto già ammiccamenti al presidente della Commissione europea.

    da il Foglio del 5 ottobre

    saluti

  6. #66
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    Coesi

    Finanziaria, Casini scatena la banda del buco.
    Fini contro la Lega

    di Pasquale Cascella

    Il presidente della Camera accoglie la richiesta di stralcio di 17 articoli dalla legge finanziaria. Una richiesta che gli era stata presentata dalla commissione bilancio di Montecitorio su pressione del gruppo leghista e del presidente Giorgetti, anche lui del Carroccio. Nella maggioranza eplode la bagarre. Con un colpo di spugna scompaiono dal testo parecchie norme ambientali, su cui Altero Matteoli aveva puntato tutto. I Ds già chiedono le dimissioni del ministro di An. Fini accusa la Lega: «Avevano detto sì in Consiglio dei ministri. Ora cambiano idea. Così si incrina la maggioranza».
    (segue)

    "Mecojioni!"

  7. #67
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    Predefinito Niente deputati....

    ....fuori sacco

    Roma. E’ un sorriso lunghissimo e un po’ accidentato come gli otto anni di Ulivo che si è lasciato alle spalle, quello con cui ieri Romano Prodi ha ufficializzato la nascita della grande alleanza democratica che nel 2006 dovrebbe riportarlo a Palazzo Chigi.
    Niente a che vedere, almeno in apparenza, con i cattivi umori affiorati nel vertice del 20 settembre scorso, quando i leader del
    centrosinistra avevano rimandato a settembre il professore bolognese e le sue sospirate primarie, aggiornato il dibattito sulla
    federazione e, sulla politica estera, preferito contraddirsi a vicenda sui giornali piuttosto che estenuarsi a porte chiuse.
    Se quella di settembre fu una bocciatura, il conclave di ieri
    riconsegna alla politica italiana un Prodi circondato di buone intenzioni e che molto ha concesso ai partiti.
    Per altrettanto ottenere.
    Anzitutto le primarie entro febbraio, pur sapendo di penalizzare i Ds che in quel periodo hanno fissato il congresso nazionale.
    “Difficile negargliele, le primarie”, dice al Foglio il deputato diessino Giuseppe Caldarola. “Per noi sarà una sofferenza ma siamo abituati al sacrificio”.
    Nessun sacrificio ha fatto invece il centrosinistra nell’annunciare la convocazione del suo popolo nelle piazze, il 6 novembre, contro la finanziaria del governo.
    Perché la manovra è argomento su cui all’opposizione viene facile esibire unità, e che semmai divide la maggioranza.
    Un mezzo capolavoro di mediazione, infine, l’accordo raggiunto sul capitolo iracheno.
    Il più difficile, sbrogliato con la richiesta di ritiro delle truppe italiane, di sostituire quelle “occupanti” con una forza multinazionale e soprattutto avendo in vista l’obiettivo di una conferenza internazionale.
    Una formula che accontenta perché non stabilisce priorità temporali. Per Caldarola “fotografa la disponibilità di tutti”, ma d’altra parte “conferma che la questione del ritiro non è cosa imminente né slegata dalle elezioni americane o dal disegno multilaterale che sta prendendo corpo”, come aggiunge al Foglio il deputato della Margherita Dario Franceschini.
    Insomma lo stretto necessario per accreditare le parole con cui, da Clemente Mastella a Fausto Bertinotti passando per Piero Fassino, Enrico Boselli, Alfonso Pecoraro Scanio, Antonio Di Pietro e Luciana Sbarbati, tutti hanno benedetto la “buona partenza”, e il “clima costruttivo” che li tengono stretti a Prodi.

    “Un capo sotto sorveglianza”
    Anche il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, ha potuto parlare di “turbolenze lasciate alle spalle”.
    L’ex candidato premier, che molto ha fatto di recente per dispiacere (ricambiato) a Prodi, ha gradito il tono conciliante con cui il professore (incontrando i parlamentari della Margherita) ha rinunciato a scegliersi 40 deputati e promesso che la sua casa resta il partito presieduto da Rutelli.
    “La notizia del giorno è l’unità ritrovata”, afferma Franceschini.
    Ma chi lo conosce sa che a Prodi il passo indietro deve essere costato.
    Perché, notano altri nella Margherita, per indossare la veste scintillante del leader “ha di fatto rinunciato a tenersi al di sopra dei partiti e abbassato certi toni ultimativi”.
    Nessuno si aspetta poi che i centristi dell’opposizione si smuoveranno dalle loro posizioni.
    A cominciare proprio da Rutelli, con i suoi sì al dialogo con la maggioranza sulla politica estera, i suoi no all’affossamento incondizionato delle riforme della Cdl, la sua volontà d’intercettare il consenso dei moderati in uscita dal centrodestra.
    “Ferma restando la vocazione unitaria - prosegue Franceschini – non è plausibile che che la Margherita cambi opinione su temi così caratterizzanti”.
    Quanto alle primarie, tutti concordano sul fatto che non ci saranno cattive sorprese: Prodi corre da solo e Bertinotti fa il deuteragonista radicale ma di governo.
    Però i rutelliani sanno che le regionali di primavera sono pur sempre una verifica decisiva e in caso di sconfitta molte cose torneranno in discussione.
    Eventuali tentazioni regicide da parte di Rutelli sono escluse e con forza.
    Ma su Prodi incombe l’esigenza di ricambio generazionale lanciata da Franceschini, a proposito della classe dirigente nazionale, e poi più o meno condivisa da Nicola Rossi.
    Per il senatore Ds Franco Debenedetti, non è questione di anagrafe:
    “Al paese stanco di cui parla Berselli si va incontro con un programma scattante, Prodi è troppo avveduto per ignorare che questo è il suo compito”.
    Meno tranquillizzante l’opinione di un deputato della Margherita:
    “Se anche vincesse, Prodi rimane un leader sotto giudizio”.

    saluti

  8. #68
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  2. L'opposizione deve fare opposizione, non dialogare
    Di sisifo68 nel forum Politica Nazionale
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  3. E ora OPPOSIZIONE
    Di Monsieur nel forum Centrosinistra Italiano
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  4. L'opposizione di....
    Di mustang nel forum Centrodestra Italiano
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  5. Opposizione? Ma non...
    Di mustang nel forum Centrodestra Italiano
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