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    Predefinito Il Pantheon della Destra

    Aspettando la Terza Repubblica: prima ricognizione sugli uomini e le idee da tenere e da buttare

    IL PANTHEON DELLA DESTRA



    Fascismo e Duce, no. Resistenza e revisionismo, ni. Liberalismo popolare, .
    Borges, Castoriadis, Céline, Dostoevskij, Heidegger, .
    Evola, Croce, La Rochelle ed Elemire Zolla, no.
    Jünger, Lucio Battisti, Gramsci, Mishima, Sturzo, ni. Liberalismo tout-court, no.
    Bellezza, . Canone, ni.









    Il Domenicale, Anno 7, Numero 1, Sabato 5 gennaio 2008
    http://www.ildomenicale.it/arretrati...aio%202008.pdf
    Ultima modifica di Florian; 31-10-09 alle 18:56

  2. #2
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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Forse non esiste, o non è una sola. In ogni caso questa è la Gran Casa della Destra


    Destra. Quanto la odiamo questa parola. Scatola vuota nella quale ognuno può riporre quello che vuole, contenitore senza contenuti oppure troppi, paradigma superato di un sistema ormai defunto, la Destra (ma è poi vero che è stata cancellata da cinquant’anni di consociativismo catto-comunista, come lamentano i conservatori, o che sia solo un’illusione, come affermano certi progressisti?) in realtà non esiste. E c'è da chiedersi se sia mai esistita. Comunque, crediamo, è più corretto parlare di “destre”, anzi di “culture delle destre”. Alle quali, peraltro, sballottate tra Julius Evola a Milton Friedman, manca un qualsiasi collante di tipo culturale.

    In Italia, comprese tra il nazi-leghismo etnico e l’iperliberismo anarco-rivoluzionario, si contano (almeno) le seguenti destre: tradizionalista, cattolica, neo-laica, pagana, utopista, moderata, radicale, nazionalpopolare, liberalconservatrice, neo-conservatrice, rivoluzionarioconservatrice, fascista, nostalgica, “predappina”, ducista, saloina, aziendalista, monarchica, populista e cialtrona, eclettica ed esoterica, cavalleresca ed elitaria, neucomunitarista e antiutilitarista, sociale, neo-post-gollista, fieramente anticomunista, orgogliosamente nazionalista, storica, missina, “nuova”, eretica, liberal, berlusconiana. Funambolismi lessicali che nascondono diverse, e spesso antitetiche, visioni del mondo accomunate (almeno secondo quanto ci spiegava Norberto Bobbio) da una cultura profondamente anti-egualitaria. E, c’è da aggiungere, ricompattate attorno a un unico nemico: l’ideologia comunista marxista-leninista, atea e materialista. E visto che ormai il fantasma dal lenzuolo rosso è svanito, seppure ancora evocato, anche questo ultimo collante si è sciolto.

    Per il resto, è da un paio di secoli che si cerca di accordarsi, con defatiganti difficoltà, su alcuni “valori” chiave che siano capaci di dare sostanza politica, sociale e filosofica alla triade Dio-Patria-Famiglia (e con molti più sospetti, imbarazzi e distinguo, il quarto addendo del Mercato), e cioè: difesa dell'Identità (qualsiasi essa sia), rispetto delle Radici (qualsiasi esse siano), salvaguardia delle Differenze ed esaltazione delle Diversità a favore semmai di una molteplicità di Uguaglianze e di Libertà. Già molto più complicato – ma sono soli pochi esempi tra tanti – l’accordo sui rapporti tra Stato e Mercato, sulla tutela dei legami sociali, sull’emancipazione della politica dal potere economico, sul concetto e i limiti di Nazione, sulla forma migliore di democrazia partecipativa... Approvato all'unanimità dall'intero arco costituzionale delle “culture delle destre”, invece, il fatto che dagli anni Cinquanta a Tangentopoli in Italia si è assistito a una perniciosa e pervicace egemonia culturale della Sinistra. Il che, va da sé, non è moltissimo.

