Aleksandr Dugin

L'EVAPORAZIONE DEI FONDAMENTALI DELLA NEW ECONOMY



L’ontologia problematica del turbo-capitalismo

In che cosa consiste la specificità della cosiddetta “new economy”? Tra tutti i parametri di solito messi in atto, a nostro avviso è specialmente necessario sottolineare la de-materializzazione del settore reale, vale a dire l’essenziale cambiamento di proporzioni tra l’entità e la struttura dei capitali che circolano da una parte nei settori tradizionali dell’economia classica (produzione, servizi, investimento) e dell’altra nel campo dei mercati borsistici, della finanza virtuale, della scommessa sui mercati dei fondi pensione e dei derivati di tipo più disparato (swaps, futures, warrants, put-options etc.). Il noto economista americano H.B. Litvak, (che una volta, tra l’altro, propugnava e sviluppava il concetto di “geo-economia”), ha proposto di definire la “new economy” come "turbo-capitalismo". Nell’economia turbo-capitalista – in quanto contro l’economia del classico capitalismo industriale – il settore puramente finanziario speculativo, la scommessa borsistica, le operazioni ad alto rischio e a breve termine in strumenti di credito finanziario (che una volta costituivano non più di un frammento, di un settore dell’economia classica) mostrano una crescita sproporzionata, divengono autonome; esse eludono il modello classico dell’equilibrio di mercato, in cui l’area della finanza pura ha sempre conservato una certa correlazione alla produzione, alla dinamica della relazione tra offerta e domanda incentrata su beni concreti. Alcuni teorici dell’“analisi tecnica” dicono che i moderni mercati e specialmente quelli dei fondi pensione e dei derivati, operano in una condizione separata dai normali fondamentali dell’economia capitalistica, diventando indipendenti dalla sfera della produzione reale. I volumi finanziari coinvolti nel settore reale del credito ed i meccanismi di investimento sembrano essere di molto inferiori al volume del capitale virtuale che circola nel campo delle scommesse di borsa. In certe fasi di questo processo vi è un fenomeno estremamente interessante: a certi livelli di sfasamento dei tempi di mercato, la dinamica dell’evoluzione dei prezzi diviene completamente indipendente dalla componente economica delle azioni, perché la velocità del calcolo razionale dei fondamentali appare considerevolmente più lenta del tempo necessario ai giocatori di borsa per prendere una decisione. E di conseguenza, alcuni precisi momenti del gioco di borsa sfuggono alla logica della dinamica di formazione dei prezzi tipica del capitalismo classico. Un simile fenomeno era stato individuato anche in precedenza ed alcuni sostenitori del sistema classico erano inclini a ridurre questo fenomeno a fluttuazioni casuali (teoria del percorso casuale), che sembravano anomalie solo ad una approssimazione assai grande, essendo inserite in modelli di medio-lungo termine all’interno della logica normativa dell’evoluzione di mercato. Una caratteristica distintiva del turbo-capitalismo è che in pratica esso si basa sul considerare situazione normale queste anomalie, conferendo loro un autonomo valore teoretico. Fluttuazioni a breve termine delle tendenze dei prezzi e operazioni ad alto rischio negli strumenti di credito finanziari e nei derivati finiscono per essere il criterio prioritario per valutare il passo dello sviluppo economico; ed il volume crescente del capitale impiegato in questo settore, rispetto ai settori tradizionali, è la dimostrazione di questo sviluppo. Le contabilità della circolazione di capitali del settore virtuale generano il quadro impressionante di prosperità della "new economy", e il frenetico coinvolgimento di semplici cittadini nel gioco di borsa (di questi tempi una quantità senza precedenti di individui della borghesia USA sono azionisti – cioè il 50% di tutti gli Americani!) avvalora questa illusione. Tale indirizzo alla virtualizzazione nelle