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  1. #61
    in silenzio
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    Predefinito notizie da Camay-Luana-Barbara

    Citazione Originariamente Scritto da Cirno Visualizza Messaggio
    ...mi sono ricordato oggi di Vercingetorige, antico postatore e moderatore (smodato) di POL, ora transitato in spazioforum.net. (ove lo potete incrociare, se volete togliervi la curiosità).
    Amico di immigrati clandestini e zingari di varie etnie, utopista dei liberi confini, propugnatore di un'Italia avviata a divenire una "melting pot" all'amatriciana...
    Mi sono ricordato di lui. Già ai tempi della prima POL, per intenderci di politicaonline.com, ingaggiai con lui epici confronti, venendo spesso bannato...gran democratico non era il caro Vercingetorige.
    Un giorno lo attirai in un trappolone, ove peraltro caddero in molti. Mi creai una clone, la mitica Camay, procace e rivoluzionaria popolana di Verona, incline ad amori etnici e collocata a sinistra della più estrema sinistra.
    Camay non aveva segreti. L'eco dei suoi amplessi con il possente Omar risuonava in POL.
    Vercingetorige se ne innamorò.
    Ogni innamorato insoddisfatto diviene scrittore, diviene poeta.
    E lui mi scrisse una lettera, che ora vi ripropongo, con i miei commenti di allora.

    "Seconda lettera

    Vercingetorige malato d'amore

    Cari amici Postatori, sembra quasi che io stia divenendo il confidente di molti personaggi virtuali che scorrono i Forum, lasciando in questo mondo che non c'è, ove la fantasia si confonde nella realtà, tracce effimere, ma non per questo meno profonde, dei loro sogni, furori, dolori e...amori.
    Sarà perché sono e mi sono detto anziano e perché vengo gratificato della fama di saggio, ad onta della mia evidente follia.
    Così, dopo il messaggio privato del simpaticissimo ed ineffabile Goyassel ne ho ricevuto un altro -c'è da non credere- da parte di Vercingetorige, il mio avversario di sempre.
    Mi affretto a trascriverlo, commettendo con gioia un'imperdonabile indelicatezza. Ma tant'è, ho i miei difetti e poi sono certo che questo era lo scopo vero di Vercy: rendere noto a tutti, per mano altrui, il suo inverosimile dramma interiore.

    Caro Cirno,
    questo mio messaggio ti sorprenderà, ma sento che solo da te potrò forse avere aiuto o almeno conforto.
    Poi sei veronese, e a Verona abita, o ha abitato, la causa delle mie sofferenze. Forse potrai saperne di più, ti sarà facile rintracciare la persona che è inconfondibile e abita, a quanto mi ha confidato, nel quartiere "Villaggio Dall'Oca Bianca".
    Vengo al dunque, perdona la mia concitazione, tutto ciò mi riesce molto difficile.
    Ti ricorderai certo di Camay, la compagna arrabbiata che per qualche tempo ha frequentato il mio Forum. Il suo estremismo, il suo scrivere icastico e colorito, la sua disinibizione sessuale mi hanno prima incuriosito, poi affascinato. Sarà perché ho sempre sofferto di qualche inibizione in quel campo, sarà perché mi attizzava quel vantarsi gloriosamente dei suoi orgasmi, per me è divenuta nel tempo una vera ossessione.
    Sentivo che dovevo vederla, conoscerla.
    Ho cominciato a bombardarla di messaggi privati, implorando un incontro, anche breve e fugace.
    Ero fiducioso, perché l'arte statistica (nella quale sono peritissimo) mi insegnava che nel 70% dei casi chi insiste ad oltranza ottiene.
    Bussate e vi sarà aperto!
    All'inizio mi ha risposto in modo quasi villano, usando colorite espressioni veronesi quali "Ci elo lu, stronso" e "la vaca che t'ha stracagà", poi mi ha chiesto di descrivermi.
    Ho capito che mi si offriva una possibilità.
    Mentendo, le ho affermato di essere alto ed atletico, palestrato, con folti capelli rossi e sorriso da "California Dream" (in realtà sono piccoletto, un po' calvo e ho denti bruttini).
    Le ho detto, e questo era vero, che ero pazzo di lei e che desideravo solo vederla, trascorrere qualche ora assieme, parlare di politica e di società multietnica.
    Alla fine mi ha concesso un appuntamento. Alla stazione di Verona, davanti alla biglietteria, alle ore 11 di uno sciagurato lunedì.
    Per farsi riconoscere ( mi disse tuttavia che la sua fisicità non avrebbe lasciato dubbi) avrebbe tenuto aperto un ombrello giallo, di quelli dell'Agip, anche se non avesse piovuto.
    Il viaggio in treno da Vicenza a Verona (poco più di mezzora) mi parve eterno. Ero eccitato, terrorizzato: in una parola sconvolto.
    La vidi subito, la riconobbi subito.
    Straordinaria, per molti versi.
    Altissima ed atletica, non per palestra ma per natura, il viso scuro, un po' butterato dall'acne ma dai lineamenti pronunciati e provocanti. Corpo da grande...cortigiana. Anche alte, rotonde, ventre appena prominente, gambe forti e lunghissime, seni e natiche prepotenti.
    Camminava nervosamente avanti e indietro, e quel suo camminare era la cosa più impressionante. Elastico, aggressivo, animalesco. Tutti la guardavano, e gli sguardi non erano innocenti.
    Mi sentii svuotato. Ma che ci stavo a fare, ma cosa mi attendevo da una donna del genere. Mi avrebbe deriso, mi avrebbe umiliato.
    Tutta la mia determinazione scomparve, sentii solo l'impulso di fuggire. Senza una parola, senza un cenno tornai indietro e presi il primo treno per Vicenza.
    Cirno, non ho più potuto dimenticarla. Sento che ho bisogno di un'altra possibilità. Mi puoi aiutare? Puoi rintracciarla, conoscerla? Mi ha detto di chiamarsi Luana. Non dovrebbe esserti difficile, una così è inconfondibile. Dovrebbe essere ormai tornata dall'Africa, dove ha detto si sarebbe recata per conoscere la famiglia del suo uomo.
    Per me è divenuta un'ossessione, capiscimi, perdonami e, se puoi, aiutami.
    Tuo Vercingetorige

    Ecco, amici miei, il delitto è consumato. Vercy, non volermene. La verità è che non so cosa consigliarti, se non di lasciar perdere.
    Forse la bella (secondo i gusti) Luana/Camay non è pane per i tuoi denti malandati.
    Che ne dite, bravi Postatori?
    Sen. Cirno
    (9.3.2001) "
    Caro zio Cirno,
    non scrivo un commento, ma una notizia di speranza per ogni innamorato virtuale. Riferendo - alle conoscenti che incontro durante la cura delle mani - la storia conosciuta nel tuo salotto, una giovane rovigotta ha riconosciuto in Luana-Camay una sua conoscente, che chiameremo in rispetto alla privacy Barbara.
    Barbara-Luana-Camay va ancora raccontando di un'affettuosa amicizia nata in stazione a Verona; evidentemente Vercingetorige unisce una notevole autoironia, ad un'ammirevole spirito cavalleresco.
    ... la realtà, d'altronde, supera l'immaginazione
    Maria Vittoria
    di necessità virtù

  2. #62
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    ....personaggi virtuali possono divenire reali. In fondo siamo tutti virtuali...
    Cirno

  3. #63
    in silenzio
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    Citazione Originariamente Scritto da Cirno Visualizza Messaggio
    ....personaggi virtuali possono divenire reali. In fondo siamo tutti virtuali...
    Cirno
    ...e reali.
    Maria Vittoria

    di necessità virtù

  4. #64
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    Predefinito

    ...si era parlato di Cantolibero ma anche del mitico Senatore Valentino Pupetta.
    Chissà se naviga ancora da qualche parte.
    Chi non lo ricorda? E' stato una gloria di POL.
    Anche lui mi scrisse una lettera.
    Hp il piacere di riproporla, per gli intenditori.

    "Decima lettera

    Valentino Pupetta: una vita esagerata

    Caro Zio,
    Sento di dover mettere un po’ d’ordine nella mia vita.
    Di me sai quasi tutto, ne sono certo.
    34 anni, avvocato rampante, interesse per tutto quanto è infruttuoso...
    Sono della terra d’Abruzzo, retaggio Sannita, fame di successo e di cibo buono ed abbondante. Mangio (troppo), bevo (troppo), leggo (troppo)...
    La mia vita si consuma tra Studio, Tribunale, bar e osterie.
    A casa, quelle poche volte che ci sono, ascolto musica classica e antica. Dei contemporanei, mi piace Battiato, forse perché è in sintonia con la mia inconfessata depressione.
    Poi il PC, POL...riesco ad essere anche uno strenuo postatore, oltre duemila interventi, un record.
    E poi la mia compagna, forzatamente trascurata, i miei figli, Valentino detto Pupetta, il più amato, quello che mi ha dato il nick...
    Vivo sopra le righe.
    La mattina, per svegliarmi, trangugio 10 caffè, talvolta di più. E poi a testa bassa, nel lavoro...
    E leggo, leggo, leggo. Di tutto. Cose già lette, anche. Rileggo Dumas, Salgari. Dei contemporanei mi piace Camilleri, forse per quel suo Commissario Montalbano nel quale mi riconosco un poco. Per la sua gola, per la sua frenesia.
    Peso 120 chili. Mi pesano. Il mio amico Cantolibero dice che così mi ammazzo. Lui non sa, lui deve ancora vivere.
    Perché ti dico tutto questo, zio Cirno?forse perché mi sono scolato mezza bottiglia di bourbon pensando ad oggi? Perché la mia compagna mi parla ormai a monosillabi?
    Non mi sento bene. La prostatite cronica, eredità dei miei dissipati diciott’anni, non mi da tregua. Specie quando trasmodo nella crapula. Come questa sera.
    Ma che è, il ritratto di un pazzo? No. E’ il ritratto di un giovane avvocato che vuole dalla vita più di quanto essa possa dargli.
    Scusami, zio. Ti sto tediando, ma voglio lo stesso raccontarti cosa mi è successo in questa infausta giornata.
    Mi sentivo confuso, questa mattina. Ieri sera avevo scritto due recensioni letterarie, scolandomi mezza bottiglia di Old Grand Dad. A letto (dormiamo in camere separate) avevo divorato l’ultimo libro di Camilleri, La scomparsa di Patò....Geniale. Una storia creata con soli rapporti, articoli, lettere, documenti insomma. Pensavo che si potrebbe fare qualcosa di simile con i migliori postati di POL, un libro di grande successo. Avevo poi ricominciato a leggere un romanzetto di Perry Mason...il sonno, simile ad un coma, mi aveva colto dopo le prime righe: Vostro Onore mi oppongo...
    Questa mattina, dopo il ventesimo caffè, mi sembrava di essere più lucido, ma le orecchie mi fischiavano, l’equilibrio era precario.
    Alle 10 avevo appuntamento con XY, candidato eccellente per la CDL (area CCD-CDU), vecchio democristiano della scuola del mitico Gaspari, con velleità di rientro. Un notabile, un uomo al quale non si può dire di no. Mi ha dato la bozza di un suo volantino, con il suo programma (meglio...promessa) elettorale. Gli ho assicurato che avrei dato un’occhiata, che avrei aggiustato il tutto in salsa moderna.
    Alle 11, l’udienza. Un processo strano, una storia strana. Niente patteggiamento, il PM si era opposto. Udienza formale, dunque, arringa che non avevo preparata. Mi toccava improvvisare.
    L’imputato, Mahamoud al Moussa, un marocchino, doveva essere un maniaco sessuale. La sua storia era attanagliante. Espulso almeno otto volte, rimpatriato mai, piccoli precedenti per furto, danneggiamento, atti osceni, molestie. Senza fissa dimora. Un normale immigrato clandestino dunque, un “integrato” di quelli che piacciono a Vercingetorige.
    Solo che gli era presa una mania strana. Dormiva, ospite non invitato, nei pagliai, nei fienili, dove capitava. La mattina presto, insidiava polli e tacchini, che nelle masserie d’Abruzzo vagano ancora in totale libertà. Li catturava e...li possedeva, si, avete capito bene, li possedeva carnalmente. Se morivano, li appendeva al manubrio della sua vecchia bicicletta, ed andava a venderli nelle masserie più lontane. Piacevano anche le donne grasse e di mezza età, a Mahamoud. Se le massare erano sole, contrattando il pollo le ghermiva di spalle, di sorpresa e le violentava, contro il tavolo o la madia. Poi fuggiva, certo dell’impunità, certo del silenzio delle vittime.
    L’ultima volta gli era andata male. Una massaia particolarmente forzuta l’aveva steso, colpendolo con un matterello. Poi, la denuncia, l’arresto, altre avevano parlato.
    Era l’udienza conclusiva. La parola alla Difesa! Mi sentivo male. Mi sentivo affondare nell’aria densa. Stordito, assente.
    ...Vostro Onore...Ma che dice, Avvocato! La voce bisbetica del Magistrato mi riportò per un momento alla realtà.
    Non sapevo che dire. Frugai nella borsa, ne trassi automaticamente un foglio. Iniziai a leggere.
    ...Caro amico, se mi darà fiducia, se mi crederà, ne trarrà grandi benefici...
    Sentivo la mia voce parlare, al di fuori del mio controllo. Guardai il Giudice, aveva gli occhi sbarrati.
    ...Pensi ai suoi figli. Vuole concedere loro delle opportunità? Pensi alla casa. Ha bisogno di un mutuo a tassi agevolati? L’illuminazione stradale nel suo quartiere non funziona? Ritiene di meritare una promozione?
    Il Giudice era livido. Percepivo rumoreggiamenti, sghignazzate in aula.
    ...tutto ciò può essere aggiustato. I suoi diritti potranno coincidere con la realizzazione delle sue legittime aspirazioni, se mi crederà, se avrà piena fiducia in me!
    Basta Avvocato!, berciò il Giudice. Se non la smette, passerò gli atti al PM!
    Ripresi per un attimo il controllo di me stesso. Guardai il foglietto. Era il volantino elettorale di XY che stavo leggendo!
    ...Non mi sento bene...farfugliai. Cedo la parola al mio assistente...
    Corsi fuori, ai servizi. Mi sentii un po’ meglio, dopo aver vomitato.
    Il mio praticante si era frattanto rimesso alla clemenza della Corte. Mahamoud aveva beccato 12 anni, senza benefici...
    Mi passò accanto il Giudice, nel corridoio. Avvocato (sogghignava...) se mi avesse fatto quelle offerte in privato...forse avrebbe vinto la causa.
    Mahamoud, mentre i Carabinieri lo trascinavano via, mi urlava cose orribili. Quando esco ti faccio il culo, come a un tacchino!
    Devo cambiare la mia vita, Zio Cirno. Così non reggo più. Non ce la faccio.
    Aiutami.
    Tuo Valentino Pupetta.

    Ricevo e pubblico, sbalordito.
    Questa straordinaria lettera pone l’antico problema delle relazione tra giure e soma, tra foro interno e ...foro esterno. E’ chiaro che il nostro amico Pupetta è più fragile di quanto voglia apparire. Vivere “sopra le righe” costa, anche in termini di salute.
    Coraggio, Valentino, siamo tutti con te. Rientra nel pentagramma, pensa alla nuova opera letteraria (posso accennare un titolo: “Io, speriamo che me la pol”).
    Tuo zio Cirno.


    31-07-2001 173

  5. #65
    Senatore e Magno Pilastro
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    Cari amici, oggi mi sono svegliato male.
    Questa notte ho avuto un incubo, un sogno oscuro popolato di lupi.
    E allora mi sono ricordato di Lupo Solitario, antica presenza di POL che pochi ancora ricorderanno.
    Conservo la sua lettera! E' un vintage.
    Godetevela!

    "Dodicesima lettera

    Lupo Solitario e... la dipartita

    Caro Zio,
    è morto il Lupo, viva il Lupo.
    A parte gli scherzi (non ne sarebbe il caso) sento il dovere di illuminarti, e attraverso te rendere edotti tutti gli amici sulle vere ragioni della mia scomparsa.
    Scomparsa, ho detto, e non morte: non ancora, spero. Con me scompare anche Blue Time, il mio nick di battaglia e...Lupo Grigio!
    Non voglio affermare che sia un mio doppio anch’esso, ma controllate l’elenco dei registrati e decidete voi. I lupi sono sempre e solo lupi. Come già Licaone, re degli Arcadi e i sacerdoti Hirpi, di stirpe italica. Misteriosi e profondi sono i legami che uniscono entità, mondi ed anime.
    Veniamo a me, dunque. Figlio unico, di pessimo carattere, ferrarese trapiantato a Bologna, romantico, intelligentissimo, riluttante ai legami, affettuoso coi miei simili, spietato con le prede...tutto in me presagiva il lupo.
    E lupo volli essere. Come disse Oscar Wilde, l’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.
    Il fatto che io abbia assunto il nick “Lupo Solitario” è un sintomo, non l’essenza della mia mutazione. Da tempo premonizioni, presagi, sogni, comportamenti coatti mi turbavano profondamente. La mia attitudine ferina ha impressionato, spaventato collaboratori e colleghi. Non era questo il punto. In privato, cedevo ad impulsi inquietanti. La luna piena, innanzitutto. Per me era un incubo, ed insieme un’estasi. Mi piaceva essere inondato dalla luna, immerso nella sua luce bianca ed estenuata. Quante notti di luna piena ho trascorso nudo, steso nel terrazzino di casa! Al culmine del suo viaggio, la luna mi penetrava. Orgasmo, furore, appagamento, felicità anzi...non so. So solo che i miei muscoli divenivano cordosi e scattanti, i miei sensi si accentuavano, i miei occhi, le mie orecchie vedevano ed udivano ciò che non è concesso ad umani. E talvolta scaturiva dalle mie fauci tese e frementi il cachinno cosmico, l’ululato liberatorio. Con spavento e ira dei vicini di casa e, talvolta, intervento di vigili e carabinieri.
    Non che durante il resto del mese io fossi...normale. Mi prese un’abitudine strana, un bisogno irrefrenabile. Il bisogno di marcare, di delimitare il “mio” territorio.
    Così presi ad urinare in giardino, nel terrazzino, in certi angoli di casa mia, seguendo un disegno preciso, geometrico. Non di urina si trattava, ma di un liquido denso, giallastro e odoroso che scaturiva dal mio pene sempre più nodoso e puntuto, con un ciuffo di setole rossastre che era spuntato sulla sommità del glande.
    Non vi dico le proteste dei miei conviventi!!! Per fortuna non sono sposato. Ho avuto, in tempi normali, una vita sessuale intensa, ma non esagerata. Direi...omologata.
    Dopo l’inizio della mia...mutazione, le mie abitudini sono cambiate anche in questo settore.
    La bellissima Labrador dei miei vicini di casa, di nome Cleonice, sembrava impazzire quando mi avvicinavo a lei. Uggiolava, dimenava coda ed anche, sbavava, leccava avidamente.
    Cominciai a provare per lei un’attrazione inconsueta. Chiesi al suo padrone, mio buon conoscente, di poterla portare con me, in un’escursione che avevo progettato per una domenica di autunno, in un bosco dell’Apennino Tosco-Emiliano.
    Il bosco. Un ambiente che mi attirava sempre di più, misterioso, ricco di vita nascosta, di entità dissimulate.
    Appena scesi dalla macchina e penetrati nel ceduo, ci scagliammo uno nelle zampe dell’altra. Ci amammo, furiosamente, ferinamente, a lungo. Di quei momenti di estasi silvana rammento orgasmi squassanti, appagamenti ferini.
    Non potei più negare a me stesso l’incipiente realtà.
    Stavo diventando un licantropo, un lupo mannaro.
    Il mio desiderio aveva violentato la natura, suscitando malie ancestrali ed antiche. Lupo di fatto, e non più solo di nome.
    Timorosi di medici e veterinari, ritenendo inadeguati psicologi e psichiatri, mi rivolsi all’esorcista. Invano. Ricorsi allora alla magia, ad un mago-cartomante.. Mi suggerì di recarmi in Irlanda, nella verde Irlanda, terra magica e antica, dove nelle notti di luna è ancora possibile avvertire la presenza del Cavaliere senza testa, che galoppa tra le croci celtiche, e degli elfi e dei folletti schernitori.
    Mi disse che tra le rovine della Abbazia di Cashel avrei trovato verità e salvezza.
    Ecco perché mi sono recato in Irlanda.
    A Cashel mi soffermai davanti alla pietra massiccia, sormontata dalla Croce, ove san Patrizio, il figlio di un Decurione romano rapito dai pirati celti, aveva battezzato Declano il re di Munster.
    Dicono le leggende che il Santo, agitandosi in un rituale che la presenza dei barbari suggeriva immaginifico e “impressive”, abbia involontariamente colpito il piede del re con il suo pastorale ferrato, perforandolo.
    Il re, fiero e feroce, rimase impassibile, ritenendo che il vulnere facesse parte del rito iniziatico.
    Il suo sangue, zampillando, bagnò la pietra.
    Dopo di ciò, Patrizio ritornò in Inghilterra, portando con se tutte le serpi velenose che infestavano l’Irlanda. Da allora, infatti le verde isola non ospita serpi di alcun genere.
    Capii che le serpi simboleggiavano gli spiriti maligni. Guardai la pietra, immaginando le macchie di quel sangue antico. Si avvicinava la notte, una limpida notte di luna piena. Una grande pace mi pervase. Ero solo. Mi stesi sulla pietra e venni colto da un torpore profondo.
    Con il sonno venne il sogno, con il sogno la visione. Un’ombra alta, maestosa, indistinta nelle forme ma con mitra e pastorale incedeva tra i ruderi imponenti e spettrali. Mi parlò con voce profonda.
    Se vuoi esser libero, mi disse, recati ai Cliffs di Moher e gettati nel vuoto, senza paura, in questa stessa notte. L’angelo del Signore ti sorreggerà, e sarai mondato.
    Mi svegliai di soprassalto, tremante e madido di freddo sudore. L’ombra era scomparsa, la luna piena, al suo acme, inondava la scena. Tipperary, Limerick, Ennis...percorsi in poco più di un’ora la strada che conduceva ai Cliffs, deserta e illuminata dalla luna. L’alba si intuiva all’orizzonte.
    Scesi dalla macchina, attraversai il largo prato disseminato di sterco di vacca. Un upupa innalzava al cielo il suo canto lamentoso. Mi affacciai al dirupo, immenso ed invitante. Le onde dell’Atlantico, sotto di me, brillavano di riflessi argentei. Mi lasciai cadere, con un fremito profondo.
    Volteggiai, scivolai per un tempo infinito...tutta la vita scorreva in una frazione di secondo davanti ai miei occhi chiusi.
    Poi la pace, una pace lattiginosa, appagante.
    Caro Cirno, ho ultimato questa lettera rapidamente, nervosamente, con il lapis su un pezzo di carta quadrettata, prima di giungere ai Cliffs, alla luce della luna, e l’ho imbucata nel vicino post-box. Ho perciò solo immaginato l’epilogo della mia storia, che perciò potrebbe, e potrebbe non, essere avvenuto.
    Sono tuttavia determinato ad effettuare il gran salto, che spero salvifico, ma che potrebbe anche risultare mortale.
    Una flebile speranza sussiste, perciò, di un mio ritorno.
    Un ritorno non più da lupo, ma da uomo.
    Almeno spero.
    Abbi il mio saluto, caro zio, e ti prego di estenderlo a tutti coloro che mi hanno apprezzato e mi hanno voluto bene.
    Addio.
    Lupo Solitario. "

    Ho ricevuto questa lettera via posta, un foglietto spiegazzato e scritto in parte a matita, come fosse stato vergato in tempi diversi.
    Temo per la sorte del povero Lupo.
    Non posso che pubblicare, attonito, la lettera e sperare, con voi, in un sia pur improbabile ritorno.
    So long.
    Zio Cirno.

    (27.4.2001)

  6. #66
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    ...comunque, per gli amatori, rammento che tutte le 18 lettere sono pubblicate sul forum "Esegesi" (Tematica e Società), pag.11


  7. #67
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    Predefinito Il Fiore della Terra

    Come promesso, pubblico qui di seguito, ad eterna memoria, il mio libro, o meglio "libello" "Il Fiore della Terra".
    Fantapolitico, sufureo, inatteso, angosciante.
    La trama:

    Nel 2097 l’Italia, da tempo divenuta repubblica islamica ed uscita dall’Unione Europea, è avviata verso il disastro economico e la più completa decadenza.
    Non così Giovane Italia, nuovo Stato fondato in nordafrica da numerosi emigranti italiani insofferenti del regime islamico. Con il loro lavoro, la loro creatività e l’aiuto delle Potenze Occidentali hanno fecondato e reso prospero un territorio brullo e inospitale offerto loro, quasi in segno di scherno, dalla Confederazione Islamica.
    Un agente segreto, infiltrato da Giovane Italia in madre patria per ordire congiure e rivolte, si trova a svolgere un compito più facile del previsto: i musulmani esigono la restituzione dei “ricchi” territori d’Africa.
    Si verifica così un fenomeno migratorio inverso ed incrociato, quanto inatteso.
    Personaggi numerosi e solo in apparenza eterogenei animano il romanzo. Avventure parallele vi s’intrecciano per confluire alla fine in un sorprendente puzzle fantastorico.

