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Discussione: Cessate il Fuoco

  1. #1
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    Predefinito Cessate il Fuoco



    "GERUSALEMME - Nel vertice di domani a Sharm El Sheikh israeliani e palestinesi annunceranno un accordo di cessate il fuoco. Lo ha reso noto Saeb Erekat, il ministro palestinese per i negoziati con Israele, citato dall'edizione on line del quotidiano israeliano Haaretz.
    Un accordo in questo senso e' stato concordato tra le due parti. La notizia e' stata confermata a Haaretz da un anonimo."

    www.ansa.it


    Con senescenza

  2. #2
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    da www.adnkronos.com

    " Hamas: ''Nessun cessate il fuoco senza pagare un prezzo''

    M.O., Abu Mazen e Sharon: ''Fine degli atti di violenza''

    Il premier israeliano: ''Cesseremo le operazioni militari contro i palestinesi. Intendiamo onorare il loro diritto all'indipendenza''

    La stretta di mano tra Abu Mazen e Ariel Sharon
    (fermo immagine da Fox News)


    Tel aviv, 8 feb. (Adnkronos) - Accordo raggiunto tra Ariel Sharon e Abu Mazen per un cessate il fuoco reciproco. Al termine del vertice di Sharm el Sheikh, il presidente dell'Anp ha dichiarato che è stato concordato di ''cessare tutti gli atti di violenza contro gli israeliani e i palestinesi ovunque si trovino''. ''Abbiamo raggiunto un accordo con Sharon sulla cessazione della violenza'', ha detto Abu Mazen. ''Dobbiamo tutti dichiarare che alla violenza non verrà permesso di uccidere la speranza'', ha dichiarato Ariel Sharon. Quindi ha aggiunto che Israele cesserà le operazioni militari contro i palestinesi. ''Intendiamo onorare il diritto palestinese all'indipendenza e alla dignità''. Ma non solo. Il premier dello Stato ebraico ha confermato che ''Israele libererà centinaia di detenuti palestinesi''. Per i due leader l'intesa raggiunta apre la strada alla realizzazione della Road Map.
    Prima di Abu Mazen e Sharon, aveva parlato il padrone di casa, il presidente egiziano Hosni Mubarak, che ha partecipato al summit assieme al re di Giordania Abdallah II. Mubarak ha lodato ''lo spirito positivo'' dei colloqui e ha detto di aver assistito oggi ad un importante primo passo per far ripartire il processo di pace della Road Map. ''La nostra iniziativa -ha aggiunto- sarà seguita da altre per la ripresa del binario siriano e libanese''.
    Nel corso degli incontri di questa mattina che hanno preceduto il vertice, il premier israeliano ha invitato il presidente egiziano e il re di Giordania Abdallah II a visitare Israele. A quanto riferisce la radio israeliana, citata sul sito di Ha'aretz, Mubarak e Abdallah II hanno accettato l'invito. Il premier israeliano ha invitato anche il presidente palestinese a recarsi ''al più presto'' in visita nel suo ranch nel deserto del Negev. Lo ha reso noto il portavoce di Sharon Raanan Gissin, precisando che Abu Mazen ha accolto l'invito. Gissin ha anche espresso l'auspicio che i due leader possano incontrarsi anche a Ramallah, in Cisgiordania, quartier generale dell'Autorità nazionale palestinese.
    L'annuncio di un cessate il fuoco non piace ad Hamas. ''La nostra posizione è chiara. Nessun cessate il fuoco viene offerto al nemico sionista senza che venga pagato un prezzo reale. Manterremo la calma solo se Israele si impegnerà a rilasciare tutti i prigionieri palestinesi (circa ottomila)'', ha commentato Musheer al-Masri, portavoce di Hamas a Gaza.
    Oggi, le forze di sicurezza israeliane sono state poste in stato d'allerta per il timore di azioni volte a sabotare l'esito del vertice. I servizi hanno avvertito della possibilità di attentati e posti di blocco sono stati istituiti nei Territori.
    "

    Shalom

  3. #3
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    E' la prima vittima dopo la proclamazione bilaterale
    del cessate-il-fuoco fra le due parti
    Medio Oriente, trema la tregua
    ucciso un palestinese a Gaza

    GAZA - Un giovane palestinese del campo
    profughi di Rafah è stato ucciso stasera da colpi di arma da fuoco sparati da un insediamento di coloni ebrei nella striscia di Gaza: è la prima vittima che cade in un episodio del conflitto palestino-israeliano, un giorno dopo la proclamazione bilaterale del cessate-il-fuoco fra le due parti.