condizioni del turbo-capitalismo è accompagnato dall’incremento del settore dei servizi all’economia, dal momento che la principale massa monetaria circola non nel campo della produzione, ma nel campo dei settori di seconda linea. La old economy, limitata al settore reale, è svalutata e inizia ad essere considerata un’area minore, sussidiaria. Manager, specialisti nel campo delle tecnologie di PR, designers, stilisti, etc. sono incomparabilmente meglio retribuiti dei lavoratori della sfera manifatturiera o anche della sfera commerciale. Il processo di virtualizzazione viene anche rispecchiato nel tipo di compagnie che divengono centrali nel gioco di borsa. Sono le compagnie collegate alle "high technologies", all’informatizzazione ed alla logistica dell’informatizzazione. Le principali aspettative degli azionisti puntano in questa direzione, che è quanto più possibile pubblicizzata su scala globale come “destino economico dell’umanità”. Curiosamente, queste compagnie hi-tech vengono valutate secondo la loro quotazione azionaria, essenzialmente diversa dalla loro reale redditività. Ed il gap tra la capitalizzazione di mercato e la reale efficienza (redditività) raggiunge a volte percentuali a tre cifre. Valga come esempio il caso della company di Internet, Yahoo, in cui il gap raggiunge la cifra senza precedenti del 1000 %! In altre parole, la gente investendo denaro nelle azioni delle ammiraglie della "new economy" (Microsoft, AOL etc.) è guidata da due differenti motivazioni. In una prospettiva a lungo termine essi acquistano efficienza futura, cioè pagano la loro convinzione che queste compagnie, non così efficienti, possano in seguito realizzare un balzo qualitativo. Ponendosi in questa convinzione, causando aspettative, gli azionisti ottengono la parte del leone sui profitti ricavati dalla "new economy". Apparentemente, le categorie “aspettativa” ed anche “convinzione” non sono che virtuali. Le aspettative possono rivelarsi vere, ma possono anche non esserlo. Anche l’efficienza di queste compagnie è virtuale. La sola cosa non virtuale, reale, in questa situazione è l’aumento delle quotazioni delle azioni – e tutti i partecipanti al processo possono essere completamente convinti di questo, avendole cambiate in moneta contante. Dal momento che l’intera macchina della "new economy" è diretta al sostegno di queste aspettative, tali controlli non raggiungono una massa critica, rimanendo dei casi particolari: avendo comprato e rivenduto le azioni con profitto, senza nessun problema, il possessore sarà necessariamente esposto alla tentazione di ripetere l’affare. Così nel turbo-capitalismo ha luogo un’evaporazione dei fondamentali. Che cosa sottolinea il termine “evaporazione” (in latino "evaporatio")? Non che il capitale svanisce nel processo di circolazione della "new economy", ma che esso cambia considerevolmente la sua qualità. Nel modello classico il denaro è il sangue dell’economia. Credito, investimento, strumenti finanziari, azioni, prestiti, etc., servono alla fine al settore reale, creando un ambiente operativo per la crescita, la metamorfosi e la scomparsa di beni. I più astratti modelli economici che si riferiscono al capitalismo industriale non attribuiscono alcun valore ontologico autonomo alla sfera finanziaria. Così il capitale rimane confinato alla realtà materiale (o semi-materiale) della vita economica, pur essendo un elemento derivato, anche se con un enorme grado di indipendenza. Per quanto complesso possa essere, esso è comunque solo una funzione del settore reale, una sua logistica, una sua ingegnosa proiezione. Nella teoria liberale classica, le realtà ontologiche di base del mercato rimangono comunque i cosiddetti “fondamentali”, cioè gli assai concreti e verificabili equilibri tra offerta e domanda, collegate a beni concreti (o servizi). Questi fondamentali sono gli oggetti delle più complicate manipolazioni rompicapo che formano anche il tessuto vivente