Capo II. Il Congresso di Parigi
[...] La guerra d’Oriente suscitata nemmeno un lustro dopo gli accennati fatti, non vogliamo dire appositamente, ma certo per un fine indefinito e tutto settario, ed anche per compromettere l’Austria, mentre si combatteva la sua potente alleata la Russia * [La Russia era infatti la naturale alleata dell’Austria in quel momento, avvegnaché, se non andiamo errati, una delle mire principali della politica Moscovita da oltre un secolo, sembri essere l’umiliazione dell’Austria, come lo fu dell’infelice Polonia, nazioni cattoliche ambedue. La rettitudine e bontà personale di Paolo e di Alessandro I. arrestarono per qualche tempo quella politica per combattere il comune nemico, siccome avvenne egualmente sotto Nicolò I, nel 1848 e 1849, epoca di universale rivoluzione che minacciava la Russia, siccome scuoteva tutti gli altri Potentati; ma prima e dopo delle indicate epoche, La Russia lavorò e lavora ancora coi Ruteni, Czechi ed altri Slavi, come già fece colla misera Polonia, a danno dell’Austria], offrì eccellente occasione ai Frammassoni di Francia e d’Inghilterra per sollevare, come accennammo, il piccolo Piemonte trascinandolo seco loro alla spedizione di Crimea. Per tal modo infatti venivagli dato voce e ardire nel futuro Congresso, che necessariamente era per adunarsi, tosto che le due Grandi Potenze occidentali, insieme coi due accoliti, la Turchia e il Piemonte (delizioso connubio!) avessero vinto il colosso del Nord, lasciato solo dall’Austria, la quale, senza punto contentare i collegati di Occidente, perdeva così nel più grave momento, forse per sempre, l’appoggio di Pietroburgo.
Ed in vero, finita la guerra per l’immatura morte dell’Imperatore Niccolao, con la presa di Sebastopoli, dopo il famoso assedio che diede l’istruttivo spettacolo di una resistenza durata pressoché un anno, in un’epoca in cui le fortezze più munite reggono appena qualche giorno, subito s’intimò un Congresso a Parigi, che si tenne per lo appunto, con iscarso vantaggio degli interessi cristiani in Oriente, con incredibile danno di quelli di Occidente, e con uno spostamento di cose e una confusione di idee, che ben si parve essere stata quella guerra effetto di una occulta causa mossa dalle società segrete.
Tutti convengono, scriveva su questo proposito l’Armonia (23 Febbr. 1856), che la questione d’Oriente fu il pretesto della gran lotta, non la causa. [...] La Russia e la Turchia somministrarono la occasione di prendere le armi [...]. Ma le file dei combattenti restarono confuse, e si videro amici e nemici pugnare ai fianchi. Si combatteva e non se ne sapeva dire la causa. Ora era pei Luoghi Santi, ora per la libertà religiosa, ora per l’indipendenza della Turchia, ora contro la preponderanza Russa. Ad ogni fatto d’arme la guerra mutava nome. Cattolici e Protestanti uscivano congiunti in campo; i primi volevano proteggere i Franchi, i secondi colla diffusione delle bibbie tentavano di pervertire i soldati; si cercava di sostenere l’Impero Musulmano e se ne minavano le [...] fondamenta; oggi si accarezzava la nazionalità polacca, domani regalavasi un manrovescio alla nazionalità greca; rivoluzionarii e conservatori si univano, si abbracciavano, combattevano, e ciascuno credeva di fare il suo vantaggio. Volevasi fiaccare il Russo invasore, e s’invadeva il suo territorio; volevasi impedire la preponderanza russa, e favorivasi la preponderanza britannica; volevasi mantenere l’equilibrio europeo, e pretendevasi distruggere la marina russa che ne era uno dei principali elementi. L’Inghilterra, rea di cento usurpazioni, combatteva le usurpazioni altrui; e il Piemonte, che incatenava i Cattolici in casa propria, muoveva per liberare i Cristiani d’Oriente! Fu una serie di contraddizioni non mai più udite, che in certuni destarono il riso, in molti il pianto; perché gettavasi l’oro, il sangue scorreva, e il perché s’ignorava. Quella guerra fu veramente effetto dell’Europa disordinata per le continue transazioni, per i principii accettati a metà, per le soverchie condiscendenze, per le mezze convinzioni, le mezze religioni, le mezze empietà, le mezze misure! —
Non poteasi meglio caratterizzare, né meglio definire la fatalissima guerra di Oriente, causa premeditata del famoso Congresso di Occidente, apertosi a Parigi il 25 Febbr. 1856, a danni della Chiesa cattolica, e dei legittimi governi italiani.
Dodici poltrone, nella sala degli Ambasciatori delle Tuilleries, accoglievano altrettanti Plenipotenziarii, incaricati in apparenza di riordinare il mondo, ma in sostanza per disordinarlo più che mai * [I Plenipotenziarii che presero parte al Congresso di Parigi furono; per l’Austria, Conte di Buol di Schawenstein e Barone di Hübner; per la Francia, Conte Colonna Walewski e Barone di Bourqueney; per l’Inghilterra, Conte di Clarendon e Barone Cowley; per la Russia, Conte Alessio Orloff e Barone Filippo di Brunow; per la Sardegna, Conte Camillo Benso di Cavour e Marchese Salvatore di Villamarina; per la Turchia, Mohamed Emid Auli pascià e Mehemmed-Diamil Bey. — Posteriormente, ai 13 di Marzo, furono introdotti anche Plenipotenziarii prussiani, e furono: il Barone di Manteuffel e il Conte di Startzfoldt, di guisa che, dal 10 Marzo in poi, sette furono le Potenze rappresentate al Congresso]. Il 30 Marzo 1856 si sottoscriveva il trattato di pace e si poneva fine al Congresso. [...] Quel trattato di pace non fu che una dichiarazione di guerra più terribile della passata, perché guerra di principii; e dalla sala degli Ambasciatori non uscirono se non carnefici e vittime, destinate a saziare le scellerate brame della setta, nemica di Dio, e condannata le tante volte dalla Chiesa. Ma quali i carnefici, quali le vittime? Uno sguardo ai fatti del Congresso basterà per riconoscerli.
