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Discussione: Gli oracoli

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    Predefinito Gli oracoli

    Oracoli e Sibille (*)

    Benché esista una serie di tavolette cuneiformi datate al VII secolo ove si descrivono oracoli assiri e vi sia l'ancor piu' antico oracolo di Ammone a Tebe in Egitto, e' la Grecia che ci offre l'esempio migliore dell' istituzione oracolare. Gli oracoli greci furono il più autorevole metodo di decisione in situazioni importanti per un periodo di oltre un millennio.

    L'oracolo più famoso, quello di Apollo a Delfi, si trovava in prossimita' di una bizzarra struttura di forma grosso modo conica detta omphalos (ombelico) che si credeva segnasse il centro della Terra.

    Fino a 35.000 persone al giorno approdavano da ogni parte del Mediterraneo al porticciolo di Itea che abbraccia in un golfo la costa ai piedi di Delfi. Esse si sottoponevano ai procedimenti di purificazione alla fonte Castalia facendo offerte ad Apollo ed ad altri dei mentre salivano per la Via Sacra. Negli ultimi secoli di esistenza dell'oracolo, piu' di 4.000 statuette votive fiancheggiavano questi duecento metri di salita lungo il monte Parnaso sino al tempio dell'Oracolo. Qui presiedeva in certi giorni, o in alcuni secoli per tutti i giorni dell'anno, una somma sacerdotessa, o a volte due o tre a rotazione, la cui scelta, a quanto sappiamo, non obbediva ad alcun requisito particolare (al tempo di Plutarco, nel I secolo a.C., essa era la figlia di un povero contadino).

    Costei prima si bagnava in una fonte sacra, bevendo alla sua acqua limpida, e poi stabiliva il contatto col dio attraverso l'albero a lui sacro, l'alloro, allo stesso modo in cui i re assiri coscienti sono raffigurati mentre vengono imbrattati di resina con pigne tenute in mano da genii. La sacerdotessa stabiliva comunque questo contatto o tenendo in mano un ramo di alloro o inalando il fumo delle foglie bruciate (come dice Plutarco) o forse masticandole (come sostiene Luciano). Le risposte alle domande venivano date immediatamente, senza alcuna pausa per la riflessione, e ininterrottamente.

    Il modo esatto in cui la sacerdotessa dava i suoi responsi e' ancora oggetto di discussione. Non sappiamo se era seduta su un tripode, considerato il sedile rituale di Apollo, o stava semplicemente in piedi all'ingresso della caverna. Tutti i riferimenti arcaici alla Pizia, dal V secolo in poi, concordano con l'affermazione di Erodoto che essa parlava "con la bocca delirante e con vari contorcimenti del corpo". Essa era "entheos" ovvero, in latino, "plena deo" (posseduta dal dio). Parlando attraverso la sua sacerdotessa, ma sempre in prima persona, rispondendo alle domande di re o di uomini comuni impartiva ordini circa i siti dove stabilire nuove colonie (come fece per l'attuale Istambul), decretava quali nazioni fossero amiche, quali leggi imporre, quali fossero le cause di epidemie o di carestie, quali fossero i nuovi culti o le forme commerciali o musicali o artistiche migliori.

    Noi conosciamo da cosi' gran tempo l'oracolo delfico grazie ai libri di scuola, che finiamo per non prestare attenzione ai caratteri straordinari che pur esso presenta. Com'era concepibile che semplici ragazze di campagna potessero essere addestrate a entrare in uno stato psicologico tale da poter prendere immediatamente decisioni che influivano sul governo del mondo? Pensare ad una frode? Magari casi isolati ci potranno essere stati ma e' impensabile che una frode cosi' estesa abbia potuto protrarsi per circa un millennio intero, durante la civilta' intellettuale piu' brillante che il mondo intero avesse mai conosciuto.

    Un'altra spiegazione e' quella biochimica: le trances sarebbero state reali e indotte dai vapori che salivano da una sorta di solfatara al di sotto del pavimento della caverna. Ma scavi francesi del 1903 ed altri piu' recenti hanno dimostrato definitivamente che non esisteva alcuna cosa del genere. Secondo un'altra ipotesi nell'alloro potrebbero essere presenti sostanze allucinogene ma la cosa e' quanto mai controversa e tutto sommato ancora assai oscura.

    Oracoli simili, anche se meno importanti, erano diffusi nell'intero mondo civilizzato del tempo. Lo stesso Apollo ne aveva altri: a Ptoa in Beozia e a Branchide e Patara in Asia Minore. In quest'ultimo sito, la profetessa, come parte dell'induzione alla profezia, veniva rinchiusa di notte nel tempio perché potesse unirsi in connubio con il dio da lei evocato nelle sue allucinazioni, allo scopo di poter meglio assolvere il suo compito di medium. Il grande oracolo di Claros aveva come medium sacerdoti alle cui frenesie assiste' Tacito nel I secolo d.C.
    Pan aveva un oracolo ad Acacesio, che pero' cesso' di esistere gia' in epoca piuttosto antica.