    Da qui potrete anche scaricarlo più comodamente che dal mio blog http://cirno.blogspot.com/2008_01_01_archive.html
    Buona lettura!
    Cirno
    - - - -



    IL FIORE DELLA TERRA


    Verona, Domenica 29 Settembre 2097, ore 07,30.

    La notte era stata inaspettatamente calda ed afosa per un fine settembre, e Maryam aveva dormito male.
    Si sedette sul bordo del letto con gli occhi ancora chiusi.
    La luce livida che filtrava attraverso la persiana sconnessa, portò con sé il gracchio dell’altoparlante.
    Dopo l’invocazione di rito, in arabo, il Muezzin attaccò a salmodiare, in stentato italiano, i versetti del giorno.
    Tra noi ci sono i Musulmani e i ribelli. I Musulmani sono quelli che hanno scelto la retta via. I ribelli saranno combustibile per l’inferno. La lode appartiene ad Allah, il Signore dei Mondi.
    Allah Akhbar.

    Maryam imprecò in silenzio. Il Ministero per la Difesa della Virtù della Fede aveva da qualche anno istituito questo piacevole diversivo, con il trasparente intento di indurre alla conversione all’Islam i Cristiani irriducibili.
    Con scarso successo.
    Maryam era completamente sveglia ora. Rammentò che era domenica e che si doveva incontrare con Acabo alla messa del mattino.
    L’acqua della doccia era fredda e scarsa, come il solito. Mentre si vestiva, guardò con compiacimento nel grande specchio il visetto spiritoso, le gambe lunghe e snelle, il busto slanciato e piacente.
    Trangugiò un sorso di latte, coprì con lo hijab i capelli neri, corti e ricci e fu pronta.

    Il cielo era coperto. Maryam affrettò il passo.
    L’appuntamento era nella Basilica di San Zeno, uno dei non molti luoghi di culto rimasti assegnati ai Cristiani della sua città, Verona, dopo il Grande Adeguamento del 2050.
    Gli altri o erano stati convertiti in moschee o erano stati sconsacrati.
    Entrò in chiesa appena in tempo, mentre i sacristi finivano di coprire con le tendine la pala del Mantegna e gli altri dipinti ed affreschi. Sarebbero stati scoperti dopo la fine del servizio, secondo le regole sancite dal Canone di Rito Comune, approvato dal Concilio Interconfessionale di Bari, nel 2055.
    Il Rito Conciliare prevedeva, tra l’altro, una terza “lettura”, effettuata da un Imam, prima del Vangelo.
    Maryam prese posto nella navata sinistra della Basilica Superiore, quella riservata alle donne. Tra gli uomini, a destra, scorse Acabo. Si scambiarono un cenno d’intesa.
    Dopo la prima e la seconda lettura l’Imam, barbuto e inturbantato, attaccò il suo sermone.
    Era il 29 settembre, festa di Gabriele Arcangelo, e l’Imam non si era lasciato sfuggire l’occasione.

    “Gli Angeli sono i Ministri di Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, del quale eseguono gli ordini con assoluta fedeltà e precisione e, essendo privi per loro natura di libero arbitrio, non hanno la possibilità di fare diversamente da com’è stato loro ordinato di fare da Allah, Gloria a Lui l’Altissimo.
    La ribellione ad Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, è completamente impossibile alla natura degli Angeli.
    Gli Angeli sono creature del cui sesso Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, non ci ha informato. Al tempo del Profeta, che Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, lo benedica e l’abbia in gloria, gli arabi idolatri credevano che gli Angeli fossero di sesso femminile.
    Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, ironizza su queste stolide credenze quando chiede nel Sublime Corano: a voi Arabi i maschi e a Lui, Allah, le femmine? - l’ Imam ridacchiò guardandosi in giro, alla ricerca di un consenso che non venne - Per dire che sono femmine, eravate forse presenti alla loro creazione?
    Soltanto Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, conosce il numero degli Angeli. Gabriele è l’Angelo per mezzo del quale Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, ha fatto scendere nel cuore del Profeta, che Allah lo benedica e l’abbia in gloria, il Sublime Corano.
    Altri Angeli, ad esempio, sono quelli che scrivono le azioni degli uomini, quelli che portano il trono d’Allah, quelli che aiutano i credenti, quelli che sorvegliano le porte dell’inferno e del paradiso, e altri ancora.
    Gloria ad Allah, l’Altissimo.
    Allah Akhbar.

    Maryam aveva ascoltato, suo malgrado affascinata. Ma come diavolo aveva fatto Satana, primo degli Angeli, a ribellarsi, se era privo di libero arbitrio?
    Mistero della fede, concluse.
    L’Abate s’impossessò finalmente del pulpito.
    Il Signore sia con voi. Dal Vangelo secondo Luca…




    *°*°*°*°*°




    Roma, stesso giorno, ore 09,00.


    La seduta del Consiglio degli Ulema e dei Maulana era iniziata, come d’uso, alle nove di quella domenica mattina, all’interno della Gran Madrassa annessa alla Moschea Principale di Roma.
    Presiedeva il Gran Muftì, Dragut Quagliarulo, imponente nel barracano verde, indice del suo stato di nativo islamico.
    Il barracano bianco era riservato ai musulmani d’etnia araba, quello nero ai convertiti.
    La carica di Gran Muftì era assegnata, per tradizione, ad un musulmano nativo, cioè figlio di musulmani, ma d’etnia italica.
    Dopo le invocazioni di rito e numerose genuflessioni, Dragut proclamò l’ordine del giorno.
    Al-Jihad fi sabili-ilah! E’ necessario un ulteriore impeto sulla via di Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, chiosò in italiano.
    Passò indi la parola all’Ulema Mustafà al Khaled, addetto ai rapporti con le minoranze cristiane.

    Allah, Gloria a Lui, l’Altissimo, è Grande e Misericordioso! Esordì l’Ulema. Tutti si prosternarono.
    Mi si rapporta, continuò Mustafà, che la situazione economica è sempre più grave e si avvia al più completo disastro.
    Un mormorio di preoccupata sorpresa si levò dal consesso.
    La responsabilità di ciò è unicamente ascrivibile a quei cristiani infedeli e miscredenti che, trasferendosi nei territori nordafricani dall’Islam generosamente loro concessi, hanno fraudolentemente portato con sé il fiore della terra, della terra italica che conseguentemente ha finito con l’inaridire.
    Altro mormorio, questa volta d’esecrazione, coprì quasi la voce dell’Ulema, che con gesto imperioso impose il silenzio e proseguì: Satana li ha chiaramente aiutati in questo perverso disegno. Allah, Gloria a Lui l’Altissimo e Misericordioso, chiederà loro conto di questo delitto.
    Anche le aziende e le fabbriche d’ogni genere stanno andando in rovina, mentre i miscredenti si godono le fertili terre africane che con soverchia generosità abbiamo loro elargite!

    La vicenda cui l’Ulema faceva riferimento era ben nota ai presenti.
    Nel 2049, quando ormai i musulmani nativi e convertiti, grazie anche alla continua immigrazione, stavano divenendo maggioranza rispetto ai poco prolifici cristiani ed avevano, di fatto, ottenuto il potere politico alleandosi con i Movimenti Antioccidentali, si era verificato il “Grande Esodo”.
    Contadini, artigiani, imprenditori si erano trasferiti a migliaia, decine ed in seguito centinaia di migliaia, in una zona semidesertica situata tra Tinduf in Algeria e Tarfaya in Marocco, che era rimasta pressoché disabitata causa l’emigrazione e che era stata loro donata, un po’ per scherno e molto per liberarsi di elementi considerati riottosi, potenzialmente rivoluzionari e filoamericani, dalla Suprema Confederazione Islamica.
    Dopo il Grande Esodo, un plebiscito, di validità peraltro contestata, aveva ufficializzato l’uscita dell’Italia dalla NATO e dall’Unione Europea ed la sua adesione alla Suprema Confederazione.
    Dopo circa quarant'anni la “Giovane Italia” (così si era autodenominato il nuovo Stato nordafricano), forte dell’appoggio militare, politico ed economico dell’Unione e degli Stati Americani e dell’industriosità dei suoi abitanti, era divenuta una vera potenza agricola ed industriale. Come tale, aveva chiesto ed ottenuto il riconoscimento dell’Unione Europea ed adottato l’Euro quale valuta.
    Il denaro e l’acqua (grazie allo sfruttamento delle falde fossili ed agli imponenti impianti di dissalazione) scorrevano abbondanti nella Giovane Italia.

    Occorre rimettere le cose a posto con l’aiuto di Allah, Gloria a Lui l’Altissimo! Tuonò l’Ulema, suscitando un mormorio di consenso.
    Gli infedeli devono restituire le fertili terre d’Africa ed essere costretti, se del caso con la forza, a rendere all’Italia Islamica il Fiore della Terra e del Benessere.
    Un grido d’esaltato entusiasmo scosse l’aula. Era ora! Sia Gloria ad Allah!

    Ciascuno fu d’accordo.
    Il Gran Muftì Dragut Quagliarulo venne all’unanimità incaricato di stilare un apposito documento segreto e di illustrarlo personalmente al Presidente della Repubblica Islamica d’Italia, il Mullah Ahmed ben Effendi, che Allah l’abbia in Gloria e lo benedica, nella sua residenza di Bologna.


    *°*°*°*°



    Roncobilaccio, lunedì 30 Settembre 2097, 0re 10,00.

    La compilazione del questionario d’inizio anno scolastico stava rivelandosi difficoltosa per il piccolo Rais.
    I suoi compagni di classe avevano quasi tutti consegnato. Anche suo cugino Masur, che ora era intento ad intagliare il banco con il temperino, suo passatempo preferito e spesso punito.
    Per evitare lo sguardo iroso del Maestro, Rais fissò la finestra.
    Il sole era alto e le foglie dei pioppi cominciavano ad ingiallire.
    Rais pensò che era solo lunedì, e la settimana era lunga prima di venerdì, festa settimanale islamica e della cristiana domenica.
    Di sabato invece bisognava andare a scuola, ed era giorno d’interrogazione.
    Rais pensò anche che il gran fico sulla scarpata sovrastante l’autostrada, luogo preferito di giochi e scorribande con il cugino Masur, era ancora carico di frutti saporiti.
    Rais! Ringhiò il Maestro. Ti manca ancora molto?
    Il ragazzo guardò il foglio aperto sul banco. Rimanevano ancora alcuni quadratini da barrare.
    Si concentrò sull’intestazione. Roncobilaccio, At-ta’ lim at-tadhizi. “Scuola Media” tra parentesi.
    Rais detestava andare alla Madrassa, ricavata nell’antica Casa del Popolo. C’era ancora la vecchia scritta in vernice nera sopra la porta, e con l’umidità veniva fuori nonostante le numerose imbiancate.
    Suo nonno raccontava che quando era giovane veniva fuori un’altra scritta in nero, ancora più antica. Diceva “se avanzo uccidetemi, se indietreggio seguitemi”. Così raccontava suo nonno Ampelio, e sogghignava, non si capiva se faceva sul serio o per scherzo, ma a Rais sembrava una storia senza senso.
    Consegnate! Intimò il Maestro.
    Rais barrò quasi a caso quattro caselle, e si soffermò sull’ultima, o meglio sulle ultime due contrassegnate da un SI e un NO.
    Accanto, il quesito, in italiano e arabo: nella vostra famiglia si beve vino?
    Si beveva vino, sì, in casa di Rais. Di nascosto naturalmente. Il vino che rimaneva dopo il conferimento, per l’esportazione, all’ammasso comunale.
    Non che fosse tassativamente proibito berne nelle famiglie dei cristiani, ma era vivamente “sconsigliato”. Meglio evitare, insomma.
    Rais lasciò in bianco i quadratini e consegnò, proprio mentre suonava la campanella della ricreazione.
    Anche Masur aveva evitato di rispondere alla domanda sul vino. Già due volte la Guardia Annonaria era venuta ad ispezionare la vecchia casa colonica e la cantina, ed erano fioccate multe per i mancati conferimenti. Inoltre, il nome del nonno e quello dei loro genitori erano stati inseriti nella lista dei bevitori di vino, affissa nella bacheca municipale.
    Non che fosse proibito bere vino, ai cristiani, ma si evitavano grane, insomma era meglio lasciar perdere, o farlo di nascosto.

    La campanella annunciò la fine della ricreazione.
    Il Maestro aveva un atteggiamento tra il pensoso e il preoccupato.
    Rais e Masur dal signor Maulana, subito!
    Il Maulana, dottor Sidi Ahmed, indossava il caffetano bianco. Era d’etnia araba, e ci teneva. Si lisciò il barbone cespuglioso. Il suo fiato sapeva d’aglio.
    Rais, Masur, perché non avete risposto al quesito sul vino? A casa vostra si beve vino e ve ne vergognate? Allah, Gloria a Lui, l’Altissimo e misericordioso, apprezza coloro che hanno il coraggio delle proprie azioni. Allah e il Profeta, che Dio lo benedica, disprezzano i vili !
    Nonno Ampelio aveva detto ai due ragazzi di non rispondere a domande sul vino. Ciò che non è vietato è permesso, diceva.
    I ragazzi tacquero, rossi in viso e con gli occhi bassi.
    Sospesi per due giorni! Intimò il Maulana. E tornate accompagnati dai genitori.

    Sulla strada di casa Rais e Masur decisero che il mattino dopo sarebbero andati all’autostrada a “fare il gioco”.
    Il “gioco” consisteva nel lanciare sassolini sulle rare idromobili di passaggio, all’ingresso della galleria.
    Le idromobili, salvo rare eccezioni, appartenevano al servizio di Stato, agli Ulema e al Corpo dei Guardiani della Vera Fede.
    Tutta gente che non beveva vino.
    Questa volta lanceremo un sasso grosso, disse Masur.


    *°*°*°*°*°*°



    Verona, stesso giorno, ore 10,30

    Come convenuto all’uscita della chiesa, Maryam ed Acabo s’incontrarono il mattino del giorno seguente, lunedì, in città, vicino alla Nuova Moschea costruita pochi anni prima fuori mura, in un quartiere popolare denominato la Spianà.
    Avevano pensato che il loro incontro sarebbe stato meno sospetto e meno spiato vicino ad un luogo di culto islamico, frequentato prevalentemente da musulmani.
    Non erano peraltro vietati incontri tra giovani di sesso diverso, purché la donna fosse velata e la coppia non trascendesse in pubbliche effusioni.
    Maryam indossava una lunga veletta scura che aggiungeva mistero all’avvenenza dei suoi lineamenti e alla luce del suo sguardo.
    Acabo, un bel giovane biondo, alto e snello, era pazzo di lei, ma si trattenne.
    Troppo importanti erano gli argomenti dei quali dovevano discutere.
    Sedettero sui gradini della grande fontana. Lo scroscio dell’acqua li rendeva sicuri di non essere uditi.

    Sei bellissima, Maryam.
    Non è di questo che dobbiamo parlare, Acabo. Ci sono novità?
    La ragazza era evidentemente più dura, più determinata di lui, più votata alla causa. Eppure, sapeva anche essere così tenera e dolce…talvolta.
    Abbiamo una riunione, Maryam. Ci sono riunioni simili in molte altre città, in questi giorni. C’è Lucio, viene da Giovane Italia in missione segreta. E’ arrivato il momento di agire. Deve dirci cose importanti.
    La ragazza era impaziente. La cospirazione la eccitava. Dove e quando? Oggi è il mio giorno libero ma domani devo andare al lavoro.
    Maryam era infermiera all’Ospedale delle Femmine.
    Beata te che hai un lavoro fisso! Interloquì Acabo.
    La riunione è alle undici a casa di Mauro, al Chievo, sai…quello che costruisce e ripara biciclette, uno dei nostri.
    Pareva impossibile dopo tanti decenni, ma la crisi economica, l’impoverimento della popolazione e l’inaffidabilità dei mezzi pubblici avevano costretto molta gente che non si poteva permettere un’automobile, nemmeno a pistoni, a tornare all’antidiluviana bicicletta. Assemblarle, costruirle e ripararle era così tornato ad essere un lavoro sufficientemente remunerativo.
    Andiamo! Disse Maryam.

    La casa di Mauro era stata un tempo una trattoria e di tale destinazione conservava una cantina buia, ma ampia e non umida.
    Mauro l’aveva adattata a deposito di vecchie biciclette da cannibalizzare per assemblarne di nuove e, all’occorrenza, a sala riunioni.
    Una ventina di persone, tra uomini e donne, erano già presenti.
    Lucio era giovane, atletico, abbronzato dal sole d’Africa. Parlava in modo avvincente, guardando dritto negli occhi i suoi interlocutori, con sguardo magnetico e ispirato al tempo stesso.
    Amici, disse, vengo da lontano per dirvi che noi, italiani d’Africa, vi siamo vicini. E’ ora di agire, di abbattere questo regime infame che ha costretto noi alla diaspora e ha reso voi lo zimbello d’Europa e del Mondo!
    Come faremo? Obiettò qualcuno. Loro hanno le armi, hanno i Guardiani della Fede e sono appoggiati dai Movimenti Sociali!
    Lucio si guardò attorno con un ghigno di scherno.
    Ma quali movimenti! Sono gli squallidi epigoni di quelli che furono all’inizio del secolo i Centri Sociali e No Global. Sono ormai pochi e sfiduciati. Non rappresentano un pericolo se non per sé stessi.
    E la polizia? E i Guardiani della Fede? Azzardò Acabo.
    La polizia è corrotta e formata in prevalenza da cristiani sebbene rinnegati. Basterà pagare, e si schiererà con noi. Poi faremo i conti. Inoltre, continuò Lucio, la crisi economica e l’inflazione galoppante stanno affossando il regime e i suoi infami guardiani!
    Non abbiamo armi! Protestarono altri.
    Le armi arriveranno a tempo debito. Non dimenticate che noi, fratelli d’Africa, siamo ansiosi di ritornare in Patria e pronti a sostenere la vostra lotta con il nostro denaro e il nostro sangue.
    Lucio esibì una mazzetta di Euro, in tagli da cinquanta.
    Questo denaro è per voi, per quelli che decideranno di agire. E questo sarà per chi tradisce!
    Il coltellaccio da scannare che comparve quasi per un gioco di prestigio nella sua mano non lasciava dubbi sull’interpretazione di tale minaccia.
    Siamo pronti! gridarono tutti ad una sola voce.

    Lucio suddivise i presenti in gruppetti di due o tre persone, consegnando loro denaro, esplosivo plastico ad altissimo potenziale e micro inneschi con radiocomando a distanza.
    Ogni gruppo doveva compiere entro i prossimi giorni un attentato, badando più al valore simbolico dell’obiettivo prescelto che al danno effettivo da arrecare.
    Vogliamo clamore, disse. Vogliamo visibilità, per screditare il regime e gettarlo nel caos. In moltissime città italiane sono in corso riunioni come questa. In moltissime città altri eroi come voi si accingono a compiere il loro dovere, a prendere decisioni irrevocabili.

    Mauro fece girare vino, pane e salame suino. Non era solo per ospitalità. Era anche per accertarsi che non vi fossero, tra i congiurati, infiltrati islamici. Non si sapeva mai.
    Tutti mangiarono e bevvero in abbondanza. Il vino, rosso e forte, infuse coraggio.
    Viva l’Italia, gridarono andandosene.



    *°*°*°*°*°




    Roma, martedì 1° Ottobre 2097, ore 03,15.


    Era ancora notte fonda quando Yussuf, autista e guardia del corpo assegnato al Consiglio degli Ulema, bussò discretamente alla porta della spartana stanzetta del Gran Muftì.
    Eccellenza, la macchina è pronta, dobbiamo partire se vogliamo essere certi di arrivare a Bologna nella mattinata, come desidera Vostra Eccellenza Reverendissima.
    Allah Akhbar, rispose cortesemente Dragut. Sono pronto, secondo la volontà di Allah, sia Gloria a Lui il Signore dei Mondi.

    L’idromobile, di colore rigorosamente blu scuro e con la bandierina verde con la mezzaluna e la stella già inastata, attendeva nel cortile, lavata e oliata di fresco.
    Era di modello recente, prodotta dalla Mercedes Benz, in Unione Europea.
    Solo pochi privati possedevano idromobili con motori alimentati ad idrogeno.
    Costavano infatti moltissimo, e bisognava pagarle in euro o dollari.
    Chi poteva permetterselo, teneva ancora in vita vecchie carrette con motore a pistoni, alimentato prevalentemente a gas naturale.
    Gli altri dovevano affidarsi agli inaffidabili mezzi pubblici. O alle biciclette.

    Yussuf, in uniforme di Guardiano della Fede, aprì rispettosamente lo sportello.
    Era alto, barbuto, munito di un antiquato kalashnikov a mira laser.
    Non si sapeva mai, si erano recentemente verificati agguati e rapine lungo l’autostrada. Briganti infedeli, sicuramente.

    L’idromobile attraversò la città buia e addormentata. La notte era calda, stellata.
    Una luce rossa nel buio rivelò la presenza di una pattuglia di polizia. I due gendarmi, con facce da estorsori, fecero segno di fermarsi.
    Yussuf aprì il finestrino e profferì la frase di rito.
    Porto un Servo di Allah, Gloria a Lui, il Misericordioso.
    I due gendarmi avevano già visto la bandierina e diedero via libera. Uno dei due sputò per terra, vistosamente, dopo essersi schiarito la gola. Allah Akhbar, disse.
    Di lì a poco la macchina imboccò il raccordo anulare ed indi l’autostrada, con direzione Firenze.
    Yussuf guidava con perizia e cautela, attento alle frequenti buche sull’asfalto dissestato. Il viaggio, anche se lento, procedeva senza intoppi.
    In prossimità di Orte, il Gran Muftì chiese di fermarsi al posto di ristoro.
    Sento bisogno di una tazzina di caffè, disse.
    Yussuf comprese. Sua Eccellenza Dragut soffriva notoriamente di ipertrofia prostatica. Ma non l’avrebbe mai ammesso.
    Le fermate ed i “caffè” furono frequenti.

    Il sole era già alto quando, superata Firenze, l’idromobile imboccò il tratto appenninico.
    Tra un paio d’ore saremo a Bologna, Eccellenza, disse Yussuf.
    Il Gran Muftì non rispose. Dormiva, finalmente, con la mano sinistra sulla valigetta metallica posata sul sedile accanto.
    Quasi temesse di perderla.

    *°*°*°*°*°



    Roncobilaccio, stesso giorno, ore 07,00.

    Rais e Masur si alzarono presto, quel martedì mattina, come se avessero dovuto andare a scuola.
    Nonno Ampelio, loro confidente e complice, aveva consigliato di non dire nulla ai genitori circa la sospensione ed i motivi che l’avevano determinata, e di andare a giocare in collina.
    Avrebbe provveduto lui, più tardi e nella dovuta maniera, al fine di evitare reazioni inconsulte da parte dei due figli che erano di carattere violento e di sentimenti che dire antimusulmani era poco.

    Erano le dieci passate quando i due ragazzi raggiunsero il luogo scelto per il “gioco”.
    Una sorta di scarpata, in parte naturale e in parte in muratura, che sovrastava l’ingresso di una galleria.
    Si sedettero, nascosti dal ceduo, in paziente attesa.
    Con un ramo avevano smosso una pietra pesante una decina di chili, che era ora in bilico. Pronta a rotolare e precipitare sulla strada.
    Per farsi l’occhio e la mano, lanciarono sassi di piccole dimensioni su di un autocarro di passaggio. I proiettili rimbalzarono sul cassone, senza provocare danno apparente.

    Ecco, disse Masur, ecco che arriva quella giusta!
    Un’idromobile scura si avvicinava a velocità moderata, sobbalzando sull’asfalto sconnesso.
    Pronti!
    Rais notò la bandierina verde.
    Deve essere un Mullah o un Ulema. Molla! Rompiamogli le corna!
    La pietra rotolò verso il basso, balzelloni, prendendo velocità lungo l’erto.
    Con un ultimo salto, piombò sulla strada, colpendo l’idromobile proprio sul parabrezza.
    Centro!

    Ora i ragazzi erano spaventati, si rendevano conto d’averla fatta grossa. Molto, forse troppo grossa.
    La macchina, senza più guida, sbandò sulla sinistra impattando con fragore sullo spigolo del muretto di cemento che sosteneva la volta della galleria.
    Rais e Masur la videro rimbalzare all’indietro, rovesciarsi ed uscire di strada sul lato opposto, lentamente, come una scena al rallentatore, giù nel vallone, fino a fermarsi a ruote all’aria, seminascosta dal ceduo e dai cespugli.
    Era solo silenzio ora, nessuno passava, nessuno si era accorto di niente.
    Quasi d’istinto, spinti dalla curiosità e dallo spavento, i due cugini scesero lungo il declivio, per sentieri a loro noti.
    Le due persone all’interno della macchina rovesciata e schiacciata non davano segno di vita.
    Se non fosse stato per il sangue che colava copioso, si sarebbero detti due fagotti di stracci.
    Vicino allo sportello divelto, una valigetta metallica, ammaccata ma ancora chiusa.
    Masur la raccolse.
    Scappiamo! disse.

    Corsero via, affannati, mentre l’idromobile prendeva fuoco.



    *°*°*°*°*°


    Bologna, stesso giorno, ore 14,30.