Non appena finita la illustre adunanza, le Segreterie di Stato delle alte parti contraenti davano fuori un volume officiale, intitolato: Traitè de paix signé à Paris le 30 Mars 1856 entre la Sardaigne, l’Autriche, la France, le Royaume uni de la Grande Brettagne et d’Irlande, la Prusse, la Russie et la Turquie, avec les conventions qui en font partie, les protocoles de la Conference, et la déclaration sur les droits maritimes en temps de guerre.
Nelle 168 pagine, delle quali si componeva il volume, non una parola era fatta del famoso Memorandum del Conte di Cavour; anzi non una parola sola che lasciasse sospettare dello scopo ultimo e vero di quel Congresso... Durante le trattative della pace, dal 25 Febbraio al 30 Marzo, dell’Italia sembrò parlarsi solo per incidens, sebbene la presenza stessa dei Plenipotenziarii del piccolo Piemonte in quell’adunanza delle grandi Potenze europee valesse meglio che un protocollo, nelle circostanze in cui avveniva.
[...] Conchiuso il trattato, insieme con le convenzioni accessorie, nelle tornate ulteriori che seguirono, più chiari apparivano gl’intendimenti dei settarii occidentali. In quella degli 8 di Aprile, quando tutto sembrava finito, il Conte Walewski parlò dell’Italia; ma, a velar meglio i suoi intendimenti, ne parlò in guisa che sembrasse non volerne parlare, involgendo le cose d’Italia insieme con quelle della Grecia e del Belgio. Infatti nel protocollo XXII il risultato di quella discussione è così riassunto dal Conte Walewski.
"1. Nessuno ha negato la necessità di attendere seriamente al miglioramento delle condizioni della Grecia, e le tre Corti protettrici riconobbero la importanza di accordarsi su questo punto.
"2. I Plenipotenziarii dell’Austria si associarono al voto espresso dai Plenipotenziarii della Francia, di vedere gli Stati Pontificii evacuati dalle milizie francesi ed austriache appena si potrà fare senza inconvenienti per la tranquillità del paese, e il consolidamento dell’autorità della S. Sede.
"3. La maggior parte dei Plenipotenziarii non negarono la efficacia che avrebbero misure di clemenza, abbracciate in una maniera opportuna dai Governi della Penisola italica, e soprattutto da quello delle Due Sicilie.
"4. Tutti i Plenipotenziarii, ed anche quelli che credettero di fare riserve sul principio della libertà di stampa, non esitarono a condannare altamente gli eccessi, che i giornali del Belgio impunemente commettono, riconoscendo la necessità di rimediare agli inconvenienti reali che risultano dalla libertà sfrenata, di cui si fa tanto abuso nel Belgio".
Due incidenti però, abbastanza gravi, sebbene soffocati subito in sul nascere, sorsero a fare accorti i meno di buona fede, dell’agguato che celavasi nell’adunamento stesso del Congresso. Prima di venire infatti alle conclusioni, fuvvi un battibecco tra il Conte di Cavour e i Plenipotenziarii austriaci. Il Ministro sardo volle dire della occupazione degli Stati Pontificii da parte delle milizie austriache, come di uno scandalo in mezzo alla civile Europa, che durava già da sette anni, e che non pareva avvicinarsi al termine. Il Barone di Hübner rispose, facendo notare che il Plenipotenziario sardo parlava soltanto della occupazione austriaca, e taceva della francese; pure le due occupazioni erano incominciate alla medesima epoca e col medesimo scopo. Rammentò poi come gli Stati della S. Sede, non fossero i soli occupati da milizie straniere, mentre i Comuni di Mentone e Roccabruna, e parte del Principato di Monaco, da otto anni erano occupati dal Piemonte! la sola differenza che passava tra le due occupazioni essendo, che gli Austriaci e i Francesi vennero chiamati dal legittimo Sovrano del Paese, mentre che le milizie sarde erano entrate nel territorio del Principe di Monaco contro il suo voto, e vi restavano ad onta dei suoi reclami. Fu questa una buona lezione; il Cavour soggiunse poche parole, e tacque.
Nella tornata del 14, di nuovo si trattò dell’Italia, e di nuovo Cavour ne andò colla peggio. Il Conte Clarendon propose che, ad evitare quinci innanzi la guerra, dovessero gli Stati ricorrere alla mediazione delle Potenze amiche per finire i loro litigi, come già si era fatto per riguardo alla Sublime Porta nell’articolo VII del trattato di pace. Cavour, prima di dire il suo avviso, chiese se nella intenzione dell’illustre proponente, il voto che fosse per emettere il Congresso dovesse stendersi agli interventi armati contro i Governi di fatto, citando ad esempio l’intervento dell’Austria nel Regno di Napoli nel 1821. Lord Clarendon e il Conte Walewski risposero, più o meno seriamente, alla dimanda del Ministro sardo; ma il Conte di Buol, Plenipotenziario austriaco, chiuse la bocca al Cavour dicendo, che il Conte di Cavour, nel parlare in altra tornata della presenza delle milizie austriache nelle Legazioni pontificie, aveva dimenticato altre milizie straniere chiamate egualmente negli Stati della Chiesa; e parlando della occupazione austriaca del Regno di Napoli nel 1821, dimenticava essere stata quella il risultato di un accordo tra le cinque Grandi Potenze riunite nel Congresso di Laybach. Simili casi potersi nuovamente presentare; ed il Conte di Buol non ammetteva che un’intervento effettuato in seguito di un’accordo stabilito tra le cinque grandi Potenze potesse divenire argomento di richiamo per parte di uno Stato di second’ordine; conchiuse, esprimendo il desiderio, che il Congresso, sul punto di chiudersi, non fosse obbligato a trattare questioni irritanti capaci di turbare il buon accordo, che non aveva mai cessato di regnare fino allora, tra i Plenipotenziarii. E il Conte di Cavour dichiarava essere pienamente soddisfatto delle spiegazioni che aveva provocato [...]!...