    L'oracolo aureo di Efeso, famoso per le sue ricchezze enormi, esprimeva i vaticini della dea Artemide per bocca di eunuchi in trance (lo stile dei loro abiti, per inciso, e' usato ancor oggi dalla Chiesa greca ortodossa). E l'innaturale danza sulle punte delle ballerine moderne si pensa derivi dalle danze eseguite dinanzi all'altare della dea.


    Delfi - Immagine tratta dal sito The Official Tourist Portal of Delphi, Greece

    La voce di Zeus a Dodona dev'essere stata uno fra gli oracoli più antichi, dal momento che vi si reco' gia' Odisseo per sapere se far ritorno a Itaca apertamente o in incognito. In epoca arcaica quell'oracolo consisteva probabilmente solo in un'enorme quercia sacra e la voce olimpica veniva sentita per allucinazione nel vento che frusciava fra le sue foglie; viene da chiedersi se c'era qualcosa di simile nel culto della quercia da parte dei druidi. Nel V secolo a.C. Zeus non venne piu' udito direttamente, e Dodona ebbe da allora un tempio e una sacerdotessa che parlava per il dio in trance inconscia.

    Non solo le voci degli dei ma anche quelle dei re morti potevano essere udite. Anfiarao, l'eroico principe di Argo, era morto in Beozia precipitando in una voragine scavata, a quanto si tramanda, da un fulmine di Zeus irritato contro di lui. La sua voce continuo' a essere " udita" dalla voragine per secoli, in risposta alle domande che le venivano rivolte. Col passare dei secoli la voce comincio' pero' a essere udita in forma allucinatoria solo da certe sacerdotesse in trance che vivevano in quel luogo, le quali pero' non rispondevano a domande, ma si limitavano a interpretare i sogni di coloro che si recavano a consultare la voce.

    Il viaggiatore greco Pausania descrive invece l'Oracolo di Lebadea e la complessa procedura di induzione che vi trovo' nel 150 d.C. Egli racconta come, dopo giorni di attesa, di purificazione, di prodigi e di speranza, una notte fu preso d'improvviso e lavato e unto da due giovani sacri, bevve alla fonte del Lete per dimenticare chi era e fu poi condotto a bere alla fonte di Mnemosyne per ricordare in seguito cio' che doveva essergli rivelato (una sorta di suggestione postipnotica). Poi gli fu fatta adorare un'immagine segreta, dovette indossare sacri lini, cingere nastri consacrati e calzare scarpe speciali, e infine, solo dopo altri segni che dovevano essere favorevoli, venne finalmente fatto scendere con una scala nella sacra buca col suo torrente oscuro, dove, senza l'intermediazione di medium o sacerdoti, ebbe la visione o comunque la percezione di un "messaggio divino" che gli parve assai chiaro e utile.

    Un' interessante questione a parte nacque quando fecero qua e la' la loro comparsa quelli che potremmo designare come oracoli dilettanti: individui non addestrati e sprovvisti di qualsiasi veste istituzionale, che si sentivano in modo spontaneo posseduti da un dio. Alcuni di essi, probabilmente i piu', si limitavano ovviamente a dire assurdita' schizofreniche. Altri avevano invece un'autenticita' tale da riuscire a imporre la fede in cio' che dicevano. Fra questi c'erano le poche donne, il cui numero esatto e' ignoto, che erano in possesso di doti eccezionali e che sono note come sibille (dall'eolico sios "dio" e boule' "consiglio").

    Nel I secolo a.C. Varrone pote' contarne almeno dieci nel mondo mediterraneo. Ce n'erano pero' certamente altre in regioni piu' remote. Esse vivevano in solitudine, talvolta in venerati santuari di montagna che erano stati costruiti appositamente per loro, o in caverne tufacee sotterranee in prossimita' dell'urlo lamentoso del mare, come la grande Sibilla Cumana. Virgilio si era recato probabilmente in visita all'antro della Sibilla attorno al 40 a.C., quando descrisse la sua frenetica possessione da parte di Apollo nel canto VI dell'Eneide.
    Come agli oracoli, anche alle sibille veniva chiesto di prendere decisioni su questioni di varia importanza, uso che continuo' sino al III secolo d.C.

    Le loro risposte erano cosi' pervase di fervore morale che persino i primi Padri della Chiesa e gli ebrei ellenistici si inchinarono ad esse come a profetesse di livello pari a quello dei profeti dell'Antico Testamento. La Chiesa cristiana antica, in particolare, ne uso' le profezie (spesso dei falsi) per dare un sostegno alla propria autenticita' divina. Ancora un millennio dopo, in Vaticano, quattro sibille furono dipinte in posizioni prominenti, sul soffitto della Cappella Sistina, da Michelangelo.