    E allora, per capire meglio la nostra Destra e quella degli altri, per mettere ordine nella Grande Casa delle Destre, facendo le necessarie pulizie di fine anno – questo si butta, questo si tiene, questo non serve più però gli sono affezionato, questo potrebbe ancora servire ma ormai è tremendamente fuori moda – si può tentare, con un atto di arroganza e supponenza che è la nostra forza, di ri-costruire un Pantheon delle Destre. Vale a dire un edificio (che per noi comunque sia rimane sacro) alla cui fisionomia e al cui significato contribuiscono i valori-fondanti della tradizione, della storia e della filosofia – noi ne abbiamo elencati in queste pagine un centinaio, in positivo e in negativo – di quel “modo di vedere il mondo” che come insegna la parola “destro”, sarà magari anche furbo ma di certo – o almeno, noi ne siamo certi – è anche “diritto”, cioè “retto”. In alto i cuori. In alto a Destra. •

    Luigi Mascheroni

  3. #3
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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Albione


    Perfida, ovvio. Ovvio? Suvvia, piantiamola. Per un buon numero di destri, l’Inghilterra è bastarda dentro per definizione. Gl’inglesi sono mercanti di cui non fidarsi, levantini del Nord, protettori di troppi ebrei, spina nel fianco dei “nazifascisti” in Nordafrica e Medioriente durante la Guerra, e per di più puzzano, oltre ad avere perennemente la puzza sotto il naso. E sono pure, gl’inglesi degli ’nzi grossi così che se non pronunci in perfetto inglese capiscono benissimo ma fanno gli gnorri (il che è la scusa migliore per continuare, noi italioti, a parlare un inglese pessimo). Poi ci sono quelli, cattolicheggianti, tradizionalisticheggianti, che odiano gl’inglesi per via degl’irlandesi e degli scozzesi (dimenticando che, in buona parte, la stessa cosa si può dire degl’irlandesi e degli scozzesi, anche perché oramai di purosangue, se mai ci sono stati, non ce n’è più…). Sarà, ma gl’inglesi sono avanti a noi un bel pezzo, e ci sarebbe solo da imitarli smettendola con certe ridicolaggini d’altri tempi. Angoletto per i tradizionalisti: gl’inglesi, oltre che avanti a noi un bel pezzo, sono pure più indietro di noi un altro bel pezzo. C’è infatti più tradizionalismo in un’unghia inglese che in mille braccia tese italiane, sappiatelo. Dio strabenedica gl’inglesi.
    Ultima modifica di Florian; 31-10-09 alle 16:41

  4. #4
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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Amore


    Ci sono state rivoluzioni e controrivoluzioni in nome suo. Donne che si sono strappate di dosso il reggiseno gridando “io sono mia”, uomini che hanno cestinato l’identità biologica abbracciando la frastagliata varietà del gender.

    Muoviamo due appunti puntuti alla tradizione cattolica. Che con l’amore ha combattuto una delle sue battaglie più perdenti del Ventesimo secolo. In primo luogo, un rilievo filosofico: nella lunga, vasta, approfondita riflessione cristiana sull’uomo e sul mondo, la qualità dell’“amore”, ancorché evangelica, mantiene la sordina. Sì, è vero che la “carità” è la più importante virtù, quella che sopravvivrà anche in Paradiso. Vero che Agostino incita: Ama et fac quod vis, se ami puoi fare quel che ti pare. Ma perché nel momento decisivo di indicare la gerarchia dei valori, la priorità che deve animare l’homo cristianus nel pensiero e nell’agire, l’amore viene equiparato a “volontà” e il primato resta al binomio fede&intelletto? Ne radicano doverismi immotivati, volitivi nozionismi e, tra le ribellioni, nefasti sentimentalismi per eccesso di compensazione. L’amore è fondamentale, e non c’è bisogno di aspettare un orecchiante alla Daniel Goleman per sentirsi descrivere l’”intelligenza emotiva” come legame inscindibile tra ciò che si sa e si pensa e il “peso esistenziale” delle proprie scelte. Cristiani che hanno detto questo non ne mancano, ma tutti fuori ordinanza. Dispiace dover imputare a Tommaso d’Aquino la carenza, ma su questo terreno avrebbe dovuto leggere con più attenzione l’antenato Agostino.