della storia economica. L’essenza del Marxismo è l’esposizione di alcune di queste manipolazioni. Ma in ogni caso i fondamentali sono salvati, qualsiasi sia la posizione tenuta in relazione ad essi dai principali attori del processo economico. Nella "new economy" questi fondamentali subiscono una trasformazione qualitativa. La sfera della finanza virtuale e gli strumenti di credito finanziario iniziano passo dopo passo ad affermare il proprio diritto a cancellare la realtà dei fondamentali di mercato, come basi del sistema operativo direzionale. E di conseguenza, si appropriano per sé dello status di realtà finale, postulando i fondamentali di mercato in base alle proprie regolarità inerenti, quando e ovunque sia necessario. Nel turbo-capitalismo il primario ed il secondario, la base e la sovrastruttura scambiano i loro posti – in questo viene mostrata l’essenza stessa della sua virtualità. Virtualità è possibilità, i fondamentali del mercato sono gli elementi della realtà. La “new economy” postula che i processi nella sfera del possibile siano autonomi in relazione alla realtà. D’ora in avanti, l’offerta e la domanda ed anche la concreta relazione tra di esse non sono più i “fatti atomici” della gestione. Al contrario, esse vengono concepite come conseguenze collaterali dei trend di oscillazione delle scommesse borsistiche. L’offerta e la domanda possono essere totalmente provocate o viste in modo artificiale, dipendendo dai processi autonomi dei mercati. Attraverso l’evaporazione, i fondamentali sono trasferiti ad uno speciale livello di esistenza – essi non sono più soggetti e relazioni costruiti in riferimento a soggetti, ma segni e relazioni che sorgono in riferimento a segni (vedi G.Debord, J.Baudrillard etc.). Il segno diviene l’equivalente elementare della virtualità. Così il segno, inizialmente assunto solo a temporanea sostituzione della cosa, per servire come suo sostituto relativo e convenzionale, acquista un’ontologia autonoma, uscendo dall’associazione alla cosa significata, mostrando – da un certo momento – solo se stesso. E inoltre, il segno può essere interpretato attraverso cose differenti, non avendo un preciso equivalente, ipnotizzando le coscienze per il fatto stesso della sua presenza, del suo valore intrinseco. La contemplazione stessa del segno acquista un valore, il confidare che esso esista, che esso sia qualcosa di vicino. Il segno può così provare la sua reversibilità nei fondamentali a coloro che sono troppo diffidenti o retrogradi; ma il senso del turbo-capitalismo è che questa reversibilità è così “ovvia” che ogni tentativo di controllarla con la realtà è concepito come qualcosa di fastidioso e inappropriato, “incivile”. “La saggezza convenzionale crede nel segno” – ecco l’imperativo della “new economy”. Dubitare di esso vuol dire mostrare un’assoluta inverosimilità, “navigare contro corrente”. Ecco come può essere un’obiezione: il modello descritto non rappresenta che una stupida illusione. La “old economy”, vedete, non scompare dappertutto, le sue leggi non sono state abrogate da tutti. E se il settore reale non si svilupperà o generalmente non opererà, il fosforescente sistema delle piramidi virtuali e dei mercati surriscaldati, nonostante tutti i convincimenti ipnotici, cadrà comunque…Quando il gap tra i fondamentali evaporati (fondati sull’ontologia del segno) ed i reali, classici fondamentali raggiungerà una forma critica, ci saranno un collasso, una recessione, un crack di borsa, e tutto ritornerà di nuovo all’ineludibile modello classico, al settore reale, etc. In realtà, le cose sono molto più complesse. Ma vediamo: qual è l’origine di un simile punto di vista dei manifesti o impliciti sostenitori della “old economy”, che criticano il turbo-capitalismo e prevedono la sua inevitabile fine? Al fine di comprendere convenientemente l’ontologia della “new economy” è necessario ritornare al passato. E’ vero, oggi la realtà dell’ “evaporazione