E qui è da notare, che il Conte Orloff, Rappresentante della Russia, si astenne dal prendere alcuna parte nella disputa, dichiarando che il suo mandato aveva per unico oggetto il ristabilimento della pace. Quanto al Rappresentante della Prussia, Barone di Manteuffel, a proposito degli ammonimenti che intendevansi dare al Governo delle Due Sicilie, non rappresentato al Congresso, e quindi non ascoltato, si contentò di osservare "che sarebbe stato conveniente esaminare, se ammonimenti di tale natura non fossero per suscitare in quel Reame uno spirito di opposizione e conati rivoluzionarii, piuttosto che rispondere alle idee che si volevano vedere realizzate, certamente con benevole intenzioni". Così chiudevasi il Congresso di Parigi, dal quale doveva uscire quella sconcia e disgraziata cosa, che si chiama l’Europa liberale, che tutti vediamo e che ogni onesto deplora ed abbomina.
[...] Del resto, il Congresso parve compìto in piena armonia, presto e bene! e il Bonaparte sel sapeva a priori; quando a chi poco prima metteva innanzi dubbii sulla buona riuscita e sulla utilità di quel Congresso, diceva con affettata sicurezza "On se prèoccupe de la manière de proceder qu’adopteront les plénipotentiaires; on a tort. Les choses iront vite et bien. On abordera les questions franchement. Je ne souffrirai pas que l’on s’amuse dans des difficultés puèriles". Infatti non si avvocatò, si fece presto, e bene in apparenza; il trattato si sottoscrisse per non parlarsene più, se non quando la Russia poi lo annullò, almeno nella parte più importante, con una semplice Nota, nel 1871, approfittandosi della guerra franco-prussiana. Ma se i protocolli ufficiali erano destinati a passare subito nel dimenticatoio, altri atti meno ufficiali ma più reali, rimanevano frutto del famoso Congresso.
Le Note dei Plenipotenziarii sardi, appoggiate dai Plenipotenziarii inglesi e francesi, dal Clarendon e dal Walewski, ne rimanevano imperituro monumento, come programma della rivoluzione italiana e della nuova guerra, che stava per intraprendersi contro la Santa Sede.
Ecco pertanto codesti Atti, che rechiamo qui raccolti insieme [...]. E sia pel primo la Nota Verbale diretta dal Conte Camillo Benso di Cavour e dal suo Collega Marchese di Villamarina ai Governi francese ed inglese (coi quali tutto era stato disposto precedentemente in perfetto fratellevole accordo), non appena conchiuso il trattato di pace con la Russia. Questa Nota dalla prima all’ultima parola non è altro che un libello contro la S. Sede e contro il Papa, cui si fa comparire in faccia al Congresso quale uno stupido e testardo tiranno, incapace di reggere i suoi popoli, i quali pur nondimeno da mille anni sapientemente sono da Esso governati, in mezzo alle più svariate e difficili vicende. Con insigne malafede, passa poi sotto silenzio l’unica e vera causa dell’agitazione degli Stati della Chiesa, quale fu appunto la influenza straniera, e dissimula pur come allora soltanto vi si manifestassero segni di malcontento e di ribellione, quando i sanguinarii repubblicani di Francia, nel 1797, invasero armata mano quelle tranquille provincie, inoculando loro, con la violenza, le proprie utopie e la [...] empietà. — Ma ecco questo famoso [...] Documento:
Memorandum ossia Nota verbale dei Plenipotenziarii sardi.
"In un momento in cui i gloriosi sforzi delle Potenze occidentali tendono ad assicurare all’Europa i beneficii della pace, lo stato deplorabile delle provincie sottoposte al Governo della S. Sede, e soprattutto delle Legazioni , richiama tutta l’attenzione di S. M. Britannica, e di S. M. l’Imperatore de’ Francesi. Le Legazioni sono occupate da milizie austriache dal 1849. Lo stato d’assedio e la legge marziale vi sono in vigore da quell’epoca, senza interruzione. Il Governo Pontificio non vi esiste che di nome, poiché al disopra de’ suoi Legati un Generale austriaco prende il titolo ed esercita le funzioni di Governatore civile e militare.
"Nulla fa presagire che questo stato di cose possa terminare: poiché il Governo Pontificio, tal quale vi si trova, è convinto della sua impotenza a conservare l’ordine pubblico, come nel primo giorno della sua restaurazione; e l’Austria non chiede niente di meglio che di rendere la sua occupazione permanente. Ecco dunque i fatti tali quali si presentano; situazione deplorabile, e che sussiste sempre, di un paese nobilmente fornito, e nel quale abbondano gli elementi conservatori; impotenza del Sovrano legittimo a governarlo; pericolo permanente di disordine e di anarchia nel centro d’Italia; estensione del dominio austriaco nella Penisola al di là di ciò che i trattati del 1815 gli hanno accordato.
"Le Legazioni prima della rivoluzione francese erano sotto l’alta Sovranità del Papa; ma esse godevano dei privilegi e delle franchigie che le rendevano, almeno nell’amministrazione interna, quasi indipendenti. Frattanto il dominio clericale vi era fin d’allora talmente antipatico, che gli eserciti francesi vi furono ricevuti nel 1796 con entusiasmo.