    La seconda parte del ragionamento riguarda l’“amore” come sesso, cristianamente contrapposto alla virtù della castità. Tra i Comandamenti quello sul sesso, “Non commettere atti impuri”, è il sesto. Preceduto da altri cinque nei quali prevalgono ragioni più importanti, che hanno la precedenza. Peccato che nella prassi catechistica di molti preti, religiosi, bravi cristiani, la sessuofobia sia balzata in primo piano. Autorizzando ribellioni, ma anche complessi per eccesso e per difetto, e fughe, trasgressioni segrete o clamorose, manie di persecuzione, la convinzione che al dunque il cristianesimo detesti il sesso e il lato fisico dell’uomo (ma il matrimonio non è un sacramento? Quanti malintesi...). Il prete dev’essere celibe e casto. Non ci piove: è una legge se si vuole arbitraria, ma ben nota a chi abbraccia questa vita. Tuttavia dirigenti più consapevoli ed equilibrati in tema di sesso avrebbero forse individuato prima e meglio – per motivi molto più importanti di quelli comandati al sesto posto – i seminaristi che non era opportuno ammettere alla vita ecclesiastica. Non l’hanno fatto e si tengono i preti omosessuali, quelli pedofili, quelli pornografi. Per carità, tutto si perdona, l’uomo è peccatore, repetita iuvant. Ma quanto tempo perso, quanto dolore, quanti allontanamenti che si potevano evitare.

  5. #5
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    Marc Augé


    Questa storia dei nonluoghi – formula di cui Augé è stato l’inventore – è diventata, per l’appunto, un luogo comune: una di quelle situazioni che tutti sono convinti d’aver già esplorato e di conoscere. Se invece soltanto ci si prende la briga di leggersi una delle opere in cui questo sociologo francese onesto e intuitivo li ha dimostrati, definiti e spiegati, si scopre che la sua lettura delle zone (fisiche, ma soprattutto sociali) dell’era postmoderna è assolutamente indispensabile. Abbiamo soppiantato le cattedrali con ipermercati e multisala (li frequentiamo in massa ma senza rapporti umani), le vie romane con le autostrade (le percorriamo senza contatto con il territorio), la persona individua con la folla anonima. Sintomi, questi, di un malessere epocale che va indagato per capirsi e sopravvivere: esattamente ciò che invece tutti noi preferiamo non fare, dal momento che «l’operazione principale della messa in “finzione” della vita individuale e collettiva è l’oblio». Abbiamo bisogno totale, assoluto di conoscere i nostri “luoghi antropologici” secondo i tre parametri elencati da Augé: identitario, relazionale, storico. Gli assi cartesiani dell’autoconsapevolezza.

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    Sigfrido Bartolini (1932-2007)


    Troppo romantici per non cedere al fascino di un nome come Sigfrido, corriamo volentieri il rischio di uscire subito dal seminato, e finire in quella retorica un po’ cieca che vorremmo scongiurare. Ma lo scorso anno, appena dopo la sua morte, i tipi di Polistamapa ne hanno ristampato La grande impostura. Fasti e misfatti dell’arte moderna e contemporanea (pp. 192), una sorta di testamento critico in cui sbugiarda chi va sbugiardato, e così per le bacchettate. E il suo lavoro teorico ci piace anche quando analizza o esercita la propria arte, pittura, scultura o incisione che sia: figurativa, quando l’astratto era requisito fondamentale, e radicata nella tekne artigiana, in un tradizionale saper fare, quando ogni creazione aveva il solo dovere di sgorgare dalla più assoluta soggettività, dall’irrazionalità istantanea dell’io. Ce lo fa sentire uno dei nostri anche la scelta di mettere il suo talento al servizio dell’oggetto libro, di impreziosire qualche raffinata edizione per cultori con le sue incisioni d’autore. Su tutte, le oltre trecento xilografie in nero e a colori con cui nel 1983 ha curato la stampa della monumentale edizione di Pinocchio voluta dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi per il centenario della pubblicazione. Opera a cui, nell’epoca della fretta e del consumo rapido, ha dedicato ben dodici anni di lavoro, e che oggi torna in libreria grazie a Mauro Pagliai Editore (Le avventure di Pinocchio - Illustrato con 309 xilografie di Sigfrido Bartolini, pp. 384).

  7. #7
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    Lucio Battisti (1943-1998)


    «Planando sopra boschi di braccia tese». Ho un amico che ha sempre sognato di avere a disposizione, in quel momento lì, una grossa falciatrice per mietere arti e mani, così non se ne parla più. Giuro, esiste, fa il tipografo, uno di destra che però non ne può più di certe pinzillacchere. Ma chi l’ha detto che “braccia tese” vuol dire “saluto romano”? Chi l’ha detto che non si tratta invece di braccia diritte, protese verso il cielo? Chi l’ha detto che Battisti era un fascio? Sì, va bene, Piazza San Babila a Milano, i Formula 3, le college ai piedi… Ma sono tutt’indizi, con cui non ci incastresti neppure un criminale incallito nemmeno se fossi una toga rossa. Ho un altro amico che ha fatto gli anni Settanta, San Babila, college, capelli corti e ben pettinati, che giura di averci sempre sentito il puzzo di cannabis nelle metaforiche involuzioni pirotecniche dei testi cripto-simbolistici-parnassiani del duo Mogol-Battisti… Perché, se tanto mi dà tanto, allora anche l’associazione Mani Tese è roba di camerati.

