Il benessere distrugge inconsciamente la motivazione al lavoro e al sacrificio.
Molti genitori hanno fatto dei sacrifici per poter vivere e sopravvivere senza più doversi preoccupare. Basta ricordare gli emigranti che hanno a suo tempo sopportato l'incognito e un viaggio faticoso partendo dagli Appennini per arrivare fino alle Ande. E chi è andato in Australia o in Nuova Zelanda.
Al momento della partenza, guardando per l'ultima volta il paesello natìo, quanti pianti e una volta arrivati quante nostalgìe.
Partendo si portava una o due valigie, magari dei cartoni legati con lo spago. Si portavano solo gli effetti più personali e necessari, si lasciava tutto. E quando si arrivava nella nazione che ti ospitava quante pratiche burocratica sono state sopportate. Si sembrava di venire dal terzo mondo per cercare lavoro e pane per tutta la famiglia.
Negli ultimi 100 anni gli italiani sono emigrati in tutto il mondo e sono partiti a malincuore ma l'obbligo e il dovere al confronto della famiglia e dei figli per raggiungere il tanto desiderato benessere è stato più forte dello strazio della partenza e dell'abbandono dei propri cari.
Questi italiani sono oggi benestanti, in ogni caso non soffrono più i disagi di quando erano partiti tanti anni orsono, e i più sono anche rimasti nel paese che li ha accolti e dato loro ospitalità molti anni orsono.
Questi ex emigranti hanno lavorato duramente e fatto grandi sacrifici per far risparmiare ai propri figli i disagi della disoccupazione offrendo loro un benessere che i genitori, alla medesima età, non hanno mai avuto.
E con l'amore e il benessere, inconsciamente, inizia la distruzione dei valori necessari per potersi automotivare al sacrificio del lavoro.
In altre parole : chi ha bisogno impara a sacrificarsi per raggiungere il benessere ... ma chi il benessere già lo possiede perde automaticamente la capacità e la motivazione di dover e/o voler far dei sacrifici lavorando.
Con il senso protezionistico dei genitori e del loro amore per i figli, se è esagerato, si ottengono risultati contrari di quello che i medesimi si aspettano. Una madre che accetta che il figlio rimanga sempre a casa a 20/30 e più anni deve, postum, assumersi anche la responsabilità dell'acquisita incapacità del figlio nel risolvere in futuro i propri problemi sociali.