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    Predefinito Santiago de Compostela

    Santiago de Compostela

    STORIA


    San Giacomo (Maggiore), apostolo di Cristo conosciuto come Baanerges (Figlio del Tuono) predicò in Spagna, secondo la tradizione, dopo l’apparizione della Madonna sulla Colonna (pilastro).
    Tornato in Palestina fu decapitato per ordine di Erode Agrippa ma i suoi discepoli imbarcarono il suo corpo nel porto di Gioppe e navigarono fino ad arrivare in Galizia, dove gli diedero sepoltura in un mausoleo ai piedi del Libredòn.

    Le guerre e l’abbandono fecero sì che questo luogo del culto cristiano fosse dimenticato.

    Al principio del secolo IX il vescovo di rio, Teodomiro, che in seguito volle essere sepolto vicino all’apostolo, riconobbe che le reliquie riscoperte erano quelle di Santiago e dei suoi discepoli Atanasio e Teodoro.
    Alfonso Il visitò il luogo e ordinò che fosse eretta una prima e semplice basilica, successivamente sostituita da un’altra più grande sotto il regno del re Alfonso III.

    Dopo il saccheggio di Almanzor del 991 e la ricostruzione del secondo tempio, il patrocinio di San Giacomo contro l’islam comincia a far sentire i suoi effetti: viene istituito il voto e si rinforza il ruolo del regno di Leòn, un cammino di stelle comincia a condurre i pellegrini verso occidente, i miracoli si susseguono.

    Diego Pelàez comincia la cattedrale romanica (1015). Con Gelmirez si raggiunge l’apice del culto, il reliquiario viene benedetto e ottiene dignità arcivescovile.
    Callisto Il istituisce la grazia dell’Anno Santo Compostellano, anteriore all’Anno Santo Romano, confermata dalla bolla di Alessandro III Regis Aeterni (1119).

    Si ottiene anche un giubileo straordinario ogni volta che la festa dell’apostolo (25 luglio) cade di domenica, e questo succede con la periodicità di 6-5-6 e 11 anni. I più recenti sono quelli deI 1993 e del 1999.

    Comincia così il periodo aureo dei pellegrinaggi nel quale Santiago si trasforma nel santuario più visitato del mondo cristiano superando di gran lunga Roma e Gerusalemme.
    Santi, re, cavalieri, borghesi, artigiani e contadini, con o senza seguito, a piedi o a cavallo, tramandando diari di viaggio o anonimamente si avvicinarono a Compostella.

    Un ambasciatore dell’emiro Ali Ben Yusuf si stupiva nel secolo XII di tale mobilitazione: "…è così grande il numero dei pellegrini che vanno a Compostella e di quelli che ne ritornano che appena rimane libera la strada verso occidente".

    La lista delle nazioni che si riunivano nella cattedrale è numerosa, secondo il Còdex Colixtinus (Codice Callistino), il libro V del quale è una complessa guida medievale del pellegrinaggio dove vengono descritte le tappe del Cammino Francese, come erano i villaggi per i quali passava l’itinerario nel secolo XIII, la qualità dell’acqua, le numerose reliquie ed i corpi santi che possono essere visitati; particolare attenzione è data alla città di Santiago e alla sua Cattedrale.
    Si pensa che ne sia l’autore il francese Aymeric Picaud.

    Con la Riforma, lo spirito umanista, le guerre di religione, l’affluenza dei pellegrini diminuì. NeI 1588 l’arcivescovo San Clemente nascose precipitosamente le reliquie temendo un attacco inglese ed anche se il flusso dei turisti aumentò durante l’epoca trionfale barocca, quasi disparve nel XIX secolo.
    Solo la tenacia del cardinale Payà, che scoprii resti durante alcuni scavi e la autenticazione spedita da Leòn XIII nella sua bolla Deus Omnipotens (1884) riuscirono a risvegliare l’antico fenomeno, del quale siamo eredi nonché i testimoni di un interesse sempre più crescente e spettacolare.

    Negli anni 1982 e 1989 per la prima volta nella storia persino un Papa, Giovanni Paolo II, andò in pellegrinaggio a Compostella.

    Per completare l’analisi non resta che riflettere sul senso del pellegrinaggio, perché molte e distinte sono le ragioni per cui milioni di persone si sono recate in pellegrinaggio a Compostella.

    Dante, nella Vita Nuova dice che l’unico pellegrino è quello che va o che viene dalla casa di San Giacomo ed anche se a partire da un’epoca remota nacque una picaresca del cammino non possiamo dimenticare che la maggior parte dei pellegrini è animata da motivi spirituali, siano questi un voto, delle penitenze o semplicemente rendere omaggio all’apostolo, pregare davanti alle reliquie di tanti santi, riflettere (che rappresenta di per sé un cammino simbolico come quello della vita), o cercare "qualcosa".

    I pellegrini di oggi raccontano con grande interesse le emozionanti esperienze che vivono durante il cammino e molti di loro, emulando i loro antecessori, scrivono diari o "itinerari" che spesso sono pubblicati in distinti paesi.
    Tutti sono d’accordo nel mettere in risalto la varietà culturale delle distinte regioni e province che attraversano, i dettagli sull’ospitalità della gente che incontrano e specialmente le riflessioni quotidiane, le loro impressioni sul paesaggio, le esperienze ed i coloriti aneddoti che si susseguono durante la grande avventura giacobea.

    NeI 1981 la rete degli itinerari giacobei a Santiago, grazie alla sua funzione di diffusione delle manifestazioni culturali e allo stesso tempo di creazione di un’identità comune tra i paesi del vecchio continente è stata riconosciuta dal consiglio Europea come Il Primo Itinerario Culturale Europeo.

    IL CAMMINO FRANCESE

    E’ il cammino giacobeo per eccellenza, il più conosciuto, il più transitato e quello che si trova in migliori condizioni.
    Entra in Spagna attraverso Somport o Roncesvalles, e le due diramazioni si uniscono a Puente la Reina. Si possono rinvenire tratti di cammino nella zona di Navarra e la Rioja, come San Millàn de la Cogolla e Sto. Domingo de la Calzada.
    Le terre di Castilla e Leòn sono ricche d’arte e di storia. Burgos con la sua Cattedrale, la Cartuja de Miraflores e il Monastero di Las Huelgas. Poi la pianura, che sembra non finire mai, dei gotici campi di Palencia, con tre nuclei romanici: Fròmista, Villalcàzar de Sirga e Carriòn de los Condes.
    La bimillenaria città di Leòn, dove si trovano la cattedrale, con la superficie dì vetrate gotiche più grande del mondo e la "cappella sistina* del romanico. Astorga, la Croce di Ferro e Villafranca del Bierzo costituiscono l’anticamera della Galizia.