    Il Presidente Ahmed ben Effendi era vecchio e si sentiva stanco. Lo sorreggeva la fede: insciallah, sia così se Dio vuole.
    I raggi del sole filtravano attraverso le tende pesanti dai finestroni romanici di quello che un tempo era chiamato Palazzo di Re Enzo, ed ora era la sede del governo della Repubblica Islamica d’Italia.
    Più che governo sarebbe stato corretto definirlo regime: dal tempo del plebiscito del 2050 il Parlamento era, di fatto, divenuto un organo esclusivamente consultivo ed il potere reale era passato al Governo ed al Consiglio degli Ulema.
    Lui stesso, il vecchio Presidente, aveva voluto trasferire la sede del potere politico ed amministrativo a Bologna, città diversa dalla sede del Parlamento e di un Vescovo che era anche Capo di uno Stato straniero.

    Ahmed scosse la fluente barba bianca e si toccò, con gesto abituale, la natta che da qualche anno gli era cresciuta sul naso aquilino.
    Era nervoso e preoccupato. Un messaggio cifrato lo aveva preavvisato dell’arrivo del Gran Muftì Dragut, previsto per mezzogiorno. Dragut non era arrivato e così il Presidente aveva saltato il suo frugale pasto.
    L’usciere bussò discretamente alla porta.
    Eccellenza Reverendissima, il Consigliere Segreto chiede rispettosamente udienza.
    Entri.

    Il Consigliere Segreto per gli Affari Economici era il dott. Giovanni Carugati, banchiere svizzero della Valtellina.
    La Valtellina aveva chiesto e ottenuto l’annessione al Canton Ticino dopo il plebiscito.
    In realtà tale annessione (o secessione, com’era stata malevolmente definita) era stata chiesta dall’intera Regione Lombarda, una delle poche ancora in mano alla destra nazionalista, ma tale pretesa era stata repressa con l’aiuto dei Movimenti Sociali, Antioccidentali ed Islamici, che erano molto forti nel capoluogo, Milano.
    Per tacitare le proteste dell’Unione Europea, della quale la Svizzera era da tempo membro influente, era stata tuttavia concessa l’annessione della Valtellina e della Provincia Bergamasca, territori abitati da popolazioni notoriamente riottose e ribelli, che era sembrato meglio perdere che conservare.
    Il dott. Carugati, che aveva fatto -e fatto fare- ottimi affari con le gerarchie islamiche del confinante Stato Italiano, era stato chiamato personalmente dal Presidente Ahmed a ricoprire l’ufficio di Consigliere Segreto, novello Necker del ventunesimo secolo, nell’estremo tentativo di far uscire la Repubblica Islamica dal gorgo di una tragica crisi economica.
    Il banchiere, pagato a peso d’oro, aveva accettato. Molto ascoltato dal Presidente, era guardato con sospetto sia dagli islamici, che lo consideravano un infiltrato, sia dai cristiani che lo consideravano un venduto.

    Il Consigliere Carugati non era latore di buone notizie.
    L’inflazione è fuori controllo, Eccellenza Reverendissima, tanto che la Lira Islamica non ha ormai alcun valore. Di conseguenza, si sta sviluppando un importante mercato nero, con euro e dollaro quali uniche valute accettate. La produzione di beni di consumo è insufficiente e i contadini, in prevalenza cristiani, non trovano conveniente produrre molto di più di quello che basta alle esigenze delle loro famiglie, a causa dell’obbligo d’ammasso e del calmiere.
    In queste condizioni, Eccellenza Reverendissima, il gettito delle imposte è largamente deficitario, con conseguente aumento del già gigantesco debito pubblico. Le sovvenzioni che un tempo pervenivano abbondanti dai Paesi Petroliferi della Confederazione sono ormai divenute esigue, a causa del crollo del mercato del petrolio che si avvia a non essere più una fonte d’energia remunerativa. Il prossimo inverno sarà all’insegna del freddo e della fame: sono da prevedersi disordini.
    Il Presidente ascoltò pazientemente, quasi assorto, stuzzicandosi ritmicamente la natta.
    Che soluzioni suggerite, Consigliere Segreto?, disse alla fine.
    E’ tutto contenuto in questo rapporto, rispose il banchiere porgendogli un voluminoso faldone.
    Riassumete, Consigliere Segreto.
    Sarò franco, Eccellenza Reverendissima. Suggerisco l’immediata svalutazione della Lira Islamica e la sua quotazione ai valori di mercato. Riterrei inevitabile, dopo la svalutazione, sottoporre una petizione all’Unione Europea per il rientro nell’area dell’Euro.
    Per rivitalizzare l’economia, suggerisco di scendere a patti con i fuoriusciti di Giovane Italia e di favorirne il rientro in patria con opportuni incentivi e garanzie. Sarà inoltre necessario migliorare i rapporti tra comunità cristiana ed islamica, che sono assai degradati.
    A tale scopo, suggerisco di indire elezioni politiche generali e di proporre al Papa un nuovo Concordato.
    I cristiani, Eccellenza Reverendissima, sono molto sensibili ad alcuni aspetti rituali della loro fede: sarebbe bene accetto che, in applicazione del principio della par condicio, sacerdoti cristiani fossero ammessi alla lettura e commento di un brano del Vangelo durante i servizi nelle Moschee, parallelamente a quanto è già in vigore per le Chiese.
    Inoltre, si potrebbe concedere che durante le processioni possano nuovamente essere esibite statue ed immagini.
    Tali concessioni potrebbero infondere tra i cristiani nuovo entusiasmo, a tutto vantaggio del loro impegno lavorativo.
    Ma Vostra Eccellenza Reverendissima, nella sua immensa saggezza, avrà presenti anche altre provvidenze…
    Ahmed ascoltava, pensoso e corrucciato.
    Dottor Carugati, vi rendete conto che ciò che mi proponete equivale alla fine del Regime Islamico, ispirato al Sublime Corano?
    Dalla voce del Presidente traspariva una nota di malcelata insofferenza.
    Carugati arrossì, timoroso di aver ecceduto.
    In quel preciso momento irruppe nella stanza un funzionario affannato e stravolto, che si gettò bocconi ai piedi del Mullah.
    Eccellenza Reverendissima, l’idromobile del Gran Muftì è stata trovata incendiata in un vallone, nei pressi di Roncobilaccio.
    Il Gran Muftì, che Allah misericordioso l’abbia in gloria, è morto!
    La polizia sospetta un agguato.
    Insciallah, sospirò Ahmed, affranto.
    Convocate per domani mattina il Capo della Polizia e quello delle Guardie della Virtù della Fede!
    Lei, dottor Carugati, può andare. Discuteremo il suo rapporto in momento più propizio. Ora è tempo di pregare Allah, Gloria a Lui l’Altissimo, il Signore dei mondi.
    Ciò che Lui dispone non è a noi comprensibile: non su di Lui dobbiamo meditare, ma su ciò che ha creato e disposto.

    Ossequio Vostra Eccellenza Reverendissima, biascicò Carugati uscendo dalla stanza.
    La porta sbatté violentemente alle sue spalle.

    *°*°*°*°*°



    Roncobilaccio, stesso giorno, ore 18,00

    Era già pomeriggio inoltrato, quando Rais e Masur giunsero a casa, dopo aver girovagato senza meta e senza senno.
    Avevano appena nascosto la valigetta nel fienile quando si avvicinò nonno Ampelio, che sembrava li stesse cercando.
    Cosa state facendo, ragazzi? Come avete passato la giornata? Combinandone qualcuna delle vostre?
    Mai domanda fu più azzeccata.
    Rais e Masur avevano voglia di parlare e di tacere al tempo stesso. Scelsero la via di mezzo.
    Caoticamente, affannosamente, raccontarono una storia edulcorata.
    Mentre erano intenti a mangiare fichi, in collina vicino all’autostrada, avevano udito uno schianto e visto del fumo nero. Scesi nel vallone, da dove proveniva il fumo, avevano trovato un’idromobile tutta sfasciata, con dentro dei morti. Vicino, una valigetta metallica che avevano preso e nascosto. Forse conteneva dei soldi!
    Del lancio della pietra, nessuna menzione.
    Il nonno ascoltò, pensoso e preoccupato.
    Zitti, segreto con tutti! Intimò alla fine. Qui si rischia grosso!
    Poi si fece consegnare la valigetta.
    Il vecchio e i ragazzi si recarono nella baracca adibita ad officina per le poche e antiquate macchine agricole possedute dalla famiglia.
    Lavorando di trapano, martello e cacciavite nonno Ampelio ebbe in breve tempo ragione del contenitore metallico.
    Soldi, niente. Solo una cartella di marocchino rosso con dentro una pergamena.

    Il documento, dall’apparenza pomposa, era scritto in arabo, lingua che il vecchio orecchiava come tutti ma non sapeva leggere. I ragazzi invece studiavano l’arabo a scuola, come seconda lingua obbligatoria.
    Leggi tu, Rais!
    Troppe parole difficili per Rais e Masur. Alla fine, dopo un’ora di sforzi, una cosa si era capita: si trattava di una terribile fatwa lanciata contro i cristiani in generale e contro Giovane Italia in particolare.
    Che il documento fosse importante era evidente.
    Bimbi, disse il nonno, mi raccomando di nuovo, non parlate ad anima viva di questa carta e di tutto quello che è successo. Se lo fate, vi pentirete di essere nati.
    Rais e Masur sembravano, ed erano, terrorizzati.
    Penserò io a cosa fare di questo documento, proseguì nonno Ampelio. Intanto, andate a seppellire la valigetta nel letamaio dietro alla stalla. Seppellitela ben profondo!

    Quella stessa sera, dopo che Rais e Masur erano andati a letto e le donne a governare il bestiame, nonno Ampelio raccontò l’intera vicenda, sospensione compresa, ai suoi due figli maschi, Petronio e Lazzaro, rispettivamente genitori di Rais e Masur.
    La prima reazione fu di rabbia, come si era aspettato.
    Una solenne arrabbiatura, contro i ragazzi e nei confronti del Maulana Sidi Ahmed.
    Domani vado io alla Madrassa e faccio un casino della madonna! minacciò Petronio.
    E io vado subito a menare quei due farabutti, rincarò Lazzaro.
    Calma! Intimò Ampelio. Questo è il momento di pensare alle cose serie, non di incazzarsi. Vi rendete conto di cosa c’è capitato in mano? Se fate casino adesso, finisce che ci bruciano la casa e finiamo in galera. Ve ne rendete conto?
    Dopo qualche bicchiere di sangiovese e molta riflessione, i due uomini convennero che il loro padre aveva, come sempre, ragione.
    Il giorno dopo, Petronio e Lazzaro dovevano andare a Sasso Marconi. L’amico Gaspare, accanito anti-islamico, li aveva convocati per una riunione segreta.
    Sarà presente Lucio, li aveva avvisati. E’ un importante emissario di Giovane Italia. Un vero amico, un vero italiano.
    Porteremo con noi la fatwa, disse Petronio, e la daremo a questo Lucio. Saprà lui cosa fare.
    Giusto! Assentì Lazzaro. Giustissimo.
    Mi raccomando, concluse Ampelio. Silenzio con tutti, anche con i ragazzi. E soprattutto con le donne!
    Domani andrò io dal Maulana, con i ragazzi. Sistemerò tutto.
    Soccmel! Bofonchiò tra i denti Petronio, che aveva sposato una bolognese, a titolo di assenso.
    Maremma maiala, echeggiò Lazzaro.




    *°*°*°*°




    Verona, stesso giorno, ore 23,00.

    Maryam e Acabo furono puntuali all’appuntamento che si erano dati per la sera successiva all’incontro con Lucio, in città.
    Durante il tragitto di ritorno dalla casa di Mauro avevano convenuto di attaccare un bersaglio fisso, dato che il raggio d’azione del radiocomando non poteva superare i cinquecento metri in linea d’aria.
    Erano stati incerti tra il Grande Macello, in particolare i serbatoi che contenevano il sangue degli animali sgozzati -materiale sommamente impuro per i musulmani, che veniva ivi raccolto per essere successivamente smaltito- e la Grande Moschea.
    Alla fine avevano optato per la Moschea, un tempo fortino e poi Santuario Cristiano, situato in una località collinosa detta “Torricelle”, in posizione ben visibile e dominante sulla città.
    L’elemento architettonico da danneggiare sarebbe stato uno dei due snelli minareti costruiti accanto all’ingresso del luogo di culto.
    Acabo vi si era già recato nel pomeriggio, mescolandosi ai numerosi fedeli, ai turisti ed ai venditori ambulanti che esitavano le loro merci nel piazzale antistante.
    La base del minareto prescelto era formata da pietre squadrate e saldate con malta che in qualche punto si era staccata, lasciando aperti degli interstizi.
    Non visto, Acabo aveva stipato in uno degli interstizi, tra pietra e pietra, l’esplosivo plastico e vi aveva infilato il radioinnesco, coprendo il tutto con una manciata di terra e sassolini.
    Nessuno se ne sarebbe accorto.
    L’esplosivo era estremamente potente, aveva detto Lucio, e ne occorreva poco per fare gran danno.
    Sarebbe ora bastato avvicinarsi a meno di cinquecento metri ed azionare il radiocomando.
    Alle undici di sera il grande cancello che chiudeva il piazzale d’ingresso alla Moschea veniva chiuso ed il sito sarebbe restato deserto.

    Era quasi mezzanotte quando i due giovani iniziarono la loro passeggiata dal quartiere Valdonega verso le Torricelle.
    La Moschea, illuminata dai fari, si ergeva sopra di loro, sovrastata dai due sottili minareti.
    Siamo troppo lontani, disse Maryam.
    Proviamo lo stesso, qui siamo al sicuro, rispose Acabo premendo il pulsante.
    Nulla.
    Premette di nuovo, con rabbia.
    Il rumore dell’esplosione, non forte ma secco come una frustata, li colse quasi di sorpresa.
    Il minareto di destra prese ad oscillare, mentre dense volute di polvere salivano dalla sua base, turbinando nell’aria. Poi si piegò sul fianco, rimanendo fermo per qualche lunghissimo istante in un’angolazione assurda.
    Franò infine di traverso sul fabbricato principale.
    Una sirena d’allarme prese a suonare.
    I due giovani si dileguarono, nel buio.



    *°*°*°*°*°




    Bologna, mercoledì 2 Ottobre 2097, ore 08,00.

    Il capo della Polizia, dott. Nihat Piscaturi ed il Capo delle Guardie della Virtù della Fede, Mullah Osama Abdelaziz s’incontrarono di buon mattino, quell’infausto mercoledì, nell’anticamera dell’Eccellentissimo Presidente.
    Erano stati convocati d’urgenza, senza una spiegazione che, alla luce degli ultimi avvenimenti, sarebbe stata comunque superflua.
    L’usciere di turno fece loro cenno di accomodarsi e, senza troppe cerimonie, li invitò ad attendere. Poi, con tutta la deferenza di cui era capace, bussò alla porta dello studio di Ahmed ben Effendi.
    Il Presidente odiava l’interfono e qualunque altra diavoleria elettronica. Uomo all’antica, pretendeva che funzionari ed uscieri addetti alla sua segreteria bussassero alla porta permanentemente chiusa e rimanessero in attesa, spesso prolungata, del suo invito ad entrare.

    Avanti!
    La voce cavernosa, attraverso la porta chiusa, indusse inquietudine. L’usciere aprì la porta, entrò e la richiuse alle sue spalle.
    Gli Eccellentissimi Capi della Polizia e delle Guardie della Fede chiedono umilmente udienza a Vostra Eccellenza Reverendissima! recitò con voce nasale ed affettata.
    Che entrino.
    L’usciere riaprì la porta, uscì rinculando e fece cenno ai due Ufficiali di entrare.
    Il Presidente appariva, ed era, furente.
    L’esordio fu in linea.
    La vostra inettitudine mi era ben nota, non la vostra viltà. Allah, Gloria a Lui il Signore dei Mondi, disprezza i vili e distrugge gli infedeli. E la fede non alberga nel cuore dei vili!
    Nihat e Osama erano terrei in volto.
    Per fortuna, o per disgrazia, irruppe nella stanza l’usciere, questa volta senza nemmeno bussare, porgendo al Presidente un foglio.
    Rapporto urgentissimo per Vostra Eccellenza Reverendissima!
    Il viso dell’Eccellenza Reverendissima illividì mentre leggeva, in un parossismo d’ira e di sdegno.
    Una serie d’attentati dinamitardi in molte città! In alcune, nemmeno le Sacre Moschee sono state rispettate!
    La voce del vecchio Presidente si spense in una sorta di rantolo ed egli rimase in silenzio, con il volto tra le mani ossute.
    Osama Abdelaziz, il più dotato dei due, capì che era il momento di assumere l’iniziativa.
    Eccellentissima Reverenza, esordì storpiando per emozione l’indirizzo, è la gravissima situazione economica che provoca disordini. Gli autori sono senza dubbio cristiani, quei cani infedeli, giahurri figli di giahurri! I fedeli Musulmani non oserebbero mai colpire i simboli della vera fede!
    Nihat Piscaturi annuì con appariscenti cenni del capo.
    Neppure possono essere gli esponenti dei Centri Sociali e Antioccidentali, proseguì Osama, che mai vorrebbero portar acqua al mulino dei loro avversari storici, vale a dire del mondo occidentale e globalizzatore e degli infami fuoriusciti di Giovane Italia.
    Giusto! Proprio così! confermò Piscaturi.
    Osama ormai era un fiume in piena.
    Bisogna colpire duramente i cristiani residenti e Giovane Italia, senza però offrire all’Unione Europea e agli Stati Uniti delle Tre Americhe, che sembrano voler uscire dal loro isolamento e intromettersi nuovamente degli affari d’oltreoceano, alcun pretesto d’intervento! Insomma occorre essere cauti.
    Il suo empito oratorio fu improvvisamente troncato da una nuova irruzione. Questa volta era il Capo della Segreteria, un giovane Mullah con gli occhi strabuzzati, gran turbante e barba cespugliosa, nerissima.
    Eccellenza Reverendissima, il Sublime Consiglio ha fatto pervenire, via facsimile, la copia della Santa Fatwa che il compianto Gran Muftì, sia con lui la pace d’Allah il Misericordioso, avrebbe dovuto consegnare a mano a Vostra Eccellenza.
    Così dicendo il Mullah tese una cartella.
    Il Presidente afferrò nervosamente il documento e prese a leggerlo ad alta voce.
    Finito che ebbe, guardò fisso in volto i due Ufficiali.
    Avete udito? Che avete da dire?
    Allah ha parlato per la bocca del Sublime Consiglio!, gridò Abdelaziz.
    La fatwa deve essere eseguita da ogni buon credente! fece eco Piscaturi.
    Ma con cautela…con diplomazia, precisò Abdelaziz. Come Vostra Eccellenza Reverendissima sa troppo bene, l’Occidente e le Americhe non attendono che un’occasione per intervenire e la Suprema Confederazione Islamica non attraversa un buon momento a causa della crisi del mercato petrolifero…
    Basta così! tuonò il Presidente. Non osate insegnarmi ciò che va fatto, e come. Con l’aiuto di Allah tutto mi è chiaro. La Guerra Santa si combatte non solo con la spada ma anche con sottili strategie ed artifici, come insegna il Sublime Corano.
    Ecco i miei ordini: per ora nessuna repressione di massa ma diligente azione di polizia. Si provveda ad infiltrare spioni tra i cristiani sospetti. Qualora fosse individuato un capo o un organizzatore di sedizione, lo si elimini simulando un incidente o un fatto naturale. Si favorisca l’emigrazione di un gran numero di musulmani poveri verso l’Africa per riappropriarsi dei territori occupati da Giovane Italia. Si provveda a sobillare le popolazioni musulmane di Marocco e Algeria allo scopo di creare disordini e incidenti lungo i confini dei territori concessi ai cristiani.
    Il Presidente si concesse una pausa, pensoso.
    Quanto a lei, Capo della Polizia, s’incontri al più presto con il Coordinatore dei Movimenti Sociali e Antioccidentali, e verifichi che l’appoggio sin qui assicuratoci da tali Movimenti non sia in discussione anche per il futuro. Chieda inoltre collaborazione per l’attività informativa.
    Lei, Capo delle Guardie, faccia discretamente sapere al Papa che, in caso di protrarsi degli attentati, il Governo non sarebbe in grado di garantire l’incolumità dei luoghi di culto cristiani…
    Altra pausa. Il Presidente si accarezzò a lungo la barba, poi riprese, con tono più amabile: quanto a lei, Capo della Segreteria, faccia pervenire acconce istruzioni al nostro Incaricato d’Affari presso Giovane Italia di provvedere a diffidare quel…ehm, governo dall’appoggiare direttamente o indirettamente i terroristi e di far chiaramente presente che la revoca della concessione dei territori giacenti tra Tinduf e Tarfaya potrebbe essere messa all’ordine del giorno della prossima Conferenza dei Capi di Governo della Sublime Confederazione.
    Quale misura contingente, dispongo che i luoghi di culto islamici siano pattugliati notte e giorno da Guardie della Virtù della Fede, armate.
    Per ora è tutto.
    Attendo rapporti aggiornati ogni ventiquattro ore.
    Mentre il Mullah Segretario prendeva nervosamente appunti, i due Ufficiali s’inchinarono profondamente e si ritirarono, rinculando in segno di rispetto.
    Abdelaziz, Piscaturi, statevi accorti, ne va delle vostre teste!
    La ritirata divenne fuga. Non c’era tempo da perdere.




    *°*°*°*°



    Sasso Marconi, stesso giorno, ore 12,00.


    Gaspare abitava in una casa colonica con annessi stalla e bel porticato in mattoni rossi, a vista. Aveva più o meno la stessa età di Petronio, trentacinque anni, ma una complessione meno robusta.
    Salutò da lontano, quando vide l’autocarro giallo guidato da Lazzaro apparire dalla curva sulla strada bianca che costeggiava il pioppeto.
    Ciao Petronio, Ciao Lazzaro!
    I due fratelli parcheggiarono il veicolo e scesero.
    Ciao Gaspare! Quanti siamo?
    Pochi ma buoni. Lucio è arrivato ieri, ha dormito qui da noi. Un ragazzo in gamba, con le palle.
    Abbiamo novità, disse Petronio.
    Dopo, rispose Gaspare. La riunione è per dopo pranzo, ora si va a tavola e non si parla d’affari. Ci sono alcuni nuovi amici che devo presentarvi.

    La tavola grande era apparecchiata per dodici persone. Oltre a Gaspare e sua moglie Fatma, Lucio e sette altri commensali. Con Petronio e Lazzaro faceva appunto dodici.
    Presentazioni e convenevoli presero circa venti minuti. Quattro dei sette commensali erano sconosciuti ai due fratelli di Roncobilaccio. Tre uomini e una donna, distinti, cittadini per parlata e modi.
    Il menu era rustico e adatto alla circostanza, dal punto di vista della sicurezza, s’intende.
    Ravioli al prosciutto, crescentine fritte nello strutto, lardo e carré di maiale al forno con le patate. Il tutto annaffiato da abbondante sangiovese.
    Musulmani non ce ne potevano essere di certo, a quella tavola!
    Saziato il primo, robusto appetito, iniziò la conversazione.
    C’è casino in giro! Esordì Gaspare. Poi inghiottì un boccone di crescentina e lardo e proseguì.
    Ci sono posti di blocco e le Guardie della Fede fanno un sacco di domande. Pare che un pezzo grosso sia crepato in un incidente sul tratto appenninico.
    Abbiamo visto il posto di blocco ma non ci hanno fermati, interloquì Lazzaro. Stavano controllando un autobus, e poi siamo conosciuti.
    Questo renderà le cose difficili, disse Lucio, pensoso.
    A proposito, interruppe Lazzaro incurante dell’occhiataccia del fratello, abbiamo un documento importante da mostrarti!
    Così dicendo tese a Lucio, che gli sedeva di fronte, la fatwa.
    Lucio conosceva bene l’arabo. Cominciò a leggere e tradurre, con voce sempre più concitata. Dopo le prime parole, il silenzio fu generale quanto improvviso.

    Lode sia ad Allah, il Rivelatore del Sublime Libro, Colui che controlla le tempeste, sconfigge le fazioni e ordina ai Fedeli di combattere e sgozzare gli empi quando i mesi proibiti sono trascorsi.
    Lucio si fermò per tirare fiato e sangiovese assieme.
    Pace sia con il suo Profeta, Muhammad Ben Abdallah che disse: con la spada in pugno sono stato inviato ad assicurare che nulla e nessuno sia adorato tranne Allah, Gloria a Lui l’Altissimo.
    Altra pausa. Lucio aveva la fronte imperlata di sudore. Lasciamo stare le premesse, disse. Vi leggerò la parte dispositiva. Questa è una Fatwa, non c’è dubbio.
    L’attenzione era spasmodica. Lucio riprese a leggere, seguendo le righe col dito, da destra a sinistra.