    L'Oracolo di Delfi fu quello che sopravvisse piu' a lungo ad onta che si fosse sempre schierato con gli invasori della Grecia come Serse (V sec. a. C.) e Filippo II (IV sec. a. C.).

    Nel I secolo d. C. lo scetticismo aveva soppiantato la fede, tuttavia i Romani lo consultavano spesso, affamati di tradizioni e cultura greca. L'ultimo a consultarlo fu l'imperatore Giuliano l'Apostata che, nel tentativo di ripristinare gli antichi dei, si provo' a far rivivere Delfi nel 363 d. C., tre anni dopo che il santuario era stato saccheggiato dalle truppe imperiali cristianizzate (secondo Jaynes agli ordini di Costantino scrivendo, ahinoi, una panzana). Proprio allora, attraverso la sua profetessa, Apollo annuncio' che non avrebbe profetizzato mai piu'. Mantenne la promessa e l'ultimo vaticinio si avvero'.

    (*) Da "Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza" di Julian Jaynes.

    Dal sito http://www.geocities.com/Vienna/2094/
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Tomás de Torquemada Visualizza Messaggio

    Un'altra spiegazione e' quella biochimica: le trances sarebbero state reali e indotte dai vapori che salivano da una sorta di solfatara al di sotto del pavimento della caverna. Ma scavi francesi del 1903 ed altri piu' recenti hanno dimostrato definitivamente che non esisteva alcuna cosa del genere. Secondo un'altra ipotesi nell'alloro potrebbero essere presenti sostanze allucinogene ma la cosa e' quanto mai controversa e tutto sommato ancora assai oscura.
    Gli autori antichi indicano l'alloro come pianta oracolare di Apollo, ma è probabile che fra i fumi inalati dalla Pizia vi fossero anche quelli del giusquiamo (Rätsch, 1987), chiamato allora pythonion o apollinaris.

    Secondo la testimonianza di Plutarco, la Pizia vaticinava in preda a uno stato di alterazione mentale. Tra le cause del delirio, Plutarco segnala il fatto che la Pizia, per trovare l'ispirazione, veniva rinchiusa dentro un antro dove era costretta a inspirare gas che fuoriuscivano dalle rocce e che risultavano dolci all'olfatto. Questa ipotesi venne scartata verso gli anni Cinquanta, dal momento che non si riusciva a trovare una spiegazione scientifica di quanto testimoniavano le antiche fonti.

    Ma, alla fine degli anni Novanta, il geologo americano Jelle De Boer ha rilevato che la zona del tempio di Delfi, luogo d'incrocio di due faglie, è caratterizzata da un tipo di calcare molto permeabile ai gas. Ricerche geologiche hanno evidenziato in quest'area una concentrazione superiore alla norma di etilene, un gas che - guarda caso - l'uomo percepisce come dolce e che, se assunto in dosi massicce, può effettivamente portare a uno stato di profonda eccitazione.

    Ma recentissime ricerche dell'Istituto nazionale italiano di geofisica e vulcanologia (Ingv) tendono ad escludere questa ipotesi: il calcare sottostante il tempio non avrebbe contenuto quantità di etilene sufficienti a indurre la trance della Pizia, né tanto meno a causare l'odore dolciastro citato da Plutarco. Nel punto in cui si pensa fosse situato l'Adyton, i geologi italiani hanno rinvenuto una certa quantità di anidride carbonica e di metano. La presenza di questi gas in un ambiente riduce notevolmente la quantità di ossigeno provocando effetti neurotossici che possono indurre la trance, mentre l'odore dolce segnalato da Plutarco era probabilmente dovuto a vapori di benzene formatisi nelle rocce bituminose di Delfi.




    Tondo di una kylix attica a figure rosse dipinto dal pittore Kodros
    (440-430 a.C )

  3. #3
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    Stanislao Nievo

    LE BOCCHE INVASATE


    Da Abstracta n° 10 (dicembre 1986)