dei fondamentali” dell’economia sta incombendo più sempre più vicina. Ma quegli stessi fondamentali – quando e come hanno acquisito la qualità di referenza di base della realtà ontologica? I sostenitori della “old economy” generalmente trascurano tale problema. Per essi il contenuto ontologico della comprensione economica della realtà appartiene alla categoria dei postulati: l’economia e le sue leggi di sviluppo sono i fondamentali, dal momento che sono connesse con gli aspetti elementari, primari, fondamentali della vita umana – con la soddisfazione dei bisogni materiali primari e con la complessa sovrastruttura socio-psicologica e politico-economica che sorge sul loro fondamento. L’economia classica – sia liberale che marxista (come sua derivazione eterodossa) – è partita (silenziosamente, ma anche esplicitamente) dal riconoscimento della profonda natura ontologica dello sviluppo economico. L’economia, il polo economico venivano visti come il fondamento più profondo della vita umana, come una caratteristica della realtà, nel suo senso etimologico – “l’essere cosa” [veschnost’]L’economocentrismo è il denominatore generale della maggior parte della visioni sociali e politiche della modernità. L’economia è vista come la realtà originaria dello sviluppo sociale e, nello stesso tempo, come un destino. Il dibattito con coloro che difendevano differenti equazioni ontologiche è stato vinto da molto tempo. Per questa ragione il contesto filosofico in cui si trova oggi l’argomento della “new economy”, lo svelamento dell’ “ontologia del turbo-capitalismo”, ed in particolare, i segnali d’allarme sulla catastrofica “evaporazione dei fondamentali”, sono strettamente delimitati dai presupposti paradigmatici – l’ontologia del mercato classico e la prospettiva allarmante della sua perdita (trasmutazione) nelle nuove tendenze di transizione verso la virtualità. Così lo sviluppo della virtualizzazione è riconosciuto dai sostenitori della “old economy” come una disastrosa aberrazione, come certi casi storici di “evoluzione in un vicolo cieco”. A più lungo termine la loro prognosi è: o il grande collasso del turbo-capitalismo e il ritorno agli standard classici dell’economia o la catastrofe totale. E’ assai interessante che gli apologeti della “new economy” (le cui conclusioni filosofiche debbono comunque essere ascoltate con grande prudenza, (dal momento che sono tatticamente motivati e lautamente pagati) risolvano questo problema in modo più spiritoso e (a nostro vedere) più coerente: essi affermano che la virtualizzazione dell’economia e il divenire autonomi da parte dei segni non portano in sè niente di particolarmente drammatico e che l’umanità (forse non tutta l’umanità) si troverà bene nello spettacolo che si autogenera, come a suo tempo assimilò la sfida dell’Età Moderna e in seguito approfondì il suo economocentrismo. Questa posizione – assunta con alcuni correttivi – è più interessante degli “avvertimenti dei classici” (per non menzionare le sparate da retroguardia di certe specie di marxisti, bloccati sul post-industrialismo). Là, dove gli apologeti della “old economy” identificano una rottura senza precedenti, i sostenitori del turbo-capitalismo vedono un continuum; ciò che i “classicisti” considerano come una deviazione casuale, è identificato dai “virtualisti” come una fase unicamente logica, che differisce da tutte le precedenti. Per un più adeguato approfondimento dell’essenza del problema, è necessario rivolgersi al contesto storico e paradigmatico in cui sono comparse le prime teorie economiche. Certamente, alcuni definiti aspetti della comprensione dell’economia sono sempre stati comuni a tutte le società. Ma fino ad un preciso, strettamente fissato momento storico, essi non rivendicarono (e per una serie di cause non potevano rivendicare) lo status di disciplina indipendente, e per di più una funzione di interpretazione filosofica prioritaria. Questo divenne possibile solo in