    Questo Sublime Consiglio degli Ulema e dei Maulana riferisce tre fatti incontrovertibili e noti a tutti:
    Primo, da oltre quarant’anni i fuoriusciti cristiani occupano le feraci terre d’Africa abusivamente denominate Giovane Italia, traendone ricchezze e denaro infiniti, senza mostrare alcuna riconoscenza verso coloro che con eccessiva generosità tali terre hanno loro concesso;
    Secondo, tali indegni fuoriusciti hanno fraudolentemente portato con sé il fiore della terra italica, con il risultato che essa è inaridita e altro ormai non offre se non fame e miseria;
    Terzo, gli infedeli cristiani, ai quali lo Stato Islamico ha assegnato e riservato piena competenza su agricoltura e industria, mentre i Fedeli Musulmani s’impegnano duramente nelle meno lucrative attività del commercio, della finanza e dell’amministrazione, si rifiutano di operare con la necessaria diligenza, di talché aziende, fabbriche e poderi stanno andando in completa rovina.

    E’ una menzogna, è un’infamia! gridarono quasi all’unisono i commensali. E’ una presa in giro! Danno e beffe!
    Da un fiasco, rovesciato da un’involontaria manata, sgorgava sulla tovaglia bianchissima il vino, rosso come una macchia di sangue.
    Silenzio! Ordinò Lucio, e riprese a leggere.

    Tutti tali crimini e peccati commessi dai cristiani sono un’evidente dichiarazione di guerra ad Allah, al suo Profeta e ai Musulmani.
    Questo Consiglio degli Ulema e Maulana concorda all’unanimità sul fatto che la Jihad, la Guerra Santa, è un sacro dovere individuale d’ogni Credente, se il nemico attacca e distrugge uno Stato Musulmano. Nulla è più sacro della Fede se non lo sconfiggere un nemico che proditoriamente attacca la religione e la vita.
    Lucio fece una pausa, emozionato e atterrito al tempo stesso. Poi riprese.
    Sulla base di quanto sopra esposto e in ottemperanza al volere di Allah, noi, Ulema e Maulana assisi in questo Sublime Consiglio, emaniamo la seguente Fatwa valida per tutti i Musulmani d’Africa e d’Italia:
    Siano obbligati i cristiani fuoriusciti a rendere ai legittimi proprietari Musulmani le feraci terre giacenti tra Tinduf e Tarfaya, in uno con tutte le pertinenze, messi, bestiame e macchine ivi esistenti;
    Siano obbligati tali fuoriusciti cristiani a tornare immediatamente in Italia, restituendo alla terra il fiore da loro fraudolentemente carpito, in modo che essa abbia nuovamente a prosperare;
    Siano parimenti obbligati i cristiani residenti in Italia a lavorare con rinnovato e centuplicato ardore, per la Gloria d’Allah, il Signore dei Mondi, al fine di restituire alle imprese, alle industrie e ai poderi prosperità e ricchezza;
    Sia fatto obbligo ai Fedeli Musulmani di uccidere i predetti infedeli cristiani che si rifiutassero di ottemperare ai suesposti doveri, in ogni luogo e con ogni mezzo fosse possibile farlo, dando la preferenza allo sgozzamento secondo le regole della macellazione coranica.
    Quanto sopra è in accordo con le parole di Allah Onnipotente: perché mai non dovreste combattere per la causa di Dio e dei Fratelli?
    Combattete dunque gli infedeli fino a che non vi sia più ribellione, frode e oppressione, e prevalgano la giustizia e la fede in Allah, Gloria a lui il Misericordioso.

    Lucio si schiarì la voce. Seguono le firme del Gran Muftì e degli Ulema che siedono nel Gran Consiglio, concluse.
    Vi fu un lungo silenzio. Con il capo chino, tutti guardavano il proprio bicchiere, come se dovessero scorgervi il senso stesso della loro vita.
    E’ un’infamia! Esclamò infine Fatma. Ma quale fiore! Era il sudore della nostra fronte, era il dolore della nostra schiena spezzata che fecondava i solchi dell’italica terra!
    Fatma esitò, parendogli di aver peccato d’eccessivo lirismo. D’altronde, era una poetessa dilettante.
    Ma che vadano ben a farsi rompere il culo sulla Montagnola, ‘sti Ulema del pistolino! concluse per rimediare.
    Silenzio! Intimò ancora una volta Lucio, terreo in volto. Questa è una dichiarazione di guerra! Devo partire subito per Roma, devo informare il Coordinamento Nazionale e il Governo di Giovane Italia. Per intanto, la riunione è aggiornata. Sarete nuovamente convocati.
    Ma tu, Lazzaro, proseguì, come sei venuto in possesso di questo importantissimo documento?
    Rispose Petronio. E’ stato trovato da…ehm, vicino all’incidente!
    Che Dio ci assista, disse Lucio.
    Non ne fate parola ad anima viva, e attenti alle Guardie e alla Polizia! Iniziano tempi duri.

    Se ne andarono tutti, alla spicciolata, senza una parola ma consci che, da quel momento, nulla sarebbe stato come prima.



    *°*°*°



    Verona, lunedì 7 Ottobre 2097, ore 10,00.


    Acabo si guardò attorno. La passeggiata di piazza Brà, o meglio il “Listòn” come si ostinava a chiamarla suo padre, era affollata, complice la bella e dolce giornata autunnale.
    L’Arena romana, di recente restaurata ed imbiancata a calce (per difenderla dalle muffe, dal muschio e dalle piogge acide, sostenevano le autorità cittadine) stava riempiendosi di folla vociante.
    Maryam, Mauro e gli altri amici non erano ancora arrivati. Acabo si soffermò a leggere l’ordinanza del Tribunale Islamico affissa sulle locandine che un tempo ospitavano i manifesti della stagione lirica.
    Le opere e i balletti che avevano resa famosa l’Arena di Verona non si rappresentavano più da molti anni.
    Spettacoli troppo futili e inverecondi, si era detto, d’ispirazione occidentale, fuorvianti per la moralità di donne e giovani. Figuratevi che le donne vi cantavano e recitavano, spesso discinte, rappresentando personaggi libertini e di generosi costumi!
    Gli spettacoli lirici erano stati per qualche tempo rimpiazzati da eventi “progressisti” organizzati dalle cooperative dei Centri Sociali. Con scarso successo.
    Acabo si concentrò sull’ordinanza, della quale peraltro già conosceva il contenuto.
    Suleyma, trentasette anni, musulmana, colta in flagrante adulterio con un manovale di religione cristiana in una macchia di larici, nei pressi di Boscochiesanuova, doveva essere lapidata oggi, secondo il rito islamico e il volere di Allah.
    Le esecuzioni capitali, fustigatorie e amputatorie venivano infatti eseguite in Arena, pubblicamente.
    Acabo, Maryam, Mauro e altri amici si erano dati appuntamento per partecipare alla rituale manifestazione contro la pena di morte.
    Non era vietato ai cristiani manifestare dissenso, purché non trascendessero in azioni dirette ad ostacolare il corso della giustizia.
    Manifestazioni insomma tollerate, ancorché inascoltate.
    La Sharia, la Legge Islamica, era stata inizialmente applicata solo per taluni reati contro la morale, la persona e il patrimonio (omicidio, adulterio, sodomia, furto e rapina, ubriachezza, uso di droghe o di alcolici, detenzione di materiale pornografico) commessi da appartenenti alla comunità islamica. I cristiani continuavano ad essere giudicati a norma della legge italiana, detta “comune”.
    In seguito, sentenze, interpretazioni autentiche e decreti avevano sfumato il confine, un tempo rigido e netto, tra i due sistemi giudiziari.
    La Sharia ora si applicava anche ai cristiani che avessero commesso tali reati in concorso con musulmani. Di più: la parte lesa, cristiana o musulmana che fosse, aveva facoltà di chiedere, con atto formale entro il termine perentorio di trenta giorni dall’accertamento del reato, l’applicazione della legge islamica.
    Era pertanto divenuto frequente che mariti cristiani traditi (l’adulterio restava reato sostanzialmente femminile) chiedessero l’applicazione della Sharia nei confronti delle mogli fedifraghe, per motivi d’odio e vendetta.
    Frequentissimo era l’esercizio di tale opzione in caso di furto e rapina: l’applicazione della Sharia, con pubblica amputazione della mano e d’altri arti in caso di recidiva, aveva reso rarissime tali fattispecie di reato, con indubbia e generale soddisfazione del popolino.
    Eventuali conflitti di giurisdizione fra Tribunali Comuni e Tribunali Islamici erano regolati da una Suprema Corte formata, in numero pari, da Ulema e da Consiglieri di Cassazione.
    Tale Suprema Corte di Regolamento di Giurisdizione era presieduta di diritto dal Gran Muftì che, avendo diritto di voto decisivo in caso di parità, faceva di solito pendere la bilancia in favore della giurisdizione islamica.

    Ciao Acabo!
    Gli amici erano finalmente giunti.
    Entriamo in Arena, è ora.
    L’Anfiteatro era già gremito. Le prime due file di gradoni erano riservate agli spettatori di religione islamica, alla parte lesa ed ai suoi parenti, a coloro cioè che avevano facoltà di lanciare le pietre.
    Piccole piramidi di sampietrini erano state a tale scopo disposte, ad intervalli regolari, lungo il parapetto che delimitava l’ovale dell’arena vera e propria.
    Un apposito settore della gradinata, più in alto e transennato, era riservato ai gruppi dissenzienti, che inalberavano striscioni e cartelli con scritte di contenuto contrario alla pena di morte ed alternavano canti e slogans ritmati di analogo tenore.
    Mauro, che era intervenuto malvolentieri, espresse la sua perplessità.
    Ma che ci veniamo a fare qui, se non serve a niente, solo a farci schedare da qualche spione? Abbiamo cose più importanti da fare, che richiedono riservatezza. Dovremmo scomparire, non apparire!
    Acabo assentì. Dobbiamo ripensare il nostro comportamento! Questa è una causa giusta, ma politicamente ci danneggia.
    Maryam intervenne con calore.
    Può anche darsi, ma queste manifestazioni hanno avuto il risultato di umanizzare la pena, non è vero che non servono a niente!

    In un certo senso Maryam aveva ragione.
    La condannata o il condannato a morte per lapidazione veniva sepolto fino alle spalle al centro dello spiazzo deputato a tal evenienza.
    Gli astanti lanciavano i sampietrini da una certa distanza, mirando alla testa rimasta insepolta.
    Spesso le prime pietre colpivano solo di striscio o di rimbalzo, provocando ferite dolorosissime, con conseguenti urla strazianti.
    Tale spettacolo era raccapricciante e dava esca a feroci critiche, specie sulla stampa estera.
    Il Supremo Consiglio degli Ulema, sensibile ai problemi d’immagine e allo stesso tempo desideroso di preservare le forme, aveva escogitato una procedura più umana.
    A circa due metri d’altezza, sulla perpendicolare della testa del condannato, veniva sospesa una pietra pesante circa un quintale.
    Un marchingegno elettronico collegava l’aggancio della pietra ad un sensore posto all’interno di una sorta di testa di turco, di ceramica dipinta in modo molto realistico, posta a circa quindici metri di distanza.
    Gli esecutori dovevano lanciare le pietre contro la testa di turco. Quando essa, colpita più volte, si rompeva, la pietra si sganciava automaticamente, cadendo sulla testa del condannato che restava accoppato all’istante, senza sofferenza e senza urla e gemiti incresciosi.

    In tal modo era stata predisposta l’esecuzione di Suleyma.
    Quando Acabo e i suoi amici presero posto nel settore dissenzienti, la condannata era già stata sepolta e incappucciata. La testa della sventurata, probabilmente sedata, oscillava ritmicamente da destra a sinistra. I gruppi cristiani dissenzienti intonarono canti e slogans, sotto l’occhio attento delle Guardie della Virtù della Fede addette al servizio d’ordine, armate di mitraglietta e scimitarra.
    I musulmani già gremivano i primi gradoni, palleggiando i sampietrini.
    Un Ufficiale Giudiziario, in barracano e turbante nero, diede lettura del dispositivo della sentenza.
    Alla fine della lettura, gridò: in nome di Allah, il Misericordioso, si proceda!
    Partirono le prime pietre. Solo una colpì la testa di ceramica, senza romperla.
    I lanciatori aggiustarono il tiro. Più pietre colpirono la testa di turco che finì col frantumarsi.
    La pesante pietra cadde di schianto, con un tonfo sordo. Sangue e materia cerebrale schizzarono intorno.
    Era finita.

    Andiamocene, disse Acabo. Io qui non ci torno più. Non è con canti e cartelli che si combatte questo schifo.
    Gli altri tacquero.
    Hai ragione, concluse Maryam.
    Se ne andarono in silenzio, mentre i becchini rimuovevano la pietra e impugnavano le vanghe.
    Vicino, un sacco nero, con la cerniera.
    Giustizia è fatta! Proclamo l’Ufficiale Giudiziario.




    *°*°*°*°


    Milano, martedì 8 Ottobre 2097, ore 16,30.


    Nihat Piscaturi si sentiva particolarmente depresso.
    Milano gli faceva sempre la stessa impressione negativa: ostile e nello stesso tempo indifferente.
    L’indifferenza di un nemico stanco il cui odio non riesce a tradursi in azione.
    Nihat non gradiva incontrarsi con il Coordinatore dei Centri Sociali, con quello sgradevole, infido personaggio dal nome assurdo, Ataulfo Tomaia.
    Il doverlo incontrare in modo non ufficiale, quasi in segreto, aggiungeva irritazione al dispetto. Lo faceva sentire complice, sporco, sporco dentro.
    Tant’era, l’ordine del Reverendissimo Presidente non poteva essere disatteso.

    I Centri Sociali poco avevano più a che spartire con la realtà libertaria, ribelle e barricadiera di un tempo ormai lontano e definitivamente trascorso.
    Il loro peso politico era tuttavia rimasto considerevole.
    Il determinante appoggio da loro offerto al Movimento Islamico in occasione delle vittorie elettorali e referendarie degli anni ‘40 e ’50 era un conto aperto che il governo aveva dovuto pagare.
    Pagare per scongiurarne l’opposizione, pagare per comprare una fruttuosa acquiescenza.
    I Centri avevano così ottenuto importanti benefici, che avevano però finito col trasformarsi in una gabbia ideologica.
    Erano divenuti una specie di territorio franco, dove la legge -islamica o comune che fosse- di fatto non si applicava. Il regime di rigida proibizione d’ogni tipo di droga (produzione, detenzione, spaccio e consumo di sostanze eccitanti e stupefacenti erano considerati peccaminosi, e come tali severamente puniti dalla legge islamica) si fermava alla loro porta.
    Agli affiliati ed agli “invitati” era stato permesso di consumare droghe leggere all’interno dei Centri, in occasione d’eventi artistici e culturali. Di fatto, vi circolavano droghe d’ogni genere, anche le più pesanti, che vi potevano essere reperite in qualunque momento, a buon mercato, con garanzia di qualità ed igiene e con i mezzi d’assunzione più moderni e incruenti. Non mancava una qualificata assistenza medica in caso d’intolleranza o di overdose.
    Di conseguenza, i Centri erano divenuti ricchissimi e conservavano una consolidata influenza politica ed ideologica.
    La somministrazione di droghe non era la sola attività di rilievo dei Centri.
    Vi erano eseguiti spettacoli teatrali nei quali un pubblico d’iniziati diveniva Parte.
    Tali spettacoli erano molto seguiti anche da coloro che mai l’avrebbero ammesso. Avevano sostituito l’opera lirica. Commedia Collettiva del Post-Arte, così erano chiamati.
    Il filo conduttore, canovaccio o soggetto che dir si voglia era di norma ispirato ad antichi fatti e personaggi rivoluzionari, rigidamente pre-islamici e preferibilmente ambientati nelle Americhe o in Estremo Oriente. La saga di Che Guevara, ad esempio, offriva ancora molti spunti, mantenendo vivo il ricordo del mitico personaggio.
    Alcuni attori professionisti davano inizio all’azione ed enunciavano i caratteri. Cedevano poi la scena al “pubblico”, eccitato da sostanze esilaranti e allucinogene che venivano assunte anche per inalazione ambientale.
    Costumi, drappi multicolori, maschere e quant’altro erano a disposizione di ciascuno.
    Singolarmente o per gruppi, gli astanti interpretavano personaggi e creavano situazioni spesso di pura e spontanea invenzione, in un parossismo orgiastico.
    Baccanali, rivoluzioni, trionfi e sconfitte, vendette, amori, esecuzioni, delitti, stupri: tutto e il contrario di tutto veniva simulato, e spesso consumato, in una sorta di rito misterico ed iniziatico.

    I detrattori accusavano i Centri di gestire un postribolo ideologico e di essersi ridotti a “fumerie” di sostanze stupefacenti; i difensori ne esaltavano asserite funzioni liberatorie e culturali.
    Fosse come fosse, i Centri destinavano parte dei loro proventi a sussidi e ricovero elargiti alle notevoli schiere d’emarginati e disoccupati, volontari e non, che si stavano ora ingrossando per effetto della crisi economica, e così incrementavano seguito e consenso.

    L’incontro era stato fissato presso la sede del Circolo Culturale Islamico “Atta”, situato in luogo discreto e poco conosciuto.
    Il Coordinatore non aveva rinunciato ad indossare quella che era divenuta l’uniforme degli affiliati ai Centri: larga tunica con motivi floreali, braghe alla turca, capelli e barba incolti e fluenti, scarpe di corda, occhialetti da nuotatore e, in capo, il rituale basco nero con la triplice stella a cinque punte.
    Dopo un freddo saluto, il colloquio iniziò in una saletta riservata. Nihat e Ataulfo avevano a fianco i rispettivi assistenti.

    Mi auguro, esordì il Coordinatore che appariva alquanto diffidente, che il governo non intenda mettere in discussione i nostri privilegi ed i nostri spazi culturali, conquistati a prezzo di durissime lotte.
    Il Capo della Polizia rimase per qualche istante in silenzio, perduto nel sogno di poter fare quanto temuto dal Coordinatore, e peggio.
    No, nel modo più assoluto. Si rassicuri! rispose.
    Gradirei allora conoscere il motivo di questa convocazione, da noi non sollecitata!
    Nihat esitò ancora, poi parlò nervosamente, rapidamente.
    La crisi economica, esordì, richiede misure immediate e radicali, prima di divenire irreversibile e distruttiva.
    Il volto di Ataulfo era una maschera di pietra, inespressiva e impenetrabile.
    Il Reverendissimo Presidente, il Governo e il Sublime Consiglio degli Ulema ritengono che la responsabilità della crisi ricada interamente sui contadini e sugli artigiani di religione cristiana che producono troppo poco e sui fuoriusciti di Giovane Italia che, dopo aver sfruttato e impoverito la terra italiana, si godono le fertili terre d’Africa a loro generosamente concesse senza reinvestire nella madre patria i cospicui profitti conseguiti!
    L’espressione di Ataulfo rimaneva impenetrabile, quasi assente.
    Il Reverendissimo Presidente, continuò Nihat, ha pertanto deciso di costringere i fuoriusciti a rientrare in patria e di restituire le terre d’Africa agli italiani di religione musulmana che intendano emigrarvi. Ha inoltre deciso di costringere i contadini e gli artigiani cristiani a lavorare di più e meglio.
    L’espressione del Coordinatore appariva ora attenta, anzi allarmata.
    L’Eccellentissimo e Reverendissimo Presidente vuol sapere se potrà ancora contare sul vostro appoggio e sulla vostra cooperazione informativa, così efficace e benemerita in passato! concluse Nihat.

    Ataulfo era ora assorto. Nella sua mente si agitavano folle di sradicati provenienti dall’Africa, con le tasche ben piene di valuta pregiata, masse d’artigiani e contadini stressati e iracondi. Un nuovo proletariato per una nuova rivoluzione, un ottimo humus per far prosperare il potere e la ricchezza dei Centri.
    Si consultò rapidamente con i suoi assistenti, sottovoce.
    Rassicuri il Presidente, rispose.
    I nostri Centri Sociali, a patto che i loro privilegi e diritti acquisiti non siano minimamente toccati, assicureranno appoggio e sostegno immutati. Le nostre fonti informative saranno a disposizione!
    Venne servito il tè, mentre gli assistenti stendevano il testo di un breve protocollo d’intesa.
    Il Capo della Polizia e il Coordinatore dei Centri Sociali sorbirono la bevanda in silenzio, ognuno assorto in contrapposti pensieri.
    Dopo la firma e lo scambio delle copie di un protocollo che in cuor suo nessuno intendeva rispettare si salutarono freddamente e se n’andarono.
    In silenzio.


    *°*°*°*°




    Giobertide, mercoledì 23 Ottobre 2097, ore 19,00.


    Il viaggio era stato faticoso e non privo d’imprevisti.
    L’imbarco a Civitavecchia per Bastia, territorio dell’Unione Europea, era stato forse il momento più pericoloso, a causa dei pignoli e vessatori controlli effettuati dalla polizia islamica.
    Per sua fortuna, Lucio poteva contare su molti amici e su molte connivenze.
    Il volo per Tenerife, via Madrid, era stato ottimo e rapido, grazie ai supermoderni aerei ultrasonici in dotazione alle linee europee.
    Al porto di Tarfaya era giunto a bordo di un peschereccio spagnolo, travestito da marinaio per sfuggire a possibili controlli da parte di motovedette islamiche. Lucio sapeva di essere ormai nella lista dei sospetti.
    Il mare grosso aveva scongiurato i controlli ma creato altre difficoltà. Una fastidiosa tempesta di sabbia durante il tragitto verso Giobertide, la capitale di Giovane Italia, aveva aggiunto fastidio alla stanchezza.
    Alla fine era giunto, spossato ma incolume.
    Il Gonfaloniere, On. Franco Balla, l’attendeva a rapporto per il giorno seguente.

    Giobertide non era gran cosa come città.
    Fondata e sviluppata all’insegna del provvisorio, a pianta quadrata con strade a reticolo e gran piazza al centro dove s’incrociavano cardo e decumano, sembrava un antico castro romano.
    Gli edifici erano bassi, piatti, spesso composti d’elementi prefabbricati forniti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, nell'ambito degli aiuti sempre generosamente assicurati.
    Due aspetti particolari rendevano la città interessante ed in qualche modo speciale: i segni di una profonda e quasi ostentata fede religiosa, rigorosamente cattolica e l’impressione di una generale prosperità.
    Un gran numero di edicole, capitelli votivi, immagini sacre e piccole chiese (tutte con affissi avvisi che assicuravano messe in latino) testimoniava la fede; i negozi e le vetrine rutilanti e stracolme d’ogni ben di dio vantavano ricchezza.
    Ciò che mancava, che non si sentiva nell’aria, era la gioia di vivere. Si rideva poco a Giobertide, come del resto nelle altre cittadine di Giovane Italia. In compenso si lavorava molto, con rabbia, con la rabbia di chi voleva dimenticare un tormento segreto, un’angoscia esistenziale.
    Non a caso l’inno nazionale era il “va pensiero” di Verdi.
    Gli abitanti di Giovane Italia continuavano a sentirsi e ritenersi in esilio, un esilio che, nei loro voti, conservava carattere di temporaneità. Si capiva bene, insomma, che la loro massima aspirazione era di tornare un giorno nella Madre Patria, anche a costo di trovarvi la miseria e di lasciare una prosperità guadagnata a prezzo di un duro lavoro.

    Lucio prese alloggio presso la foresteria dell’Organizzazione cui apparteneva, Giustizia e Libertà.
    Dopo un frugale pasto andò a letto, affranto.
    Il giorno dopo sarebbe stato difficile e importante.
    Il sonno lo colse mentre rileggeva i suoi appunti ed il testo della fatwa, mentre pensava a ciò che avrebbe detto, all’indomani, al molto onorevole Gonfaloniere ed ai suoi Ministri.



    *°*°*°*°*



    Giobertide, giovedì 24 Ottobre 2097, ore 09,30.

    L’on Franco Balla, Gonfaloniere di Giovane Italia, era di bell’aspetto, alto asciutto, d’età indefinibile anche se le note agiografiche gli accreditavano cinquantacinque anni.
    Circondato dai suoi principali collaboratori nella sala conferenze della Casa del Governo, edificio non dissimile dalla maggior parte degli altri esistenti nella capitale, squadrava pensoso Lucio che aveva appena finito di leggere la Fatwa di Roncobilaccio (così era ormai comunemente denominato il noto documento).
    Osservava il suo viso giovane, deciso, arrossato dall’emozione.
    Il silenzio era calato nella sala. Un silenzio greve, preoccupato.
    Dopo essersi schiarito la gola, l’On. Balla prese la parola.
    Agente Lucio (il regolamento di sicurezza imponeva l’uso esclusivo del nome di battaglia per gli agenti segreti), ti ringraziamo per la tua operosità e la tua abnegazione, che saranno debitamente ricompensate!
    Si schiarì la voce di nuovo.
    E’ certo che si tratti di un documento autentico? chiese.
    Lucio rispose, sicuro e determinato.
    Assolutamente, onorevole Gonfaloniere. Tutti i riscontri concordano. Il documento era nelle mani dello stesso Gran Muftì che si accingeva a consegnarlo al presidente Ahmed Ben Effendi. Un incidente stradale, invero…provvidenziale ha interrotto il suo viaggio e la sua vita. Il documento è così caduto in mano a nostri affiliati. Si è trattato di un caso fortuito e fortunato, onorevole Gonfaloniere.