    GALIZIA

    O Cebreiro apre la porta della Galizia: qui restiamo sorpresi dalla presenza delle pallozas, antiche case della zona di Ancares e dintorni, che ricordano gli abitacoli fortificati per la loro forma ellittica ed il tetto di olmo (paglia di segale) cucito con saggina, che protegge molto efficacemente dal freddo e dalla neve.
    Nonostante lo modestia del luogo, con le sue case di montagna e con le sue basse pallozas, è un punto cruciale del pellegrinaggio. Un antico ospedale ed un monastero, probabilmente fondati da San Giraldo di Aurillac, ospitavano i giacobiti. Nel Santuario si conservano i ricordi del miracolo eucaristico che si congiunge con il ciclo del re Artù e con il poema Parsifal.
    Il 9 settembre si celebra la famosa festa del miracolo intorno all’originale Tempio di S.ta Marìa la Real; secondo la leggenda un vicino di Borxomaior si avvicinò un giorno di tormenta al santuario per ascoltare la santa messa ed il sacerdote vedendolo entrare disse dentro di sé: "Guarda questo, che viene in un giorno simile e così affaticato solo per vedere un po’ di pane e di vino". In questo momento si produsse il miracolo della transustanziazione perché quel sacerdote incredulo aprisse gli occhi.
    Due secoli più tardi la regina Isabella la cattolica donò le ampolle d’argento per conservare la carne ed il sangue di Gesù; unitamente a queste si possono ammirare il calice romanica e l’effigie medievale della Madonna il cui Bambino Gesù, dice la leggenda, aprì i suoi occhi dallo stupore di fronte a tal miracolo, e così è rimasto fino ad oggi.
    Un busto ci ricorda Elias Valitia, parroco di O Cebreiro durante molti anni e religioso entusiasta nel ricuperare il culto del Cammino di Santiago in questi ultimi tempi.
    Tra antiche cime montagnose rotonde ed impressionanti si sale fino a S. Rocco e O Poio (1311 m.)
    Il Liber Santi Jacobi descrive la Galizia come "uno terra frondosa, con fiumi, prati, orti straordinari, buoni frutti e fonti chiarissime, il fortunato paese dell’apostolo al quale deve tutti i suoi beni passando attraverso i villaggi di Linares, Hospital da Condesa e Fonfrìa.
    Una volta scesi nella valle troviamo Triacastela, con il suo tempio medievale ed un semplice monumento al pellegrino; a partire da qui il cammino si biforca e possiamo optare per il sentiero più diretto verso Calvor o continuare per la bucolica valle deIl’Oribio e visitare così lo grande abbazia benedettina di San Xuliàn de Samos una delle più antiche e più importanti della Galizia.
    Le sue origini risalgono ai tempi di S. Martìn Durmiense (VI sec) anche se la maggior parte dell’opera fu costruito ai tempi delle riedificazioni dei secoli XVII e XVIII; che ci appare improvvisamente a una svolta della valle dell’Oribio come luogo di pace. Probabilmente d’origine visigota, offre un insieme monumentale dal XVI secolo (Chiostro delle Nereidi) al XVIII (Chiostro grande e tempio).
    Attraverso le sue gallerie sembra ancora di sentir risuonare i passi dell’erudito Padre Feijoo mentre i monaci di oggi recitano le loro orazioni mattutine ed elaborano i liquori di erbe con ricette elaborate con gran cura; attraverso entrambi i cammini si giunge a Sarria.

    Questa cittadina si trova in una fertile pianura che il pellegrino Domenico Laffi (dopo aver varie volte percorso il Cammino di Santiago) definì come "bella e fruttifera, molto abbondante in frutti, dove ci sono molte case, orti e giardini". Il centro storico si trova in alto, intorno ad una torre dell’antica fortezza, con il convento della Maddalena e la chiesa di San Salvatore - La festa dell’anno (il 15 di maggio) o quelle ordinarie (il 6, il 20 ed il 28 di tutti i mesi) sono occasioni propizie per comprare le famose zampette di maiale, le salsicce ed i formaggi tipici del Cebreiro, o per degustare le tipiche impannate ed il polipo.
    Prima di giungere al Mino vedremo l’originale tempio romanico di Santiago de Barbadelo con una torre integrata nella navata principale della chiesa e potremo rinfrescarci, d’estate, all’ombra dei molti boschi di querce della zona. In uno di questi si trova la fortificazione di San Michaelis, attraverso la quale passa il cammino.

    Segue Portomarìn, che ho cambiato posto per la costruzione di una diga, e, se pure il luogo ha perso quello speciale atmosfera medievale, i suoi principali monumenti (S. Nicolàs e la facciata di S. Pedro) accolgono ancora con molto calore i pellegrini che arrivano, visto che sono stati ricostruiti pietra su pietra in un’altra zona. La loro festa viene celebrata la domenica di Pasqua e vi partecipano i cavalieri dell’Orden de la Alquitara.
    Sono molto conosciute le sue torte e le sue famose queimadas elaborate con famose vinacce della zona. A Ligonde una semplice croce ricorda che lì si trova un cimitero di pellegrini.
    Appena fuori dal cammino troviamo Vilar de Donas, monastero medievale con un alture di pietra nel quale viene rappresentato il miracolo eucaristico di O Cebreiro, un baldacchino, sepolture di cavalieri e alcuni bellissimi affreschi gotici con l’Annunciazione ed i busti delle donas, o signore che fondarono la casa.

    Palas de Rei segna l’inizio dell’ultima tappa del Callistino.
    Nel Campo dos Romeiros, nella parte inferiore della città, i pellegrini si riunivano prima di cominciare Io sforzo finale, mentre da lontano già si scorge Informa inconfondibile del leggendario Pico Sacro. Lasciamo la zona dell’ UIla con i suoi pazos (case signorili) immortalati nelle opere letterarie della contessa di Pardo Bazàn e dominata dall’ impressionante fortezza di Pambre una delle poche a resistere ai combattimenti degli Irmandinos nel XV secolo.
    Una volta attraversato il tipico nucleo rurale di S. Xuliàn do Camillo, con la sua semplice chiesa romanica ed i suoi antichi canastros (hòrreos, granai di pietra sopra palafitte independenti dalle case principali) dove si conservava il mais, entriamo nella provincia della Coruna percorrendo a Leboreiro un’autentica via romana, una delle poche che restano, e che era usata dai pellegrini medievali.
    Questo nucleo rurale conserva l’antico casona, che servì da ospedale ai pellegrini, e un tempio medievale.