    Le pallottole che hanno ucciso il palestinese, venti anni di età, provenivano dall'insediamento di Atzmona, che dispone di una guarnigione dell'esercito israeliano.
    Da una fonte militare israeliana si è appreso che i soldati hanno sparato colpi di ammonimento perché sospettavano un tentativo di infiltrazione nell'insediamento ebraico, dopo che quattro palestinesi si erano presentati a una cinquantina di metri da una recinzione di sicurezza. I palestinesi, secondo la fonte citata, si sono dati alla fuga.

    (10 febbraio 2005) Repubblica

    ****************************************

    ...ora attendiamo che anche Hamas e/o gruppi affini facciano la loro parte per mandare all'aria l'accordo appena raggiunto.
    Nella speranza però che stavolta dall'una e dall'altra parte il razocinio e la voglia di pace siano più forti delle strumentalizzazioni dei falchi (aihmè ben presenti ed operanti da ambo le parti...alla faccia dei due popoli sofferenti).

    Cordialmente,
    Etrusco

  4. #4
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    In Origine postato da Etrusco
    E' la prima vittima dopo la proclamazione bilaterale
    del cessate-il-fuoco fra le due parti
    Medio Oriente, trema la tregua
    ucciso un palestinese a Gaza

    GAZA - Un giovane palestinese del campo
    profughi di Rafah è stato ucciso stasera da colpi di arma da fuoco sparati da un insediamento di coloni ebrei nella striscia di Gaza: è la prima vittima che cade in un episodio del conflitto palestino-israeliano, un giorno dopo la proclamazione bilaterale del cessate-il-fuoco fra le due parti.

    Le pallottole che hanno ucciso il palestinese, venti anni di età, provenivano dall'insediamento di Atzmona, che dispone di una guarnigione dell'esercito israeliano.
    Da una fonte militare israeliana si è appreso che i soldati hanno sparato colpi di ammonimento perché sospettavano un tentativo di infiltrazione nell'insediamento ebraico, dopo che quattro palestinesi si erano presentati a una cinquantina di metri da una recinzione di sicurezza. I palestinesi, secondo la fonte citata, si sono dati alla fuga.

    (10 febbraio 2005) Repubblica

    ****************************************

    ...ora attendiamo che anche Hamas e/o gruppi affini facciano la loro parte per mandare all'aria l'accordo appena raggiunto.
    Nella speranza però che stavolta dall'una e dall'altra parte il razocinio e la voglia di pace siano più forti delle strumentalizzazioni dei falchi (aihmè ben presenti ed operanti da ambo le parti...alla faccia dei due popoli sofferenti).

    Cordialmente,
    Etrusco
    Eccoli !

    ************************************************

    Gaza, 10:40
    HAMAS RIVENDICA ATTACCHI RAZZI E MORTAI SU INSEDIAMENTI

    Sono stati rivendicati da Hamas i numerosi attacchi susseguitisi dalla notte scorsa e ancora in mattinata contro diversi insediamenti e postazioni dell'Esercito israeliano nel settore sud della Striscia di Gaza, senza causare alcuna vittima ma danneggiando diversi edifici e soprattutto violando il cessate-il-fuoco proclamato appena due giorni fa in occasione del vertice a Sharm el-Sheikh tra Ariel Sharon e Mahmoud Abbas alias Abu Mazen. In un comunicato il gruppo radicale palestinese afferma che si e' trattato della rappresaglia per l'uccisione di un palestinese, un ventenne originario del campo profughi di Rafah, raggiunto da colpi di arma da fuoco sparati dall'insediamento di Atzmona, ove e' di stanza una guarnigione ebraica. Nella nota Hamas precisa che nel giro di sole due ore sono stati lanciati dai suoi miliziani 46 tra proietti di mortaio e razzi; fonti militari in Israele avevano parlato invece di diciassette salve in tutto, tra cui una granata anti-carro contro un avamposto militare nei pressi dell'insediamento di Neveh Dekalim; altri ordigni si sarebbero peraltro abbattuti al suolo anche oltre confine, sul territorio meridionale d'Israele.