    Il silenzio si fece di nuovo generale. A Lucio pareva quasi di udire il fruscio dei pensieri che si aggrovigliavano, si accavallavano dietro le fronti sudate dei Consiglieri e Segretari di Stato presenti.
    Il Gonfaloniere parlò di nuovo, rivolgendosi questa volta ai suoi collaboratori.
    Signori, è evidente che ci attendono tempi difficili. Non ci sarà consentito di commettere errori. Nessun evento intermedio possiamo intravedere tra la più completa rovina ed un inatteso trionfo.
    Signor Segretario di Stato, cosa pensa al riguardo?
    Il Segretario di Stato era il responsabile della politica estera e delle relazioni con le Potenze amiche, in altre parole Unione Europea e Stati Uniti delle Americhe.
    Gran poliglotta, uomo di mondo e affascinante, con laurea ad Oxford e PhD a Yale, era considerato la testa pensante del Governo e il successore in pectore alla carica di Gonfaloniere, quando l’On. Balla avesse terminato il suo secondo mandato quinquennale.
    Il dott. Ugo Rossini, tale era il suo nome, parlò con voce secca, tagliente.
    Onorevole Gonfaloniere, Signori, ciò che è stato detto così saggiamente ed autorevolmente (abbozzò un inchino in direzione dell’On. Balla) è giusto. Tutte le informazioni delle quali sono in possesso concordano in tal senso. La crisi economica e morale che travaglia l’infelice Italia (tutti si rizzarono in piedi, come d’uso, al nome della Patria lontana e perduta) non offre sbocchi. E’ chiaro che gli usurpatori islamici e la Confederazione degli Stati Musulmani intendono revocare la concessione a suo tempo a noi fatta e favorire - o provocare - l’irruzione di turbe d’islamici impoveriti e disperati nei territori di Giovane Italia, al fine di riappropriarsi di terra un tempo arida ed avara che solo il nostro sudore e il nostro sangue hanno potuto fecondare. Sarà la rovina.
    E noi che faremo? Staremo a vedere? , interloquì uno dei Consiglieri.

    Il dott. Rossini si guardò attorno con piglio un po’ teatrale, prima di rispondere.
    Dovremo rientrare in Madre Patria. Ma alle nostre condizioni, se sapremo giocare bene le nostre carte.
    Si spieghi, Segretario di Stato! esclamò il Gonfaloniere.
    Le nostre carte, Onorevole Gonfaloniere, saranno le seguenti: l’appoggio e l’amicizia delle Potenze Occidentali che si sono a suo tempo rese garanti della cessione dei territori d’Africa agli italiani esuli; il nostro denaro e la corruzione che dilaga tra funzionari e reggitori del governo islamico d’Italia (tutti si rizzarono in piedi) e i moti insurrezionali che sapremo favorire. Di più: la fermezza con la quale pretenderemo libere elezioni generali subito dopo il nostro rientro. Elezioni che occorrerà vincere.

    Lei intende affermare, signor Segretario di Stato, che la nostra gente sarebbe pronta ad abbandonare tutto quanto ha costruito in questi decenni ed a rientrare, o meglio riemigrare in Madre Patria, affrontando ancora una volta enormi difficoltà, fame e miseria?
    La voce del Gonfaloniere era rotta dall’emozione.
    Intendo affermare, rispose il dott. Rossini rivolgendosi a tutti gli astanti, che non saremo soli. Le Potenze Occidentali si dimostreranno generose in mezzi ed aiuti, intravedendo il rientro dell’Italia (tutti in piedi) nell’Unione Europea. La nostra gente, inoltre, dovrà essere per tempo preparata psicologicamente. Anche la Santa Sede dovrà finalmente assumere una posizione netta, dopo le molte ambiguità ed incertezze che tanto danno hanno provocato in passato. Sarà infine indispensabile creare tra gli italiani residenti in Madre Patria una corrente d’emozione e pensiero che favorisca il reinserimento della nostra gente e induca sentimenti d’operosità e solidarietà. I musulmani saranno ben felici di andarsene, se avranno paura e se ne ritrarranno, nell’immediato, qualche guadagno.
    Tutti assentirono, convinti. Tutti percepirono che era giunto il momento delle decisioni e degli ordini. Tutti guardarono il Gonfaloniere, in atteggiamento d’attesa e preventivo assenso.

    Il Gonfaloniere si guardò attorno, poi parlò.
    Agente Lucio, tu rientrerai in Italia (tutti si alzarono in piedi) con le cautele ed i travisamenti del caso. Avrai i collaboratori ed i mezzi che ti servono, con larghezza, inclusa l’autorità di Capo Missione. Prenderai contatto con i nuclei patriottici e ne costituirai di nuovi. Pianificherai attentati terroristici, badando alla loro clamorosità ed evitando, per quanto possibile, perdite umane. Non vogliamo attirarci odio, vogliamo infondere paura!
    Segretario di Stato, prenda contatto con i Rappresentanti d’Unione Europea e Stati Uniti al fine di saggiare le loro intenzioni in caso di un nostro ventilato rientro in Madre Patria. Saranno disposti ad investire ingenti aiuti e cospicui mezzi su di noi? Questo lei deve sapere, anzi ottenere!
    Sottosegretario alla Propaganda e Cultura, diffonda tra la nostra gente la lieta novella, la speranza di un prossimo rientro, il desiderio di Patria.
    Sottosegretario agli Affari di Culto, prenda solleciti quanto cauti contatti con la Santa Sede per ottenere appoggio, o quantomeno neutralità riguardo alle nostre legittime aspirazioni. Non tralasci di intervenire sul clero locale, che dovrà essere al nostro fianco. L’influenza del pulpito è ben nota.
    Altre direttive seguiranno dopo la seduta straordinaria del Gabinetto, convocato per questa sera alle ore venti.
    La seduta è aggiornata, concluse. Attendo tempestivi rapporti da parte di lorsignori!

    Quasi nello stesso istante, a Bologna, il Capo della Polizia riferiva al Reverendissimo Presidente che i Centri Sociali assicuravano appoggio e collaborazione, tralasciando tuttavia di esternare la sua diffidenza.
    Nihat Piscaturi amava la vita tranquilla e non andava alla ricerca di grane. Non grane di quel tipo, almeno.



    *°*°*°*°*°



    Verona, venerdì 25 Ottobre 2097, ore 19,00.


    Era un po’ strano quell’invito a cena fatto all’ultimo momento. Acabo e Maryam avevano dovuto annullare alcuni impegni per potersi trovare la sera stessa a casa di Mauro. Maryam era particolarmente seccata, perché non le era stato facile trovare una sostituzione per il turno di notte.
    Li passò a prendere Loretta, la sua amica del cuore, anch’essa invitata. Loretta possedeva un “Sulk”, triciclo a pedali con due posti a sedere posteriori, di recente immesso sul mercato nel quadro della “campagna ecologica”.
    Dovrebbero dire “nel quadro del generale impoverimento”, altro che ecologia! Commentò irosamente Acabo.
    Si mise ad ogni buon conto ai pedali, con le due ragazze sedute nello scomodo sedile posteriore.
    Come dio volle, giunsero al Chievo. Acabo aveva il fiatone, le due ragazze, nonostante gli scialli, erano infreddolite.
    Gli invitati, tutte facce conosciute, erano numerosi. Appariva subito chiaro che la cena era solo un pretesto per poter fare il punto della situazione dopo i recenti avvenimenti.
    Il camino era acceso nella grande stanza, il cibo semplice e rustico. Fette di polenta abbrustolita sul fuoco e salame nostrano.

    Mauro diede notizie di Lucio.
    Sarà presto di ritorno in Italia, per dare impulso alla nostra lotta. Occorre sbrigarsi, perché il regime sta muovendosi nel senso indicato dalla fatwa!
    Mauro si guardò attorno, poi riprese.
    Il messaggio è che bisogna estendere la cospirazione e predisporre una nuova ondata d’attentati, possibilmente incruenti ma clamorosi. Dobbiamo infondere terrore e contribuire a scompaginare l’organizzazione del regime, che già è sgangherata del suo. Però, attenti agli infiltrati, agli spioni ed ai provocatori!
    Quest’ultimo allarme suscitò un’accesa discussione.
    Da uno dei presenti fu lanciata l’idea che sarebbe stato meglio, anziché sprecare energie in una poco profittevole caccia alle streghe, tentare di infiltrare tra i musulmani qualcuno dei cospiratori che si sentisse in grado di simulare una repentina conversione all’islam.
    Acabo raccolse con entusiasmo il suggerimento.
    Ottima idea! proclamò. Sarebbe bene che questo tentativo d’infiltrazione fosse fatto da cospiratori di sesso femminile, perché così potrebbero agire sull’anello più debole della catena, vale a dire sobillare le donne di religione musulmana ma d’origine italiana e non solo.
    La situazione delle donne in generale, argomentò, e di quelle di religione islamica in particolare, è infatti umiliante e si sta aggravando sempre più per la crisi economica. Dobbiamo sfruttare tutto questo malcontento!
    Mauro fece sua la proposta e tutti assentirono.

    Si trattava ora di designare le…volontarie.
    Tutti gli sguardi si appuntarono su Maryam e Loretta.
    Noi saremmo poco credibili, azzardò Maryam, tutti sanno che apparteniamo ai gruppi dissenzienti che si oppongono alle pene corporali previste dalla sharia.
    Loretta rincarò la dose. Abbiamo appena manifestato in Arena in occasione dell’esecuzione si Suleyma, l’adultera di Boscochiesanuova!
    Al contrario, ribatté Mauro. Potrete sostenere che l’esecuzione dell’adultera vi ha edificate per il suo aspetto umanitario, per quella sua nobile ricerca della morte senza sofferenza fisica, e che avete avuto una crisi di coscienza.
    A Maryam e Loretta non restò che accettare, anche se di malavoglia.
    Ma come ci regoliamo per l’approccio? Chiese Maryam.
    Mauro, che doveva essersi ben preparato in merito, improvvisò una dotta lezioncina.
    L’importante, disse, è prendere contatto con una Tariqa, ossia una confraternita religiosa che si dedica al sufismo, vale a dire alla mistica islamica.
    Ve n’è giusto una di tradizione marocchina a Verona, formata da donne. Si chiama “Le Donne della Hadra” e ha la sua sede in Via Scalzi, al numero 25. Fanno sufismo e musica tradizionale. Le nostre due volontarie (ammiccò a Maryam e Loretta) sono brave canterine!
    Vi presentate in Tariqa, continuò, e raccontate di aver letto il Corano per cercare argomenti per dimostrare che Maometto è un falso profeta e che l’Islam è una religione non valida…ma che poi, leggendo e studiando il sacro libro, vi siete convinte che la vera liberazione della donna è nell’Islam.
    Dovrete inoltre affermare che siete ansiose di pronunciare davanti alla confraternita riunita la Shahadah, la formula rituale, per divenire Donne di Hadra.
    Che roba è questa Shahadah? chiese Loretta, che era ragazza intelligente e coraggiosa ma di scarse letture.
    E’ il primo pilastro dell’Islam, spiegò Mauro, paziente. E’ una semplice formula che dovrete pronunciare simulando convinzione. Bisogna impararla bene, con corretta pronuncia, in italiano e arabo. Suona così: La ilaha illa Allah, Mohammadur rasoolu Allah. Significa che non esiste vero dio se non Allah e che Maometto è il suo profeta.
    Va bene, disse Maryam. Impareremo la formula e proveremo a raccontare la storiella in Via Scalzi. Speriamo di non rimetterci la pelle, se ci sgamano.
    E pensare che una volta c’era un Comando della NATO in Via Scalzi 25!, commentò un altro dei presenti.
    E se ci infibulano? Interloquì Loretta, suscitando l’ilarità generale.
    Non vi preoccupate! La voce di Mauro era rassicurante. L’infibulazione è prevista, anche se non obbligatoria, solo per le native islamiche d’etnia somala, sudanese e simili, non per le convertite d’etnia europea.
    Noi uomini sì che ci dobbiamo far circoncidere se ci convertiamo! Ecco perché mandiamo voi.
    Le risate giunsero al parossismo, isteriche, liberatorie.

    Mauro attese che l’atmosfera tornasse alla normalità, poi chiese attenzione.
    Qualche altra notizia e raccomandazione da parte di Lucio, da trattare con la massima riservatezza.
    Emissari dei Centri Sociali hanno chiesto in gran segreto un incontro con un qualificato rappresentante di Giovane Italia. E’ stato designato Lucio che s’incontrerà presto a Milano con Ataulfo Tomaia.
    Questa volta non ci furono risate, ma generali proteste. Non era forse vero che i Centri Sociali avevano reso possibile l’usurpazione islamica?
    Meno emozionalità e più pragmatismo! esortò Mauro. Ataulfo Tomaia è un essere spregevole ma è anche un animale politico che sa annusare il vento…e il vento della storia non è più favorevole al regime islamico. Quando ce ne saremo sbarazzati, salderemo il conto anche con i Centri Sociali.
    Mauro raccomandò infine di prepararsi ad accogliere gli italiani d’Africa che presto avrebbero iniziato a rientrare in patria. Molti di loro vedranno l’Italia per la prima volta, disse. Bisognerà aiutarli ad inserirsi.

    E gli attentati? interruppe Acabo.
    L’argomento provocò una nuova, accesa discussione.
    Meglio evitare azioni clamorose mentre le due ragazze tentano di infiltrarsi!, osservò Mauro. Meglio, molto meglio fare azioni di disturbo psicologico.
    Rodolfo, un anziano cospiratore amante della buona letteratura antica, propose di dedicarsi all’insolita attività dell’untura.
    Potremmo inviare lettere ai più noti esponenti islamici, specie i convertiti che sono più osservanti, contenenti foglietti unti di strutto suino e con una scritta che riveli trattarsi appunto di suino, disse. Così i destinatari prima di leggere li avranno toccati…potremmo anche ungere, nottetempo, porte, corrimani, campanelli e imbucare cotenne di porco nelle cassette postali degli uffici pubblici. Basterebbero pochi untori giovani e bene addestrati per creare un caos.
    Molto bene! assentì Mauro. Si potrà fare per una o al massimo due notti, poi ci saranno pattuglie e ronde dappertutto, ma così la polizia e le guardie si sfiancano!
    Diamoci dentro, e domani ungiamo tutta la città.
    Poi penseremo a qualcos’altro.
    Viva le cotenne! gridò un buontempone.
    Ma questa volta nessuno rise.

    ********



    Verona, lunedì 28 Ottobre 2097, ore 10,00.


    In gonna lunga, camisaccio accollato e hijab scuro a coprire il viso, Maryam e Loretta non sembravano nemmeno ragazze cristiane d’etnia italica.
    Si erano preparate psicologicamente ma non riuscivano a contenere il batticuore. Paura, eccitazione, curiosità ma soprattutto voglia di fuggire, istintiva, irragionevole.
    Via Scalzi, civico numero venticinque. Un vecchio casermone ristrutturato e rivestito fino all’altezza del primo piano di piastrelle azzurre con elaborati arabeschi. A destra dell’ingresso principale si ergeva un piccolo monumento in pessimo stato di conservazione, sgretolato dal tempo e dalle erbacce, raffigurante un prete cattolico in atto di sbirciare da dietro un lastrone di pietra. Nessuno sapeva, o sapeva più, chi fosse stato.
    Alle ragazze sembrava quasi che spiasse loro, che le osservasse con malevolenza mentre si avvicinavano alla porta e suonavano il campanello.

    Che volete? La voce che filtrava attraverso la mascherina di cuoio cucita sul burqa scuro suonava sospettosa.
    Vorremmo parlare con…la Direttrice per motivi personali! azzardò Maryam arrossendo sotto la hijab.
    Non è possibile, non così. Presentate una petizione scritta. Questa è una Tariqa, non è l’ufficio del catasto.
    La figura in burqa e maschera indicò perentoriamente l’uscita.
    Vogliamo pronunciare la Shahadah! sbottò Loretta.
    La figura mascherata esitò un attimo. Attendete! disse indicando la saletta d’aspetto, e scomparì all’interno dell’edificio.
    L’attesa fu lunga. Le ragazze l’ingannarono guardando i manifesti e le locandine che tappezzavano le pareti della stanza. Un manifesto raffigurava alcune fanciulle in burqa intente a cantare in coro. Entra in Tariqa, prega cantando! Recitava la scritta sottostante, in arabo e italiano.
    Altri manifesti erano meno rassicuranti.
    Una bambina, a capo scoperto e con le dita della mano destra atteggiate a segno di vittoria, proclamava: Non sono una nigsa, non sono una bikaloro. Io sono circoncisa!
    Non mancava, nella versione italiana, la traduzione delle due oscure parole: sporca e immatura.
    Per le escissioni e le infibulazioni delle vostre bambine, recitava un altro cartello, rivolgetevi alla dott. Hamina El Kerim, specializzata in medicina etnica e coranica. Massima igiene, intervento in anestesia locale, risultato assicurato.

    Entrate! Disse la figura in scuro, riapparsa all’improvviso. La Reverendissima Ostath, Aisha Bourghani, vi concede udienza.
    Fece strada, senza altre parole.
    L’Ostath (Maestra) Aisha era una donna magra, alta, d’età avanzata, con bocca sottile, naso aquilino, sguardo penetrante ed espressione imperiosa. Non indossava il burqa ma un semplice chador che le lasciava il volto scoperto.
    Sedetevi, disse indicando un divanetto, non appena la porta dello studio si chiuse alle spalle della misteriosa accompagnatrice.
    Mi dicono che vorreste abbracciare l’Islam. Suppongo siate cristiane. Scoprite i volti, datemi le vostre generalità e, soprattutto, chiaritemi il perché della vostra…conversione.
    Si, reverenda Ostath, esordì Maryam in nome di entrambe. Il mio nome è Maryam Trevisani, la mia amica si chiama Loretta Carli. Siamo infermiere.
    Maryam esitò qualche istante.
    Sento il dovere d’essere sincera, proseguì. Apparteniamo ai Gruppi Dissenzienti ed abbiamo letto il Corano per trovarvi argomenti atti a dimostrare che Maometto è un falso profeta e che l’Islam non è la vera fede. Il nostro cuore era freddo, la nostra volontà ostile.
    Loretta volle dire la sua. Proprio così, signora Ostath, eravamo nemiche dell’Islam.
    Continuate!. La voce di Aisha fremeva d’indignazione.
    Maryam riprese, gli occhi abbassati, in atteggiamento penitenziale.
    Insigne Maestra, la lettura del sacro libro ci ha prima scosse, poi illuminate, infine travolte. Abbiamo compreso che l’Islam è la vera fede, che Maometto è il vero Profeta e che finora abbiamo vissuto nelle tenebre dell’ignoranza e della presunzione.

    Perché allora siete venute qui, alla Tariqa? Perché non vi siete rivolte ai Mullah addetti alla Moschea?
    Le due ragazze si gettarono bocconi ai piedi dell’anziana sacerdotessa.
    Non vogliamo vivere nel mondo, vogliamo dedicare la nostra vita a cantare le lodi di Allah il Misericordioso! precisò Maryam. L’insegnamento di un semplice mullah non ci basta. Vogliamo essere iniziate al Sufismo!
    L’espressione d’Aisha da indignata si fece dubbiosa. Un ghigno che forse voleva essere un sorriso increspò le labbra sottili.
    Vedo, vedo. Sarete messe alla prova. Sappiate che la via è lunga e difficile. Studierete i Sacri Libri, non solo il Sublime Corano. Sarete guidate in questo. Vi accosterete ai misteri del Sufismo e apprenderete il sacro canto. La Shahadah sarà l’ultimo passo, il coronamento di un percorso che culminerà con la circoncisione. Diverrete così, a tutti gli effetti, sorelle della Casa di Hadra.
    Loretta era terrorizzata. Volete dire che saremo infibulate? chiese con voce rotta.
    No, questo no, la rassicurò Aisha. A meno che voi stesse lo chiediate. Noi suggeriamo, non imponiamo la nobile e sacra tradizione dell’escissione completa e della successiva infibulazione, e solo alle fanciulle islamiche in età prepuberale che chiedono di entrare nella nostra casa. Non alle adulte convertite!
    Aisha era ora un torrente in piena.
    Come disse in un suo Hadith il Sublime Profeta, che Allah l’abbia in gloria, l’escissione è una “makruma”, cioè un’azione onorevole ma non vincolante. La “Sunna”, cioè l’azione vincolante, è per noi la circoncisione lieve, parziale, che consiste nell’asportazione del solo prepuzio della clitoride. E’ un intervento poco cruento e pressoché indolore. Suppongo che voi due, da brave cristiane, non siate più vergini e da lungo tempo. Ben conosco le attitudini fornicatorie delle donne cristiane. Infibularvi non avrebbe senso. Il vostro uomo non ha certo avuto bisogno del coltello d’argento per aprirvi, la prima notte di contubernio!

    L’espressione d’Aisha era ora sprezzante. Maryam voleva apparire credibile.
    Sta bene, venerabile Maestra. Ci sottoporremo alla circoncisione lieve quando saremo sicure della nostra fede (allungò un feroce pizzicotto a Loretta che si preparava a protestare). Non escludiamo, ora come ora, di chiedere a suo tempo anche l’intervento completo. Vorrebbe Vostra Reverenza illustrarci di cosa si tratta?
    La voce d’Aisha si fece professionale.
    Con l’escissione vengono asportate la clitoride, le piccole labbra e, diciamo, due terzi delle grandi labbra. I due lati della vulva vengono cuciti, in anestesia locale, con filo di seta. L’accesso vaginale è così ridotto ad una piccola apertura, sufficiente per le esigenze mestruali ma ostativa di qualunque tipo d’introduzione o amplesso. Spetta solo al legittimo e felice marito, in occasione della prima notte di nozze, aprire la vulva della sposa con un coltello consacrato…
    Aisha scrutò severa le due giovani.
    In questo modo, continuò, la natura femminile della donna islamica viene innalzata a matrice di riproduzione e dono di mistico piacere per il consorte, laddove l’organo sessuale delle donne cristiane, aperto ed indecente, è adibito a latrina del vizio.

    Aisha si alzò, in segno di congedo.
    Vi basti questo, per ora. Venerdì prossimo intraprenderete il vostro percorso iniziatico. Comincerete con la prima lezione di canto e d’accostamento alla mistica coranica. Seguirò i vostri progressi, conoscerò i vostri fallimenti. Solo se e quando riterrò la vostra preparazione completa e la vostra fede provata, verrete ammesse alla professione di fede ed alla circoncisione. In qualunque momento potrete ritirarvi, in qualunque momento potrete essere cacciate. E…badate bene: se dovessi accertare una qualsiasi malafede da parte vostra, non esiterò a deferirvi al Tribunale Islamico.
    Andate ora. E concordate in Segreteria le ore di lezione, secondo i vostri impegni lavorativi.
    Come per incanto la porta si aprì.
    Andiamo! disse la persona in burqa scuro. La reverendissima Ostath, immersa nella lettura di un enorme libro polveroso, nemmeno le degnò di un’occhiata mentre uscivano.

    Col cazzo mi faccio circoncidere! proclamò Loretta non appena furono al sicuro, in strada.
    Riferiremo a Mauro e ai compagni, disse Maryam. Non ti preoccupare, comunque. Alla circoncisione non arriveremo mai. Appena avremo raccolto qualche informazione utile, taglieremo la corda e non ci vedranno più!
    Speriamo bene, concluse Loretta.
    Pensi che la reverenda maestra sia un’infibulata?
    Maryam non rispose.



    *°*°*°*°




    Mediterraneo Occidentale, martedì 3 Dicembre 2097, ore 18,00.


    Il vecchio ferry, quasi una carretta dei mari, aveva ormai doppiato Gibilterra e lasciato Malaga alle spalle, verso il Mediterraneo aperto, verso l’Italia.
    La sera regalava mare piatto e tramonto stordente.
    Tempo da crociera, si sarebbe detto. Ma crociera non era. Nessuno era felice a bordo della nave, uomini, donne, bambini, tutti sradicati dalla loro consuetudine e tutti timorosi dell’imminente realizzarsi di quello che era stato un sogno antico ma che ora pareva mutarsi in incubo.
    I sogni sono belli in quanto tali, irreali ed irrealizzabili.
    Quando stanno per tramutarsi in realtà, spaventano. Tutti i cambiamenti in fondo spaventano quanto tendono a stravolgere una vita che scorre tranquilla e, in qualche modo, rassicurante.
    Vi erano famiglie intere a bordo della nave. Famiglie numerose, cariche di tutte le suppellettili che avevano potuto portare con sé. Soprattutto, cariche di ricordi.

    Avevano lasciato Giovane Italia per tornare, emigranti a rovescio, in madre patria.
    Erano i primi. Molte altre famiglie si accingevano a fare altrettanto. I motivi erano vari. Bande armate di predoni musulmani da qualche tempo premevano ai confini. Stampa e televisione dei paesi arabi limitrofi, molto letti e ascoltati in Giovane Italia, incitavano senza sosta i musulmani, “ingiustamente scacciati”, a riappropriarsi delle fertili terre che loro un tempo appartenevano.
    Le Autorità Governative di Giovane Italia, invece di reagire e invocare l’intervento delle Potenze Occidentali, si dimostravano tiepide ed anzi offrivano condizioni particolarmente favorevoli ed incoraggianti a quei cittadini che si fossero risolti ad emigrare in Italia. Possibilità di esportare valuta pregiata senza limiti, indennità risarcitorie e di prima sistemazione e, infine, l’accordo sottoscritto con la Confederazione Musulmana, del quale si erano ancora una volta fatti garanti Unione Europea e Americhe: libera importazione in Italia di valuta pregiata e sovvenzioni a bassissimo interesse per coloro che vi volessero acquistare casa, attività, terreno.
    Ponti d’oro, si sarebbe detto in altri tempi.
    Già, ponti d’oro verso la miseria.

