La "pistola fumante" del sostegno iraniano al terrorismo
di Stefano Magni
Era il 24 marzo 2003. La guerra in Iraq era incominciata da appena quattro giorni, quando il presidente iraniano Mohammed Khatami e l’ayatollah Khamenei decidevano di rendere la vita impossibile alle forze della Coalizione nell’Iraq del dopoguerra inviando forze paramilitari nelle città di Baghdad, Kerbala, Najaf, Bassora e Kirkuk. Leggenda metropolitana o realtà? Di certo c’è che, pochi giorni dopo, il consigliere della sicurezza nazionale iraniano Hassan Rowhani dichiarò ufficialmente che: “Non ci sarà alcun lieto fine nell’occupazione dell’Iraq”. A più di un anno di distanza, il 20 luglio scorso, il nuovo ministro della difesa iracheno, Hazin al-Shaalan, in un’intervista rilasciata al quotidiano londinese in lingua araba “Al-sharq al-Awsat”, ha parlato chiaramente di “palese interferenza” dell’Iran negli affari interni del nuovo Iraq e ha minacciato “rappresaglie” contro i Paesi che sostengono la guerriglia.
La “pistola fumante” del sostegno iraniano alle attività sovversive era stata trovata lo scorso 5 luglio a Baghdad, quando una pattuglia congiunta americana e irachena aveva fermato e arrestato due agenti segreti iraniani (dichiaratisi tali) mentre questi stavano confenzionando esplosivi. Prima di allora si sospettava che l’Iran stesse intervenendo a sostegno della guerriglia sciita soprattutto con finanziamenti e un “appoggio spirituale”. Ma l’arresto del 5 luglio scorso ha mostrato un’altra realtà: è stata la prima scoperta di agenti del servizio segreto iraniano in Iraq direttamente coinvolti in atti di terrorismo. Alla luce di questi eventi, tornano in luce rapporti del passato, perennemente messi in dubbio o smentiti ufficialmente dai vertici di Teheran, da sempre impegnati a sostenere la tesi che l’Iran persegue obiettivi di “stabilità e sicurezza in Iraq”, stando alle dichiarazioni del ministro degli esteri Hamid Reza Asefi.
Torna in mente, soprattutto, la lunga deposizione dell’agente iraniano defezionista Haj Sa’idi, pubblicata interamente sempre sul quotidiano londinese “Al-sharq al-awsat” lo scorso mese di aprile, nel pieno della guerriglia scatenata da Al Sadr contro la Coalizione. L’ex agente segreto iraniano aveva dichiarato che le operazioni coperte iraniane per destabilizzare l’Iraq non si limitavano alle sole regioni sciite, ma “…si estendono da Zakho nel Nord a Umm al-Qasr nell’estremo Sud”. Sa’idi sosteneva che l’omicidio dell’ayatollah al-Hakim, la scorsa estate, era imputabile al servizio segreto iraniano, che l’Iran finanziava regolarmente la guerriglia sciita con 70 milioni di dollari al mese e che solo Al Sadr ne aveva presi 80 durante la sua breve visita in Iran prima dello scoppio della guerriglia in aprile. E non solo i soldi erano destinati ai guerriglieri integralisti, ma anche addestramento per un numero di miliziani compreso fra 800 e 1200, addestrati direttamente da Guardie Rivoluzionarie iraniane, mentre, tramite la sua ambasciata a Baghdad, l’Iran distribuiva 400 telefoni satellitari ai “resistenti” per permettere loro di coordinarsi.
Secondo il defezionista l’infiltrazione iraniana in Iraq era incominciata ben prima della guerra contro Saddam tramite l’invio di agenti reclutati fra gli Iracheni sciiti espulsi dal regime del Baath negli anni ’70 e ’80. Attualmente il reclutamento di nuovi agenti e le operazioni coperte sarebbero mimetizzate da attività caritatevoli a Kazimiya, Al Sadr City (la cittadella sciita a Baghdad), Kerbala, Najaf, Kufa, Nassiriya, Bassora e altre città a maggioranza sciita. Se la testimonianza di Sa’idi può essere messa in dubbio, alcune dichiarazioni degli stessi vertici di Teheran palesano il disegno iraniano, come quando l’ex presidente Rasfanjani aveva definito l’Esercito del Mahdi come una milizia “eroica” che “include molti giovani eroi ed entusiasti scontenti sia di Saddam che degli Americani”.
Ancor meno politically correct le dichiarazioni di Ali Akbar Makhatashemi, presidente del Comitato Internazionale per il Sostegno all’Intifadah: “Noi musulmani dobbiamo creare un fronte contro gli Stati Uniti ed Israele. Il mezzo milione di membri dell’organizzazione creata a Beirut (gli Hizbollah) non è sufficiente. Molti giovani musulmani vogliono compiere operazioni martiri contro i Crociati Americani”. E l’attivista Hizbollah Forouz Rajaii-Far aveva fatto il coro: “Le operazioni martiri sono l’unica opzione per espellere Americani e Inglesi dall’Iraq”.
Stefano Magni