    10/2/2005 Repubblica

  5. #5
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    A pagina 7 del quotidano torinese LA STAMPA di oggi 13 febbraio 2005, è pubblicato un articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo « Gli Hezbollah vogliono assassinare Abu Mazen »


    " Non si tratta di esagerazioni, né di tentativi marginali di bloccare questo timido processo di pace: gli hezbollah, dicono i servizi palestinesi e israeliani, cercano veramente di organizzare l’assassinio di Abu Mazen e di provocare attacchi terroristici per destabilizzare la situazione. Le quotazioni della violenza sul mercato del conflitto israelo-palestinese non sono basse come ci si poteva aspettare dopo l’accordo di Sharm el Sheikh. Chi procura un kamikaze ha diritto a un premio di 100.000 dollari da parte della milizia sciita libanese; chi porta un filmato (poi spesso trasmesso da «Al Manar») del momento in cui viene sparato su Israele un missile Kassam, riceve 10.000 dollari. Quattro giorni fa ne sono stati sparati trenta in una notte sugli insediamenti del Gush Kativ, a Gaza.
    Abu Mazen cerca di reagire come può con mosse interne e diplomatiche: ha cambiato (da due giorni) il capo della polizia e ha ordinato ad Hamas di interrompere il lancio dei missili Kassam. Così, ha mandato inviati a Beirut per trattare un’improbabile tregua che coinvolga Nasrallah, i siriani, gli iraniani. Abdel Fatah Hamayel avrebbe chiesto agli hezbollah di smetterla di finanziare i gruppi terroristi palestinesi. Il ministro degli esteri Nabil Shaat ha visitato Damasco, invece, per chiedere alla Siria di bloccare gli hezbollah dal tentativo di far deragliare il processo di pace. Abbas invece cerca di spiegare a Gaza, alle varie fazioni, che sarà un bene per tutti se la smettono di farsi indottrinare e foraggiare da Nasrallah.
    Ma la missione non riuscirà a meno che non cambino gli equilibri di zona: qui si ha infatti a che fare con un’asse che ha fatto degli hezbollah la loro punta di diamante, che ha una strategia di conquista prima di tutto religiosa e quindi territoriale e ideologica nell’area e che coinvolge i veri, più profondi interessi a che Israele resti un paese e una nazione delegittimata e destinata alla sparizione. Quindi, che ha interessi opposti a quelli del Fatah odierno. L’asse Hezbollah-Libano-Siria-Iran è infatti l’asse sciita più attivo nelle sorti della zona. A Damasco hanno sede, per completare il quadro, sia Hamas che la Jihad islamica che ieri hanno promesso una tregua di fatto.
    Ma l’interesse a mantenere acceso il conflitto è molto forte e implica un delicato giuoco di potere di cui si vede solo il palcoscenico illuminato dei rapporti fra la Russia di Putin e la Cina con l’Iran e la costruzione del suo nucleare; con la Siria, cui la Russia ha cancellato il debito e si prepara a vendere armi; col Libano, dove una pacificazione cambierebbe gli equilibri economici del medio Oriente. Si vede anche nelle parole di ieri del presidente libanese Emil Lahoud contro gli USA che chiedono alla Siria di lasciare il Libano.
    È un’emulazione che implica un’alleanza e un rapporto in cui non c’è tregua in vista. Gli hezbollah inoltre, nuovo finanziatore al posto di Saddad Hussein del terrorismo palestinese, sono un gruppo terribilmente sanguinario, producono una propaganda antiamericana e antisemita senza pari, rapiscono soldati di guardia, minacciano ogni giorno la distruzione di Israele, mostrano sul confine enormi fotografie in cui una mano (la loro mano) porge alla macchina fotografica la testa di un giovane israliano staccata dal corpo. Compiono e finanziano attentati per interposta persona e gestiscono campi di training in Libano; e tuttavia, non vengono riconosciuti dall’Europa come un gruppo terrorista. I francesi dicono che il gruppo ha una rappresentanza parlamentare in Libano, e quindi è regolare. Lo stesso dicono molte organizzazioni che hanno partecipato ai vari social forum degli ultimi anni: la strategia di Nasrallah di convocare a Beirut una delle assemblee preparatorie del World Social Forum cerca una paradossale legittimità nel mondo dell’antiglobalizzazione, e la trova presso l’estrema sinistra anche italiana che vede in essa una delle più attive forze anti Usa e contro qualsiasi pace con Israele, che non sia la pace dei cimiteri.
    "


    Shalom

  6. #6
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    " Time Out per il terrorismo?