    Un gruppo di giovani, uomini e donne, si era radunato a poppa, un po’ per ammirare il tramonto e un po’ per bere vino e parlare.
    Parlare di politica, cioè di passato e futuro, e del perché delle cose.
    Parlare per esorcizzare la paura.
    Romeo e Fiore, giovani di buoni studi storici e politici, tenevano banco.
    Romeo manifestava indignazione.
    Non capisco quest’ignavia, questa rassegnazione, questa viltà in Italia. In altri tempi storici una crisi economica e morale del genere avrebbe suscitato disordini gravissimi. Ora invece tutti subiscono passivamente!
    Bisogna rifarsi agli inizi del secolo, ribatté Fiore. La contrapposizione tra liberismo e neo-comunismo, in senso lato tra destra e sinistra, aveva abituato allo scontro, alle lotte sociali anche violente. Lotte e scontro inducono tensione, reazione, in una parola vita. Poi, la sciagurata confluenza, o se preferite alleanza, tra sinistra, ad iniziare da quella estrema, e Islam ha spento tutto.
    Hai ragione! Interloquì Renato, che aveva studiato scienze sociali a Lovanio, in Belgio. La sinistra si è illusa di servirsi dell’Islam, di cavalcarlo per sconfiggere la destra liberista, per condurre l’Italia fuori dell’esecrato Occidente. Invece ne è rimasta prigioniera. Il punto è che nell’Islam non esiste dissenso, esiste il peccato, e il peccato è delitto. Così la sinistra si è dissolta e i Centri Sociali, che ne rappresentavano la punta di diamante movimentista, hanno perso la loro carica dirompente, sono divenuti… corporazioni, ecco, conventicole. Denti cariati che al regime è convenuto riempire d’oro, per sedarli, perché non facessero male.
    Romeo assentì. La gente non sa più reagire. Solo in pochi protestano e solo per aspetti particolari, tipo le pene capitali…nessuno osa contestare apertamente il sistema. La contestazione non è più, in Italia, un momento aggregante.
    Però, intervenne uno del gruppo, ci sono attentati, cospirazioni…
    Si, ma solo da poco, ribatté Elisabetta, una brunetta dagli occhi azzurri ed espressivi, e solamente per iniziativa di nostri infiltrati. Gli italiani residenti in madre patria si sono imbrocchiti, addormentati! Ma ora arriviamo noi. Cosa succederà?

    Il futuro è nostro, riprese Renato. Ci sarà da soffrire, da battagliare, ma restituiremo la vita alla nostra gente. Noi non ci rassegneremo. Sappiamo dove sono gli errori, chi è il nemico…
    Romeo intervenne ancora, con foga.
    Prima di ricostruire occorre capire, comprendere il perché delle cose, dei fatti. Durante i primi decenni del secolo si è creata una miscela esplosiva, o forse direi meglio implosiva: Islam, cattolici fondamentalisti e neo-comunisti antioccidentali. L’innesco è stato quel male oscuro di cui ha sempre sofferto la sinistra italiana: il sapersi aggregare solo sul “contro” e non sul “per”… e così si è aggregata con l’Islam perché era “contro”. Contro l’odiato sistema capitalistico rappresentato dalle Americhe e dall’Unione! Errore: l’Islam non è mai stato e non sarà mai comunista, né democratico. E così la sinistra si è politicamente suicidata. La morte economica è stata una conseguenza inevitabile.

    Anche il clero cattolico ha le sue responsabilità, osservò un altro del gruppo.
    Questa era materia di Fiore, che intervenne con baldanza.
    La Chiesa Cattolica, e mi riferisco soprattutto ma non solo al clero…territoriale, ha fatto troppe concessioni in nome dell’ecumenismo, del comune monoteismo. Ma l’Islam non conosce il concetto di reciprocità. Con la mano destra, sempre tesa, prende, ma con la mano sinistra nulla concede, anzi la tiene sempre in saccoccia. E così, a poco a poco, si è preso tutto. E poi anche la Chiesa Cattolica era tendenzialmente antiliberista, cosa che non erano le Chiese Protestanti. E così il cerchio si è chiuso. Che si credevano: di convertire gli islamici? Di omologare l’Islam?
    Elisabetta non pareva del tutto d’accordo.
    Eppure guardate la Turchia! È un paese islamico ma è rimasto nell’Unione Europea. Non ha aderito alla Confederazione Islamica mentre l’Italia, paese cristiano, lo ha fatto! Come mai?
    Osservazione intelligente! Proclamò Renato mentre la brunetta arrossiva.
    Il fatto è che i turchi sono un popolo pragmatico, nonostante tutto. La Turchia è un paese “per”, non un paese “contro”. Una vera sinistra non ha mai allignato in Turchia. I turchi hanno capito che il capitalismo moderno, il liberismo significavano progresso. Sono un popolo serio. E poi hanno avuto Ataturk, uno dei massimi statisti del secolo scorso. Gli italiani hanno avuto Moro.

    Quasi nessuno del gruppo sapeva chi fosse stato questo Moro. Vi fu qualche attimo di silenzio imbarazzato mentre il sole si annegava nel mare. La brezza della notte incipiente portava freddo, e con il freddo i brividi.
    Una cosa ho capito, affermò uno che non aveva mai parlato. Dovremo saldare molti conti!
    Si ritirarono a gruppetti sottocoperta, verso i dormitori e le cabine, per una notte senza sonno.




    *°*°*°*°*°*°




    Roma, mercoledì 20 Dicembre 2097, ore 16,00.


    Decisioni eccezionali in tempi eccezionali. Allah è grande!
    Selim Abdel Khader, basso e corpulento nel suo caffettano candido, congedò con tali lapidarie parole il funzionario che gli aveva notificato l’editto con il quale era stata resa ufficiale la sua nomina a Gran Muftì, in sostituzione dal mai troppo compianto Dragut Quagliarulo.
    In realtà Selim era già in carica da due settimane. La nomina era stata decisa, a risicata maggioranza, al termine di un’accesa sessione plenaria del Gran Consiglio degli Ulema. Per la prima volta era stata disattesa la consuetudine di eleggere, a tale suprema carica religiosa, un musulmano nativo ma d’etnia italica.
    Selim Abdel Khader era d’etnia nordafricana, e più precisamente algerina, anche se la sua famiglia proveniva dall’Egitto, paese del quale conservava molte abitudini e tradizioni.
    Secondo i suoi sostenitori, la sua nomina era giustificata dalla grave situazione politico-economica e dai disordini che stavano approfondendo il solco, mai colmato, tra le etnie tradizionalmente islamiche, in prevalenza africane e bosniaco-albanesi, e la più numerosa etnia italica.
    In sostanza, una scelta cautelativa, un segnale forte di ortodossia politica e religiosa. Non a caso l’Islam è definito “religione e stato”: din wa-dawla.
    I suoi avversari avevano rumorosamente affermato, anche in sede di Gran Consiglio, che la sua nomina avrebbe umiliato i fedeli musulmani d’etnia italica, con la conseguenza di dare più forza all’opposizione cristiana.

    A parte tali considerazioni d’ordine generale, i detrattori di Selim Abdel Khader sostenevano che egli era uomo amante del lusso e dei piaceri della tavola e della carne, e come tale potenzialmente corruttibile.
    Gran mangiatore e, nel segreto della sua casa, raffinato estimatore di vini e liquori di gran marca, Selim non disdegnava infatti la compagnia di belle e generose fanciulle.
    Alle dieci mogli ufficiali univa numerose, giovani e procaci concubine, ma ciò non bastava alla sua natura ardente.
    Selim era tuttavia uomo di fede, una fede profonda ma pragmatica e disincantata. Fine politico e uomo di mondo, non disdegnava i buoni affari quando, almeno formalmente, non fossero pregiudizievoli per l’Islam ed il regime.
    Selim aveva soprattutto bisogno di denaro. Molto denaro. Teneva famiglia, una famiglia, come si è detto, numerosa ed esigente.

    Il funzionario di servizio comparve nuovamente, dopo aver bussato rispettosamente alla porta.
    Il molto venerabile Ulema Alì Rashid chiede udienza riservata a Vostra Eccellenza Reverendissima!
    Il Gran Muftì attendeva quella visita. Alì Rashid era suo compagno di pubblica fede e privati bagordi. Grand’estimatore e procacciatore di denaro e belle donne apparteneva, come Selim, alla potente Associazione dei Fratelli Musulmani. Molti sostenevano che Alì era l’anima nera del Gran Muftì. Per Selim era il miglior amico ed un complice fidato.
    Che entri senza indugio! Disse al funzionario. Per le prossime due ore non ci sono per nessuno, fosse anche il Presidente.
    Il funzionario di servizio s’inchinò profondamente e scomparve.

    Eccoti dunque Gran Muftì in carica, vecchio mio! L’approccio di Alì era, come sempre, giocoso e confidenziale.
    Allah Akhbar! Rispose Selim, abbracciandolo.
    Ho notizie di Suhaila ed altro ancora, vecchio mio! Riprese Alì, ammiccando.
    Suhaila…mormorò Selim invitando con un gesto l’amico ad accomodarsi nelle comode poltrone che fungevano da salottino. Quella donna mi fa impazzire…dimmi tutto, presto!
    Il suo respiro si era fatto più rapido, mentre versava nei calici di cristallo due generose dosi di araki.
    Gusta quest’araki, un vero distillato di datteri del Nilo. Mi è appena arrivato da Alessandria, è fortissimo, come è il mio desiderio!
    Alì sorseggiò il liquore ardente e riprese a parlare con voce bassa ed intensa.
    Ho incontrato Suhaila. Lei e la sua amica Niran saranno a Roma la prossima settimana, per un’esibizione all’Arab Café. Danza del ventre classica, vera Raks Sarqi di tradizione egiziana, eseguita col dumbak, il tamburello di pelle d’asino…
    Dimmi com’era! lo interruppe Selim.
    Bellissima, una vera Urì! La sua sola vista ti fa impazzire, ti fa scorrere impetuoso il sangue nelle vene. E Niram non è da meno…mi piace moltissimo.
    E…sarebbero disposte a fare un’esibizione privata…diciamo per noi due soli…all’Aziza, la mia villa di Nepi? La voce di Selim suonava quasi implorante.
    Suhaila ti ammira moltissimo! riprese Alì, suadente. Sarebbero entrambe ben disposte a farci un’esibizione e poi a restare qualche giorno e…qualche notte con noi, nostre ospiti! Però…
    Però? Interruppe Selim, alzandosi di scatto nonostante la mole.
    Però…dovrebbero rinunciare a due esibizioni a Rabat e pagare la relativa penale! Sai…il loro programma è intenso. Insomma, dovresti accollarti tu il mancato guadagno, le spese e la penale…
    Quanto? Selim era sempre più teso.
    Diciamo…centomila, contando anche i regali. Euro o dollari, naturalmente.
    E’ molto denaro!
    Si, ma ne vale la pena, incalzò Alì. E poi le casse del Gran Muftì non piangono, vero?
    Le casse del Gran Muftì sono vuote, amico mio.
    Non ti crucciare, Selim. Ho per le mani un affare che, se va in porto, con l’aiuto di Allah il misericordioso risolverà tutti i nostri problemi.
    Parla dunque!

    Alì si schiarì la voce. Giocava una carta pericolosa e lo sapeva. Selim a modo suo era onesto e profondamente credente ad onta delle sue trasgressioni e dei suoi vizi. Prese il discorso alla larga.
    Certamente rammenti, Fratello Selim, le immortali parole che il nostro santo martire Sayyid Qutb, faro dei Fratelli Musulmani, vergò nel testo immortale “Il Risveglio dell’Islam” a proposito della Jahiliyya, lo stato d’ignoranza che oggi, come ieri, è la piaga dell’Islam. Ignoranza non di lettere ma di fatti e di storia, intendo.
    Che c’entra, Alì? Non mi va di celiare. Il tono di Selim denotava sorpresa e, forse, sospetto.
    Non scherzo, Selim. La mia mente si è aperta. Rammenti il “Credo” di noi Fratelli Musulmani, ne rammenti il comandamento numero cinque?
    Certo. Selim prese a recitare, automaticamente.
    Credo che il vero musulmano ha il dovere di far rivivere la storia dell’Islam attraverso la rinascita dei suoi popoli e la restaurazione della sua legislazione. Credo che il vessillo dell’Islam debba dominare l’umanità intera e che il dovere d’ogni musulmano consista nell’educare il mondo secondo le regole dell’Islam. Io mi impegno a lottare finché vivo per realizzare questa missione, ad essa sacrificando tutto…
    Alì lo interruppe. Allah, il Signore dei mondi, ti ha fatto dono di gran memoria e di grande saggezza, Selim. E come dunque educheremo il mondo, come restaureremo la legge dell’Islam se permettiamo che gli infedeli cristiani continuino a sfruttare a piene mani le nostre feraci terre d’Africa e che gli stessi infedeli cristiani sperperino le ricchezze delle terre d’Italia con la loro indolenza, mentre i fedeli musulmani sono ridotti alla fame e alla disperazione? Non odi i lamenti della nostra gente?
    Selim si scosse, toccato nel vivo.
    Alì, tu sai bene che la sacra Fatwa, recentemente emanata dal Consiglio del quale entrambi facciamo e facevamo parte e sottoscritta dal mio compianto predecessore, che Allah l’abbia in gloria, impone che gli infedeli cristiani rendano senza indugio ai legittimi e storici proprietari musulmani le fertili terre giacenti tra Tinduf e Tarfaya, e che tali infedeli fuoriusciti cristiani facciano immediato rientro in Italia per renderne prospera l’economia. Come puoi insinuare che noi permettiamo il protrarsi di una situazione di palese ingiustizia?
    Alì capì di aver vinto.
    Comprendo dunque, amico mio, che è nostro dovere incoraggiare le famiglie più povere dei nostri fedeli musulmani a recarsi in nordafrica per subentrare nel possesso delle terre fertili e dei grassi poderi ivi esistenti, ed indurre altresì i fuoriusciti cristiani colà residenti a fare rientro in Italia, provvedendo ad assegnare loro terre e poderi ormai inariditi, fabbriche e laboratori ormai abbandonati con l’obbligo di farli prosperare?
    Selim si alzò nuovamente di scatto in piedi, scuotendo la barba nerissima e cespugliosa. Ciò che hai detto è il volere di Allah, il Signore dei mondi, e perciò nostro assoluto dovere!
    Un largo sorriso illuminò la faccia di Alì.
    Tu stesso mi hai insegnato, venerabile fratello, che non è peccato trarre gioia e vantaggio dall’espletamento di un preciso dovere. Bene. Allah, Gloria a lui l’Altissimo, talvolta confonde i nemici del suo popolo, e fa loro commettere le azioni più ridicole, per la loro vergogna e sconfitta. Pensa che alcuni emissari di Giovane Italia, persone attendibili che ben conosco per dovere del mio ufficio, mi hanno pregato di offrirti un cospicuo dono se tu darai ordine a tutti gli Imam di tutte le Moschee italiane di convincere, con i loro sermoni del venerdì, le famiglie musulmane più numerose ed indigenti a recarsi in nordafrica e se chiederai al Venerabile Presidente Ahmed Ben Effendi di offrire condizioni d’assoluto favore ai fuoriusciti cristiani che faranno rientro in Italia.
    Di che dono si tratta? chiese Selim.
    Due milioni di euro in contanti, subito, ed altri due dopo il successo delle iniziative che, nella tua sublime saggezza, riterrai di adottare in merito (in realtà i milioni erano tre, ma Alì si guardò bene dal dirlo).
    Quattro milioni di euro per compiere il mio dovere per la maggior gloria di Allah e del suo Profeta?
    Non è peccato compiere il proprio dovere: Non è peccato accettare i doni che Allah, il Misericordioso, elargisce a colui che compie il proprio dovere. Dove sono i soldi?
    Alì gli tese un voluminoso plico.

    Alì, amico mio, provvedi ad invitare Suhaila e Niram per la prossima settimana a Nepi. Pensa tu ai doni, alla musica, ai cibi, alle bevande, al servizio ed ai festeggiamenti. Che tutto sia perfetto ed…eccitante. Tutte le spese saranno a mio carico!
    Ti servirò bene, Selim, amico mio. Allah è grande! Alì si alzò in piedi e fece l’atto di congedarsi.
    Sia Gloria ad Allah! Fece eco il Gran Muftì.



    *°*°*°*°*°*°*°





    Verona, martedì 25 Febbraio 2098, ore 09,00.


    Qualche mese era ormai trascorso dal loro primo ingresso in Tariqa, e l’aria tersa del mattino sapeva di primavera.
    Maryam e Loretta avevano frequentato molte lezioni: abbastanza per essere vicine al limite di massima sopportazione ma non abbastanza, a giudizio dell’Ostath, per essere ammesse a pieno titolo in comunità. Quella mattina dovevano affrontare una tappa fondamentale del loro percorso, la prima vera lezione di sufismo, impartita dal famoso Maulana Abu El Baruk.
    La sensazione che qualcosa d’importante stesse accadendo nell’ambito della Tariqa le spingeva a perseverare. Avevano colto mezze parole, sguardi, atteggiamenti preoccupati. Speravano di poter acquisire qualche notizia importante da riferire agli amici, qualche elemento che potesse giustificare un impegno altrimenti assurdo e comunque sgradevole.

    Il Maulana Abu era d’aspetto impressionante. Alto, scheletrico, occhio infossato, colorito scuro, gran barba nera e capelli rasati sotto l’imponente turbante, pareva lo spirito della lampada, quello della nota favola d’Aladino. Favola? Non più di tante altre, come le due ragazze stavano per apprendere.
    La voce del Maulana era coerente con il resto: profonda, cavernosa.
    Eccovi dunque, esordì. Mi dicono che volete accostarvi al Sufismo.
    Le due ragazze assentirono, intimorite.
    Bene. Vi impartirò pertanto la prima lezione, di carattere in parte generale. Alla fine, vi recherete dalla venerabile Ostath, che deve farvi alcune importanti comunicazioni.
    Seguì un prolungato periodo di silenzio, rotto solo dal fruscio dei fogli del librone polveroso che il Maulana stava consultando.
    Che sapete del Sufismo? proseguì.
    Poco o nulla, risposero le ragazze. Siamo qui per apprendere.
    Bene.
    Dovete sapere che il Sufismo si propone di recuperare lo spirito originario dell’insegnamento, dell’eredità spirituale lasciataci dall’Ultimo Messaggero, l’Orgoglio della Creazione, il Profeta Muhammad, che la Pace e la Benedizione di Allah, il Misericordioso, siano con Lui.
    Il Maulana scrutò le due giovani con occhio particolarmente penetrante, poi proseguì.
    L’eccelsa Tariqa Hadra è nata, come tutte le altre trentanove Confraternite Sufi, da tale eredità spirituale. E’ dunque evidente che ogni Confraternita Sufi rappresenta una catena di trasmissione iniziatica nella quale un Wali, cioè un Amico di Allah, un Santo, con il permesso divino ed il beneplacito del Profeta trasmette nel cuore del suo successore il nobile segreto pertinente a quella Confraternita. Di Maestro in Maestro viene dunque trasferito il segreto della vita insufflato in Adamo, la Pace sia su di Lui.
    Mi avete compreso?

    Si, venerabile Maulana, risposero all’unisono Maryam e Loretta.
    Molto bene. Proseguiamo.
    Dovete sapere che undici sono i principi Sufi, ai quali dovrete attenervi dopo averli ben compresi. Mi limito per ora ad enunciarli solamente, ma essi costituiranno in seguito materia d’approfondimento e meditazione.
    Essi sono: la Consapevolezza del Respiro, Hosh Dar Dam, che significa salvaguardare il respiro dalla pigrizia, sia nell’esalazione che nell’inalazione. Segue l’Osservazione dei Propri Passi, Nazal Bar Qadam, cioè il mantenere gli occhi abbassati quando si cammina.
    Importante è il Viaggio Interiore, Safar Dar Watam, il percorso dal mondo della manifestazione esteriore verso il mondo interiore della realtà. Ancora: la Solitudine nella Folla, Khalwat Dar Anjuman, lo stare esteriormente con la gente restando interiormente nell’intimità divina.
    Avete preso appunti?
    Le ragazze, che scrivevano nervosamente sui quadernetti loro forniti dalla scuola, assentirono.
    Bene. Vi ho elencato i quattro principi maggiori. Gli altri sono: il Ricordo Essenziale; il Ritorno; l’Attenta Osservazione; il Raccoglimento; la Consapevolezza del Tempo; la Consapevolezza dei Numeri e la Consapevolezza del Cuore.
    Imparerete a memoria l’elenco degli undici principi!

    Il Maulana atteggiò il viso ad un rictus inquietante, che forse voleva essere un sorriso.
    E’ ovvio che non sapete cos’è il Canto del Derviscio, proseguì Abu.
    Le ragazze chinarono il capo, senza rispondere.
    E’ una raccolta di storie, di parabole della saggezza Sufi, opera del grande poeta Jalaluddin Rumi, uno dei maggiori Maestri Sufi. Egli auspicava un mondo senza libri e maestri, dove l’uomo potesse raggiungere la verità in maniera semplice, guardando dentro di sé. L’uomo del venerabile Rumi è infatti già perfetto e non ha bisogno di cercare alcunché all’esterno!
    Abu tese alle ragazze alcuni fogli. In questi fogli, disse, troverete una delle più significative parabole Sufi, la storia del calzolaio Maruf. Voi la leggerete e mediterete attentamente e io, durante la prossima lezione, v’interrogherò in merito.
    Ora, per essere certo che possiate capire, ve ne dirò a voce una sintesi.
    Abu si schiarì nuovamente la voce.

    Dovete sapere che Maruf il calzolaio viveva al Cairo con sua moglie Fatima, un’orribile arpia capace d’ogni ingiustizia e maleficio. In preda alla disperazione Maruf si rifugiò in un monastero in rovina nei dintorni della città, dove sprofondò nella preghiera. Signore, implorava, ti supplico di indicarmi la via della liberazione, affinché io possa andare più lontano possibile e trovare speranza.
    Dopo molte ore di preghiera apparve un essere strano, capace di attraversare le pareti. Era un Abdal, un “trasformato”, un essere umano che ha raggiunto poteri che superano di gran lunga quelli dell’uomo ordinario.
    Per farla breve, il trasformato si caricò Maruf sulle spalle e insieme volarono fino ad una lontana e magnifica città della Cina. Dopo alterne vicissitudini e spacciandosi per un ricchissimo mercante in attesa di una sua carovana carica di regali e strabilianti tesori, Maruf riuscì a sposare la figlia del Re.
    La carovana però non arrivava mai e Maruf si trovò alle strette, sospetto di mendacio e minacciato di pena capitale. Disperato, fuggì nella campagna e si nutrì aiutando un vecchio contadino ad arare la terra.
    Trovò nel campo una pesante pietra e la rimosse, scoprendo una scala che portava in un’immensa sala piena di tesori. In una teca di cristallo brillava un anello. Lo prese e lo strofinò sulla veste: si materializzo un Ginn, un Genio che si professò suo servitore. Il Ginn era addirittura il Padre della Felicità, uno dei più potenti Capi Ginn!
    Organizzata una carovana composta di Ginn trasformati in servitori e bellissimi animali, Maruf tornò in città, carico di ricchezze. Ogni sospetto si dileguò e presto divenne Re.
    Non molto tempo dopo, mentre si trovava a letto, re Maruf si svegliò di soprassalto. Al suo fianco vide una donna orrenda, che altro non era se non la sua prima sposa, trasportata colà per magia. Secondo il suo racconto, dopo l’abbandono da parte del marito si era pentita e messa a mendicare. Impietosito dai suoi lamenti, un Ginn era apparso e si era offerto di riportarla a suo marito.
    Re Maruf la perdonò e la riprese come prima moglie e perciò regina.
    Incauto! In realtà Fatima era una strega e il suo unico scopo era quello di impadronirsi dell’anello. Vi era quasi riuscita quando il giovane principe, figlio di re Maruf, la sorprese e la trafisse con la spada.
    Così Fatima trovò la strada della tomba nel luogo stesso della sua maggior gloria.

    Abu si alzò in piedi, a significare che la lezione era finita.
    Avete ben compreso? chiese.
    Per la prossima volta, letta attentamente la parabola nella sua interezza, mi illustrerete il suo senso occulto ed il suo significato mistico, collegandolo ad uno o più degli undici principi Sufi.
    Recatevi ora dalla venerabile Ostath, che vi attende nel suo studio.