seguito, quando l’attenzione generale dell’umanità fu assorbita dalla libera ricerca di sistemi di interpretazione inauditi – nel campo dell’ontologia, dell’epistemologia, della metodologia, etc. – dove il successo fu a volte spiegato da uno stravagante approccio nichilistico (nei confronti degli standard convenzionalmente stabiliti – giudicati cumulativamente come “reliquie” e “pregiudizi”). Certo, stiamo parlando dell’Età Moderna, dell’Età dell’Illuminismo, etc. Lasciateci sottolineare che al principio delle loro costruzioni teoretiche, Adam Smith e altri fondatori dell’economia politica non rivendicarono una generalizzazione ontologica, in quanto esse venivano considerate come uno strumento ed uno sviluppo applicativo dell’approccio generale liberal-meccanicistico, mettendo in opera i parametri socio-filosofici di Francis Bacon, John Locke e Thomas Hobbes ed il metodo di applicazioni fisico e matematico di Galileo Galilei e Isaac Newton, all’area dell’economia. Ma su questo campo applicativo iniziale dell’economia politica furono incentrati tutti i motivi principali dell’Età Moderna, espressi in semplici formule fisiche e matematiche. La derivazione dell’uomo e dell’esperienza umana e, di conseguenza della vita umana, da certe realtà inferiori, ontico-materiali, primarie – dal modello di cose e di regolarità ad esse inerenti, ed anche dal sistema di scambi e desideri con esse - balzò, divenne una straordinaria e audace conclusione della fondamentale guida intellettuale dell’Età Moderna, agevolmente incarnata nella struttura razionale matematica, evidente e ottimamente applicabile nella pratica. Da tale svolta come spesso accade, un’intera serie di implicazioni ontologiche fu anche riportata sui classici dell’economia politica; anche il loro più serio e autentico oppositore, Karl Marx, riconosce ingegnosamente nel campo economico un polo di lotta escatologica dell’umanità per il significato e il destino della realtà. In ogni modo, proprio allora – allo storico punto di svolta dell’incombente Età Moderna, e nel contesto di una generale rivoluzione epistemologica, con il rifiuto della caratteristica normativa di fiducia della società tradizionale e con la ricerca attiva delle radici dell’ontologia nei sistemi degli oggetti materiali e nelle loro rappresentazioni – furono concepiti i primi semi dell’ontologia del mercato, cioè degli stessi fondamentali la cui evaporazione ispira oggi timori così forti in così tanta gente. Così la deontologizzazione dell’economia non è un’esclusiva proprietà della “new economy”. Il turbo-capitalismo, la dominazione del settore virtuale non fanno altro che estendere e sviluppare un impulso già presente alla scaturigine stessa dell’economia moderna. Nel sistema di valori della società tradizionale, che fu riconosciuto e successivamente rovesciato dall’Età Moderna, l’economia aveva una qualificazione secondaria: era il campo delle conseguenze, la sfera della coagulazione delle più sottili e tenui relazioni. L’ontologia dell’economia era un caso particolare dell’ontologia della società (politica) e questa a sua volta un caso particolare dell’ontologia della Chiesa. La vita era concentrata sui mondi sottili dello spirito, sui dogmi teologici, sui culti, sulle basi sacre delle istituzioni sociali. Il mondo delle cose e il loro moto circolare, i cicli dei bisogni primari e delle reazioni elementari erano considerati la periferia dell’ontologia, l’area dei fenomeni più arbitrari e casuali. L’economia in quanto tale non poteva essere fondamentale e la logica autonoma di mercato era in permanenza bloccata da istanze più elevate che obbedivano ad un piano di priorità diverse, connesse con un sistema di idee rigidamente dominante su tutto il sistema delle cose. L’uomo e la sua economia erano strumenti dell’ontologia e non i suoi poli costitutivi. L’Età Moderna in sè è stata l’unico periodo di evaporazione di fondamentali differenti – i fondamentali della