"Distaccate dalla S. Sede, per effetto del trattato di Tolentino, quelle provincie formarono parte della Repubblica, poscia del Regno italico, sino al 1814. Il genio organizzatore di Napoleone mutò come per incanto il loro aspetto. Le leggi, le istituzioni, l’amministrazione francese vi svilupparono, in brevi anni, il benessere e l’incivilimento.
"Per la qual cosa, in queste provincie tutte le tradizioni e le simpatie si riattaccarono a questo periodo. Il Governo di Napoleone è il solo che abbia sopravvissuto nella memoria, non solo delle classi illuminate, ma del popolo. La sua memoria richiama una giustizia imparziale, un’amministrazione forte, uno stato insomma di prosperità, di ricchezza e di grandezza militare.
"Al Congresso di Vienna si esitò lungamente a riporre le Legazioni sotto il Governo del Papa. Gli uomini di Stato che vi sedevano, quantunque preoccupati di ristabilire dappertutto l’antico ordine di cose, sentivano tuttavia che si lascerebbe in questa guisa un focolare di disordini nel bel mezzo d’Italia. La difficoltà nella scelta del Sovrano a cui si dovessero dare queste provincie, e le rivalità, che nascerebbero per il loro possedimento, fecero propendere la bilancia in favore del Papa, ed il Cardinale Consalvi ottenne, ma solamente dopo la battaglia di Waterloo, questa concessione insperata.
"Il Governo Pontificio, alla sua restaurazione, non tenne verun conto del progresso delle idee e dei profondi cangiamenti che il regime francese aveva introdotto in questa parte de’ suoi Stati. Da ciò una lotta tra il Governo e il popolo era inevitabile. Le Legazioni sono state in preda ad una agitazione più o meno celata, ma che ad ogni opportunità prorompeva in rivoluzioni. Tre volte l’Austria intervenne co’ suoi armati per ristabilire l’autorità del Papa, costantemente disconosciuta da’ suoi sudditi.
"La Francia risponde al secondo intervento austriaco colla occupazione di Ancona; al terzo colla presa di Roma. Tutte le volte che la Francia si è trovata in presenza di tali avvenimenti ha sentito la necessità di por fine a questo stato di cose, che è come uno scandalo per l’Europa, ed un’immenso ostacolo alla pacificazione d’Italia.
"Il Memorandum del 1831 constatava lo stato deplorabile del paese, la necessità e l’urgenza di riforme amministrative. Le corrispondenze diplomatiche di Gaeta e di Portici portano l’impronta dello stesso sentimento. Le riforme che Pio IX da sé medesimo aveva iniziate nel 1846, erano il frutto del suo lungo soggiorno in Imola, dove aveva potuto giudicare co’ propri occhii intorno agli effetti del regime deplorabile imposto a queste provincie.
"Disgraziatamente, i consigli delle Potenze, ed il buon volere del Papa sono venuti ad infrangersi contro gli ostacoli che l’organizzazione clericale oppone a qualunque specie di rinnovamento. Se vi ha un fatto che risulta chiaramente dalla storia di questi ultimi anni, è la difficoltà, diciamolo meglio, l’impossibilità di una riforma compiuta dal Governo Pontificio, che risponda ai bisogni del tempo e ai voti ragionevoli delle popolazioni.
"L’Imperatore Napoleone III, con quel colpo d’occhio giusto e fermo che lo caratterizza, aveva perfettamente affermato e rettamente indicato, nella sua lettera al Colonnello Ney, la risoluzione del problema, Secolarizzazione, Codice napoleonico.
"Ma chiaroè, che la Corte di Roma combatterà sino all’estremo, e con tutti i mezzi che ha, l’esecuzione di questi due disegni. Ben si capisce che possa adagiarsi in apparenza ad accettare riforme civili ed eziandio politiche, salvo a renderle illusorie in prattica; ma essa anche troppo si avvede, che la Secolarizzazione ed il Codice napoleonico introdotti in Roma stessa, là ove l’edificio di sua possanza temporale tien le fondamenta, la scalzerebbero dalle radici e la farebbero cadere togliendone i principali sostegni: privilegi clericali e diritto canonico. Tuttavia se non puossi sperare d’introdurre una vera riforma per l’appunto in quel centro, ove i congegni dell’autorità temporale sono di tal guisa intrecciati con quelli del potere spirituale, che non sarebbe dato di disgiungerli compiutamente senza correr pericolo di spezzarli, non potrebbesi almeno pervenirvi in una parte che si mostra meno rassegnata al giogo clericale, che è fomite permanente di turbolenze e di anarchia, che fornisce pretesto all’occupazione permanente degli Austriaci, suscita complicazioni diplomatiche, e perturba l’equilibrio europeo?
"Noi siamo d’avviso che lo si possa, ma a condizione di separare, almeno amministrativamente, questa parte dello Stato di Roma. Di tal guisa formerebbesi delle Legazioni un Principato Apostolico sotto l’alto dominio del Papa, ma retto da proprie leggi, avendo suoi tribunali, sue finanze, suo esercito. Stimiamo che, rannodando, per quanto fosse possibile, cotesto ordinamento alle tradizioni del Regno napoleonico, si sarebbe sicuri di ottenere subitamente un effetto morale considerevolissimo, e si sarebbe fatto un gran passo per ricondurre la calma frammezzo a coteste popolazioni.
"Senza lusingarci, che combinazioni di cotesto genere possano eternamente durare, nonpertanto stimiamo che per lungo tempo bastar potrebbe al fine proposto: pacificare coteste provincie e dare una soddisfazione ai bisogni dei popoli, e appunto con ciò assicurare il Governo temporale della S. Sede, senza uopo di una permanente occupazione straniera.
"Indicheremo sommariamente i punti essenziali del progetto e i modi di metterlo ad effetto.