    Aisha Bourghani le attendeva, infatti, con impazienza.
    Devo comunicarvi una notizia importante, esordì bruscamente. La nostra Tariqa si trasferirà in nordafrica entro due mesi. Questa è la volontà della nostra Wadi, in ossequio alle indicazioni del Supremo Consiglio degli Ulema nella persona del venerabile Gran Muftì e per la maggior gloria di Allah, il Signore dei Mondi.
    E noi?, chiese Loretta, dissimulando il sollievo.
    A voi sta il decidere dove vi porta il vostro Safar Dar Watan. Se ci seguirete, accetteremo la vostra professione di fede e, dopo la circoncisione leggera, diverrete parte della Tariqa. Se non ci seguirete, rimarrete sorde alla voce di Allah e votate alla perdizione degli infedeli.
    Ma perché quest’improvvisa decisione?, interloquì Maryam.
    Per ritrovare il Fiore della Terra, il dono di Allah che gli infedeli hanno carpito. Per il Ritorno alla nostra Origine. Per la Consapevolezza del Cuore.
    Sappiate, proseguì Aisha, che non solo le Tariqa preparano il ritorno: molti, moltissimi sono i fedeli Musulmani che stanno determinandosi ad abbandonare l’Italia e la sua miseria materiale e morale.
    Attendo per la settimana entrante le vostre decisioni! concluse.

    Una volta in strada, Maryam e Loretta si sentirono più leggere, quasi sollevate.
    Ma hai sentito il Maulana?, chiese Loretta all’amica. Ci ha raccontato una favoletta da Mille e una Notte, spacciandola per parabola mistica. Roba da matti!
    Taci e fregatene, Loretta! La voce di Maryam lasciava trasparire eccitazione. Non hai capito? Se ne stanno andando. Questa è una gran notizia per gli amici!
    Vuoi dire che la nostra missione è conclusa? Che non dovremo più frequentare la Tariqa? Che non ci dovremo far circoncidere? La voce di Loretta tradiva speranza.
    Lo hai detto Loretta!, concluse Maryam.

    Le due ragazze affrettarono il passo, che divenne quasi una corsa.
    O una fuga.



    *°*°*°*°*°*°*°




    Verona, sabato 1° Marzo 2098, ore 09,00.


    Gli avvenimenti ormai si accavallavano, come le occasioni.
    Maryam e Loretta avevano tempestivamente riferito ad Acabo le novità emerse durante la prima lezione di Sufismo, solo per sentirsi dire che il giorno dopo ci sarebbe stata una riunione a casa di Mauro, una riunione importante con la partecipazione di Lucio, impegnato in un vero e proprio giro d’Italia.
    Sarebbe stata la sede giusta, precisò Acabo, per un dettagliato rapporto. Lucio era latore di novità importantissime, anzi “storiche” come le aveva definite Mauro.

    I due giorni trascorsero in fretta. Le ragazze li passarono scrivendo una relazione su quanto fatto, detto, visto e sentito in Tariqa. Una relazione che, speravano, sarebbe stata elogiata e tenuta in gran conto.
    In parte si sbagliavano. Lucio ne sapeva di più.
    L’inviato di Giovane Italia recava in volto e negli occhi febbrili i segni dell’eccitazione e della stanchezza.
    Parlò in fretta, a lungo, sorseggiando come di consueto il vino rosso delle dolci colline veronesi. Per schiarirsi la voce, diceva. Le sue parole appassionate accendevano la luce nelle menti dei numerosi ascoltatori, collegavano fatti e sensazioni, particolari che molti avevano già notato senza attribuire loro significato. Una visione d’insieme che suscitò prima speranza, poi entusiasmo.
    Disse delle decisioni politiche assunte dal governo di Giovane Italia, intese a favorire il rientro in madre patria degli emigrati italici ed a non ostacolare l’insediamento nei territori nordafricani dei musulmani provenienti dall’Italia.
    Disse dei proficui contatti intervenuti con le Autorità dell’Unione Europea e con il governo degli Stati Uniti e dell’impegno assunto da tali Potenze di ottenere, quale contropartita per i prestiti pressantemente richiesti dal governo islamico, libere elezioni in Italia entro due anni.
    Riferì che il nuovo Gran Muftì era stato, di fatto, comprato e delle direttive da costui impartite a tutti i Mullah e gli Imam di convincere i fedeli musulmani ad emigrare in nordafrica per impossessarsi delle terre giacenti tra Tinduf e Tarfaya, con il miraggio di lucrare del “fiore della terra” colà trafugato, secondo una diffusa credenza, dai subdoli cristiani.

    E quando si accorgeranno che il fiore della terra era ed è in realtà il sudore delle braccia e della fronte della nostra gente? azzardò Acabo.
    Sarà troppo tardi per loro, rispose Lucio.
    Il Capo Missione, o “Commissario” come tutti ormai lo chiamavano, concluse il suo dire accennando all’incontro che prossimamente intendeva avere con il Coordinatore dei Centri Sociali e delle Organizzazioni Antioccidentali Ataulfo Tomaia.
    Fu l’unico momento nel quale le proteste soverchiarono l’assenso.
    Non dobbiamo fidarci di quel porco traditore! si gridò da più parti.
    Non temete, li rassicurò Lucio. So con chi ho a che fare. Con blandizie, promesse e minacce lo obbligherò a darci il suo appoggio ed il voto dei suoi accoliti. Lo spazzeremo via non appena vinte le elezioni. Quanto ai suoi seguaci, vedrete: appena fiutato il vento non esiteranno a voltare gabbana. Come il solito.

    Era il momento di presentare al Commissario la relazione sulle attività del Nucleo Cospirativo Veronese (NUCOVER era l’acronimo con il quale veniva ormai definito), inclusa l’operazione d’infiltrazione effettuata dalle due giovani volontarie, Maryam e Loretta.
    Mauro chiese la parola.
    Signor Commissario, Signori e Signore, esordì. Sono orgoglioso di presentare un’interessante relazione, frutto del coraggio e dell’intraprendenza di due giovani ma valide amiche, Maryam e Loretta!
    Le due giovani si alzarono, arrossendo.
    Mauro proseguì di slancio, dopo aver allungato alcune cartelle dattiloscritte a Lucio.
    Esse si sono infiltrate in una Tariqa femminile, denominata Hadra, simulando di volersi convertire all’islam ed accostandosi, con grave rischio personale, allo studio del Sufismo.
    Un mormorio d’eccitazione scorse tra i presenti, molti dei quali non sapevano dell’impresa.
    Ad un cenno di Mauro, alcune giovani militanti iniziarono a distribuire copie della relazione.
    Dopo varie peripezie ed iniziative personali che sono descritte nei fogli testé distribuiti, proseguì Mauro, le nostre amiche sono entrate in possesso di un’importante notizia: l’intera Tariqa sta facendo i bagagli per trasferirsi in nordafrica! Non solo. Molti, moltissimi musulmani, a titolo personale o in gruppo, stanno per trasferirsi colà, alla ricerca di questo non meglio precisato fiore della terra. E quel che più conta, tale incipiente esodo è sollecitato dalla predicazione dei Mullah e degli Imam! Forse è iniziato un fenomeno epocale.
    La cosa non mi sorprende, interruppe Lucio, ed è in linea con le notizie già in mio possesso e che vi ho illustrato poc'anzi. Vada il mio plauso alle due giovani e graziose amiche, saranno ricompensate. Quanto al fenomeno epocale, come tu amico Mauro lo hai definito, esso è certamente iniziato. La fame di cibo e denaro scaccia i musulmani, la fame di Patria e d’Onore richiama i nostri fratelli.

    Sarà dura, amici miei, continuò Lucio. Dovremo tutti lavorare duramente per restaurare l’economia disastrata della nostra povera patria. Il prezzo del fallimento sarebbe la fame, la miseria. Questo fenomeno epocale (si inchinò verso Mauro) non deve vederci quali spettatori inerti. Dobbiamo adoperarci tutti per accogliere i nostri fratelli emigrati che giungeranno sempre più numerosi e devono ambientarsi. Non mancheranno gli aiuti, le Potenze amiche saranno generose.
    E se anche la Confederazione Islamica fosse generosa d’aiuti per frenare l’esodo dei musulmani? azzardò un anziano congiurato.
    Non potrà essere. La voce del Commissario suonava rassicurante. Con l’impiego sempre più esteso dei combustibili a base d’idrogeno e le recenti applicazioni, nel mondo occidentale, dell’energia nucleare pulita, la richiesta di petrolio sta colando a picco. Il mondo islamico s’impoverisce perché nulla ha saputo costruire di produttivo e durevole, a parte l’enorme ricchezza dei relativamente pochi satrapi che, temendo l’odio della propria gente, cercheranno alla fine l’aiuto dell’odiato Occidente. Le casse della Confederazione Islamica sono vuote!

    Un applauso soverchiante scosse la sala. Viva l’Italia, gridarono in molti, tra uno sventolio di bandierine. E’ il nuovo Risorgimento!
    Lucio chiese, ed ottenne, il silenzio con un gesto imperioso.
    Ancora una cosa, amici. Basta attentati, basta violenze. Dobbiamo evitare colpi di coda. A nemico che fugge, ponti d’oro. Pensiamo invece a lavorare! Rivitalizziamo le aziende decotte, mettiamo a cultura e fecondiamo le terre abbandonate ed inaridite, ripariamo strade, idrovie, ponti e viadotti. Razionalizziamo e modernizziamo i servizi, che sono divenuti indegni di un paese civile. Chi ha iniziativa, chieda finanziamenti e mutui a tasso zero: li avrà.
    E soprattutto, infondiamo nei nostri concittadini nuovo entusiasmo. Scusate se è una rivoluzione da poco!

    Lucio si guardò attorno, scrutando visi ora muti e preoccupati.
    E’ tutto, concluse. Ora devo andare, il mio giro d’Italia mi attende. Mauro è il responsabile per la provincia veronese. Riconoscetelo come vostro Capo. Egli sa come contattarmi in qualunque momento. Al lavoro! E ricordate che ci saranno le elezioni, e che occorrerà vincerle.

    Lucio si alzò. Gli occhi febbrili brillavano nel bel volto maschio e stanco. Un grido si levò spontaneo: Viva il Commissario!
    La riunione era conclusa.

    *°*°*°*°*°*°




    Roma, mercoledì 5 marzo 2098, ore 16,00.


    Se non vi lancerete nella lotta Allah vi castigherà con doloroso castigo e vi sostituirà con un altro popolo, mentre voi, traditori ingrati, non potrete nuocerGli in alcun modo. Allah, il Signore dei sette cieli, il Signore del Trono Sublime è onnipotente!
    Hassan al Abidin, il giovane e ardente Imam insegnante di teologia dialettica presso la Madrassa di Roma-Casilina, si prosternò nel rituale atto d’omaggio e preghiera.
    Sura nove, versetto 39, concluse, squadrando con occhio spiritato i suoi pochi ma scelti discepoli.
    Chi ci rese vili se non Satana? Proseguì. La domanda era retorica.
    Allah, il Signore dei mondi, difende coloro che credono. Allah, il Signore degli eserciti, è adirato con i vili, gli ipocriti e le ipocrite. Li ha maledetti ed ha preparato per loro l’inferno. Quale triste avvenire!
    Seguì un’altra, generale genuflessione. Sura 48, versetto 6, precisò Hassan.

    La lezione, o meglio la cospirazione, era giunta al momento topico.
    La tesi da discutere ed approfondire oggi, proseguì l’Imam, scaturisce dalla Sura 23, versetto 16 (si udì un gran scartabellare). E’ la seguente:
    “La fuga non vi sarà utile!”.
    Questa è la tesi. Chi di voi saprà formulare un’antitesi?
    Seguì un silenzio lungo, imbarazzante. Chi avrebbe osato formulare un’antitesi contro una tesi del genere, frutto della sapienza del Sublime Corano nonché della passione politica e religiosa del dispotico, ma ammirato Hassan?
    Occorreva tuttavia provvedere. La lezione, o congiura, doveva pur giungere ad una conclusione.
    Maestro…la voce di Ahmed ibn Jarir, il discepolo prediletto, suonò incerta.
    Coraggio! lo spronò Hassan.
    La Sura 22, versetto 58, recita come segue: ”Quanto a coloro che sono emigrati per la causa di Allah, Allah il misericordioso li ricompenserà nel migliore dei modi!”
    Ahmed si guardò attorno, quasi cercando consenso.
    Il fiore della terra potrebbe essere la ricompensa che Allah, il Signore dei mondi, riserva a coloro che emigreranno in Nordafrica, per sua maggior gloria e per abbandonare una terra italica che è divenuta inospitale, arida e serva di Satana! proseguì il discepolo.

    Hassan parve spiazzato, ma riprese subito ardore.
    Avresti qualche ragione, Ahmed, disse sorridendo sarcasticamente, se noi fedeli musulmani avessimo implorato il soccorso di Allah prima di lasciarci cogliere dallo scoramento e dichiararci sconfitti senza combattere!
    Ma i Mullah, il Gran Muftì stesso hanno proclamato che la volontà di Allah, a Lui appartiene la gloria, ci riconduce alle terre originarie…che i cristiani fuoriusciti devono essere costretti a ritornare in Italia… azzardò Ahmed.
    Hassan lo fulminò con lo sguardo.
    Anche tra noi musulmani si celano i miscredenti!, tuonò. Leggete la Sura 8, versetto 9. “Ricordate quando imploraste il soccorso del vostro Signore? Vi rispose: vi aiuterò con un migliaio di Angeli a ondate successive!”.
    Senza implorare e pertanto senza ottenere, continuò Hassan, alcuni ipocriti venduti ci additano la via della resa. In verità, Allah difende coloro che credono. Allah non ama i traditori ingrati. Sura 22, versetto 39, concluse.

    A fronte di tali argomentazioni tutti compresero che l’antitesi di Ahmed era morta e sepolta.
    Concordo con voi, Maestro!, riconobbe lo stesso Ahmed.
    La lezione era finita.
    Era tempo di passare all’azione.

    Amici, non più discepoli, ma Amici! esordì Hassan. Un vero musulmano non può essere e nemmeno apparire imbelle. Temo che molti nostri governanti, molti nostri reggitori, anche appartenenti alle alte gerarchie, abbiano rinnegato o almeno scordato la parola di Allah, il Signore del Trono Sublime.
    Un mormorio d’esecrazione si levò dall’uditorio.
    Dobbiamo ottenere l’aiuto di Allah, o almeno conoscere la sua decisione. Solo attraverso una prova estrema, un atto di gran sacrificio e coraggio potremo ottenere tutto ciò. Ci rimetteremo alla volontà di Allah, l’Onnisciente, qualunque essa sia. E non credo che la volontà di Allah sia quella di abbandonare l’Italia agli infedeli, quell’Italia nel cui territorio molti di noi sono nati, così come i loro padri.

    Un messaggero di Satana, tale Lucio, proseguì Hassan, scorre in lungo ed in largo il territorio italico con il beneplacito o almeno l’acquiescenza dei nostri governanti e della polizia. Egli sobilla e compra anime e corpi, organizza e predispone congiure e tradimenti. Colpiamo Lucio e colpiremo Satana vanificandone l’opera perversa!
    L’entusiasmo esplose, sfrenato, tra gli astanti. Morte a Lucio! Sia mozzata la testa al serpente! si gridò da più parti.
    Hassan impose il silenzio.
    Mi occorrono due volontari pronti al martirio, desiderosi di godere delle delizie del Paradiso di Allah!
    In molti si levarono in piedi, occhi da invasati, mani e braccia tese in segno di vittoria.
    Che Allah vi abbia in gloria, fratelli miei, proseguì Hassan con un sorriso di trionfo.
    Sono informato da fonte certa che Lucio, in stretto incognito, sarà domani mattina a Sabaudia per presiedere una riunione segreta. Conosco l’esatto indirizzo. Una piccola masseria proprietà di contadini cristiani, d’origine veneta. Ho già predisposto un furgone stipato d’esplosivo ad altissimo potenziale. Il furgone reca i contrassegni di una nota ditta produttrice di fertilizzante naturale. Nessuno sospetterà. I nostri due eroici martiri condurranno il furgone nel cortile della masseria. Basterà premere un pulsante rosso: a Lucio e ai suoi accoliti la morte e la fornace infernale, ai Martiri una nuova vita tra le ineffabili delizie del Paradiso di Allah. Alle ore 10 esatte di domani mattina.

    Si facciano avanti gli eroi, invitò Ahmed.
    Cinque giovani esaltati dall’entusiasmo si prosternarono ai piedi dell’Imam.
    Tu, Sayyid e tu, Abdallah, voi siete i prescelti. Tenete!
    Hassan porse loro una busta gialla e un telecomando.
    Nella busta troverete le istruzioni, gli orari, l’itinerario e l’indirizzo. Tutto molto semplice. L’esplosivo si arma automaticamente tirando e rilasciando il freno a mano per tre volte consecutive, entro cinque secondi. Premete il bottone rosso del telecomando entro i successivi dieci secondi e la gloria di Allah illuminerà il mondo. Ahmed vi consegnerà il furgone. Andate dunque, e che Allah sia con voi.
    Ahmed e i due giovani si alzarono, congedandosi.
    Seguirò la vostra gloriosa impresa attraverso i notiziari televisivi! Concluse Hassan. La seduta è aggiornata. Raccomando il segreto. Domani, ad Allah piacendo, conosceremo la Sua volontà.

    Il mattino seguente, alle ore otto, Hassan, Ahmed ed alcuni fedeli discepoli erano già seduti davanti allo schermo, saltando da un notiziario all’altro delle varie reti.
    Non dovettero attendere a lungo.
    Il mezzobusto del telegiornale delle ore nove, rete Lazio-Sud, non appariva nemmeno molto sconvolto.
    Una fortissima esplosione sulla statale 148, tra Latina e Terracina, in corrispondenza della deviazione per località San Donato. La Polizia Stradale, prontamente accorsa, ha rinvenuto, in fondo ad una buca profonda metri tre e larga cinque, i resti di un furgone. Nessun testimone e, apparentemente, nessuna vittima, tranne la o le persone presenti sul veicolo. Si propende per un incidente occorso a contrabbandieri d’armi…

    Hassan spense l’apparecchio, terreo in volto.
    Insciallah, commentò Ahmed.
    Uscirono tutti. Hassan rimase solo.
    Allah, il Signore dei mondi, aveva parlato, dopotutto.




    *°*°*°*°*°





    Statale 11, venerdì 15 Marzo 2098, ore 19,00.


    Ataulfo Tomaia non amava le attese. Pretendeva puntualità dagli altri senza assicurare la propria. Lucio, ovvero il “Commissario” come tutti ormai lo chiamavano, era in ritardo all’appuntamento. Incontro strano, da lui stesso richiesto, con il luogo cambiato all’ultimo minuto, per sicurezza avevano detto.
    Al diavolo la sicurezza, bofonchiò Ataulfo accendendo l’ennesimo spinello. I suoi due gorilla, un rasta e un new-hippy, fecero altrettanto.
    Cominciava ad imbrunire ed una pioggia sottile ma insistente rigava i vetri, già per loro conto bisunti, della vecchia casa cantoniera riciclata quale osteria.
    Uno sferragliare all’esterno annunciò l’arrivo del Commissario. Preceduto anch’egli da due militanti, facce barbute spalle larghe e manacce da contadino, Lucio entrò nel locale semibuio. Senza parlare, Ataulfo gli indicò un tavolino appartato.
    Si sedettero ed ordinarono caffè bollente e vino nero.

    Si squadrarono a lungo sorbendo il caffè, in silenzio. Non si piacevano e questo si capiva.
    Ataulfo ruppe gli indugi. Cosa vuoi da me? ringhiò. Il fatto che abbia accettato di incontrarti non significa che parleremo.
    Il bastardo è in difficoltà e si rifugia nell’arroganza, pensò Lucio. Poi prese a parlare, con calma, quasi sottovoce.
    Cinquantanni fa vi siete alleati con gli islamici per spazzare via quello che chiamavate neo-liberismo globalista. Avete avuto successo, se così si può chiamare, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Adesso la barca affonda. Che volete fare? Seguirla o accettare un salvagente, sempre che qualcuno ve lo lanci?
    Ataulfo sacrò, spegnendo con stizza la cicca dello spinello nella tazzina del caffè e scaracchiò sul pavimento sconnesso prima di rispondere.
    Non accetto minacce, Commissario! Piantala con questo tono da vetero-capitalista. Vi abbiamo battuto una volta e possiamo farlo ancora. E poi, perché tutto questo livore verso l’islam?
    Attendendo una risposta che non venne, Ataulfo ghignò beffardamente verso Lucio, poi riprese a parlare in tono saccente, recitando evidentemente una lezioncina imparata a memoria.
    Grazie anche al nostro appoggio i musulmani hanno potuto arricchire la nostra cultura con l’apporto della loro. Mi costringi a ricordarti tutto quello che l’Occidente deve alla cultura araba. Pensa solo alla lista delle parole che anche tu, signor Commissario, sei costretto ad usare ogni giorno: alcool, sofà, zero, divano, caffè, sorbetto, spinacio, materasso, riso, arancia, zafferano, caraffa, limonata e tante altre ancora…le parole d’origine araba nella lingua italiana sono migliaia! Per non parlare del pensiero filosofico. Cartesio, Kant ed Hegel stesso hanno saccheggiato il pensiero di Ibn Al Muqaffa per imbastire le loro teorie delle quali menate tanto vanto. Conosci Ibn Al Muqaffa, grande filosofo arabo dell’ottavo secolo?

    Lucio fece uno sforzo sovrumano per impedirsi di saltare alla gola del suo interlocutore e strozzarlo. Non mi devo incazzare, pensò. Non sono qui per questo.
    Non prendiamoci per il culo, Ataulfo, sbottò alla fine. Sono qui per parlare di presente e di futuro, non di passato. Se mi vuoi ascoltare, bene, se no, lasciamoci qui. Fece l’atto di alzarsi per andarsene.
    Resta seduto, ti ascolto. La voce di Ataulfo suonò conciliante.
    Bene, riprese Lucio. Non ti dico niente di nuovo sottolineando il fatto che sempre più musulmani emigrano in nordafrica e sempre più italiani esiliati fanno rientro in Italia. Hai certamente notato che i mullah e gli imam di tutte le moschee incoraggiano questo storico riflusso.
    Bella forza, perché li avete comprati! interruppe Ataulfo.
    Ammettiamolo, concesse Lucio. Non sono qui per parlare d’etica, ma di pragmatica. Chi si lascia comprare è uno sconfitto, chi è in grado di pagare vince!
    Avrai anche notato, proseguì Lucio, che la crisi economica in Italia è sempre più grave. I musulmani ne risentono di più perché quel poco di agricoltura che è rimasto è tutto in mano ai cattolici, che almeno possono sfamarsi. La domanda di petrolio declina e la Confederazione Islamica è sempre più in difficoltà, non può più foraggiare nessuno. Anzi ha disperato bisogno d’aiuto, dell’aiuto dell’Occidente.
    Tutto ciò non ci riguarda, interruppe Ataulfo. Noi abbiamo il nostro seguito, la nostra nicchia d’azione. Le nostre attività sociali e culturali sono floride…noi non dipendiamo dal vostro denaro, o meglio dal plusvalore che le potenze plutocratiche continuano ad estorcere ai loro proletari!

    Lucio fece finta di non aver udito.
    Ciò che probabilmente non sai, proseguì senza raccogliere la provocazione, è che le Potenze Occidentali, come tu le chiami, hanno condizionato l’apertura delle linee di credito, delle quali la Confederazione Islamica ha disperata necessità per tentare una riconversione industriale e strutturale che l’incombente realtà post-petrolifera rende indilazionabile, a due provvedimenti.
    Quali? interloquì Ataulfo, finalmente attento e interessato.
    Primo, il non ostacolare, anzi favorire il rientro e l’insediamento nel territorio italiano dei cattolici emigrati; secondo, libere e garantite elezioni generali entro due anni e, in prospettiva, il rientro dell’Italia nella Comunità Europea. Perché noi le elezioni le vinceremo, con o senza di voi. E se sarete stati contro di noi, vi spazzeremo via.
    E se le perdete? obiettò Ataulfo, rosso in volto per l’ira.
    Lucio lo guardò fissamente, senza rispondere.
    Ataulfo versò ancora vino nel suo bicchiere. Bene, disse, ho compreso. I nostri Collettivi hanno già discusso una simile ipotesi in sede di coordinamento. In linea di principio non siamo contrari ad un rientro dell’Italia nella Comunità. Purché alcune garanzie ci siano concesse e siano rispettate.
    Quali? chiese Lucio.
    In linea di massima, il riconoscimento della nostra autonomia ideologica e finanziaria. Inoltre, la salvaguardia delle nostre nicchie di azione sociale e culturale. Si tratta solo d’indicazioni di massima. Propongo di aprire un tavolo di confronto nel merito, per i dettagli.
    Richiesta ragionevole, concesse Lucio. E se le vostre pretese fossero accolte nei limiti del ragionevole, potremo contare sui vostri voti e sul vostro appoggio, o almeno sulla vostra neutralità?
    Probabilmente sì, sempre in linea di massima. Dipenderà dal discorso a monte che sarà portato avanti in sede di tavolo. Da ciò che ne scaturirà, intendo.
    Ora la voce di Ataulfo era quasi cordiale.
    Sta bene, concluse Lucio. Fateci sapere i nomi dei vostri delegati e vi faremo sapere i nostri. Pensi che il tavolo possa venire aperto…diciamo entro due settimane?
    Penso di si, confermò Ataulfo alzandosi in piedi. Si fa tardi, è ora di andare. Questa notte va in scena al Centro Sociale di Milano città la prima di un’importante commedia collettiva e la mia presenza è richiesta. “Il Supplizio d’Arlecchino” è il titolo. Vuoi intervenire?
    Meglio di no…sai, per motivi di sicurezza, rispose Lucio. Ci sono andati vicino a Sabaudia!
    Ataulfo ghignò. So tutto, disse. Allora…ci salutiamo da amici?
    Da possibili amici, precisò Lucio.