    Pinturicchio - Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma



    Al pari dei Profeti, le Sibille appartengono alla più nota categoria divinatrice dell'antichità mediterranea. Il carattere di queste donne misteriose ci è stato eternato da un frammento di Eraclito che così scrive: "la Sibilla con bocca invasata per possessione del nume (che è Apollo) pronunzia cose tristi, senza ornamento né profumi e attraversa con la sua voce migliaia di anni per opera del nume". Forse la più vera di queste accezioni è la bocca invasata e l'eco delle parole che attraversa il tempo. Il linguaggio delle Sibille, nella istintiva femminilità non controllata, possiede la forza oscura del dialogo in un tempo senza confini e in uno spazio letterario privo di termini fissi, e la sua eco - a volte doppiezza - permette interpretazioni non univoche. È l'accompagnamento alla divinizzazione che si completa in chi riceve l'oracolo e nella sua capacità di percepire la direzione. Gli oracoli si riferiscono spesso ad una facoltà attraente della mente che rifugge da chiarezza logica per allargare il territorio mentale nel vaticinio. La forza dell'antica attenzione alle Sibille risiede in tale apertura e nella capacità di un continuo sondaggio al responso. Le Sibille erano per nascita donne normali ma per natura estremamente longeve, fino a molti secoli. Il nome Sibilla, di probabile origine eolica, anche se Suida afferma che è nome romano, deriva da teobùle, che significa "Consiglio di Dio" e si parte dall'ufficio, non dalla proprietà del vocabolo. Quel che è interessante notare è che tutte le Sibille predicavano un solo Dio, e ciò valse loro una particolare attenzione dei Padri della Chiesa (1). […]

    Ma quante erano le Sibille? È un punto di controversia. Si discusse a lungo se fosse una sola, o più. Strabone, Plauto, Dionigi d'Alicarnasso, Plinio, Giustino, Atenagora e Giovenale parlano di una Sibilla sola. Aristotele affermava che il calore della melanconia essendo vicino al luogo dell'intelligenza, in molti provoca l'effetto di esser stati presi dalle malattie maniacali ed entusiastiche. Da tale situazione, diceva il filosofo, venivano tutte le Sibille, ispirate non per malattia ma per temperamento di natura. Le vedeva scaturire, come ogni situazione di alta sensibilità artistica o ispirata che fosse, al limite di un'evoluzione o involuzione della creatura umana. Per darne prova aggiungeva che Maraco di Siracusa, poeta stimato, era miglior vate quando era fuor di sé.


    Pinturicchio - Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma


    Altri autori non pensarono all'unicità della Sibilla. Martiano Capella ne conta due: Erofile figlia di Marmesse, nata nel territorio troiano e chiamata Frigia e poi Cumana, e la seconda, Simmachia d'Eritreo, conosciuta dagli Argonauti. Si tramanda la sua divinazione sulla caduta di Troia, un'ottantina d'anni prima dell'evento. Diodoro Siculo ne riconosceva una, Dafne, figlia di Tiresia, catturata durante il sacco di Tebe e posta a Delfi dove annunciò, 27 anni prima, la presa di Troia. È questa la Sibilla di Omero. Apollodoro ateniese afferma che era la Sibilla Eritrea. Strabone aggiunge che era la sola Sibilla, ed era stata posseduta da un'altra della stessa natura nello stesso luogo, a Erythrae in Lidia, sulla penisola di Karaburum, dove si mostrava la sua grotta natale (2). Fu la più celebre delle Sibille greche, come la Cumana fu la più nota di quelle italiche (3). Il numero totale di questa schiera leggendaria raggiunge la decina per Varrone, mentre nella nomenclatura disciplinare più moderna, quella di Bouché-Leclerq, le Sibille vengono divise in tre gruppi - grecoionico, grecoitalico e orientale - facendo elevare il numero a 17 (4). […]

    Giustino Martire del II secolo, uno dei cristiani che più cercò di recuperare il pensiero pagano alla Chiesa, rivela che la Sibilla Cuinana, quella di Virgilio, a detta dei suoi concittadini rivelava a viva voce le sue profezie ma le scriveva anche su fogli che abbandonava al vento (5). I pagani attribuivano alle Sibille una possessione del nume che le animava di forza soprannaturale. Le distinguevano dalla Pizia e dalla Sfinge come da altri oracoli, per la libertà di muoversi e di valersi d'una ispirazione personale non legata a sacerdozi o santuari particolari. "Hanno la bocca furiosa" dicevano "ed è furia soprannaturale". Oltre a ciò, e affidando loro più responsi gravi che positivi, gli autori e le popolazioni antiche rendono sempre le Sibille donne storiche, dalla vita molto lunga. Di questo mondo a Roma rimase essenzialmente l'ordinamento dei libri Sibillini di derivazione ellenica.