società tradizionale. Questi fondamentali non sono svaniti per sempre (perciò noi parliamo di “evaporazione”, invece che di cancellazione), ma hanno intercambiato la loro natura, essendo impersonati in qualcosa di diverso. Fino a quell’epoca incerta e dipendente fisicamente dalla volontà dei nobili, leggera come la spuma delle onde che dondola le navi dei mercanti, l’autonoma logica borghese iniziò a trasformarsi nel solido basamento della nuova società. I valori dell’aristocrazia iniziarono ad avere un nuovo equivalente, valore ed onore ricevettero un nuovo significato. Ogni questione cominciò ad essere misurata in base al suo prezzo. Cicli economici e strumenti monetari divennero la misura comune, sostituendo lo spirito, la conoscenza, la volontà, la forza. L’ontologia della società tradizionale fu dissolta. Sembrò allora che questa fase di nichilismo significasse la “fine del mondo”. Irriducibili conservatori profetizzarono che un mondo senza fondamentali non sarebbe durato a lungo… La storia ha dimostrato, comunque, che i nuovi sistemi di valori sono ampiamente in grado di condensarsi in qualcosa di relativamente solido e le epoche dell’inizio del capitalismo, della sua espansione, della sua materializzazione, della sua penetrazione in tutti gli angoli della vita umana e delle istituzioni sociali hanno generato un quadro su vasta scala della sua stabilità dinamica. I fondamentali dell’equilibrio di mercato hanno superato molte sfide. Il Marxismo, i cui accenti furono posti su una valutazione etica del cambiamento socio-politico – andando per la via opposta rispetto a coloro che, senza alcuna speciale riflessione, procedevano lungo la via maestra del capitalismo – è stato sconfitto con grande difficoltà e a prezzo di costi incredibili. E proprio in quel momento, quando la vittoria sul marxismo si prospettava definitiva e l’eredità dell’Età Moderna senza alternative era andata verso il sistema liberal-capitalista, di nuovo all’ordine del giorno vi era il problema di un serio mutamento qualitativo dell’ontologia del capitalismo – verso il lato della logica virtuale del turbo-capitalismo, dei labirinti paradossali della “new economy”. Da una parte, la deontologizzazione del capitale viene rappresentata come un fenomeno disastroso. Dall’altra, essa è un processo oggettivo: l’ontologizzazione autonoma dell’economia, implicitamente già presente nei classici ed alla fine riconosciuta da Marx (in un sistema etico alternativo di coordinate), significò la deontologizzazione del più enorme sistema di valori della società tradizionale, in cui i mondi degli oggetti materiali non erano che all’estrema periferia. Questi oggetti ed i loro cicli (“le trappole del prodotto” – Hakim Bay) sembrano una piccola realtà piuttosto relativa, a paragone dell’ontologia massimamente spirituale e poi politico-feudale delle società tradizionali. Allora la sfera dei principi metafisici era considerata incondizionatamente reale e autentica, mentre il campo economico era una sfera secondaria e casuale. Questo significa che il modello economico poteva essere cambiato (e consacrato o forzato) a seconda delle più profonde tendenze sociali. La transizione al sistema borghese separò l’economia da quei fondamentali alla cui partecipazione essa era prima destinata. Accadde qualcosa di interessante nel mondo dell’argomento su cui stiamo indagando: nella società tradizionale la realtà era un segno (prevaleva anche in un Cattolicesimo tomistico-aristotelico, invece del nominalismo pre-borghese di Roscellier-Ockam). Anche questo segno produceva l’ontologia della cosa, come la sua anima. Echi dell’ontologia del segno si possono incontrare anche in Paracelsus e in Jakob Boehme - signatura rerum. Queste “signature” erano la quintessenza di una produzione ontologica della realtà di "rerum" (cose) strettamente parlando. Traducendo dal latino: l’ “essere cosa” delle cose era non reale (=simili al segno). La transizione dai