Non c'è più nessuna scusa per non aiutare l'Iraq
Non c’è ragione di essere troppo sorpresi dall’ondata di attentati islamisti contro i cristiani in Iraq. Non c’è ragione per chi da tempo aveva fatto un’analisi corretta della situazione determinatasi dopo la nascita del l’autogoverno iracheno. Lo scontro, da tempo, non è più tra occupanti e patrioti resistenti all’occupazione; lo scontro, interno al mondo arabo, è tra chi vuole un Iraq per quanto possibile normalizzato, amico dell’Occidente e pacifico, e chi ne vuol fare, approffittando del disastro combinato da Bush nel dopoguerra, una repubblica di Al Qaeda, l’autostrada del terrorismo globale, uno stato-fallito da usare come piattaforma di lancio dell’integralismo in Medio Oriente. Se questo è lo scontro in atto, perché meravigliarsi che ammazzano i cristiani? Non è forse il primo compito di una Jihad quello di uccidere gli infedeli (e anche i musulmani non abbastanza fedeli, ieri è stato decapitato un ostaggio turco)? Bisogna prendere sempre in parola i terroristi islamici. E se dicono che l’Italia è nel mirino dei kamikaze perché Roma è il centro della Creistianità, sarà meglio credergli.
Chi invece aveva dato un’altra lettura della situazione irachena, chiamiamola pacifista, ha ragione di essere sorpreso, e forse ha anche buone ragioni per rivedere la sua analisi. Se si crede infatti allo schema occupanti vs. resistenti, non si capisce perché mai colpire i cristiani e la chiesa cattolica in Iraq, che non è mai stata dalla parte degli occupanti, anzi ha duramente condannato la guerra angloamericana, e che si è prodigata nell’aiuto materiale e morale al popolo iracheno e nella difesa della sua indipendenza.
Gran parte della sorpresa che ha prodotto in Occidente la domenica di sangue in Iraq (che ieri il Papa ha condannato con parole chiare e ferme) dipende anche dal comportamento dei media occidentali. Qualche giorno fa avevamo ricevuto il testo di un’intervista al vescovo cattolico caldeo di Amadiyah, città nel Kurdistan iracheno, Rabban Al Qas. Pubblicata da <+cors>Asia News<+tondo>, non ha avuto molta eco in Occidente, perché diceva cose che contraddicono le letture politicamente corrette. «La stampa occidentale è stata ingiusta con l’Iraq - diceva il vescovo - concentrandosi solo sugli aspetti negativi della situazione, sul terrorismo, sugli omicidi, sulle autobombe, sulle immagini cruente di decapitazioni», come se l’intero paese si fosse trasformato in un enorme «valle della morte». Non si parla mai di «impianti di energia che ripartono, programmi agricoli che vengono lanciati e strade che vengono ricostruite», In una parola, non si parla mai del «nuovo Iraq», che combatte per «risorgere dalle ceneri» e per liberarsi della «povertà lasciata da Saddam». Per il vescovo questa ingiustizia è stata commessa dall’«Europa occidentale e dai pacifisti, che sono stati ciechi a quello che sta accadendo nel nostro paese». Il vescovo di Amadiyah conclude dicendo che ciò che veramente occorre all’Iraq è «una vera liberazione» e che ora non c’è «alcuna scusa» per l’Occidente «per non aiutarci», perché «ora c’è una risoluzione delle Nazioni Unite e il potere è nelle mani di un governo iracheno».
Se uno vuol capire perché per i terroristi di Zarqawi le chiese caldee sono un nemico al pari di tutti gli altri, gli sarebbe bastato leggere questa intervista. Se uno vuol capire perché l’Europa, e l’Italia, non possono volgere le spalle agli iracheni (cristiani compresi), gli dovrebbe bastare leggere quell’intervista.