    Pinturicchio - Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma


    Benché esistano alcune varianti, la storia di questi libri, secondo Varrone e Plinio che più la seguirono, è questa: Tarquinio Prisco (secondo Plinio, Tarquinio il Superbo) ebbe un giorno l'offerta di nove libri sibillini da parte di una vecchia. Il re rifiutò e la donna bruciò tre libri, poi ripetè l'offerta sempre allo stesso prezzo. Nuovo rifiuto, nuovo falò e nuova offerta dei tre libri superstiti. Allora il re li acquistò e li fece conservare nel Tempio Capitolino dove una commissione di duumviri prima, di decemviri poi e infine di quindecemviri "sacris faciundis" li consultava in certi casi su richiesta del Senato, mai per propria iniziativa.
    Distrutti nell'incendio dell'83 a.C, il Senato ne ordinò la ricostituzione inviando una missione nei territori abitati dalle Sibille. Questa ritornò nel 76 con un migliaio di versi, ricomponendo i libri e sottoponendoli a sempre più rigorosi controlli nella loro autenticità divinatrice. Erano composti di versi acrostici, per mantenere autenticità e memoria. Furono consultati durante la Repubblica e l'Impero fino a Giuliano l'Apostata che nel 363 d.C. ne chiese ancora la riconsultazione dopo una lunga pausa. Poi nel 416 Stilicone ne ordinò la bruciatura. Fu uno dei vari incendi di biblioteche, con conseguente perdita del sapere, di cui è contrassegnata la storia del potere.

    Quelle dei Libri Sibillini erano consultazioni intese più a calmare che a sollevare gli spiriti. Con la loro perdita, per quanto i libri fossero stati rimaneggiati dai cristiani, abbiamo largamente smarrito il modo di esprimersi delle Sibille, che cercavano sempre nell'intento la ricomposizione della pace sociale, allora chiamata pax Deorum. Donne piene di Dio, diceva Varrone, resero persuasi i Padri della Chiesa che Dio parlasse attraverso di loro. Erano per i Gentili ciò che i Profeti furono per i Giudei. Il loro intento, spesso triste, tendeva all'estimazione di eventi negativi attraverso un'informazione tempestiva. Era forma di previsione di un tempo pagano, dalle coordinate diverse. Sarebbe interessante comporne una sintesi attraverso le nostre coordinate, allargate ad assumere le informazioni in tutt'altro modo ma ancora ansiose di conoscere i meccanismi precisi di quei lontani oracoli. Invece le Sbille aleggiano nel ricordo con un vago senso di disagio storico da un lato e dall'altro come trofeo di vittoria nell'affermazione del Cristianesimo, che riportò nel 1° tomo della biblioteca dei Padri proprio agli 8 libri Sibillini. Un modo anch'esso di testimoniare come le Vie del Signore siano realmente infinite.


    NOTE

    (1) I Padri della Chiesa ritenevano la Sibilla “realmente ispirata, ma in modo diverso dai Profeti dell’Antico Testamento. Mentre nei Profeti è presente un’interpretazione consapevole della Parola di Dio, “la Sibilla diviene soltanto il tramite occasionale di essa…” (D.N. E. Religioni Vallecchi, V. 1046)


    (2) La Sibilla Eritrea era, secondo taluni storici, la più antica tra le Sibille. Figlia di Theodoros e di una ninfa, divenne adulta subito dopo la nascita, quindi iniziò a profetizzare e, contro la sua volontà, fu consacrata ad Apollo dai suoi genitori. Avrebbe vissuto nove vite di uomini, ciascuna di 110 anni.

    (3) La Sibilla di Cuma viene identificata talvolta con la stessa Sibilla Eritrea. Questa, infatti, si
    sarebbe trasferita a Cuma poiché Apollo le aveva concesso di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere in mano, ma a condizione di non tornare mai a Erythrae. Morì quando gli Eritresi le inviarono una lettera chiusa con un sigillo fatto con la terra di Erythrae.

    (4) Appartengono al gruppo greco-ionico: Sibilla Eritrea; Sibilla di Marpesso, detta anche Gergitica, Troiana, Ellespontica o Frigia; Sibilla Frigia, posta in Ancira con il nome di Taraxandra; Sibilla di Samo, vissuta ai tempi di Numa; Sibilla di Sardi; Sibilla Rodia; Sibilla Delfica; Sibilla Tessalica; Sibilla di Tesprozia, in Epiro. Appartengono al gruppo greco italico: Sibilla Cumana; Sibilla Cimmeria; Sibilla Italia; Sibilla Tiburtina; Sibilla Libica. Al gruppo orientale: Sibilla Egizia, identica alla Libica; Sibilla Persica; Sibilla Caldea o Babilonese, detta anche Ebraica.

    (5) L'Eneide di Virgilio contiene la più celebre descrizione della Sibilla e del suo modo di profetizzare (Libro VI, 46 ss., 77ss.), così sintitizzabile: "i tratti e l'aspetto fisico, mentre parla, mutano continuamente; il petto le si gonfia, il cuore si riempie di frenesia, la statura quasi cresce, la voce diviene disumana; segue l'agitazione furente, attraverso la quale la donna accede allo stato di calma, in cui il dio parla" (D.N., op. cit., VI, 1041).