    Il Ponte Furelos già conosciuto nel XII secolo conduce a Mélide: questo ponte fu l’unico passaggio sul fiume dello stesso nome fino al 1862.
    Con l’ospedale di San Giovanni, già menzionato, troviamo altri vari templi interessanti (S. Pietro, Sancti Spiritus, e di Santa Maria) ed un antico cruceiro molto rozzo (oggi non possiamo stimare l’enorme valore che ebbero nel passato queste costruzioni che erano considerate come opere pie).
    Vi si trova un museo etnografico che raccoglie pezzi archeologici e oggetti tradizionali della regione (A terra de Melide), e quest’ultima mantiene oggi la stessa tradizione artigiana (cuoio, bocce, zoccoli).
    Nei dintorni si possono visitare vari insiemi megalitici e fortificazioni: l’umile ma antico tempio pre-romanico di San Antolin de Yoques, la chiesa di Santa Maria di Mezonzo (Vilasantar), resto dell’antico monastero duplice nel quale predicò S. Pietro de Mezonzo, vescovo di Santiago nei difficili tempi di Almanzor, che compose la Salve Regina; vi troviamo anche l’importante monastero di Sobrado de los Monjes.

    Castalleda fu il luogo dei forni di calce per la costruzione della cattedrale di Santiago, alla costruzione della quale i pellegrini contribuirono secondo le loro possibilità, portando nel loro carniere una pietra dei monti di Triacastela ed accentuando così la loro penitenza.
    Nell’avvallamento di Ribadiso appare un’altra volta il frequente binomio ponte-ospedale, quest’ultimo in pessime condizioni.

    In alto, Arzùa, centro di una regione di formaggi deliziosi dove la gente nel viale dei pioppi del centro della cittadina ha elevato un monumento alle venditrici di questi ultimi; la fiera annualeviene celebrata la prima domenica di marzo.
    La cappella gotica della Maddalena costituisce l’unico resto del convento degli Agostiniani, dove albergavano i pellegrini.
    Il nostro cammino giunge a termine, I pellegrini si bagnavano a Labacolla, in un piccolo torrente e correndo salivano in cima al Monte della Gioia per vedere chi era il primo ad ammirare le torri della cattedrale e ad essere eletto, secondo la tradizione, re del pellegrinaggio, fatto che si tramanda in molti cognomi.
    Da questo Monxoi i cavalieri, scendendo dalle loro cavalcature, percorrevano a piedi l’ultimo tratto di cammino fino a Santiago e tutti rendevano grazie all’apostolo per aver potuto concludere il pellegrinaggio felicemente.

    Un giorno di pioggia e di vento deI 1669 arrivò a Santiago il corteggio di Cosimo de’ Medici, granduca di Toscana. Quella che videro fu una città ancora medievale che parve loro rozza e grigia, come sprofondata tra i monti, con alcune case di legno molto umili, eccezion fatta per quattro o cinque grandi edifici.
    Questa è solo una prova di come la città attuale, premiata dal Consiglio d’Europa e dichiarata patrimonio culturale dell’umanità daII’Unesco, si deve soprattutto alle grandi opere barocche che le conferiscono (a sua particolare fisionomia inviluppando completamente le strutture ed i monumenti anteriori.

    Tutti gli itinerari entravano in distinti punti dello città, però l’itinerario classico che seguono i pellegrini del Cammino Francese comincia per los Cancheiros, dove si vendevano le conchiglie, e scende poi per la via di San Pedro, vicino al convento di Bonaval e per il cruceiro do Home Santo fino alla Porta do Camino.
    Qui cominciava il recinto delle mura. Seguono la strada Casas Reales con le chiese di Santa Marta del Camino e (a Piazza Cervantes e la Azabacheria (quartiere dove si lavorava la lignite), altro nome collettivo che si riferisce alle antiche maestranze ed ai laboratori che lavorano ancora oggi questa materiale.
    Si entra nella cattedrale attraverso la facciata nord, eccetto durante gli Anni Santi, durante i quali si uso la Porta Santa della Quintana.

    Il rito del pellegrino, una volta entrato nella cattedrale, comincia con il Portico della Gloria dove si deve mettere la mano nella cavità formata da tante migliaia di persone che ci hanno preceduto.
    Sul lato opposto della bifora daremo tre colpi di testa contro quella del Maestro Matteo, conosciuto popolarmente come Santo delle Testate perché si dice che trasmettesse la sua saggezza in questa modo.
    Nella cripta si può visitare l’arco delle reliquie dell’apostolo per poi risalire ed abbracciare l’immagine di San Giacomo sull’altare maggiore.
    Tutti i giorni o mezzogiorno si celebra la messa del pellegrino e con un po’ di fortuna si potrà veder valore il botafumeiro (enorme incensario) per la navata del transetto.
    Sicuramente questo grande incensiere, il più grande del mondo, aromatizzava già le navate della cattedrale durante il medioevo anche se il suo disegno doveva essere più primitivo.
    Non ci resta ora che richiedere la Compostela, un documento che attesta che abbiamo completato il cammino nel modo tradizionale.

    Quando il pellegrino francese Manier arrivò a Compostella neI 1126 i pellegrini erano fortunati perché potevano mangiare cioccolato nella chiesa di S. Francesco, pranzare nella chiesa di S. Martino, delle Carmelite e dei Gesuiti e cenare in quella di San Domenico grazie alla carità del convento; per di più nel Hospital Real riservavano loro dei buoni letti; nel caso avessero avuta ancora fame c’erano le taverne del Franco per provare le sardine ed il vino della regione.
    Anche se i tempi sono cambiati, il pellegrino attuale ha ancora il diritto con Io sua certificazione Compostellana di cibarsi per tre giorni nel Parador dei Re Cattolici e ritirarsi nel rifugio che gli sarà offerta nella chiesa di S. Francesco o nel Seminario Minore.

    La città dell’apostolo è piena di monumenti e di richiami artisticamente interessanti, ed è il luogo ideale per le passeggiate calme, senza fretta eccessiva, scoprendo le strade della città; le sue piazze ed i suoi angoli sono un premio per lo sforzo realizzato durante tanti giorni.

    Il pellegrino o il turista può degustare tutta la cucina galiziana a Compostella: pesce e frutti di mare (non dimentichiamo i singolari Santiaguinos o le conchiglie di San Giacomo, simbolo del pellegrinaggio), carni, i migliori vini del paese (ribeiro, ulla, valdeorras) e come dessert Io tipica torta di mandorle di Compostella.
    Nelle strade del centro storico è frequente gustare tapas e consumare razioni nelle taverne.

    Le feste più importanti sono quelle di luglio in onore dell’apostolo San Giacomo, la notte del 24 si brucia la facciata di legno situata nell’Obrodoiro e si assiste alla spettacolare esplosione dei fuochi artificiali.

    Santiago fu sempre una città di artigiani e lo dimostra la sua famosa oreficeria (oggetti giacobei d’argento), gli originali oggetti di lignite i cui atelier hanno dota il loro nome ad una strada e ad una facciata della Cattedrale, gli intagli, la ceramica, le bambole, le candele egli ex-voto, la fucina, ecc. Intorno alla Cattedrale si concentra il commercio tradizionale.

