Giovanna Melandri:
Le primarie ora si devono fare.
Giusta la proposta Prodi, indietro non si torna.
Sì alla federazione, no al partito riformista



ROMA. Un no, al partito riformista, e quattro sì: alle primarie, alla Costituente, alla Federazione e alla «grande alleanza riformatrice per il governo dell'italia». Giovanna Melandri spiega il suo punto di vista atipico che salda tra loro idee diverse che circolano nel centrosinistra.

«Romano Prodi - spiega - ha avanzato recentemente due proposte, utili e unitarie. Quella della Costituente, per costruire l'ossatura programmatica di una grande alleanza riformatrice, e quella delle primarie, per scegliere la leadership del centrosinistra. Queste due proposte non sono in contraddizione con un percorso che sposta l'esperienza della Lista unitaria nella direzione della Federazione. A Prodi bisogna rispondere sì con entusiasmo».

Le primarie suscitano consensi, ma anche un vespaio di polemiche...

Sono d'accordo da tempo con le primarie. All'inizio del la legislatura - prima firmataria Franca Chiaromonte - un gruppo di deputate depositò un di segno di legge per scegliere le leadership nazionali e locali attraverso primarie. Dieci anni fa optammo per il maggioritario, senza adottarne i sistemi tipici di selezione dei gruppi dirigenti. Questa è un'anomalia. Gli elettori del centrosinistra aspettano da dieci anni di poter dire la loro sulle leadership. Ben venga la proposta di Prodi, quindi. Ormai è in campo e sarebbe sbagliato tornare indietro.

Negli Stati Uniti gli elettori scelgono tra più candidati di un unico partito. Qui i partiti sono molti. Le primarie non introdurrebbero nuovi fattori di divisione?

E' vero che il nostro sistema maggioritario è imperfetto. Il punto è se andiamo avanti o se torniamo indietro. Io credo che si debba andare avanti e che uno dei contributi che il centrosinistra potrebbe dare all'affermazione di un bipolarismo sano consista nel darsi regole che rafforzino il maggioritario. Le primarie significano proprio questo.

Come valuta l'autocandidatura di Bertinotti?

Per vincere si deve costruire un'alleanza larga dentro la quale tutti condividano la responsabilità di governo. L'autocandidatura di Bertinotti, ma anche la sua determinazione a entrare a pieno titolo nell'alleanza riformatrice per il governo, rappresenta quindi un fatto estremamente importante. E' un gesto serio, utile per fare le primarie veramente.

Il Pdci parla di attacco a Prodi. Le primarie non potrebbero addirittura indebolirlo?

I repubblicani Usa non hanno messo in discussione la ricandidatura di Bush, ma le primarie si fanno lo stesso. Queste, infatti, servono per ché si esprimano candidature a cui corrispondano istanze precise e non necessariamente contrarie a una leadership riconosciuta da tutti. Quelle istanze, poi, contribuiscono a dare profilo complessivo al Partito repubblicano...

Il sistema italiano è diverso, però. Non crede?

L'esempio americano ci deve servire a sdrammatizzare la nostra discussione, C'è un terreno di mezzo tra il nulla e il guardare alle primarie esclusivamente come luogo della contendibilità della leadership. Le primarie non devono servire al riposizionamento del ceto politico. Servono, innanzitutto, a dare voce ai cittadini che devono poter scegliere tra opzioni programmatiche diverse. Servono ad aprire un dibattito non solo tra i partiti e i loro vertici ma anche nell'elettorato più ampio. Sono un grande strumento di partecipazione.

Nel centrosinistra si fanno strada i dubbi. Le primarie si faranno davvero?

Avverto un umore diffuso che testimonia quanto siamo lontani dall'aver acquisito in maniera autentica le regole del maggioritario. È questo il nodo della lunga transizione politico-istituzionale italiana. E' perfino commovente notare come i nostri elettori rispondano positivamente a ogni sollecitazione alla partecipazione più diretta. Non dobbiamo deluderli. Il Polo ha altre vie per la selezione della leadership. Noi abbiamo l'occasione di fare un salto di qualità che oggi rafforza Prodi e rafforzerà, in futuro, chiunque avrà il compito di guidare una grande alleanza riformatrice.

Lei sostiene che tra primarie e Costituente non c'è contraddizione. Sta di fatto che nessuno parla più della proposta lanciata da Prodi all'indomani delle europee...

Io credo che bisognerà realizzare ai più presto la Costituente che dovrà rappresentare l'atto fondativo della grande alleanza riformatrice per il governo del Paese. La Costituente servirà a definire un profilo programmatico condiviso.

E non c'è contraddizione tra Costituente e Federazione del l'Ulivo?

Ho detto sì alla lista Uniti nel l'Ulivo. Ci sono tre modelli: quello dell'autosufficienza dell'Ulivo, quel lo del '96 - la desistenza non impegnativa di Rifondazione - e quello della costruzione di una grande alleanza riformatrice. Noi dobbiamo imboccare questa terza strada. La Federazione, per me, è il nucleo di un'unità più larga. Lo dico anche ai fini del congresso Ds. Se la Federazione è questa io sono d'accordo, se è l'anticamera del partito riformista non ci sto. Nel cielo ci sono più stelle di quelle che illuminano la strada di chi vuole forzosamente dividere il grano dal loglio, i riformisti doc dalle culture più critiche. L'orizzonte del centro sinistra contiene la possibilità di un rimescolamento delle culture politiche del '900. Si può dire sì alla federazione, fare le primarie e contestualmente lavorare all'alleanza con Bertinotti attorno a scelte programmatiche chiare che ancora oggi non vedo.

A cosa si riferisce?

Registro sbandamenti anche in queste ore. Abbiamo fatto l'ostruzionismo contro il provvedimento sulle pensioni. Il responsabile lavoro dei Ds, Cesare Damiano, parla di controriforma. Noto, però, che Nicola Rossi, autorevole esponente della maggioranza della Quercia, sostiene che un centrosinistra al governo non dovrebbe cancellare quella legge iniqua. Un partito come il nostro deve avere una linea ben definita e non ondivaga. Questo vale anche per l'Iraq...



Si riferisce al "se vincesse Kerry rimarremmo in Iraq? Fassino smentisce cambiamenti di linea

Fassino ha fatto bene a chiarire. Qui in Italia si era capita un'altra cosa. Se l'America di Bush o di Kerry cambiasse linea sul dopoguerra in Iraq, tutto andrebbe ridiscusso. Ma c'è un punto. Il New York Times, non io, sostiene che i democratici Usa non hanno fatto ancora chiarezza sulla strategia di uscita dal pantano iracheno. Noi dobbiamo tenere la barra ferma. Abbiamo votato per chiedere il ritiro del nostro contingente poche settimane fa. Io, naturalmente, mi auguro che vinca Kerry. Ma la sua politica estera dovrà rappresentare una netta discontinuità con il passato.