    Di Ehud Ya’ari


    Che lo si chiami hudna o con qualunque altro nome, il cessate il fuoco fra Israele e Autorità Palestinese merita tutta l’approvazione. Porre fine al bagno di sangue che dura da cinquantadue mesi è senza dubbio un importante successo, e va dato atto a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) d’aver trovato la forza di cambiare strada rispetto a quella del suo predecessore, come aveva promesso in campagna elettorale.
    Dopo un po’ di ondeggiamenti nei primi giorni da ra’is dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen ha dimostrato determinazione e perseveranza, e tutt’a un tratto è diventato chiaro – anche a coloro che non l’avevano capito prima – che in effetti non era altri che Yasser Arafat colui che impediva la fine delle violenze. Le forze di sicurezza palestinesi, risorte come per incanto, si sono schierate lungo le linee dello scontro imponendo una netta diminuzione del volume di attacchi terroristici di qualunque tipo.
    La domanda, adesso, è: quale sarà la natura di questa tregua, posto che riesca a stabilizzarsi? Quale sarà la sua struttura politica? Siamo di fronte a una hudna che riflette l’autentica consapevolezza che la campagna terroristica si è ritorta in un completo fallimento? Oppure si rivelerà semplicemente come un’occasione per le fazioni armate di sfruttare la tregua per acquisire vantaggi, cosa per cui Hamas e i pari suoi premono ostinatamente?
    Tre sono i vantaggi principali che queste fazioni sperano di acquisire durante la hudna.
    1) Un time-out di durata imprecisata, durante il quale potersi riprendere e riorganizzare dopo i colpi subiti da parte delle forze armate e dei servizi di sicurezza israeliani. L’obiettivo principale sarà quello di dotarsi di missili potenziati, capaci di raggiungere città come Ashkelon.
    2) Partecipare al processo decisionale dell’Autorità Palestinese in modo tale da legare in una certa misura le mani di Abu Mazen. Ciò avverrebbe in primo luogo all’interno di un quadro dirigente in cui Hamas e suoi accoliti siederebbero insieme agli uomini di Abu Mazen, tenendo d’occhio i negoziati con Israele; in secondo luogo attraverso le elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese fissate per il prossimo 17 luglio le quali, grazie a un previsto cambiamento della legge elettorale, vedranno entrare nel parlamento palestinese una rappresentanza di queste fazioni significativamente aumentata. La netta vittoria di Hamas all’ultima tornata di elezioni municipali nella striscia di Gaza mostra bene le dimensioni di questo rischio.
    3) Immunità rispetto agli attacchi di Israele e legittimazione di un movimento di “resistenza” all’interno dell’Autorità Palestinese, grazie all’impegno di Sharon di sospendere le operazioni e alla promessa di Abu Mazen che eviterà di procedere al disarmo di Hamas.
    C’è il rischio che, insieme a questi vantaggi immediati che le fazioni armate si aspettano di ottenere dal cessate il fuoco, sul lungo termine finisca anche con l’emergere una sorta di intesa per la coabitazione fra l’Autorità Palestinese e la non-santa alleanza delle bande terroristiche. In base a tale intesa, il cessate il fuoco comporterebbe, sebbene implicitamente, l’accettazione da parte di Israele dell’esistenza di gruppi armati al di fuori del legale apparato di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Queste forze avrebbero obiettivi e priorità diversi da quelli di Abu Mazen, uniti alla capacità di perseguire una loro strategia militare indipendente.
    Il che significherebbe la riproduzione del modello libanese, dove Hezbollah esiste e opera accanto al governo legittimo come un movimento armato, equipaggiato con migliaia di razzi a lunga gittata. Esattamente come nello scenario che Hamas spera di realizzare, Hezbollah è rappresentato nel parlamento di Beirut e partecipa a tutte le elezioni, pur perseguendo una sua politica indipendente lungo il confine con Israele, compreso l’innesco di incidenti senza bisogno di alcuna approvazione da parte del governo centrale.
    Diventare la versione palestinese di Hezbollah è esattamente ciò a cui punta Khaled Mashal, il capo dell’ufficio politico di Hamas che vive a Damasco. Come il movimento jihadista libanese di Hassan Nasrallah, anche Hamas cercherebbe di evitare scontri con le autorità locali, adattando le proprie operazioni alla sensibilità del governo in carica. Ma ogni volta lo ritenesse necessario, quando mutate circostanze lo richiedessero, sarebbe sempre pronto ad aprire il fuoco e lanciare attacchi. Hamas, come Hezbollah, vuole riservarsi il diritto di decidere quando questa o quella azione israeliana merita una reazione violenta.
    Al momento Israele non può fare altro che mostrare comprensione per la riluttanza di Abu Mazen a contrapporsi frontalmente alle organizzazioni armate. Ma questo non significa che il primo ministro Sharon possa accettare un meccanismo che preservi la forza terroristica di Hamas concedendole al contempo un ruolo nel processo decisionale. Allo scopo di scongiurare i pericoli insiti in un tale meccanismo, è essenziale riuscire a ottenere appoggio internazionale per una posizione secondo cui la hudna è solo un passo verso la rimozione della minaccia terroristica, e non uno strumento per rafforzarla. Giacché, se questo non è messo bene in chiaro, Hamas e i suoi satelliti conserveranno tutto il potere di decidere se e quando parrà loro utile lanciare la terza intifada.