    FONTE

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    Predefinito 25 luglio - S. Giacomo il Maggiore

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Giacomo il Maggiore, Apostolo

    25 luglio - Festa

    Martire a Gerusalemme nel 42 d.C.

    Nato a Betsaida, era fratello di Giovanni Evangelista e figlio di Zebedeo e di Salome. Seguì Gesù fin dall'inizio della sua predicazione e, vittima di una prima persecuzione giudaica dopo la Pentecoste per cui fu imprigionato e flagellato, morì nel 42 d.C. durante la persecuzione di Erode Agrippa.. Secondo una tradizione non anteriore al VI secolo, Giacomo fu il primo evangelizzatore della Spagna, dove fu sepolto a Compostela. Il sepolcro contenente le sue spoglie, traslate da Gerusalemme dopo il martirio, sarebbe stato scoperto al tempo di Carlomagno, nel 814. La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica.

    Detto il Maggiore (per distinguerlo dall'omonimo apostolo detto il Minore), Giacomo figlio di Zebedeo e Maria Sàlome e fratello dall'apostolo Giovanni Evangelista, nacque a Betsàida. Fu presente ai principali miracoli del Signore (Mc 5,37), alla Trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Mt 17,1.) e al Getsemani alla vigilia della Passione. Pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, con lui viene soprannominato da Gesù «Boànerghes» (figli del tuono) (Mc 3,17; Lc 9,52-56). Primo tra gli apostoli, fu martirizzato con la decapitazione in Gerusalemme verso l'anno 43/44 per ordine di Erode Agrippa. Il sepolcro contenente le sue spoglie, traslate da Gerusalemme dopo il martirio, sarebbe stato scoperto al tempo di Carlomagno, nel 814. La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata. (Avvenire)

    Patronato: Pellegrini, Cavalieri, Soldati, Malattie reumatiche

    Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico

    Emblema: Cappello da pellegrino, Conchiglia, Stendardo

    Martirologio Romano: Festa di san Giacomo, Apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni evangelista, fu insieme a Pietro e Giovanni testimone della trasfigurazione del Signore e della sua agonia. Decapitato da Erode Agrippa in prossimità della festa di Pasqua, ricevette, primo tra gli Apostoli, la corona del martirio.

    Martirologio tradizionale (25 luglio): San Giacomo Apostolo, fratello del beato Giovanni Evangelista: circa la festa di Pasqua decapitato da Erode Agrippa, primo fra gli Apostoli ricevette la corona del martirio. Le sue sacre ossa, da Gerusalemme trasferite in questo giorno nella Spagna, e riposte negli estremi suoi confini in Galizia, sono piamente onorate dalla notissima venerazione di quelle genti e dal numeroso concorso di Cristiani, che si recano colà per devozione e per voto.

    E’ detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade. Chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea) anch’essi lo seguono (Matteo cap. 4). Nasce poi il collegio apostolico: "(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (...) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono" (Marco cap. 3). Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani. Conosciamo anche la loro madre Salome, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto. Chiede infatti a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti a bere il calice che egli berrà. Così, ecco l’incidente: "Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono". E Gesù spiega che il Figlio dell’uomo "è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Matteo cap. 20).
    E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. "Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni" (Atti cap. 12). Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna). A Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re. Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani. L’ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto questa: il suo martirio.
    Secoli dopo, nascono su di lui tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna. Quando poi quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela. Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel 1989 hanno fatto il “Cammino di Compostela” Giovanni Paolo II e migliaia di giovani da tutto il mondo.

    Autore: Domenico Agasso





    Giuseppe Vermiglio, S. Giacomo Maggiore Apostolo, Chiari (BS)

    Andrea del Sarto, S. Giacomo Maggiore Apostolo, 1528 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Giulio Cesare Bedeschini, S. Giacomo Maggiore Apostolo, prima metà sec. XVII, Museo Nazionale d'Abruzzo, L'Aquila



    Francisco de Zurbarán, Martirio de Santiago, 1639, Museo del Prado, Madrid

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    Predefinito Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

    (Om. 65, 2-4; PG 58, 619-622)

    I figli di Zebedeo chiedono al Cristo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 37). Cosa risponde il Signore? Per far loro comprendere che nella domanda avanzata non vi è nulla di spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, risponde: «Non sapete ciò che domandate», cioè non ne conoscete il valore, la grandezza e la dignità, superiori alle stesse potenze celesti. E aggiunge: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?» (Mc 10, 38). Voi, sembra dir loro, mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece di lotte e di sudori. Non è questo il tempo dei premi, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente è tempo di morte violenta, di guerre e di pericoli.
    Osservate quindi come, rispondendo loro con un'altra domanda, li esorti e li attragga. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma domanda: «Potete voi bere il calice» e per animarli aggiunge «che io devo bere?», in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione «battesimo» per far capire che tutto il mondo ne avrebbe ricevuto una grande purificazione. I due discepoli rispondono: «Possiamo!». Promettono immediatamente, senza sapere ciò che chiedono, con la speranza che la loro richiesta sia soddisfatta. E Gesù risponde: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39). Preannunzia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete con me; finirete la vita con una morte eroica e parteciperete a questi miei dolori. «Ma sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10, 40).
    Dopo aver preparato l'animo dei due discepoli e dopo averli fortificati contro il dolore, allora corregge la loro richiesta.
    «Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli» (Mt 20, 24). Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.

    Urna delle reliquie dell'Apostolo S. Giacomo a Compostella

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    Predefinito Dalle Omelie di san Beda il Venerabile.

    In Natale sancti lacobi apostoli, Lib.II, hom. 18. PL 94, 228-233.

    Poiché desiderava sanare le ferite della superbia umana, il nostro Creatore e Redentore, il Signore Gesù Cristo, pur essendo di natura divina, divenne simile agli uomini umilio sé stesso facendosi obbediente fino alla morte (Fil 2, 6.8).

    Con l'esempio Gesù ci ha avvisati che se vogliamo arrivare al culmine della vera altezza, dobbiamo intraprendere il cammino dell'umiltà. Se bramiamo vedere la vera vita, il Maestro ci esorta a soffrire con pazienza le avversità del mondo presente e perfino la morte.

    Gesù ci ha promesso i doni della gloria, ma ci ha preannunziato i rischi della battaglia. Ecco la sua promessa.

    Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla a, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo(Lc 6, 35). Dunque, Gesù promette ai suoi la dorata, ricompensa della vita eterna; però segnala che prima è necessario passare per una porta stretta e uno scomodo sentiero.