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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Zygmunt Barman


    Sociologo britannico di origine ebreopolacca, è tra i più autorevoli studiosi della realtà contemporanea. Il suo accostamento alla modernità come “realtà liquida” descrive bene (forse più che spiegarla), la consistenza della società contemporanea attraverso parametri sociali come l’identità e l’appartenenza: «L’idea di “identità”», commenta, «è nata dalla crisi dell’appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il divario tra “ciò che dovrebbe essere” e “ciò che è”, ed elevare la realtà ai parametri fissati dall’idea, per rifare la realtà a somiglianza dell’idea». Fulminante, anche se parziale, anche la sua lettura sociale dei media elettronici: «usiamo i nostri telefoni cellulari per chiacchierare e spedirci messaggi, così da poter sentire costantemente il comfort dell’“essere in contatto” senza i disagi che il “contatto” effettivo può riservare. Sostituiamo le poche relazioni profonde con una massa di esili e vuoti contatti». Ovvero, ecco due bei tarli che rodono la civiltà globale.

  9. #9
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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Bello


    “Belli dentro” di tutto il mondo unitevi. E rassegnatevi o prendetevela con Dostoevskij, se preferite. Perché le vostre scuse, le ambizioni e i dubbi si sgretolano contro le sue parole: «la bellezza salverà il mondo». Ottocentesca sentenza che porta al grado definitivo di giudizio quel che scrisse Agnolo Firenzuola esattamente 430 anni fa: « La bellezza è il dono più grande concesso da Dio all’umana creatura, poiché grazie alla bellezza eleviamo lo spirito alla contemplazione ». E non crediate che ateismo o scetticismo possano tendervi la mano, non importa che quel “Dio” abbia davvero la maiuscola, la questione è millenaria e le vostre ragioni non trovano ragione. Perché etica ed estetica viaggiano a braccetto fin dall’antichità, e anche se il bello per la vista si chiamava “simmetria” e quello per l’udito “armonia”, non c’è arte autorizzata a fare a meno della bellezza. In senso lato e in senso tutto. Lo scempio raggiunto da chi ci ha provato (in nome del “concetto”, del nulla o della provocazione) è nei musei di arte moderna e contemporanea di mezzo mondo: opere incapaci di comunicare alcunché senza qualcuno che parli per loro e accanto a loro. Mentre l’arte è metafora e sublimazione per eccellenza, un racconto che punta al cuore (o alla mente) attraverso gli occhi. E la bellezza è quel sentire e sentimento insieme che, stupendoci, ci costringe a riflettere sul significato della nostra esistenza e sul nostro ruolo all’interno dell’esistente. Ma se si vuole ancora sostenere che è bello ciò che piace, allora, che vi piaccia il bello.

  10. #10
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    Predefinito Rif: Il Pantheon della Destra

    Umberto Boccioni (1882-1916)


    «E infine ripetiamo la domanda che col terrore nella strozza ci fa ogni artista timorato: saremo noi che troveremo definitivamente le formule dinamiche della continuità nello spazio e dello stato d’animo plastico, o siamo solo destinati ad aprire una strada? Che cosa importa saperlo? Giungeremo proprio noi ad elevare il rinnovamento dell’estetica moderna fino alla creazione di nuovi assoluti, di nuovi tipi di bellezza fondati su leggi fino a oggi ignorate e che noi vogliamo cercare nelle nuove terribilità del mondo moderno creato dalla scienza? Perché chiederci se il fuoco che portiamo in noi finirà col bruciare noi stessi? Che cosa importa? Purché si possa propagare l’incendio sul mondo! Noi lavoriamo cantando. […] La fede che abbiamo nel futuro ci fa disprezzare il nostro avvenire immediato». Continuino pure tutti a dargli del futurista-fascista (anche se morì nel ’16, cinque anni prima che Mussolini fondasse il Partito), ma le parole che chiudono il suo Pittura e scultura futuriste salverebbero chiunque. Il rinnovamento dell’arte e un nuovo ideale di bellezza furono la missione della sua vita, di pensiero e d’azione, il motivo per cui fece tutto. Senza aspettarsi niente, se non di “bruciare” in fretta lui stesso. Riscaldato dalla sua fede.

 

 
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