"1. Le provincie dello Stato Romano situate tra il Po e l’Adriatico e gli Appennini (dalla provincia di Ancona fino a quella di Ferrara), pur rimanendo soggette all’alto dominio della S. Sede, saranno completamente secolarizzate, e organizzate sotto il rapporto amministrativo, giudiziario, militare e finanziario, in guisa affatto separata, indipendente dal rimanente dello Stato. Tuttavia le relazioni diplomatiche e religiose resterebbero esclusivamente di spettanza della Corte Romana.
"2. L’organamento territoriale ed amministrativo di questo Principato sarebbe stabilito nella forma in cui era sotto il Regno di Napoleone I, fino al 1814. Il Codice napoleonico vi sarebbe promulgato, salvo le modificazioni necessarie ne’ titoli riguardanti le relazioni tra la Chiesa e lo Stato.
"3. Un Vicario Pontificio laico governerebbe coteste provincie, con de’ Ministri e un Consiglio di Stato. La posizione del Vicario, nominato dal Papa, sarebbe garantita dalla durata dell’ufficio, che continuerebbe almeno per dieci anni. I Ministri, i Consiglieri di Stato e tutti gl’impiegati indistintamente sarebbero nominati dal Vicario Pontificio. Il loro potere legislativo ed esecutivo non potrebbe estendersi mai alle materie religiose né alle materie miste, che sarebbero preventivamente determinate, né infine a checchessia di ciò che tocca alle relazioni politiche internazionali.
"4. Queste provincie dovrebbero concorrere, in giusta proporzione, al mantenimento della Corte di Roma ed al servizio del debito publico attualmente esistente.
"5. Un esercito indigeno verrebbe organizzato immediatamente, per mezzo della coscrizione militare.
"6. Oltre i Consigli comunali e provinciali, sarebbevi un Consiglio generale per l’esame e la compilazione del bilancio.
"Ora, se considerar si vogliono i mezzi di esecuzione, si vedrà che non presentano tante difficoltà, come a prima vista si potrebbe supporre. Anzitutto codesta idea di una separazione amministrativa delle Legazioni non è cosa nuova per Roma. Fu messa innanzi parecchie volte dalla Diplomazia ed eziandìo propugnata da qualche membro del S. Collegio, sebbene in termini più ristretti di quelli che occorrono per farne un’opera seria e durevole.
"Il volere irrevocabile delle Potenze e la loro deliberazione di por termine, e senza indugio, all’occupazione straniera, sarebbero due motivi che determinerebbero la Corte di Roma ad accettare cotesto disegno, che in fondo rispetta il suo potere temporale, e lascia intatta la organizzazione attuale al centro e nella massima parte de’ suoi Stati. Ma, ammesso una volta il principio, conviene che la esecuzione del progetto sia confidata ad un’alto Commissario nominato dalle Potenze. È dunque evidentissimo che, se questo compito fosse lasciato alla S. Sede, troverebbe nel suo governo tradizionale i mezzi di non venirne a capo, e di falsare interamente lo spirito delle nuove istituzioni.
"Ora non si può dissimulare, che se l’occupazione straniera cessar dovesse, senza codeste riforme francamente eseguite, e senza che una forza pubblica fosse stabilita, vi sarebbe ogni argomento di temere il prossimo rinnovellamento di sedizioni, susseguìte ben tosto dal ritorno degli eserciti austriaci. Un tale avvenimento sarebbe tanto più deplorevole, in quanto che gli effetti parrebbero condannare preventivamente ogni prova di miglioramento.
"Egli è dunque solo alle condizioni sopra enunciate che noi stimiamo possibile la cessazione della occupazione straniera che potrebbe farsi in questa guisa.
"Il Governo Pontificio ha attualmente due reggimenti di Svizzeri e due altri indigeni, insomma otto mila uomini all’incirca. Cotesta soldatesca è bastevole pel mantenimento dell’ordine a Roma e nelle provincie che non sono comprese nella divisione amministrativa, di cui si è testè parlato. La nuova milizia indigena, che si organizzerebbe per mezzo della coscrizione nelle provincie secolarizzate, ne assicurerebbe la tranquillità. I Francesi potrebbero lasciar Roma, gli Austriaci le Legazioni. Tuttavia le milizie francesi, ritornando nel proprio paese per la via di terra, dovrebbero, nel passaggio, soffermarsi temporaneamente nelle provincie staccate. Esse vi rimarrebbero per un tempo prestabilito, strettamente necessario alla formazione della nuova milizia indigena, che si organizzerebbe col loro concorso". — Fin qui la Nota sarda.
L’Inghilterra aderì pienamente alla Nota; la Francia fece riserve nelle applicazioni della medesima, per riguardi verso la S. Sede; l’Austria oppose la questione pregiudiziale, non essendo stata prevenuta che nel Congresso si sarebbe trattato anche delle cose d’Italia. Intanto si andò innanzi nell’intrigo estralegale combinato tra i Plenipotenziarii sardo-anglo-franchi.
Dopo sottoscritto il trattato, siccome dicemmo, continuarono per alcuni giorni le conferenze, e il dì 8 di Aprile venne registrato nel protocollo il seguente [...] Atto, già da noi accennato:
Dichiarazione del Conte Walewski
"Il primo Plenipotenziario della Francia rammenta che gli Stati Pontificî sono in una situazione anormale, che la necessità di non abbandonare il paese in preda all’anarchia ha determinato la Francia, nonché l’Austria, ad acconsentire alla domanda della S. Sede, facendo occupare Roma dalle sue milizie, nell’atto che le austriache occupavano le Legazioni. Egli espone, che la Francia aveva un doppio motivo di deferire senza esitazione alla domanda della S. Sede, come Potenza cattolica, e come Potenza europea. Il titolo di Figlio primogenito della Chiesa, di cui il Sovrano di Francia si gloria, fa un dovere all’Imperatore di prestare aiuto e sostegno al Sovrano Pontefice. La tranquillità degli Stati Pontificii e quella di tutta Italia tocca troppo da vicino il mantenimento dell’ordine in Europa, perché la Francia abbia un interesse maggiore a concorrervi con tutti i mezzi che ha in suo potere. Ma, dall’altro canto, non si potrebbe disconoscere ciò v’ha di poco onorevole nella situazione di una Potenza, che per mantenersi ha bisogno di essere sostenuta da milizie straniere.