    Per giungere sulla cima d’un monte, bisogna affrontare, rudi fatiche; quanto sforzo sarà allora necessario per avere, la vita in cielo e riposare sul monte di Dio, di cui parla, il salmista (Sal 14, 1)? Quando i figli di Zebedeo sollecitano da Gesù di sedere accanto a lui nel suo Regno, il Signore ribatte offrendo loro il suo calice da bere. Li invita cioè a imitare l'agonia della sua passione, perché ricordino che i beni del cielo si acquistano in terra al duro prezzo dell'abiezione e della prova.

    Si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostro per chiedergli qualcosa (Mt 20, 20).

    Possiamo immaginare che una tale richiesta fosse provocata da eccessivo affetto materno o da desideri ancora egoistici da parte dei discepoli, forti di una parola del Maestro: Quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele (Mt 19, 28).

    D'altronde Giacomo e Giovanni si sapevano amati in modo speciale dal Signore. L'evangelista ricorda che Gesù talvolta li prendeva in disparte con Pietro, per renderli partecipi di misteri che agli altri rimanevano nascosti.

    L'amore di predilezione che Gesù testimonia a Pietro, Giacomo e Giovanni si manifesta nei nomi nuovi che loro dà. Simone merita di essere chiamato Pietro per la fortezza e la stabilità della sua fede inespugnabile. Giacomo e Giovanni si vedono soprannominati da Gesù "i figli dei tuono" perché insieme con Pietro udirono la voce del Padre quando Gesù si trasfigurò sul monte.

    Ai figli di Zebedeo certo era stato rivelato molto di più sui misteri divini che non agli altri discepoli, ma a loro importava soprattutto aderire con cuore indiviso al Signore e sentirsi avvolti dal suo amore.

    Per tali motivi, Giacomo e Giovanni supponevano che fosse possibile aspirare di sedere più da vicino al Signore nel Regno, specie perché Giovanni, per la sua verginità e la grande purezza di cuore, era tanto caro a Gesù da poggiare il capo sul petto di lui durante la cena.

    Ma ascoltiamo ora che risposta dà a tale richiesta colui che conosce i meriti e distribuisce le dignità.

    La semplicità tinta d'affetto e di fiducia, con cui i figli di Zebedeo chiedono di sedere accanto al Signore nel suo Regno, è certo degna di lode. Tuttavia sarebbe stato meglio che, coscienti della loro fragilità, essi avessero avuto la saggia umiltà di dire: Per me stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi (Sal 83, 11).

    Non sanno quello che chiedono nel reclamare dal Signore l'eccellenza del premio prima di aver fornito la perfezione delle opere. Ma il divino Maestro insinua loro ciò che va cercato in priorità, rammentando che la strada della fatica è l'unico percorso che sfocia nel relativo compenso.

    Egli dice loro: Potete bere il calice che io sto per bere (Mt 20, 22)? Il calice simboleggia le amarezze della passione. I giusti d'ogni tempo possono condividere le sofferenze del Signore, perché queste continuamente riaffiorano nella crudeltà dei miscredenti. Ogni uomo che le accetti con umiltà, con pazienza, persino con gioia a causa di Cristo, regnerà in alto con lui.

    Ai figli di Zebedeo, bramosi dei primi posti, Gesù espone la necessità di seguire anzitutto l'esempio della sua passione per raggiungere finalmente il culmine della gloria desiderata.

    L'apostolo Paolo offre il medesimo insegnamento di vita, quando scrive: Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione (Rm 6, 5).

    Gesù dice ai figli di Zebedeo: Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra ma e per coloro per i quali e stato preparato dal Padre mio (Mt 20, 23). Se quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa (Gv 5, 19), Gesù come può dire che non sta a lui concederlo se non perché egli è insieme Dio e uomo?

    Nel vangelo Gesù talvolta parla con la voce della maestà divina, per cui è uguale al Padre, talvolta parla con la voce dell'umanità assunta, per la quale si è fatto uguale a noi.

    Poiché nel testo odierno egli vuol dare agli uomini un esempio di umiltà, parla essenzialmente con la voce della sua natura umana.

    Abbiamo visto che la madre viene con i figli a presentargli una richiesta. La donna lo interroga in quanto uomo che ignori quello che è occulto e non conosca il futuro, lui che nell'eternità della potenza divina sa tutto quello che deve accadere.

    Questa donna si rivolge all'umanità di Gesù più che alla sua divinità, perché chiede che i figli possano sedere alla sua destra e alla sua sinistra. In quanto ha assunto un corpo, il Figlio ha infatti una destra e una sinistra; ma in quanto Dio, ciò non ha senso.

    Poiché Gesù è interrogato in quanto uomo, risponde facendo astrazione della sua divinità impassibile e parla della passione che dovrà subire come uomo. Egli propone ai discepoli di imitare il suo itinerario doloroso e conferma la loro protesta di coinvolgimento attestando: il mio calice lo berrete (Mt 20, 23).

    Nel commento di questo testo non va tralasciato che Gesù non fa distinzioni tra i due discepoli quando afferma che berranno il suo calice. Ora sappiamo che Giacomo terminò la vita con l'effusione del sangue, mentre Giovanni morì in un periodo di pace per la Chiesa.

    Luca attesta chiaramente il martirio di Giacomo quando scrive: In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni (At 12, 1-2).

    Da parte sua, Eusebio, nella "Storia Ecclesiastica", riferisce alcuni particolari di quella passione: "Colui che aveva consegnato Giacomo al giudice. rimase sconvolto. Confessò di essere anch'egli cristiano, e ambedue furono condotti insieme al supplizio. Per via, quell'uomo chiese a Giacomo di perdonarlo. Dopo un istante di riflessione, Giacomo gli disse: 'La pace sia con te', e gli dette il bacio santo. Cosi ambedue furono decapitati".

    Sappiamo che Giovanni era pronto per bere il calice di morte per il Signore. Negli Atti leggiamo di lui che insieme con gli apostoli fu lieto di aver subito gli oltraggi, il carcere e le percosse per amore del nome di Gesù (At 5, 41). Sappiamo pure che Gìovanni, a motivo della parola di Dio, fu relegato in esilio nell'isola di Patmos.

    Quanto al supplizio ch'egli avrebbe sofferto sotto Domiziano, la tradizione vuole che sia stato gettato in una caldaia di olio bollente. Ma Giovanni ne usci sano e salvo,così com era integro di mente e di vita.

    Sempre Domiziano mandò Giovanni in esilio; eppure quanto più l'Apostolo pareva privo di ogni soccorso terreno, tanto più i cittadini del cielo venivano a consolarlo.

    Giovanni bevve realmente al calice del Signore tanto quanto suo fratello decapitato, giacché per le tante prove sostenute in difesa della verità, dimostrò che avrebbe prontamente affrontato la morte se si fosse presentata l'occasione.

