Nanotecnologia, nuove armi dell'orrore e il parziale ritiro delle truppe Usa
Douglas J. Feith, sottosegretario per le Direttive strategiche del dipartimento della Difesa, ha spiegato ieri sul Washington Post le ragioni che hanno indotto il presidente Bush ad annunziare la riduzione nel prossimo decennio di 70mila effettivi militari statunitensi da 700 basi, presidi, centri di coordinamento e di intelligence intorno al nostro pianeta. «Il nuovo posizionamento globale delle forze Usa - ha scritto - rafforzerà la nostra potenza militare, rinvigorerà le alleanze degli Stati Uniti e migliorerà il tenore di vita del nostro personale». Nel suo breve articolo il Feith ha riassunto e riaggiornato quanto già illustrato in una relazione presentata il 3 dicembre 2003 al Centro per gli Studi Strategici ed Internazionali di Washington: il dispiego stazionario di massicci dispositivi militari all'estero, soprattutto in Europa, fino a 15 anni fa motivato dalla minaccia dell'ex Unione Sovietica non ha più ragione di essere per via della scomparsa di questa minaccia, della fine della guerra fredda, dell'integrazione nella Nato dei paesi dell'ex patto di Varsavia, dell'emergere "asimmetrico" di nuove forze nemiche come quelle del terrorismo internazionale e, soprattutto, dell'acquisizione da parte della superpotenza di "nuove tecnologie militari".

Apparentemente nulla di nuovo da quanto già enunciato più volte dal segretario alla Difesa Rumsfeld e del suo numero due Wolfowitz: si tratta, come recita il titolo del Washington Post, di "una maniera più intelligente di impiegare le nostre truppe". Resta da spiegare perché l'annunzio ufficiale sia stato fatto solo adesso da un presidente che anche questa volta non ha mancato di impappinarsi con la seguente sorprendente asserzione: «I nostri nemici continuano ad escogitare nuovi mezzi per nuocere al nostro paese e al nostro popolo, e così facciamo anche noi».

Esistono ovviamente altri motivi, contingenti e sottaciuti, nella nuova strategia: la necessità di inviare nella disastrosa guerra in Iraq contingenti di stanza in Germania e nella Corea del Sud per sostituire quelli usurati da un conflitto che si protrae da 17 mesi (tra i 135mila soldati in Iraq si sono manifestati i primi segni di insubordinazione e di ammutinamento); l'esaurimento di un volontariato, alimentato fino a due anni fa dalla disoccupazione ed ora pressoché azzerato dal crescente timore di far la fine dei 950 caduti e degli 8mila feriti e mutilati in una guerra dissennata e senza fine; e poi naturalmente una campagna elettorale dall'esito incerto che richiede all'amministrazione Bush iniziative ed iperattivismo ad ogni pie' sospinto per controbattere ad esempio la promessa dell'avversario John Kerry di ridurre il contingente Usa nell'antica Mesopotamia entro la prossima estate.

Prevedibili le reazioni critiche in campo democratico: «Ritirare 70mila uomini non migliorerà la sicurezza nazionale - ha sentenziato l'ex comandante della Nato ed ex candidato alla presidenza Wesley Clark - la sicurezza nazionale ne uscirà debilitata. La misura indebolirà i nostri alleati. Si tratta di un gioco delle tre carte: stanno già usando le truppe ritirate dalla Corea del Sud per alimentare la guerra in corso. In quanto a mobilità e pronto impiego, la dislocazione delle nostre forze in Europa è migliore di quella a Fort Riley nel Kansas per far fronte a eventuali crisi in Africa o in Medioriente». Analoghe le critiche dell'ex direttore della Cia, ammiraglio Stansfield Purner: «Dopo i disastri dell'Afghanistan e dell'Iraq - ha dichiarato - con l'ostilità nei nostri confronti che cresce in tutto il mondo, questo presidente sta dilapidando ogni risorsa nazionale. Personalmente sarei terrorizzato dalla prospettiva di dover servire il paese sotto questo comandante in capo».

Dato che l'eventuale ed ancora improbabile ascesa al potere del democratico Kerry non presenterebbe una vera alternativa, se non di pace almeno di minore aggressività bellicista nella conduzione del Grande Impero d'Occidente, l'interesse in Europa per questi battibecchi elettorali dovrebbe essere del tutto marginale. Si potrebbe tutt'al più trovare sollievo per questo apparente alleggerimento dell'occupazione militare e politica da parte di una potenza extracontinentale. Le cose purtroppo non si presentano in questi termini, soprattutto per il nostro paese che dovrà assumersi altri pesanti oneri militari: il comando della marina Usa nel Mediterraneo, che in un primo tempo doveva essere trasferito da Gaeta ad una base in Spagna e che poi, dopo l'avvento al potere di Zapatero, è stato ridislocato a Taranto, è in verità poca cosa a fronte della decisione di trasferire dalla Gran Bretagna a Napoli l'intero quartier generale delle forze navali americane del nord atlantico. E' una decisione di cui l'ineffabile ministro Martino può anche menar gran vanto, ma non avrebbe dovuto il nostro ministro della Difesa informare il parlamento delle pesanti conseguenze di questo "riposizionamento" sulla sicurezza nazionale, dei suoi nuovi oneri militari ed economici che ci vengono imposti, dei rischi di prestare un ennesimo bersaglio all'offensiva del terrorismo internazionale?

Esistono altri e più gravi motivi di allarme che sono alla base del grande nuovo disegno strategico dell'impero e che vengono appena accennati dai Douglas Feith e da Richard Perle, sostenitori tra l'altro della necessità impellente di portare a compimento la nuova crociata contro l'Islam. E questi motivi sono tutti nell'acquisizione da parte degli Stati Uniti di quelle che i due signori chiamano eufemisticamente le «nuove tecnologie militari». Si tratta di sviluppi che fanno impallidire la memoria dei Dottor Stranamore di trent'anni fa: gli spettacolari progressi conseguiti dalla nanotecnologia, dalla miniaturizzazione, dalla propulsione missilistica, dagli ordigni militari tattici hanno dato il via all'allestimento di nuovi armi dell'orrore e del terrore che permetteranno, in una relativa immunità, nuove guerre preventive a distanza. A proposito della relativa immunità di un impero che estende i suoi tentacoli su ogni angolo del pianeta, va segnalata la decisione di Rumsfeld di accelerare l'allestimento operativo dei primi sistemi di difesa antimissilistica, il primo già installato il mese scorso in Alaska. Sono sistemi articolati su postazioni radar avanzate. Avanzate dove? In Gran Bretagna e naturalmente in Italia.

Lucio Manisco
Fonte:www.liberazione.it
20.08.04