    (Da: The Jerusalem Report, 12.02.05)
    "


    Shalom

  7. #7
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    " Consigliere di Sharon: il ritiro israeliano non si fermerà a Gaza

    “Il ritiro da Gaza non sarà l'ultimo che Israele farà nei territori palestinesi”. Lo ha affermato lunedì a Gerusalemme Dov Weisglass, consigliere del primo ministro israeliano Ariel Sharon. Secondo Weisglass, i negoziati con i palestinesi sull'assetto definitivo nei territori potranno ragionevolmente cominciare prima della fine del secondo mandato del presidente Usa George W. Bush.
    Il ritiro dalla striscia di Gaza, ha detto, "è solo la prima delle ‘dolorose concessioni’ che Sharon si è detto disposto a compiere” nel tracciato negoziale con i palestinesi. Il fatto che oltre allo sgombero di quelle esistenti a Gaza sia stato deciso “il ritiro anche da quattro località ebraiche nel nord della Samaria (Cisgiordania) – ha spiegato – è un atto simbolico importante, che indica che il ripiegamento da Gaza non è la fine del percorso. Ritengo – ha aggiunto Weisglass –che entro un periodo ragionevole arriveremo a colloqui sull'assetto finale con i palestinesi, e allora saranno sollevate anche tutte le questioni territoriali”.
    L'obiettivo dei negoziati, ha precisato, sarà di arrivare alla creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele, in conformità con la Road Map tracciata dal Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu).
    Weisglass ha assicurato che non è intenzione di Israele isolare la striscia di Gaza dal resto del mondo e ha indicato che lo stato ebraico è disposto a permettere a Gaza la costruzione di un porto e la ricostruzione dell' aeroporto, chiuso durante gli anni più sanguinosi dell’ultima intifada.

    (Da: Ansa, 21.02.05)
    "

    Shalom

  8. #8
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    Fiamma Nirenstein firma un articolo dal titolo «Terrorismo, il difficile fronte interno di Abu Mazen» pubblicato a pag. 7 del quotidiano torinese LA STAMPA di oggi...