    Anche noi, cari fratelli, possiamo ricevere il calice di salvezza e ottenere la palma del martirio, pur senza soffrire catene, supplizi, carcere e persecuzione per la giustizia. Basterà trattare duramente il nostro corpo e tenerlo sottomesso, pregare Dio con cuore umile e pentito; basterà sopportare serenamente le offese del prossimo, amare chi non ci vuol bene, mostrarsi buoni con chi ci tratta male, impegnandoci a pregare per la loro vita e la loro salvezza. In una parola, rivestiamoci di pazienza e orniamoci del frutto di buone opere.

    Seguiamo il consigio dell'Apostolo che ci esorta a offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rm 12, 1).

    Se vivremo cosi, Dio ci ricompenserà, elargendoci la gloria riservata a coloro che per Cristo consegnarono le proprie membra al martirio.

    Allora la nostra vita sarà preziosa agli occhi del Signore quanto la morte dei martiri. E quando i legami della carne si scioglieranno, meriteremo di entrare nelle dimore della Gerusalemme celeste. La, insieme con i cori dei beati, renderemo grazie al nostro Redentore che vive e regna con il Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito Dai Discorsi di san Francesco di Sales.

    Sermon pour la fète de Saint Jean ad Portam Latinam. Oeuvres Annecy, 1897, t. IX, 73-79.

    Oggi la santa Chiesa celebra la festa di un apostolo. Invece di parlarci delle perfezioni, dei carismi e delle virtù di san Giacomo, il vangelo ci riferisce uno dei suoi grandi limiti, l'ambizione che lo agitava.

    Ammiro la semplicità degli evangelisti nello scrivere questo episodio. Cosi possiamo vedere come lo Spirito di Dio sia opposto a quello del mondo. Quando infatti la gente del mondo vuol lodare i suoi campioni, ne segnala sempre le virtù, le perfezioni, i lati positivi, li insignisce di tutti i titoli e le qualità che li rendano più onorabili, tacendo però quanto potrebbe scalfirne la reputazione.

    La nostra madre Chiesa fa esattamente il contrario. Ella ama teneramente i suoi figli, ma quando vuole lodarli o esaltare, riferisce senza attenuanti i peccati che essi commisero prima della conversione. In questo modo la Chiesa procura molto più onore e gloria alla maestà di Dio, che santificò questi uomini irradiando su di essi la sua infinita misericordia Dio infatti, dopo averli tratti fuori dalla miseria morale e dalla colpa, li ha colmati con le sue grazie e il suo amore mediante cui sono pervenuti alla santità.

    L'apostolo san Giovanni aveva pochissimi limiti, così innocente com'era, e poi puro, casto, giovanissimo. Tuttavia, il vangelo ci riferisce che lui e suo fratello Giacomo avevano il desiderio assillante di sedere l'uno a destra e l'altro a sinistra di nostro Signore.

    Possiamo credere che i due fratelli concertarono il modo per conquistare quella dignità, ma non la vollero chiedere apertamente. Si sa che gli ambiziosi non usano pretendere di persona quanto bramano, nel timore di essere giudicati per quello che sono.

    I figli di Zebedeo escogitarono perciò un espediente: si rivolsero alla madre, perché fosse lei a presentare la petizione al Signore. Giacomo e Giovanni erano certi che Gesù avrebbe concesso quel favore a motivo dell'affetto che aveva per loro. In realtà, il Signore amava assai i due fratelli e in modo speciale san Giovanni, la cui dolcezza e purità glielo rendevano tanto caro.

    Per ottenere più facilmente quanto desiderano, i due si rivolgono dunque alla madre; questa, tutta zelante per il bene e l'onore dei figli, va a presentarsi da nostro Signore, il loro buon maestro. Si prostra ai suoi piedi con umiltà per guadagnarselo e venire esaudita.

    Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno. L 'evangelista Marco specifica che i due fratelli soggiunsero: Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo (Mc 10, 35).

    Vi prego di notare quanto sia grande la nostra miseria! Desideriamo che Dio faccia la nostra volontà e non vogliamo fare la sua quando non concorda con la nostra. A un attento esame troveremo che la maggioranza delle nostre richieste sono piene di imperfezione e mirano unicamente al nostro soddisfacimento.

    Vi cito un caso: se stiamo pregando, vogliamo che prontamente il Signore ci parli, ci visiti, ci consoli. Gli diciamo di far questo, di darci quello, e se per il nostro bene lui non lo fa, eccoci inquieti e rannuvolati.

    Quanto saremmo felici se regnasse in noi la santa volontà di Dio! Non commetteremmo più nessun peccato baderemmo di non vivere alla mercé dei nostri umori delle nostre inclinazioni disordinate, poiché la volontà divina è la regola di ogni autentica santità.

    Il Signore risponde ai nostri due santi: " Potete bere il calice che io sto per bere? Non immaginatevi che esso consista nel raccogliere onori, dignità, posti prestigiosi e gratificanti. Niente di tutto questo. Bere al mio calice vuol dire condividere passione, pene, sofferenze, chiodi e spine; significa bere fiele e aceto, e alla fine morire sulla croce con me".

    Dobbiamo stimare un favore e una fortuna grandissima portare la croce e venirvi inchiodati con il nostro dolce Salvatore!

    I martiri bevvero quel calice in breve tempo. Alcuni lo vuotarono in un sorso, altri ci misero un'ora, chi due o tre giorni, chi un mese. Quanto a noi, se non berremo quel calice con un rapido martirio, possiamo almeno sorseggiarlo nel corso dell'intera esistenza terrena, mediante una continua abnegazione. Così fanno e devono fare tutti i religiosi e le religiose che Dio ha chiamato a questa speciale consacrazione per portare la sua croce e venire crocifissi con lui.

    E' davvero un pesante martirio non fare mai la propria volontà, sottomettere continuamente il proprio modo di vedere, estirpare dal cuore ogni affetto impuro e quanto non è Dio. In breve, si tratta di non vivere più secondo le proprie inclinazioni o le proprie fantasie, per seguire la ragione e la volontà divina.