"Il Conte Walewski non esita punto a dichiarare, e spera che il Conte Buol si associerà per quel che concerne l’Austria a tale dichiarazione, che non solamente la Francia è pronta a ritirare le sue milizie, ma che affretta con tutti i suoi voti il momento in cui essa lo possa fare senza compromettere la tranquillità interna del paese e l’autorità del Governo Pontificio, alla prosperità del quale l’Imperatore, suo augusto Sovrano, non cesserà mai di prendere il più vivo interessamento.
"Il primo Plenipotenziario della Francia rappresenta come egli è a desiderare, nell’interesse dell’equilibrio europeo, che il Governo Romano si consolidi abbastanza fortemente, perché le milizie francesi ed austriache possano sgombrare senza inconvenienti gli Stati Pontificii: ed egli crede che un voto espresso in questo senso potrebbe non essere senza utilità. Egli non dobita in ogni caso, che le assicurazioni che sarebbero date dalla Francia e dall’Austria circa le loro intenzioni a questo riguardo non producano da per tutto una impressione favorevole.
"Proseguendo lo stesso ordine d’idee, il Conte Walewski dimanda a sé stesso, se non è da augurare che certi Governi della Penisola italiana, richiamando a sé con atti di clemenza bene intesi, gli spiriti traviati e non pervertiti, mettano termine a un sistema che va direttamente contro il suo scopo, e che, invece di estinguere i nemici dell’ordine, ha per effetto di indebolire i Governi e di accrescere partigiani alla demagogia.
"Nella sua opinione, sarebbe rendere un segnalato servigio al Governo delle Due Sicilie, nonché alla causa dell’ordine nella Penisola italiana, con illuminare quel Governo sulla falsa via nella quale si è posto. Egli pensa, che avvertimenti concepiti in questo senso, e provenienti dalle Potenze rappresentate al Congresso, sarebbero tanto meglio accolti, in quanto che il Gabinetto napolitano, non potrebbe mettere in dubbio i motivi che li avrebbero dettati".
Alla dichiarazione del Francese, nella quale la causa del Re delle Due Sicilie veniva una volta di più congiunta a quella della S. Sede, Lord Clarendon rispondeva in questi termini:
Dichiarazione di Lord Clarendon
"Noi abbiamo provveduto allo sgombro dei varî territorî occupati dalle milizie straniere durante la guerra; abbiamo fatto premura solenne di effettuare questo sgombro nel più breve termine; come potremmo non preoccuparci delle occupazioni che ebbero luogo prima della guerra, e d’astenerci dal cercare modo di porvi fine?
"La Gran Bretagna non crede utile lo investigare le cause che condussero eserciti stranieri in molti punti d’Italia; ma è d’avviso che, ammesse pure queste cause legittime, non è men vero, che ne conseguita uno stato anormale irregolare che non può essere giustificato se non se da una estrema necessità, e che debba cessare appena tale necessità non si faccia più sentire imperiosamente; che tuttavia se non si cerca a por fine a tali bisogni, essi continueranno ad esistere. Che se si sta paghi ad appoggiarsi alla forza armata, in luogo di cercar rimedio ai giusti motivi di mal contento, è certo che si renderà permanente un sistema poco onorevole pei Governi e disgustoso pei popoli. Pensa che l’amministrazione degli Stati romani offre inconvenienti, donde possono sorgere pericoli, che il Congresso ha diritto di cercar modo di prevenire; che non porvi mente sarebbe esporsi a lavorare a profitto della rivoluzione, che tutti i Governi biasimano e vogliono evitare. Il problema che è urgente risolvere, consiste nel combinare il ritiro delle milizie straniere col mantenimento della tranquillità: e questa soluzione sta nell’organare un’amministrazione che, facendo rinascere la fiducia, rendesse il Governo indipendente dall’aiuto straniero. Quest’appoggio non essendo giammai capace a sostenere un Governo al quale l’opinione pubblica è contraria, ne conseguirebbe, secondo la sua opinione, una posizione che la Francia e l’Austria non vorranno accettare per i loro eserciti. Pel benessere degli Stati Pontificii, come nell’interesse dell’autorità sovrana del Papa, sarebbe dunque utile, secondo il suo parere, di raccomandare la secolarizzazione del Governo e l’organizzazione di un sistema amministrativo in armonia colle tendenze del secolo, ed avente per iscopo la felicità del popolo. Ammette che questa riforma può presentare forse a Roma, in questo momento, alcune difficoltà; ma crede che potrà facilmente effettuarsi nelle Legazioni.
"La Gran Bretagna fa notare, che da otto anni a questa parte Bologna è in istato d’assedio, e che le campagne sono invase dai briganti; puossi sperare, ei crede, che collo stabilirsi in questa parte degli Stati Romani un regime amministrativo e giudiziario laico e separato, e coll’organizzarsi una forza armata nazionale, la sicurezza e la confidenza si ristabilirebbero rapidamente, e che le milizie austriache potrebbero ritirarsi fra poco, senza che abbiansi a temere novelle agitazioni; se non altro, a suo parere, è una esperienza che si potrebbe tentare: e questo rimedio offerto a mali incontestabili dovrebbe essere sottoposto alla seria considerazione del Papa.