    IL LEADER PALESTINESE DEVE DIMOSTRARE DI SAPER AFFRONTARE I GRUPPI PIU’ ESTREMISTI

    DUNQUE il mostro non è morto, il terrorismo cerca di ghermire la fragile pace avviata, distrugge le promesse di cessare dalla violenza che Abu Mazen e Ariel Sharon si sono scambiati a Sharm el Sheik. In Israele nelle ultime due settimane erano stati individuati e fermati una decina di attentatori terroristi, era chiaro che la tregua non era affatto stata accettata da tutti, che anzi era vista come la vittoria della linea di democratizzazione e pacificazione del Medio Oriente che in tanti odiano, e anche che Abu Mazen non poteva fornire una protezione ermetica dal terrore. E per quanto non sorprendente, tuttavia l’attentato è caduto tanto più doloroso sulla folla giovanile del venerdì sera che passeggia, chiacchiera e ride, entra a gruppetti nei pub o nei locali notturni come «Stage».
    L’illusione era enorme, quanto può esserlo quando nasce dal semplice, indispensabile desiderio di vivere. Ifat, una delle ragazze che lavorano nella cucina dello «Stage», quando ha sentito la fortissima esplosione (dieci chili circa di tritolo) non poteva credere, racconta, che tutto fosse ricominciato da capo, come al tempo della grande strage di ragazzini in coda al locale «Dolphinarium», 23 morti nel 2001, e poi di nuovo, sempre a poche centinaia di metri al «Mike Place» nel 2003.
    Nelle ore notturne nel campo israeliano e in quello palestinese, e anche nel mondo arabo che in queste settimane si è impegnato a favorire la nuova fase di colloqui, il nuovo drammatico scenario che si è presentato riguarda due punti fondamentali: l’identificazione dei responsabili e la reazione da adottare. Il terrorista di Tel Aviv che di nuovo ha riempito di lutto disperato e di sangue innocente le strade di Israele, ha fatto esplodere anche il processo di pace? La risposta per ora è un cauto «no». Tutte le parti sanno che al di là delle rivendicazioni della Jihad Islamica e delle Brigate di Al Aqsa e le successive smentite («Non c’entriamo niente», hanno fatto sapere dopo le prime rivendicazioni, mentre l’Autorità condannava per bocca di Saeb Erakat) esiste una costellazione di bande che collaborano per portare i loro eccidi a compimento con tutte le complicazioni che questo comporta (attentatore, esplosivo, trasporto fino al luogo dell’attentato con mezzi di trasporto in generale israeliani); oltre a questo, viene da parte palestinese il suggerimento, per ora non precisato, che l’attentato possa essere stato preparato e eseguito con il sostegno di «elementi non palestinesi», il che significa, probabilmente, con l’intervento degli hezbollah.
    L’organizzazione libanese sciita da tempo fornisce denaro e uomini allo sforzo di distruggere il processo di pace, e in generale svariati gruppi terroristi mediorientali vogliono fermare la spinta alla democratizzazione e all’incontro con l’Occidente che ha nella vicende israelo-palestinese, oltre che in Iraq, uno dei suoi punti centrali.
    Sul che fare, Sharon e il suo gabinetto vivono il consueto dilemma: nella fattispecie, al momento si può prevedere che la reazione può essere quella di un rallentamento delle operazioni di sgombero dalle cinque città palestinesi presidiate dall’esercito. Tulkarem, la città da cui, dopo un primo sospetto sulla città di Shkem, si pensa che sia uscito il terrorista suicida, era proprio fra le prime che avrebbe dovuto essere sgomberata. In generale, tuttavia, Sharon conterrà la guerra al terrorismo in termini più sfumati, ma certamente si rivolgerà a Abu Mazen (che durante la notte ha riunito il nuovo governo in una riunione d’emergenza) per chiedergli un impegno contro il terrorismo ben visibile e pragmatico: l’individuazione dei colpevoli, il loro arresto, un processo. Insomma, un atteggiamento verso il terrorismo che sia più chiaro, meno blando dell’«embrassons nous» che la nuova gestione dell’Autorità Palestinese ha offerto a tutti i gruppi, nessuno escluso.
    Adesso che l’illusione di una tregua onnicomprensiva sembra svanire, di sicuro anche Abu Mazen si interroga su quanto sia utile ai propri progetti la scelta di inglobare tutti quanti con la promessa per le fazioni di reintegrazione nella vita civile fuori dalle prigioni israeliane o dalla clandestinità. Anche Abu Mazen probabilmente proprio nelle ore in cui vara il suo nuovo governo e dopo che il suo popolo lo ha acclamato per la liberazione di tanti prigionieri, deve affrontare l’idea che esiste una irriducibilità, una scelta politica e ideologica che non può che essere spezzata se si vuole salvare la pace. E’ ragionevole pensare che Sharon, premuto dalla sua base dopo le ultime concessioni sui prigionieri e la promessa di sgomberare le città e soprattutto la votazione sugli insediamenti di Gaza e di parte della Cisgiordania, sia ora in grande difficoltà.
    Adesso, per ristabilire una situazione in cui il programma sia possibile e perché Abu Mazen, a sua volta in continuo pericolo a causa dell’odio dei suoi estremisti, resista, occorrono scelte molto pragmatiche. Il terrorismo rischia di spaccare tutto; perché la pace avanzi, guai a lasciarlo proliferare, e guai anche dimenticare, per ambedue le parti, la promessa di mantenere la pace. Abu Mazen, adesso, di fronte al terribile dolore di Israele, non può che dimostrare, per conservarne la fiducia, che vuole combattere il terrorismo, e non a parole.