segni vivi e dai loro sistemi (incarnati dalla teologia del clero e dall’araldica guerriera) verso i sistemi di cose fu la precisa espressione del “terzo stato” – quello che generò la moderna economia politica ed un’ontologia applicabile ad essa. Fondamentali divennero i fondamentali dei mercanti. Ai loro tempi essi non erano meno avanzati e audaci delle teorie dei moderni apologeti dell’ “analisi tecnica” di borsa. Da tutte queste considerazioni, ne segue che la “new economy”, corrodendo quei fondamentali che ci sono stati familiari in questi ultimi secoli, sta facendo qualcosa di simile a ciò che accadde quando quei fondamentali si affermarono per la prima volta. Nel turbo-capitalismo noi non raggiungiamo semplicemente i confini dell’ontologia, bensì i confini dell’ontologia del terzo stato, i limiti del sistema borghese delle misure. E la stessa “new economy” non è ancora una nuova era – è una sfida ambigua e pluri-significante dire addio al vecchio, ma non offrire nello stesso tempo niente di nuovo. Già all’orizzonte della “new economy” appaiono confusamente figure virtuali assolutamente non familiari e insolite - "Lawnowerman", che vivono nei computer o cloni umani mutanti. Contemporaneamente, vi sono delle curiose situazioni di semi-restaurazione nella “new economy” – erodendo il sistema delle cose ed evocando un sistema di segni, in cui l’elemento essenziale non è tanto il possesso, quanto la contemplazione e la simulazione sensoriale (da qui la proliferazione di narcotici, network televisivi e giochi per computer), il turbo-capitalismo porta la realtà in movimento e corporea, fuori dalle ristrette strutture del materiale e dalle catene razionali, dall’alternarsi di domanda-offerta. In verità, i tradizionalisti integrali (R.Guénon) dicono che la presente fase di post-materialismo corrisponde all’ “apertura dell’uovo cosmico dal di sotto”, mentre nell’epoca delle società tradizionali esso era aperto dalla parte superiore e, in seguito, (durante il capitalismo classico) esso era chiuso da tutte le parti. Ed in verità, i segni nella società tradizionale svolgevano un ruolo essenzialmente differente, rispetto alla pubblicità moderna ed ai marchi commerciali. Comunque queste differenze sono relative: nelle società orientali, dove i motivi tradizionali non sono mai stati completamente cancellati, gli elementi post-moderni si combinano assai facilmente con le reliquie pre-moderne. E’ molto significativo in questo senso il Giappone, dove le più recenti tecnologie sono elegantemente inscritte nel politeismo scintoista e il gioco di borsa è intrecciato con la meditazione buddhista zen – la teoria sulla “lettura dei grafici di mercato” attraverso associazioni visive – le “candele”, “la buddhi a cinque punte” dei brokers di Tokyo, etc. Il processo di evaporazione dei fondamentali nella “new economy” giunge abbastanza facilmente alla fissazione. Molto più complesso è definire quale sarà l’esito. Produrrà qualcosa di nuovo? O crollerà, non essendo in grado di rimanere sull’orlo della tensione – in quanto la proliferazione nell’orizzonte umano di nuove tecnologie, di macchine automatiche, di virtualizzazione ed ingegneria genetica viene messa in questione? Terrorizzata per dove la sta portando la sua logica di desacralizzazione, ritornerà l’umanità a ciò che ha sconsideratamente abbandonato alla soglia dell’Età Moderna? Diventerà la sfera della “new economy” un terreno di battaglia tra differenti tendenze geopolitiche, culturali e di civiltà? Abbiamo detto in precedenza che noi ci troviamo di fronte al “passaggio da un sistema di cose ad un sistema di segni”. Vi è un punto debole in questa espressione: questo nuovo “sistema di segni” sarà un vero sistema, cioè una struttura ordinata gerarchicamente? E in tale caso, secondo quali criteri? Questo è un problema aperto, alla cui soluzione noi tutti dovremmo contribuire.

Novembre 2001



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