    Stanislao Nievo su Abstracta n° 10 (dicembre 1986, Stile Regina editrice)



    Pinturicchio - Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma

  4. #4
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    Predefinito Rif: Gli oracoli

    In questi giorni è morta, in un paesino della Calabria, Natuzza Evolo.
    Molto amata dal popolo, fu portata in Vaticano per DIAGNOSTICARE la malattia di ben due papi. Fra le sue capacità oracolari possiamo annoverare, oltre all'aiuto verso la guarigione, il parlare lingue semitiche come l'aramaico quando era in trance; ma le sue capacità arrivavano anche a poter vedere gli organi interni e, cosi, individuare malattie.
    Credo che la natura di questa mistica ripercorra la tradizione oracolare della Grecia antica, che influenzò con le sue colonie il sud dell'Italia e, in particolare, la Calabria. Anche se la chiesa vuole farla santa subito, pochi si accorgono che i meccanismi della spiritualità arcaica mediterranea sono, ancora oggi, alla base delle confusionarie religioni moderne.
    La gente comune è alla disperata ricerca di oracoli; questo bisogno impellente fa sì che molti ciarlatani siano scambiati per mistici e veggenti.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:32

  5. #5
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    Predefinito Rif: Gli oracoli

    Oracolo è colui che, a livello sub-conscio, riesce a superare il proprio ego e a divenire un tutt'uno con l'universo.

    Nella mente di Dio il tempo non esiste. Esiste solo l'eterno presente.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:33

  6. #6
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    Predefinito Rif: Gli oracoli

    Citazione Originariamente Scritto da GNU-GPL Visualizza Messaggio
    Oracolo è colui che, a livello sub-conscio, riesce a superare il proprio ego e a divenire un tutt'uno con l'universo.

    Nella mente di Dio il tempo non esiste. Esiste solo l'eterno presente.

    Basta molto meno. Ne parla correttamente Jung nel suo libro sulle coincidenze significative e la sincronicità.

    Base di tutto è l'assunto che il tempo non sia suddiviso tra passato, presente e futuro ma un continuum, eterno presente all'interno del quale ogni cosa è interrelazionata con le altre e dalla qualità dell'una è desumibile la qualità di ogni altra che in quel momento ne condivide la realtà.

    Numerosissime sono le mantiche relative; l'oracolo è solo una di queste.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:34
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
    (Sutra di diamante)

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    Predefinito Rif: Gli oracoli

    Arturo Reghini, a una domanda tratta dall’«istruzione» dei Pitagorici Acusmatici, dà la seguente risposta: «Che cosa vi è nel santuario di Delfi? - La santa Tetraktys, perché in essa è l’armonia in cui risiedono le Sirene».

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:35

  8. #8
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    LE SIBILLE


    Pietro Perugino, Profeti e sibille (part.)
    Perugia, Collegio del Cambio


    Rivestono un ruolo del tutto speciale nello scenario magico greco-romano le Sibille, rese famose per le loro doti profetiche da poeti come Virgilio, filosofi come Platone ed Eraclito, storici come Diodoro Siculo e Terenzio Varrone. Quest'ultimo ne elenca dieci, in ordine cronologico: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontina, Frigia e Tiburtina. Parlavano "per possessione del nume", scrive Eraclito, "valicando con la voce migliaia di anni" (Della natura).

    Con le loro profezie a lungo termine, derogavano dalla consuetudine pagana di mantenere gli oracoli ancorati all'attualità. Per questo, a differenza dei responsi formulati dagli auguri e dalla maggior parte dei profeti operanti nell'antichità classica, le parole delle sibille assumevano in molti casi la portata di rivelazioni escatologiche, proiettate al di là dei millenni, verso un futuro nel quale si compivano i destini finali dell'umanità.

    La cosa più straordinaria è che, diversamente da ogni altra profezia pagana, le loro predizioni vennero giudicate in parte credibili dalla cristianità. San Clemente e altri Padri della Chiesa, infatti, ritennero che Dio si fosse servito delle Sibille per annunciare la venuta del Redentore (ed ecco perché vennero effigiate da molti artisti cattolici, a cominciare da Michelangelo nella Cappella Sistina).

    La profezia più significativa in tal senso è quella della Sibilla Cumana, cui Virgilio allude tanto nell'Eneide che nell'Ecloga IV, sull'imminente nascita del divino fanciullo che avrebbe posto fine alla razza del ferro per inaugurare quella dell'oro.

    Giunge ormai l'ultima età della profezia cumana,
    riprende dall'inizio il ciclo dei grandi secoli,
    torna persino la Vergine,
    tornano i regni di Saturno,
    una nuova razza ci viene inviata dall'alto dei cieli.
    Tu sii benevola, casta Lucina, al fanciullo che ora nasce,
    la cui venuta porrà finalmente fine alla razza del ferro
    per fare sorgere in tutto il mondo quella dell'oro...


