Ministero Beni Culturali
Vittorio Emiliani
Mi qualifico e lui di rimando:
«Ma allora lei non è il Tale giornalista?»
- No, sono Vittorio Emiliani, giornalista, e vorrei alcune delucidazioni...
- No, se è lei e non quell’altro, non le rispondo.
- Come non mi risponde? Sono giornalista, ho diretto il “Messaggero”, se permette. E sono stato anche membro del Consiglio Nazionale dei Beni culturali. Lei deve rispondermi.
- Ah, dunque lei mi minaccia...
Facciamo un passo indietro.
Nel maggio scorso il ministro Giuliano Urbani ha deciso una turbinosa girandola di rimozione (vere), di promozioni (spesso fasulle), di trasferimenti e conferme, che ha suscitato un’ondata di proteste: Francesco Scoppola rimosso dalla Soprintendenza regionale delle Marche (dove operava con alacrità e rigore) senza alcuna destinazione; Elio Garzillo rimosso da analogo incarico in Emilia Romagna per un posto al Ministero, il loro omologo toscano Mario Lolli Ghetti retrocesso da Firenze ad Ancona dopo anni di intensa attività; il bravo Ruggero Martines spedito in promozione da Roma in Molise, e così via. Molti dirigente innalzati al rango di Soprintendenti regionali dai ruoli amministrativi al posto di tecnici esperti. In Piemonte nominato dirigente centrale l’ex segretario politico del ministro, che non è né un tecnico né un amministrativo del ramo Beni culturali.
Infine, i direttori centrali moltiplicati da una trentina ad una quarantina “a spesa invariata”.
Un miracolo laico.
Siccome da settimane non se ne sa più nulla, mi vien voglia di avere qualche notizia di prima mano e così telefono all’ufficio stampa del Ministero. Dove lì per lì si limitano a dirmi che in serata (era martedì scorso) uscirà un comunicato esplicativo, poi mi indicano il dottor Nastasi del Legislativo come colui che ha seguito tutta la vicenda.
Ecco come riprende il dialogo.
- Io la minaccio? Io le chiedo soltanto di fare il suo dovere, cioè di darmi le notizie che avrebbe dato ad un altro collega.
- Sì ma lui ha sempre scritto di Spettacoli...
- Scusi, ma questa è una notizia che riguarda soprattutto i Beni Culturali.
- Sì, ma lui scrive articoli corretti, mentre i suoi...
- Cosa vuole dire, scusi?
- Che sono articoli critici.
- E allora? La critica, se documentata, non è più ammessa?
- No, ma...
- Guardi che il Ministero non ha mai rettificato una sola riga dei miei articoli.
- Mi dica cosa vuole sapere.
- Dottor Nastasi, volevo sapere se la Corte dei conti ha sbloccato le nomine dei quaranta...
- Non c'era nulla da sbloccare...
- Scusi, ma aumentare il numero dei dirigenti centrali comportava una variazione nella spesa e quindi...
- Le dico e le ripeto che non c'era nessun problema, i soliti 30 giorni della Corte dei conti. Null'altro.
- Neppure sulla nomina dell'ex segretario politico del ministro Urbani a dirigente centrale in Piemonte?
- Neppure.
- Allora lei mi garantisce che tutto è sbloccato senza tagli di sorta?
- Ripeto: non c'è stato nessun problema checché le abbiano riferito i suoi informatori ministeriali.
Ministero di Giustizia
Sandra Amurri
Squilla il cellulare, sul display compare numero riservato.
«Pronto? È la segreteria del Capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del Ministero di Giustizia, parlo con Sandra Amurri?»
«Sì», confermo.
«Le passo il dottor Nicola Cerrato».
«Sono Cerrato, le telefono per dirle che lei scrive cose false, lei mi ha diffamato perché ha detto che non inviare le auto blindate alla Procura di Palermo è un modo come un altro per rallentare le inchieste, significa che io voglio rallentare le inchieste…».
Esordisce così con tono perentorio senza neppure il tempo di un formale saluto il capo dipartimento del Ministero di Giustizia. Provo a dire qualcosa, ma non mi riesce, la sua voce sovrasta la mia.
«Lei deve imparare a scrivere», continua con arroganza.
«Non si agiti, mi faccia parlare», riesco finalmente a dire con il timore di essere di nuovo interrotta «Se crede che l’abbia diffamata mi quereli perché perde tempo al telefono?» aggiungo.
«Noooo, mica la querelo, io le faccio causa civile e le chiedo soldi, e deciderà un magistrato, ha capito, sarà un magistrato a decidere».
«Sì, sì, ho capito benissimo anche perché ormai chiedere risarcimenti miliardari è divenuto un modo per tentare di intimidire i giornalisti, faccia pure io ho fatto il mio dovere nel denunciare una situazione drammatica confermata dal Procuratore Capo Piero Grasso e dai suoi sostituti. Non crede che sia meglio sollecitare l’attenzione dello Stato piuttosto che rischiare altre commemorazioni?»
«Se è per questo i magistrati sono stati ammazzati nonostante le auto blindate», risponde con tono soddisfatto il dottor Cerrato, come se fosse certo di aver trovato le parole giuste, poi continua:
«Lei ha scritto anche che due delle macchine nuove che sono state acquistate sono già state assegnate al Ministro Castelli e non è vero, il Ministro non ha avuto auto nuove e anche le sue lo lasciano a piedi! E poi ha scritto anche che alla Procura di Palermo nessuno crede che le macchine arriveranno».
Rispondo:
«Per quanto riguarda i magistrati di Palermo probabilmente crederanno solo ai loro occhi quando vedranno le auto nuove, mentre per quanto riguarda il Ministro di Giustizia che non sarebbe in grado di badare alla sua sicurezza fino al punto di salire su auto blindate che lo lasciano a piedi come lei afferma, beh, questa è una notizia. E siccome questa non è una conversazione privata anche perché non ho mai avuto il piacere di conoscerla, e fino a prova contraria faccio la giornalista, ne scriverò».
«Lei è una giornalista ideologizzata che scrive per un organo di partito, una giornalista che serve un organo di partito! E stia attenta a quello che scrive, stia molto attenta!» conclude indispettito.
«Siamo nientemeno alle intimidazioni dottor Cerrato?» incalzo.
«Ma quali intimidazioni. Ho detto la verità. Si sente, forse, offesa dalla verità?».
È il ruggito di chi non si sente un moscerino.
«Arrivederla», taglio corto.
L’illuminante conversazione che dà il segno dell’arroganza dei tempi si conclude così.
Questo accadeva il 30 luglio.
Il giorno prima l’Unità a pagina 14, con richiamo in prima aveva pubblicato l’articolo «Il pm antimafia con la blindata sfasciata» in cui raccontavo che il procuratore Capo di Palermo aveva dovuto accompagnare a casa il sostituto Procuratore Maurizio De Lucia, uno dei Pm dell’inchiesta su Totò Cuffaro, perché la sua auto blindata, come molte altre volte, si era rotta. E, partendo da ciò, avevo descritto l’incredibile situazione di pericolo in cui tutti i magistrati della DDA sono costretti a vivere nonostante le molteplici e vane richieste di auto blindate nuove inoltrate al Ministero di Giustizia.