    Shalom!!!

  9. #9
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    " 28-02-2005
    Attentato a Tel Aviv e processo di pace

    Alcuni commenti dalla stampa israeliana

    Scrive Yediot Aharonot : L’attentato terrorista (di venerdì sera a Tel Aviv) era puntato contro l’Autorità Palestinese quanto contro Israele. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro israeliano Ariel Sharon hanno ora una causa in comune contro le organizzazioni estremiste del terrorismo che vogliono far naufragare il processo di pace appena germogliato. Sono incoraggianti le condanne dell’attentato venute dall’Autorità Palestinese, ma attenzione: se Abu Mazen non vuole vedere le aree sotto Autorità Palestinese trasformate in un secondo Iraq, deve agire in modo rapido e deciso. Per fare i conti con coloro che usano il terrorismo e con i focolai del terrorismo nei territori, ad Abu Mazen verrà dato abbastanza tempo, ma non un tempo illimitato.

    Scrive Hatzofeh : Questi i fatti: dei palestinesi hanno perpetrato la strage razzista nel cuore di Tel Aviv; l’organizzazione che ha perpetrato l’attentato era palestinese; l’assassino era palestinese. Ma noi diamo la colpa alla Siria. Perché? Perché questo ci permette di continuare a chiudere gli occhi e andare avanti con la stupida e scellerata politica di espellere ebrei da Gush Katif (striscia di Gaza) .

    Scrive Ha’aretz : Nei momenti di lutto è assai difficile vedere il mezzo bicchiere pieno. Tuttavia, uno sguardo ponderato sulle migliori condizioni di sicurezza degli ultimi mesi ci dice che l’autocontrollo militare e la cooperazione con il governo di Abu Mazen hanno già dato i loro frutti. Probabilmente occorre uno sforzo maggiore, forse con aiuti internazionali, per fermare il flusso di denaro verso Hezbollah che permette al terrorismo di continuare. In passato, fiammate di terrorismo hanno troncato più di un progetto politico. Ma anche nei momenti peggiori, l’opinione pubblica israeliana nella sua maggioranza non ha mai smesso di sostenere il ritiro dai territori. Il 67% della gente esprime appoggio al piano di disimpegno da Gaza , stando a un sondaggio condotto la settimana scorsa dal Cartographic Institute. Questo appoggio non dipende dalla rabbia e dal dolore per le perdita di vite umane, ma piuttosto da una spassionata visione della realtà e della necessità che ha il paese di un confine difendibile.

    Scrive il Jerusalem Post : Che ci vengano almeno risparmiate le espressioni di condanna. Le condanne dell’attentato da parte dell’Autorità Palestinese, che non ha mosso un dito per prevenirlo, sono fiato sprecato. Ora altri quattro israeliani sono morti, e tanti altri feriti e mutilati, per un altro attentato suicida il venerdì sera nel cuore di Tel Aviv. E ancora ne moriranno se il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen continuerà a sottrarsi alle misure che deve prendere. Il test più semplice di tutto questo è la questione dell’istigazione. Non crediamo che la difficoltà di arrestare terroristi e confiscare armi sia una buona scusa per non farlo, soprattutto nel momento in cui Israele sembra sul punto di lacerarsi pur di sgomberare insediamenti unilateralmente . Se l’esitazione nasce dalla difficoltà di ricorrere alle maniere forti contro i “fratelli palestinesi”, come è allora possibile che le stesse autorità siano così pronte a emettere sentenze di ergastolo e di morte contro palestinesi “collaborazionisti” ?