    Virgilio indica anche il metodo di cui la veggente si avvale per predire il futuro, servendosi di foglie sparse nell'antro, sulle quali scrive le proprie sentenze. E probabile che in realtà traesse responsi dal rimescolamento delle foglie, provocato da improvvise folate di vento.

    E in sulle foglie ripone i fati: in sulle foglie scrive ciò che prevede,
    e ne la grotta distese e ordinate, ove sian lette, le lascia.
    È lei ad allinearle «ad uopo de' mortali», ma il vento talora le disturba
    e van per l'antro in volo.
    Ultima modifica di Silvia; 12-03-10 alle 11:05

  9. #9
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    Michele Allegri

    LA SIBILLA CUMANA



    Sibilla Cumana – Michelangelo, Cappella Sistina


    La donna sapiente e ispirata dalla divinità, in grado di predire il futuro, è una figura che compare autorevolmente in molte culture e tradizioni antiche e, nel mondo greco, il primato del rispetto e della celebrazione fu detenuto anche dalla Sibilla Cumana. Il termine sibilla ha origine incerta ma si sa che, già molto prima del VII secolo a.C, alcune popolazioni dell'Asia occidentale si tramandavano in versi i responsi oracolari di profetesse note come Sibyllai, forse per il nome di un'indovina di Marpessus, una città nei pressi di Troia, che era solita scrivere sulle foglie delle piante i suoi oracoli in forma di indovinelli. Da qui, la tradizione delle Sibille si diffuse in tutto il mondo greco e poi in quello romano, già predisposto all'arte divinatoria dalle frequentazioni con i misteriosi etruschi. Come i greci, infatti, anche gli etruschi s'impegnarono molto per sviluppare l'arte della previsione, l'aruspicina, una tecnica divinatoria praticata dai sacerdoti detti appunto aruspici, in grado di prevedere il futuro studiando il fegato degli animali, il volo degli uccelli o la caduta dei fulmini. Trasmisero questa passione ai romani, che praticarono l'aruspicina con vera dedizione, tanto che persino alcuni imperatori cristiani concessero agli aruspici incarichi ufficiali. I romani nutrivano un profondo rispetto per la Sibilla Cumana, che aveva la sua dimora proprio in un antro nel terreno roccioso a Cuma, incantevole località posta all'estremità nordoccidentale del Golfo di Napoli, colonizzata dai greci nel VII secolo a.C.

    Come Delfi, anche Cuma sorge in una zona di attività vulcanica, i Campi Flegrei, in cui i nobili romani ponevano le loro dimore per sfruttarne le acque termali. Anche la Sibilla, dunque, si serviva dei fumi vulcanici per facilitare lo stato di trance. Chi desiderava interrogare la Sibilla, era introdotto da sacerdoti attraverso una lunga galleria in cui si alternavano luce e buio, fino al vestibolo che precedeva la camera dell'Oracolo. La galleria è in effetti illuminata da una serie intermittente di pozzi di luce che si aprono sul fianco della collina di Cuma. In questo modo, l'interrogante che seguiva il sacerdote lo vedeva come scomparire e ricomparire tra l'ombra e la luce, con un effetto ottico di grande suggestione che aveva lo scopo di incutere rispetto e intimidire. Questa finalità era raggiunta anche grazie ad effetti sonori sinistri causati da fenditure e da camere a volta in grado di amplificare e rendere acuta la voce di chi sussurrava. Così Enea e i troiani rimasero raggelati mentre "dal sacrario della Sibilla Cumana/ predice orrendi enigmi e mugghi dall'antro, avviluppando il vero nelle tenebre", come narra Virgilio. Sempre Virgilio descrive l'entrata della caverna della Sibilla come una "profonda grotta, immane di vasta apertura,/ rocciosa, difesa da un nero lago e dalle tenebre dei boschi". Il "nero lago" di cui parla Virgilio è l'Averno, è situato a 4 km da Pozzuoli, ha acque sulfuree che riempiono il cratere di un antico vulcano e che, secondo la tradizione, tenevano lontani gli uccelli con le loro esalazioni (da cui il nome Averno, a-ornos = senza uccelli).


    Nel VI libro dell'Eneide, la Sibilla, sacerdotessa di Apollo, si pone come guida per il regno dei morti in virtù della doppia natura di Apollo stesso, che ha anche un culto negromantico e ctonio, riguardante i morti e il mondo sotterraneo. Ma chi era la Sibilla cumana? I poeti romani narrano che fosse una donna di origine orientale cui Apollo concesse di esaudire un desiderio pur di averla. La Sibilla chiese di poter vivere per un numero di anni pari ai granelli contenuti in una manciata di polvere, che risultarono essere mille. Ma non domandò al dio l'eterna giovinezza, così divenne tanto vecchia e raggrinzita da poter essere rinchiusa in una bottiglia che fu appesa a Cuma. Quando dei bambini le domandarono cosa desiderasse, lei rispose che voleva solo morire.