  6. #6
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    Giovanni Battista Tiepolo, S. Giacomo il Maggiore conquista i Mori, 1749-50, Museum of Fine Arts, Budapest

    Jacopo da Bassano, Madonna con Bambino e Santi (SS. Giacomo il Maggiore e Giovanni Battista), 1545-50, Alte Pinakothek, Monaco

    Michele Giambono, Polittico di S. Giacomo il Maggiore (S. Giacomo, attorniato, dai SS. Giovanni evangelista, Venerabile Felice Pelizzi, dell'Ordine dei Serviti, Michele Arcangelo e Ludovico di Tolosa), 1450 circa, Galleria dell'Accademia, Venezia

    Lorenzo Lotto, Madonna con Bambino ed Angelo e SS. Caterina d'Alessandria e Giacomo il Maggiore, 1527-28, Kunsthistorisches Museum, Vienna

    Camillo Rusconi, S. Giacomo il Maggiore, 1715-18, Basilica di San Giovanni in Laterano, Roma

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    Juan Carreño De Miranda, S. Giacomo Maggiore ("matamoros", cioè "uccisore di mori") nella battaglia contro i Mori a Clavijo, 1660, Museum of Fine Arts, Budapest

    Pietro da Cortona, Madonna con Bambino e Santi (SS. Giovanni Battista, Giacomo il Maggiore, Francesco d'Assisi e Stefano papa), 1626-28, Museo dell'Accademia Etrusca, Cortona

    Piero del Pollaiuolo, Altare con tre Santi, Vincenzo di Saragozza, Giacomo Maggiore ed Eustachio, 1467-68, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Cosme Tura, S. Giacomo Maggiore, 1475, Musée des Beaux-Arts, Caen

    Boeckhorst Johann detto Jan Lange, Martirio di S. Giacomo, XVII sec., musée des Beaux-Arts, Valenciennes


    Jusepe de Ribera, S. Giacomo Maggiore, 1631, Museo del Prado, Madrid

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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo sulla prima lettera ai Corinzi

    Homilia IV, 2-5, in PG 61, 33-37.

    Per dimostrare la potenza della croce, san Paolo esclama: Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio! Parole di profondo significato. L’Apostolo vuoI dire che Dio è riuscito vincitore con mezzi opposti a quelli della sapienza del mondo; se ne deduce che la predicazione del vangelo non è opera umana.
    Paolo intende questo: quando noi diciamo ai Giudei: “Credete!”, essi ci rispondono: “Risuscitate i morti, sanate gli ossessi, mostrateci prodigi”.
    Che replichiamo noi? “Colui che vi predichiamo fu crocifisso ed è morto”.
    Questa dichiarazione non è fatta per attirare i maldisposti, anzi a volte potrebbe respingere i simpatizzanti. Ebbene, invece non solo non li respinge, ma li attira, li soggioga, li vince.

    I Greci da parte loro ci chiedono eloquenza, argomentazioni stringenti e noi in risposta predichiamo loro la croce che, se per i Giudei è impotenza, per i Greci è follia.
    Non soltanto dunque neghiamo agli uni e agli altri quel che ci chiedono, ma offriamo anche il contrario; la croce, secondo la visuale umana, non è un prodigio, ma la negazione di ogni prodigio, una prova di debolezza anziché di forza, indizio di stoltezza e non di sapienza.
    Ora, se coloro che cercano prodigi e sapienza, anziché trovarli trovano l’opposto, eppure restano persuasi, come non riconoscere ineffabile la potenza di colui che viene loro predicato?

    Gli apostoli hanno trionfato non mediante prodigi, ma comportandosi in modo diametralmente opposto.
    Nella guarigione del cieco nato, Cristo aveva fatto lo stesso. Per curarlo si servi d’un mezzo che sembrava fatto apposta per aggravare la sua cecità: gli mise sugli occhi un po’ di fango. Ebbene, come guarì il cieco con la mota, così convertì il mondo con la croce, ciò che era un aggravare lo scandalo invece di toglierlo.
    Ora, è una grande prova di forza e di sapienza riuscire ad infondere la fede con ciò che dovrebbe piuttosto distruggerla. La croce non sembra offrire motivo di scandalo? Invece non solo non scandalizza, ma addirittura attira.
    Davanti a questo sbalorditivo paradosso, Paolo esclama: Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. L’Apostolo riprende l’argomento degli avversari. Chiama stoltezza e debolezza la croce, non perché lo sia in realtà, ma perché tale era ritenuta. Ciò che i filosofi non poterono fare con i loro dotti ragionamenti, lo compì questa pretesa stoltezza.

    La croce: quella si ha persuaso! Per opera di poveri ignoranti ha conquistato il mondo: non trattando problemi marginali, ma parlando di Dio, della fede vera, della morale evangelica, del giudizio futuro. E da gente rozza e ignorante trasse uomini sapienti.
    Ecco in qual modo ciò che è stolto e debole in Dio è più sapiente e più forte di ciò che è tale secondo gli uomini. In che senso più forte? Perché la croce si è imposta a tutta la terra, e tutto ha attirato a sé con forza.
    Mentre tutto congiurava per spegnere il nome di colui che è stato inchiodato su una croce, si è avverato proprio il contrario. Questo nome è divenuto di giorno in giorno più grande e glorioso, mentre quelli che lo osteggiavano sono finiti e caduti in oblio. Proprio così: tanti vivi in lotta contro un morto non sono riusciti a vincerlo.

    Quando il non credente sostiene che sono pazzo, proprio allora prova che il demente è lui; quando mi accusa di stoltezza, allora la mia sapienza appare più grande di quella dei suoi filosofi.
    Ciò che pubblicani e pescatori hanno potuto fare con la grazia di Dio, essi con tutti i loro filosofi, rètori, re, con tutte le forze del mondo coalizzate insieme non sono riusciti nemmeno ad immaginarlo.
    Che cosa ci ha insegnato la croce? L’immortalità dell’anima, la risurrezione dei corpi, l’inconsistenza dei beni attuali, il desiderio di quelli futuri. Ha trasformato gli uomini in angeli, tutti sono diventati filosofi pronti a testimoniare ogni più forte virtù.

    Pensando alle suddette conseguenze, Paolo esclamava: Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.43 Ecco quello che rende ovvio il carattere divino della predicazione evangelica. Come poteva venire in mente a dodici poveri ignoranti che avevano passato la vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Forse non avevano mai esordito in una città o in una piazza. Come allora potevano concepire d’affrontare la terra intera?
    Che essi fossero paurosi e pusillanimi lo affermano chiaramente coloro che ne scrissero la vita, senza dissimulare nulla o nasconderne i difetti: ciò costituisce la migliore garanzia di veridicità.
    Che dicono dunque degli apostoli? Nei vangeli si racconta che quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti i suoi fuggirono e il loro capo rinnegò il Signore.

    Come si spiega che gli apostoli, quando Cristo era ancora in vita, non abbiano saputo resistere a pochi Giudei? Come mai, lui morto e sepolto, e secondo gli increduli non risuscitato (e quindi nell’impossibilità d’incoraggiarli con la parola), si siano invece schierati contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: “Ma che succede? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non si è difeso da vivo, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione e noi, in nome suo, dovremmo conquistare l’universo?”.
    Gli apostoli come avrebbero potuto ragionevolmente, non dico metter mano a simile impresa, ma anche solo concepirne l’idea? E’ evidente che se non avessero visto Cristo risuscitato, e se non si fossero trovati di fronte’ a una prova incontestabile della sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio.