    (Da: Yediot Aharonot, Hazofeh, Ha’aretz, Jerusalem Post, 27.02.05)
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    Sul quotidiano Il Corriere della Sera di oggi, due marzo 2005, è stato pubblicato un articolo di Guido Olimpio dal titolo:

    " «Ma nella lista dei bersagli di Osama c'è anche il nuovo raìs»


    Per i qaedisti il nuovo raìs, il presidente palestinese Mahmoud Abbas, è un « miscredente » che appartiene alla confessione dei Bahai, che ha uno dei centri più importanti ad Haifa ( Israele). Lo chiamano in modo irridente il « principe » e sostengono, per rimarcare la sua scarsa pratica con le questioni islamiche, che « non è riuscito ad imparare a memoria neppure il primo capitolo del Corano » . Dunque è un traditore della causa e va trattato come tale. Stessa sorte per Mohammed Dahlan, uomo forte dell'Autorità palestinese. L'ideologo qaedista, a questo punto, rammenta loro la sorte toccata al comandante Massud, il capo dell'Alleanza del nord in Afghanistan ucciso alla vigilia dell' 11 settembre. Perché si era alleato ai « secessionisti » ( gli sciiti) e ai « Crociati » .
    Non sarebbe dunque una sorpresa se Al Qaeda, in modo diretto o con l'aiuto di un gruppo satellite, cercasse di assassinare Abbas. La sua morte potrebbe bloccare il processo di pace in corso. E non solo in Palestina. Un modo per soffocare le speranze di un 1989 in Medio Oriente.
    Il progetto destabilizzante è contenuto in un documento diffuso il 10 febbraio e redatto da uno degli scrittori qaedisti. Un manifesto strategico dove sono indicati obiettivi, strategie, mutamenti tattici.
    Le future operazioni — scrive Abdallah Muslim — dovranno essere concentrate per lanciare una « grande operazione dentro l'America... La data si sta avvicinando » .
    Per l'autore sono passati quattro anni dall' 11 settembre, ma gli americani « non hanno compreso il messaggio » . Per questo il « prossimo attacco sarà forte e anticonvenzionale, mirato a provocare un alto numero di vittime e perdite materiali » . Un ordine che richiama le indiscrezioni — americane — su un presunto appello di Bin Laden dal discepolo Al Zarkawi affinché colpisca all'interno degli Usa. La risposta sarebbe stata: sono troppo impegnato in Iraq.
    L'ideologo qaedista poi si sofferma sugli ultimi messaggi di Osama fornendo una analisi interessante. « Non è vero che si è trasformato in politico, lo è sempre stato. Politica e atti militari procedono insieme: l'organizzazione che non impiega entrambi non raggiunge il suo scopo. Ciò spiega perché le bombe di Madrid sono coincise con le elezioni spagnole » . Il richiamo alla strage di Atocha potrebbero confermare l'analisi di chi teme nuovi attacchi in occasione delle prossime consultazioni elettorali.
    Trasformandosi in capo operativo « Abdallah Muslim » indica i due fronti d'attacco: Primo: indebolite le forze americane in Iraq e in Afghanistan. Secondo: attaccate gli interessi americani nel mondo, partendo dagli impianti petroliferi nel Golfo Persico.
    Le fazioni qediste devono agire per conseguire tre mete: 1) Causare perdite all'economia Usa facendo alzare il prezzo del greggio. 2) Imbarazzare Washington dimostrando che non è in grado di garantire la sicurezza. 3) Creare sfiducia nei confronti degli Stati Uniti nell'area del Golfo.
    Gli americani — sostengono i qaedisti — dovranno reagire aumentando la loro presenza nei Paesi arabi e questo creerà « vergogna » portando a una reazione popolare.
    Contro gli alleati di Washington il movimento di Bin Laden userà invece la tattica dell'assassinio mirato: « Eliminazione di alcuni presidenti e re, seguita dall'uccisione di ufficiali della sicurezza... I mujaheddin di Al Qaeda nella terra dei due fiumi ( Al Zarkawi, ndr) sono a conoscenza di questi fatti » .
    Per i seguaci di Osama nella lista nera c'è il presidente egiziano Hosni Mubarak, i principi sauditi, il re di Giordania Abdallah, gli sciiti e Abbas. Particolarmente duro l'attacco al raìs egiziano: « La sua morte fermerà il suo ruolo di traditore in Palestina » . Il Cairo ha infatti svolto una importante mediazione per convincere i gruppi palestinesi ad accettare la tregua. Passo indispensabile per una ripresa dei negoziati tra Abbas e Ariel Sharon. Oggi accomunati dalla volontà di trovare un accordo e dai pericoli che incombono sulla loro esistenza. Contro di loro si muovono nemici tradizionali ma anche i loro « fratelli » .

    Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
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