    Michele Allegri – da Secreta n° 05 (Olimpia edizioni, novembre 2009)

  10. #10
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    Predefinito La Persica, la Libica, la Delfica...


    Sibilla persica – Michelangelo, Cappella Sistina



    Ogni sibilla aveva la sua particolarità storica o leggendaria, con agganci tanto alla tradizione mitologica che biblica. La Persica era considerata nuora di Noè, la Libica figlia di Giove, la Delfica traeva il suo potere dall'uccisione del mostruoso serpente Pitone, trafitto da una freccia di Apollo, donde l'appellativo di vergine Pitonessa o Pizia. Quest'ultimo non indicava una singola veggente, ma — com'era d'uso comune nella nomenclatura sacerdotale dell'antichità — tutte coloro che si succedevano a profetare nel santuario di Apollo a Delfi, meta di pellegrinaggio per secoli. Si deve alla notorietà di questo tempio, uno dei più frequentati nel mondo ellenico, se la sua sibilla è tra quelle di cui si è maggiormente parlato nell'antichità.



    Sibilla delfica– Michelangelo, Cappella Sistina

    Si sa da Diodoro Siculo che le sacerdotesse di Apollo delfico dovevano essere nei tempi più antichi vergini e giovanissime, ma che in seguito al rapimento di una di esse, la bella Echecrate, si stabilì che non potessero avere meno di cinquant'anni. Si sa inoltre che la Pizia pronunciava i suoi oracoli una sola volta l'anno, e che a quella data Delfi veniva praticamente invasa da migliaia di devoti. La veggente digiunava tre giorni e si bagnava in una fonte consacrata ad Apollo. Masticava foglie di alloro e altre erbe che la predisponevano alla veggenza. Si accomodava quindi su di un tripode in corrispondenza di un orifizio del terreno dal quale usciva un fumo inebriante, che si credeva provenisse dai resti del mostro ucciso dal dio, e attendeva. Quando il fumo l'aveva del tutto avvolta, la Pizia cadeva in trance, profetizzando. Sembra che sia stata lei, la Delfica, a fregiarsi per prima del nome di sibilla (che in dialetto eolico significava "colei che reca il consiglio degli dèi": da sisis, "dèi", e boullan, "consigliare") anche se la Libica è generalmente indicata come la più antica. Si dice che pure quest'ultima sia stata per un certo periodo a Delfi, predicendo il futuro sotto il nome di Trofile. Ma tracce della sua presenza leggendaria si riscontrano anche a Samo, a Claro e in diversi altri santuari.




    La Sibilla libica – Michelangelo, Cappella Sistina

    Se ne deduce che la fama delle sibille non era sempre radicata in un determinato luogo, antro o santuario, ma che spesso il viaggio rappresentava lo sfogo essenziale della loro ricerca. Anche in questo caso, tuttavia, non può dirsi che a un nome dovesse necessariamente corrispondere un'unica donna, essendo di gran lunga più verosimile che diverse iniziate — in tempi e luoghi diversi — si ritrovassero nel solco di una medesima tradizione. Sostiene saggiamente Lattanzio, uno dei primi scrittori cristiani a occuparsene, che gli stessi loro nomi avrebbero un valore puramente convenzionale: "Dovremmo chiamarle tutte Sibilla - dice nel suo manuale delle Divine istituzioni, senza fare distinzioni, ogniqualvolta abbiamo bisogno di ricorrere alla loro testimonianza".

    Tra le più girovaghe delle sibille per così dire itineranti, la cui presenza è registrata in più luoghi, figura accanto alla Libica la Samia, che debuttò come sacerdotessa nel tempio di Apollo a Samo (donde il nome), per poi intraprendere una serie di viaggi che la portarono a esercitare l'arte profetica in Frigia. Laggiù le sarebbe stato eretto un monumento nel tempio di Apollo Sminteo, presso il quale si troverebbe il suo sepolcro, contrassegnato da una colonna con sopra iscritta un'epigrafe: "Io sono la rinomata Sibilla che Apollo scelse per interpretare i suoi oracoli, vergine eloquente, ora muta sotto questo marmo e ad eterno silenzio condannata. Il favore del dio, benché morta, mi concede la compagnia di Mercurio e delle ninfe a me care."

    Simulacri di Mercurio e di ninfe adornerebbero, a quanto si tramanda, questa tomba introvabile tra le rovine della perduta città di Marpessa, in prossimità di un corso d'acqua.

    Franco Cuomo, Le Grandi Profezie (Newton & Compton Editori)

 

 
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