    Dire che gli dèi sono demoni e non dèi, e che il vero Dio è uno finito crocifisso, sapete bene quali collere ha potuto accendere e quali guerre scatenare. Si trattava di una duplice innovazione: le divinità erano distrutte e un Crocifisso veniva proclamato.
    Come i discepoli hanno potuto essere indotti a predicare una simile dottrina? Come hanno potuto sperare di venirne in qualche modo a capo? Chi potevano aver visto riuscire prima di loro in una simile impresa? Nessuno, perché il mondo pagano aveva divinizzato gli elementi della natura; i costumi in voga avevano introdotto usi empi, ben diversi da quelli annunziati da ogni discepolo di Cristo.
    Eppure essi sfidano tutto e tutto abbattono; in un baleno percorrono il mondo intero come se avessero le ali, senza tenere alcun conto di pericoli e di morte, senza riflettere alle difficoltà dell’impresa, al loro numero limitato, alla moltitudine dei loro avversari. Non furono sgomenti dell’autorità, della potenza, dell’avvedutezza dei nemici.
    Avevano un’alleata ben più potente di tutta quella coalizione di forze: la potenza del Crocefisso-Risorto.

  9. #9
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    Predefinito Dal trattato “Sulla fede” di sant’Ambrogio.

    De fide, V , 5, in Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, Mediolani, Bibliotheca Ambrosiana, 1984, t. XV, 362-366.

    E’ la madre, senza dubbio, che si preoccupa perché i suoi figli siano onorati; non sa trattenersi, e tuttavia bisogna perdonarle l’indiscrezione di quel che chiede, perché è una madre anziana d’età, religiosa nel suo zelo, priva d’ogni conforto. In quel momento, quando avrebbe dovuto essere sostenuta o nutrita dall’aiuto dei suoi figli adulti, sopportava che essi fossero lontani, avendo anteposto alla propria gioia il vantaggio dei figli che seguivano Cristo.
    Essi, chiamati dal Signore, al primo invito come leggiamo, subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono .
    La donna, dunque, forse troppo tenera con i figli, sospinta dalla sollecitudine materna, supplicava il Salvatore, dicendo: Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno. Sbagliava sì, ma perché un appassionato amore materno non sopporta ritardi. Anche se le sue richieste sono molto esigenti, è però scusabile nel suo desiderio, perché ella non è avida di denaro, ma di grazia. E non era impudente quella richiesta, perché ella non chiedeva per sé ma per i figli. Considerate la madre, pensate alla madre!

    Gesù considerava nella donna l’affetto materno, che consolava la sua avanzata vecchiaia con la promozione data ai figli; sofferente e nostalgica per la loro mancanza, tuttavia ella sopportava l’assenza dei suoi carissimi figlioli.
    Notate anche che è donna. Il sesso ritenuto più fragile non era ancora stato fortificato dalla passione del Signore. Considerate l’erede di quell’Eva, per la cui colpa tutte le donne divennero fragili. Il Signore non l’aveva ancora redenta con il proprio sangue; Gesù non aveva ancora lavato col suo sangue il femminile smodato desiderio, accresciuto dai sentimenti che qui contrastavano addirittura con la priorità dell’onore dovuto a Dio. Quella donna sbagliava dunque per una colpa ereditaria.
    E che c’è di strano se una madre pregava per i suoi figli? (Questo, peraltro è più tollerabile che pregare per se stessi). Non leggiamo forse che anche gli apostoli, tra di loro, facevano a gara per essere il preferito? Chi era il medico di tutti non avrebbe potuto ferire, facendola arrossire di vergogna, una madre senza appoggio, e per di più afflitta nell’animo; non bisognava che quella donna, qualora le fosse stato superbamente negato quello che domandava, si dolesse come se fosse stata condannata per una richiesta eccessiva.

    Il Signore, ben sapendo che si deve rendere onore all’affetto materno, rispose non alla donna, ma ai figli di lei, dicendo: Potete bere il calice che io sto per bere? E poiché quelli affermarono: Lo possiamo, Gesù soggiunse: Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio.
    Come è paziente e pieno di clemenza il Signore! Quanto profonda è la sua sapienza, quanto buono è il suo amore! Vuole mostrare che i suoi discepoli chiedevano addirittura quello che non potevano ottenere. Gesù ne riserba la prerogativa al Padre, rendendogli onore, senza temere di togliere qualcosa al proprio diritto. Cristo infatti non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio.
    Al tempo stesso, amava i suoi discepoli - leggiamo che li amò sino alla fine - e non volle che coloro ch’egli amava credessero che si opponeva a quanto gli chiedevano: santo e buono, preferì dissimulare una parte del suo diritto piuttosto che venir meno al suo amore. Infatti la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si gonfia, non cerca il suo interesse.

    Il fatto che Gesù risponde: Non sta a me concederlo va inteso come segno non di debolezza, ma di generosità. Infatti, - al dire dell’evangelista Marco - i figli di Zebedeo richiedono senza che sia presente la madre, e Gesù non dice niente al Padre: Non sta a me concederlo, ma è per coloro per i quali è stato preparato.
    Quando invece la madre domanda per i propri figli, e cioè nel vangelo di Matteo, Gesù dice: Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali e stato preparato dal Padre mio. In questo passo egli aggiunge: Dal Padre mio, perché l’affetto materno richiedeva una più indulgente comprensione.
    Qualcuno potrebbe pensare che Cristo dicendo: Per coloro ai quali è stato preparato dal Padre mio, attribuisca di più al Padre o tolga qualcosa a sé. Ebbene: allora costui mi dica: È forse stato tolto qualcosa al Padre quando in Giovanni il Figlio dice del Padre: il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio?

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    Luis Paret Y Alcazár, Vergine con Bambino con S. Giacomo il Maggiore, 1786, Museo de Bellas Artes, Bilbao

    Giovanni Battista Piazzetta, S. Giacomo condotto al martirio, 1722-23, San Stae, Venezia

    Raffaello Sanzio, Madonna del Baldacchino (con i SS. Pietro, Bernardo, Giacomo il Maggiore ed Agostino), 1507-08, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze

    Jacopo Pontormo, Madonna con Bambino e Santi (SS. Giovanni evangelista, Giuseppe, Francesco e Giacomo il Maggiore), 1518, San Michele Visdomini, Firenze

    Vicente Requena "il giovane", S. Giacomo il Maggiore, 1597, Valencia

    Domenico Ghirlandaio, SS. Giacomo Maggiore, Stefano e Pietro, XV sec.

    Albrecht Dürer, S. Giacomo Maggiore, 1516, Galleria degli Uffizi, Firenze

 

 
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