"Per quanto concerne il Governo di Napoli, la Gran Bretagna desidera imitare l’esempio del Conte Walewski, tacendo atti che ebbero una sì spiacevole eco. Essa pensa che dee senza dubbio riconoscersi in massima, che niun Governo ha diritto d’ingerirsi negli affari interni degli altri Stati; ma crede esservi casi, nei quali la eccezione a questa regola diventa un diritto e un dovere. Il Governo napolitano pare che abbia conferito questo diritto e imposto questo dovere all’Europa; e poiché i Governi rappresentati al Congresso vogliono tutti, collo stesso impegno, sostenere il principio monarchico e respingere la rivoluzione, deesi alzar la voce contro di un sistema, che tiene accesa tra le masse l’effervescenza rivoluzionaria, invece di spegnerla.
"Noi non vogliamo che la pace sia turbata, e non vi ha pace senza giustizia; noi dobbiamo dunque far giungere al Re di Napoli il voto del Congresso, perché migliori il suo sistema di Governo, voto che certo non può rimanere sterile; noi dobbiamo inoltre chiedergli una amnistìa per le persone che furono condannate, o che sono in carcere senza giudizio per colpe politiche". — Così la Nota inglese.
Ai 16 di Aprile, chiusosi il Congresso, il Conte di Cavour e il Marchese di Villamarina emisero una nuova Nota più grave della prima, benevolmente accolta dalla Francia e dall’Inghilterra. Eccola:
Nota comunicata dai Plenipotenziarî sardi a quelli di Francia e d’Inghilterra nell’atto di lasciare il Congresso.
"I sottoscritti Plenipotenziarii, pieni di fiducia nei sentimenti di giustizia dei Governi di Francia e d’Inghilterra, e nell’amicizia che professano pel Piemonte, non hanno cessato di sperare, dopo l’apertura delle conferenze, che il Congresso di Parigi non si separerebbe senza aver preso in seria considerazione lo stato dell’Italia, ed avvertito ai mezzi di recarvi rimedio, ripristinando l’equilibrio politico, turbato dalla occupazione di gran parte delle provincie della Penisola dalle milizie straniere. Sicuri del concorso dei loro alleati, essi ripugnavano a credere, che niuna altra Potenza, dopo avere attestato un interessamento sì vivo e sì generoso per la sorte de’ Cristiani di Oriente appartenenti alla razza slava ed alla greca, rifiuterebbe di occuparsi dei popoli di razza latina ancor più infelici, poiché, a ragione del grado di civiltà avanzata che hanno raggiunto, essi sentono più vivamente le conseguenze di un cattivo governo.
"Questa speranza è venuta meno. Malgrado del buon volere della Francia e dell’Inghilterra, malgrado dei loro benevoli sforzi, la persistenza dell’Austria a chiedere che le discussioni del Congresso rimanessero strettamente circoscritte nella sfera delle questioni che era stata tracciata prima della sua riunione, è cagione che questa assemblea, sulla quale sono rivolti gli occhi di tutta Europa, sta per isciogliersi non solo senza che sia stato arrecato il menomo alleviamento ai mali dell’Italia, ma senza aver fatto splendere al di là delle Alpi un bagliore di speranza nell’avvenire, atto a calmare gli animi, ed a far loro sopportare con rassegnazione il presente.
"La posizione speciale occupata dall’Austria nel seno del Congresso rendeva forse inevitabile questo deplorevole risultato. I sottoscritti sono costretti a riconoscerlo. Quindi, senza rivolgere il menomo rimprovero ai loro alleati, credono debito loro di richiamare la seria attenzione dei medesimi sulle conseguenze spiacevoli che esso può avere per l’Europa, per l’Italia, e specialmente per la Sardegna.
"Egli sarebbe superfluo di tracciare quì un quadro preciso dell’Italia. Troppo notorio è ciò che avviene da molti anni in quelle contrade. Il sistema di compressione e di reazione violenta, inaugurato nel 1848 e 1849, che forse giustificavano alla sua origine le turbolenze rivoluzionarie che erano state in allora compresse, dura senza il menomo alleviamento. Si può anche dire che, tranne alcune eccezioni, esso è seguito con raddoppiamento di rigore. Giammai le prigioni ed i bagni non sono stati più pieni di condannati per cause politiche; giammai il numero dei proscritti non è stato più considerevole; giammai la polizia non è stata più duramente applicata. Ciò che succede a Parma lo prova anche troppo.
"Tali mezzi di Governo debbono necessariamente mantenere le popolazioni in uno stato di costante irritazione e di fermento rivoluzionario.
"Tale è lo stato dell’Italia da sette anni i poi.
"Tuttavia in questi ultimi tempi l’agitazione popolare sembrava essersi calmata. Gli Italiani vedendo uno de’ Principi nazionali coalizzato colle grandi Potenze occidentali per far trionfare i principii del diritto e della giustizia, e per migliorare la sorte dei loro correligionarii in Oriente, concepirono la speranza che la pace non si sarebbe fatta senza che un sollievo fosse recato ai loro mali. Questa speranza li rese calmi e rassegnati. Ma quando conosceranno i risultati negativi del Congresso di Parigi, quando sapranno che l’Austria, non ostante i buoni officî e l’intervento benevolo della Francia e dell’Inghilterra, si è rifiutata a qualsiasi discussione, che essa non ha voluto nemmeno prestarsi all’esame dei mezzi opportuni a portar rimedio a un sì triste stato di cose, non v’ha alcun dubbio che l’irritazione assopita si sveglierà fra essi in modo più violento che mai. Convinti di non aver più nulla ad attendere dalla diplomazia e dagli sforzi delle Potenze che s’interessano alla loro sorte, ricadranno con un ardore meridionale nelle file del partito rivoluzionario e sovversivo; l’Italia sarà di nuovo un focolare ardente di cospirazioni e di disordini, che forse saranno compressi con raddoppiamento di rigore; ma che la minima commozione europea farà scoppiare nella maniera la più violenta. Uno stato di cose così spiacevole, se merita di fissare l’attenzione dei Governi della Francia e dell’Inghilterra, interessati ugualmente al mantenimento dell’ordine e allo sviluppo regolare della civiltà, deve naturalmente preoccupare nel più alto grado il Governo del Re di Sardegna.
"Lo svegliarsi delle passioni rivoluzionarie in tutti i paesi che circondano il Piemonte, per effetto di una causa di tale natura che eccita le più vive simpatìe popolari, lo espone ai pericoli di una eccessiva gravità, che possono compromettere quella politica ferma e moderata che ha avuto sì felici risultati, e gli ha valso la simpatìa e la stima dell’Europa illuminata.
"Ma questo non è il solo pericolo che minaccia la Sardegna. Un pericolo più grande ancora è la conseguenza dei mezzi che l’Austria impiega per comprimere il fermento rivoluzionario in Italia, chiamata dai Sovrani dei piccoli Stati italiani impotenti a contenere il malcontento dei loro sudditi. Questa Potenza occupa militarmente la maggior parte della valle del Po e dell’Italia centrale, e la sua influenza si fa sentire in una maniera irresistibile nei paesi stessi in cui essa non ha soldati. Appoggiata da un lato a Ferrara e a Bologna, le sue truppe si stendono sino ad Ancona, lungo l’Adriatico, divenuto in certo modo un lago austriaco; dall’altro, padrona di Piacenza, che, contrariamente allo spirito, se non alla lettera dei trattati di Vienna, lavora a trasformare in piazza forte di prim’ordine; essa ha guarnigione a Parma e si dispone a spiegare le sue forze in tutta la estensione della frontiera sarda, dal Po sino alla cima degli Appennini.
"Queste occupazioni permanenti per parte dell’Austria di territorii che non le appartengono, la rendono padrona assoluta di quasi tutta Italia, distruggono l’equilibrio stabilito dal Trattato di Vienna, e sono una minaccia continua per il Piemonte.
"Circondato in qualche modo da ogni parte dagli Austriaci, vedendo svilupparsi nel suo confine orientale completamente aperto le forze di una Potenza, che sa non essere animata da sentimenti benevoli a suo riguardo, questo paese è tenuto in uno stato costante di apprensione, che l’obbliga a rimanere armato e a misure difensive eccessivamente onerose per le sue finanze, oberate già in seguito degli avvenimenti del 1848 e 1849, e dalla guerra a cui ora ha preso parte.
"I fatti che i sottoscritti hanno esposto bastano per far apprezzare i pericoli della posizione, nella quale il Governo del Re di Sardegna si trova collocato.
"Perturbato all’interno dalle passioni rivoluzionarie, suscitate tutto intorno a lui da un sistema di compressione violenta e dall’occupazione straniera, minacciato dall’estensione della potenza dell’Austria, egli può da un momento all’altro essere costretto da una necessità inevitabile ad adottare misure estreme, di cui è impossibile calcolare le conseguenze.
"I sottoscritti non dubitano, che un tale stato di cose non ecciti la sollecitudine dei Governi di Francia e d’Inghilterra, non solo a cagione dell’amicizia sincera e della simpatia reale che queste Potenze professano per il Sovrano, che solo fra tutti, nel momento in cui il successo era il più incerto, si è dichiarato apertamente in loro favore; ma soprattutto perché costituisce un vero pericolo per l’Europa.
"La Sardegna è il solo Stato dell’Italia che abbia potuto elevare una barriera insormontabile allo spirito rivoluzionario (!?) e rimanere nello stesso tempo indipendente dall’Austria; è il solo contrappeso alla sua influenza, che tutto invade.
"Se la Sardegna avesse a soccombere spossata di forze, abbandonata dai suoi alleati; se fosse costretta essa medesima a subìre la dominazione austriaca, allora la conquista dell’Italia per parte di questa Potenza sarebbe compiuta.
"E l’Austria, dopo aver ottenuto, senza che le costasse il minimo sacrifizio, l’immenso beneficio della libertà della navigazione del Danubio e della neutralizzazione del Mar Nero, acquisterebbe una influenza preponderante in Occidente.
"Questo è quello che la Francia e l’Inghilterra non potrebbero volere: questo è quello che esse non permetterebbero mai.
"Però i Plenipotenziarî Sardi sono convinti che i Gabinetti di Parigi e di Londra, prendendo in seria considerazione la situazione dell’Italia, avviseranno, d’accordo con la Sardegna, ai mezzi di recarvi un efficace rimedio * [Traité de paix, signé á Paris le 30 Mars 1856. Turin imprimerie royale, 1856]".
Con questa nota ebbe termine il [...] Congresso di Parigi, che fu, come a dire, la introduzione della sanguinosa commedia, in cui i gerofanti della setta anticristiana prelusero a tutto il tema dell’opera scellerata, che era per rappresentarsi sul teatro della civile Europa, in presenza di Governi e di popoli indegnamente traditi. Una cosa sola rimase chiaramente constatata in quel Congresso, cioè il totale isolamento dell’Austria, il perfetto accordo delle tre Potenze Occidentali e la insipiente indifferenza dei Potentati del Nord, che nella ruina dell’Austria e nella proclamazione dei nuovi principii d’un inaudito diritto, non seppero o non vollero scorgere l’elemento di distruzione di tutti i troni. Era la solita guerra delle Potenze massoniche contro gli Stati cattolici, mentre la Russia e la Prussia spingevano da pezza l’Austria verso la sua ruina: testimonio il trattato di divisione della Polonia del 1772, opera dell’empia Caterina e dell’incredulo Federigo, siccome fu anche poi quello del 1795. [...].