    Ataulfo uscì, preceduto dai due suoi giannizzeri.
    Lucio chiamò l’oste e chiese il conto.
    Quello che presenteremo a quel figlio di puttana, a tempo debito, sarà molto più salato! disse ai suoi guardaspalle, suscitandone l’ilarità.

    Uscirono anch’essi. Era buio pesto.


    *°*°*°*°*°*°





    Palmanova, giovedì 20 Marzo 2098, ore10,30.


    Bismillàhi Allàhu Akbar!
    Ibrahim Hafiz, l’anziano macellaio islamico, pronunciò la formula rituale con voce profonda ed ispirata mentre passava la cote sul filo di un lungo e largo coltellaccio, già tagliente come un rasoio.
    Osservate ora come si prepara una vera carne Haram, secondo quanto prescritto dal Codice Alimentare Islamico ispirato al Sublime Corano, che Allah il Misericordioso induca tutti voi miscredenti a riconoscerlo ed onorarlo!

    L’invito era rivolto a due giovani sposi cristiani, Diego e Amelia, da poco immigrati dal Nordafrica ove avevano gestito una piccola macelleria. La nostalgia, il timore di disordini e di perdere i sudati risparmi nonché il generoso finanziamento concesso dal governo di Giovane Italia ai cittadini che decidevano di emigrare in Madre Patria per avviarvi un’attività artigianale, agricola o commerciale li avevano determinati ad acquistare una macelleria in Friuli, regione d’origine della loro famiglia dove contavano ancora molti parenti.
    Un lontano cugino li aveva informati che a Palmanova un vecchio macellaio islamico desideroso di tornare in Algeria aveva posto in vendita il proprio macello, con annessa rivendita al dettaglio.
    Avevano così incontrato Ibrahim Hafiz il quale, dopo estenuanti trattative sul prezzo, aveva firmato il preliminare di vendita.

    Doveva ora, il vecchio Ibrahim, macellare il poco bestiame residuo e fare le ultime consegne. I due giovani avevano chiesto, ed ottenuto, di assistere.
    Il locale destinato alla macellazione era spoglio e lugubre. Sulla parete opposta all’entrata era tracciato a vernice nera un rettangolo.
    Rappresenta la Mihrab, informò Ibrahim. Indica la direzione della Sacra Mecca, sulla quale l’animale da macellare deve essere orientato.
    Il pavimento di cemento grigio digradava verso il centro, ove si apriva un tombino chiuso con una grata, evidentemente destinato allo scolo del sangue.

    Accanto al tombino, coricato sul fianco sinistro, giaceva un vitello con tre zampe incaprettate ed una sola, la posteriore destra, libera di agitarsi ritmicamente.
    Gli occhi della povera bestia erano sbarrati dal terrore nonostante gli sforzi dell’anziana moglie di Ibrahim che, per tranquillizzarlo, lo accarezzava tra le giovani corna biascicando frasi incomprensibili.
    Ma perché non stordite la bestia prima di scannarla? azzardò Diego.
    Perché lo vieta il Sacro Corano! esclamò Ibrahim visibilmente scandalizzato.
    Lo stordimento impedirebbe il totale dissanguamento, rendendo così impura e non commestibile la carne!
    Ora mi avvicinerò all’animale, proseguì Ibrahim, e mentre con la mano sinistra terrò ferma la sua testa in direzione della Mecca, servendomi della mano destra inciderò profondamente la gola badando a non intaccare la spina dorsale ed assicurandomi di aver reciso le arterie carotidi, le vene giugulari, la trachea e l’esofago.
    Amelia appariva, ed era, sconcertata. Perché quest’attenzione alla spina dorsale? chiese.
    Perché il midollo in essa contenuto è impuro e venendo a contatto anche in minima parte con la carne la inquinerebbe senza rimedio.

    Impugnato il coltellaccio, Ibrahim si chinò sul vitello afferrandone il mento con la mano sinistra e torcendo la testa all’indietro, in modo da offrire alla lama un agevole angolo di taglio.
    Bismillàhi Allàhu Akbar! Esclamò di nuovo.
    Il vitello fece eco con un muggito sommesso, lamentoso.
    Poi la lama, con movimento a falce, penetrò profondamente di taglio nella gola dell’animale.
    Lo zampillo di sangue giunse quasi al soffitto mentre il muggito mutava in gorgoglìo roco, attraverso la trachea mozzata.
    La zampa libera si tese nello spasimo, e fu tutto.
    Insciallah! proclamò Ibrahim. Ecco la buona carne haram per il sostentamento dei fedeli musulmani!
    Amen, non poté far a meno di rispondere Diego.
    Portami fuori che sto male, gli sussurrò Amelia.

    Uscirono all’aperto, respirando profondamente.
    Ibrahim li seguì di lì a poco.
    Se vorrete macellare anche per i musulmani, vi metterò in contatto con un mio giovane assistente, Ahmed, che dispone della necessaria autorizzazione dell’Imam.
    No grazie, rispose Diego. Intendiamo macellare solo per i cristiani.
    Fate voi, borbottò Ibrahim. La macelleria ora è vostra. E che Allah il Misericordioso perdoni la vostra arroganza. Non è cosa buona macellare solo carne impura per gli infedeli!
    Macelleremo anche carne suina! si lasciò sfuggire Amelia. I nostri prosciutti erano famosi in Giovane Italia.
    Ibrahim sputò.
    Che Allah vi perdoni.
    Amen, concluse Diego.



    *°*°*°*°*°*°*°





    Località segreta in Toscana, martedì 1° Aprile 2098, 0re 09,00.


    Le cose si mettono bene, mormorò tra sé e sé Lucio, rileggendo i suoi appunti. Un buon lavoro, cominciano a vedersene i frutti, concluse.
    Il segnale acustico dell’agenda satellitare annunciò un cifrato in arrivo, provenienza Giobertide.
    Saranno i commenti al mio ultimo rapporto!
    Così era, infatti. In parte almeno, perché il dispaccio conteneva anche ordini a firma del Segretario di Stato, il potente dottor Rossini.
    Lucio sorvolò elogi e incoraggiamenti per concentrarsi sulla parte operativa del testo, vergato in stretto burocratese.
    La premessa gli era in qualche modo nota. A seguito delle disposizioni emanate dall’onorevole Gonfaloniere in sede di recente conferenza, il signor Sottosegretario per gli Affari di Culto aveva allacciato cauti e discretissimi contatti con la Segreteria di Stato della Santa Sede nella persona del Capo di detto Dicastero, cardinale Bragantini. Sua Eminenza aveva dimostrato grande interesse per il noto progetto, della cui avanzata attuazione era apparsa già al corrente. La Santa Sede, proseguiva il messaggio, era disponibile ad esaminare la possibilità di assicurare il proprio autorevole appoggio e, se del caso, di denunciare i termini degli accordi scaturiti dal Concilio Interconfessionale tenuto in Bari nel 2055, purché il sopraccitato progetto non implicasse ulteriori manifestazioni di violenza ed atteggiamenti antistorici da parte nostra (Lucio vergò quasi automaticamente un punto interrogativo sul foglio che usciva dal decoder). Tale appoggio, considerato vitale dal signor Gonfaloniere, appariva tuttavia condizionato ad un auspicato aiuto, da parte di tutti gli affiliati alla “cospirazione” (“sic”, annotò Lucio), inteso a contrastare l’insorgere in Italia di fenomeni d’apostasia ed idolatria pur ancora limitati, ma che tanto dolore e preoccupazione hanno suscitato in Sua Santità (questa mi giunge nuova, chiosò Lucio).
    In tale quadro, concludeva il messaggio, codesto signor Commissario è pregato di recarsi, entro le prossime 48 ore, presso gli uffici della Curia Pontificia in Città del Vaticano e di chiedere udienza al Sostituto Segretario di Stato arcivescovo Cardoso, con il quale potrà discutere i termini di un possibile accordo la cui sanzione deve intendersi comunque riservata a questo Ufficio.
    Si attende tempestivo ed esauriente rapporto.

    Lucio si sentì ad un tempo indispettito ed incuriosito.
    Se da un lato non gradiva l’incarico di conferire con esponenti della Santa Sede, alla cui ambigua politica lui stesso e gran parte dei suoi affiliati attribuivano non poche responsabilità, dall’altro questa storia dell’idolatria destava in lui indubbio interesse.
    Non deve trattarsi di sette sataniche o neo-sataniche, pensò, in quanto il testo sarebbe stato più esplicito. Inoltre, le Guardie della Virtù della Fede avevano da tempo sgominato persone e gruppi anche solo sospettati di satanismo.
    Deve trattarsi di ben altro per preoccupare tanto Sua Santità!
    Vedremo, disse ad alta voce mentre distruggeva col fuoco la stampata del messaggio.
    Ripose l’agenda e si alzò. Doveva disdire impegni, impartire disposizioni.
    Giorgio! Il suo autista-guardaspalle rispose sollecitamente.
    Comandi, signor Commissario!


    *°*°*°*°*°*°



    Città del Vaticano, mercoledì 2 Aprile 2098, ore 10,15.


    L’arcivescovo Cardoso era giovane, per quanto può esserlo un arcivescovo, alto e asciutto. Vestiva abiti civili ma la croce all’occhiello rivelava la sua appartenenza all’Ordine dei Gesuiti. Parlava un perfetto italiano anche se con una leggera inflessione ispanica.
    Benvenuto, signor Commissario! disse, mentre introduceva Lucio nel suo studio privato.
    Ho molto sentito parlare di lei e confesso che ero impaziente di conoscerla di persona.
    Lucio chinò il capo in segno d’assenso, senza rispondere.
    Un angolo dello studio era arredato a salottino con tavolino, divano e due poltroncine d’epoca. Sul muro sovrastava un martirio di san Sebastiano di pregevole fattura. Si sedettero.
    Il mio superiore, l’eminentissimo cardinale Bragantini, ha conferito con l’onorevole Rossini, che presumo suo referente.
    Lucio fece un altro cenno d’assenso.
    L’eminentissimo cardinale, cui peraltro erano già note, per dovere d’ufficio, le vostre iniziative diciamo…politiche, ne ha riferito al Santo Padre in persona, che si è degnato di dimostrare il suo paterno e lungimirante interessamento.
    Altro cenno d’assenso.
    Interessamento non disgiunto da legittima preoccupazione! proseguì il prelato. Parlatemi con chiarezza: quali sono l’atteggiamento, la disposizione d’animo dei vostri…affiliati (la parola “cospiratori” aleggiò nell’aria pur senza essere profferita) nei confronti della Chiesa Cattolica e della Santa Sede in particolare?

    Lucio si sentì costretto a rispondere. Scelse la linea dura.
    Sarò chiaro come lei mi chiede d’essere, Eccellenza. Sono tutti, o quasi tutti, buoni cristiani ma è diffuso tra loro un certo risentimento nei confronti della politica attuata dalla Chiesa Cattolica, cui addebitano rilevanti responsabilità per gli incresciosi avvenimenti dell’ultimo secolo ed in particolare degli ultimi cinquant’anni. Per esempio, il Concilio di Bari…
    Capisco! l’interruppe l’arcivescovo. Tutto ciò mi è ben noto. E’ inevitabile che il gregge dei fedeli talvolta non comprenda appieno le profonde ragioni che determinano l’azione del Buon Pastore, tesa sempre a riunire in un futuro anche lontano non solo le pecorelle smarrite ma anche quelle che non hanno avuto il privilegio di udire la santa novella. Così oggi i vostri affiliati non capiscono, o si rifiutano di capire.
    Il prelato fece una pausa tenendosi la fronte tra le mani, quasi in segno d’intima, profonda sofferenza.
    Lasciate che vi spieghi, che chiarisca…affinché voi possiate chiarire ai vostri adepti. E’ desiderio del Santo Padre e della Curia Apostolica che si stabiliscano cordiali rapporti con il movimento che lei guida e rappresenta. Le concessioni fatte all’Islam a seguito del Concilio di Bari furono inevitabili ed intese ad assicurare libertà di culto alla Chiesa e nel contempo a stabilire pacifici rapporti con una religione monoteista e che vanta, non scordiamolo, vastissimo seguito e nobiltà d’origini.
    Si trattava tuttavia di una religione teocratica ed antidemocratica! azzardò Lucio.
    Ne convengo, riprese l’arcivescovo, ma è con il dialogo, non con la contrapposizione che si favorisce il fiorire della democrazia anche in istituzioni tendenzialmente autoritarie. Ma veniamo al nostro punto. Conoscete bene la storia degli ultimi cento anni?

    Lucio assentì, sentendosi irragionevolmente irritato per quel continuo passare dal “lei” al “voi”.
    Perdonatemi, riprese il prelato. Sapete…il nostro ministero c’induce talvolta ad apparire, ed essere, cattedratici.
    Si ricorderà senza dubbio della guerra mossa da America e Regno Unito contro l’Iraq, conclusasi con la disfatta di quest’ultimo Stato. Ricorderà anche che la Confederazione Russa si allineò sulle posizioni americane pur in primo tempo contestate, avendo così mano libera nel successivamente correggere il problema ceceno. Tali avvenimenti ed i molti altri che si susseguirono e che non è il caso di elencare in questa sede, indussero gli Stati Arabi a confederarsi ed a rinunciare alla lotta armata, campale o terroristica che fosse, ritenendola ormai inefficace e controproducente.
    Ciò mi è noto, interloquì Lucio. Essi confidavano nel petrolio quale unica arma in grado di condizionare l’Occidente, e l’adesione alla Suprema Confederazione Islamica tendeva ad accentuare e razionalizzare l’incisività di tale arma, diciamo economica. Non tennero però nel dovuto conto lo sviluppo tecnologico…
    Ciò che non sapete, l’interruppe l’arcivescovo, è che con protocollo segreto, ma non tanto segreto da non venire a conoscenza di questo Dicastero (il prelato ridacchiò compiaciuto), i Capi di Stato islamici convennero di usare un’altra arma: quella demografica. Confidando sull’enorme prolificità della loro gente e su quella immiserita e decadente degli Stati Europei, essi decisero di aggredire l’Occidente dall’interno, favorendo l’emigrazione dei loro cittadini e inducendoli, con vari incentivi morali e materiali, a figliare strenuamente. Nell’elenco degli Stati più facilmente conquistabili l’Italia figurava al primo posto, ed invero solo con l’Italia ebbero successo. Invano la Chiesa della quale indegnamente faccio parte ed i Pontefici che si susseguirono sul trono di Pietro implorarono, scongiurarono i cattolici di abbandonare atteggiamenti edonistici e di evitare pratiche anticoncezionali. La responsabilità dell’affermazione islamica in Italia non è dunque ascrivibile alla Chiesa, anzi!
    Ma poi, con il concordato, la Chiesa ha in un certo senso legittimato il potere teocratico islamico concedendo agli Imam, senza reciprocità, di partecipare persino alla celebrazione eucaristica!, lo interruppe Lucio.
    Per evitare guai peggiori, figlio mio! ribatté l’arcivescovo. La Chiesa Cattolica è riuscita a sopravvivere, i Cristiani non sono stati perseguitati. E se ora il vostro movimento ha prospettive di successo, lo deve alla Chiesa ed alla sua prudente lungimiranza.

    Lucio comprese che non era il caso di polemizzare oltre. All’onorevole Rossini interessavano fatti e risultati, non parole.
    Il prelato lo prevenne, con fine intuito.
    Veniamo dunque alle cose concrete, alle cose dell’oggi e del domani, disse.
    Ci è noto che Giovane Italia intende cessare di esistere quale Entità Internazionale e confluire nello Stato Italiano favorendo la reimmigrazione dei suoi cittadini.
    Lucio assentì.
    Ci consta anche che il suo movimento intende chiedere, a breve scadenza, le elezioni politiche generali, confidando di vincerle grazie al mutato rapporto di forza.
    Lucio assentì nuovamente.
    Che vi attendete dalla Chiesa e quali garanzie offrite?
    La domanda era diretta, quasi brutale.
    Ci attendiamo appoggio in occasione delle elezioni, rispose Lucio. Ci attendiamo la collaborazione dei Parroci e ci attendiamo che il concordato del 2055 sia denunciato. Offriamo in cambio la restituzione dei beni ecclesiastici confiscati dalle Autorità Islamiche e tutte le garanzie che una moderna democrazia assicura ad una Chiesa libera e maggioritaria nel suo territorio.

    Vedo, vedo, caro Commissario. Si renderà conto, spero, che l’appoggio della Chiesa e dei suoi Parroci non potrà essere palese, ancorché incisivo ed efficace.
    Può riferire all’onorevole Rossini che questo colloquio si è concluso positivamente. La Chiesa vi aiuterà e, quando le elezioni saranno state da voi vinte, il concordato potrà essere denunciato. I termini di un nuovo concordato tra la Santa Sede ed il nuovo Stato Italiano potranno essere studiati tempestivamente, in sede opportuna.

    Lucio si alzò, convinto che l’incontro fosse concluso.
    Un momento!
    L’arcivescovo lo invitò, con un cenno, a sedersi di nuovo. C’è un altro aspetto che dobbiamo affrontare.
    La ascolto, Eccellenza, lo rassicurò Lucio.
    Da qualche tempo, proseguì il prelato, forse per un malinteso e fuorviato senso di rivalsa nei confronti dell’Islam e della Chiesa Cattolica, sono state fondate, e mi duole dirlo, anche da parte di taluni insigni studiosi di scienze storiche ed archeologiche, alcune consorterie neopagane che, ancorché per ora limitate in numero ed occulte, stanno avendo successo tra le persone più deboli o più inclini ai culti esoterici.
    Tali consorterie si rifanno al culto di Mitra, che ebbe notevole seguito negli ultimi secoli dell’Impero Romano e sino all’editto di Teodosio. Rigurgitano ora dalla notte dei tempi tali farneticazioni pagane e deliranti. Comprenderà che il Santo Padre n’è giustamente preoccupato.

    Lucio questa volta era sorpreso. Mitra? chiese. Ne so poco o nulla. Non ero informato di tale fenomeno. Non penso che sia una cosa seria!
    Non è cosa seria ma può, anzi è sulla via di divenirlo. Seria e tragica, lo interruppe il prelato. La Santa Sede si attende che, tra le clausole di un nuovo concordato, ne compaia una che impegni lo Stato Italiano a vietare pratiche e riti idolatrici e pagani. Le suggerisco nel frattempo di approfondire le sue conoscenze circa il mitraismo antico e nuovo, al fine di meglio comprendere le legittime istanze del Dicastero che indegnamente rappresento.
    Lucio era perplesso.
    Eccellenza, disse, posso rispolverare qualche libro di storia antica ma per il mitraismo non so da dove iniziare e a chi rivolgermi. Confesso la mia ignoranza.
    Vi darò un nome, riprese l’arcivescovo. Il nome di un anziano storico che non sta mettendo a buon profitto la sua scienza e che è fra i promotori dì una delle più importanti sette neomitraistiche, proprio qui vicino Roma. Il professor Mastrodita, emerito presso l’Ateneo di Perugia. Lo contatti, finga interesse, gli carpisca informazioni delle quali spero vorrà rendermi partecipe.
    Ecco il suo recapito, concluse porgendogli un foglietto.

    Il colloquio era finalmente concluso. Il prelato ed il Commissario si salutarono. Un usciere guidò Lucio alla porta.
    Mitra, chi era costui? si chiese Lucio, parafrasando il Manzoni.
    Via della Conciliazione, ribattezzata via del Concilio di Bari, era affollata come al solito. Il sole splendeva alto e forte nel cielo. Lucio si sentì improvvisamente eccitato. Porse al guardaspalle il foglietto.
    Giorgio, gli disse, vedi un po’ di fissarmi un appuntamento con questo professore Mastrodita. Digli pure chi sono e che sono interessato ai suoi studi.
    Mitra…rifletté a voce alta. Non ha a che fare con Zoroastro?
    Giorgio lo guardò a bocca aperta.
    Non lo so, signor Commissario, non mi sono mai interessato di giardinaggio.



    *°*°*°*°*°




    Frascati, venerdì 4 Aprile 2098, ore 17,00.

    Il professor Virgilio Mastrodita era uomo attempato ma arzillo e benportante. I mezzi occhiali, che portava pendenti sul gran naso aquilino rivelavano occhi chiari, piccoli, arguti. Un po’ matto ma di spirito, rifletté Lucio.
    L’appuntamento era stato subito accettato. Il professore aveva sentito parlare di Lucio ed era ansioso quanto e più di lui di incontrarlo. La curiosità li spingeva entrambi.
    Il cancelletto si aprì al primo squillo di campanello. Un vialetto conduceva alla villa, piccola ma ben costruita, immersa nel verde delle colline di Frascati. Il professore l’attendeva sulla soglia appoggiandosi ad un curioso bastone di bambù col pomo d’argento, foggiato a testa taurina.
    Benvenuto, Commissario. Sono a sua disposizione.
    Bentrovato, Professore. Le sono obbligato per la sua cortesia e disponibilità.
    Lo scambio di convenevoli fu breve. Erano le cinque del pomeriggio ed il servizio da tè era apparecchiato sul tavolino tra due comode poltrone.
    Latte? Limone?
    Un goccio di latte e poco zucchero, grazie! rispose Lucio.
    Il professore entrò subito in argomento.
    Il suo segretario mi ha anticipato che lei è interessato al culto di Mitra, al neo-mitraismo, per intenderci.
    E’ così. So poco di Mitra e del suo culto, giusto qualche reminiscenza dai miei studi classici. So solo che era un rito di origine orientale, iniziatico e misterico, diffuso nel tardo impero romano.
    Il professore sorrise.
    Mi dica. Perché questo suo interesse? Devo, dobbiamo essere cauti. Il regime islamico è ormai allo sbando, ma non possiamo permetterci di destare l’attenzione delle Guardie della Virtù della Fede!
    Caro professore, lei probabilmente sa di cosa mi occupo. Il mio…chiamiamolo movimento sta radicandosi e pensiamo di ottenere, e vincere, le elezioni politiche entro l’anno entrante. Le elezioni si vincono con i numeri e per far numeri abbiamo bisogno di tutte le componenti sociali non musulmane o filo-musulmane. Ho preso contatto anche con la Santa Sede, e non le nascondo che la Segreteria di Stato e lo stesso Pontefice sono molto preoccupati per questo ritorno di riti che definiscono pagani. Da qui il mio interesse. Lei comprenderà, io devo capire e informare i miei superiori.

    Il sorrisetto del professore mutò in compiaciuto sogghigno.
    Ci temono dunque! Non a torto. Noi non siamo compromessi con l’attuale, scellerato regime, noi rappresentiamo la tradizione religiosa e mistica dell’Impero Romano dal quale la civiltà occidentale ha avuto origine. So bene, caro Commissario, che il suo movimento ha già vinto in sede diplomatica e vincerà in sede elettorale. So bene che, tra uno o due anni, governerà il nostro Paese. Sono onorato di poterle spiegare chi siamo e cosa ci attendiamo da lei: tolleranza e libertà. Se poi vorrà, le mostrerò il nostro Mitreo, ricavato in antiche cantine abbandonate.
    Lucio sorbì il tè e si rilassò. Il professore gli era decisamente simpatico.
    Mi dica allora, in sintesi la prego, perché non abbiamo molto tempo.

    Il professore si schiarì la voce.
    Il culto di Mitra, caro Commissario, precede nel tempo il monoteismo zoroastriano e vi sopravvive. La sua diffusione nell’impero romano, favorita dalla continua rotazione delle legioni e dai trasferimenti di singoli militari da un reparto all’altro, fu estesissima.
    E badi che il culto di Mitra è ancor vivo in oriente! I sacerdoti zoroastriani di Yazd e di Kernan, in Iran, continuano ad adorarlo secondo l’antico rito e amministrano la giustizia in suo nome, impugnando la mazza con la testa di toro.
    Se il cristianesimo non avesse prevalso, il mondo occidentale sarebbe ora mitraico! Le due religioni hanno molto in comune: la mensa mistica, il battesimo iniziatico, un codice morale. Perfino il Santo Natale, mutuato dai cristiani. Il Natalis Solis che cadeva il 25 dicembre! Se non fosse stato per le donne…
    Che c’entrano le donne? lo interruppe Lucio.
    C’entrano, c’entrano. Il mitraismo classico era esclusivamente maschile. Le donne non erano ammesse. Esse così si orientarono verso l’emergente cristianesimo e, sa…le donne educano i figli. Madri cristiane fanno figli cristiani! Fatale che il culto di Mitra rimanesse elitario e come tale minoritario. Ma noi abbiamo rimediato!
    Come?
    Ammettendo le donne a pieno titolo al mitreo ed al cursus honorum mitraico, caro Commissario. Intendo i sette gradi, inclusi i tre più elevati. Abbiamo un grande successo con le donne, cui molte confessioni cristiane, in primis quella cattolica, negano tuttora l’accesso al sacerdozio.

    Che sono questi sette gradi, professore?
    Partendo dal basso, Corax ossia il Corvo, il Nymphus,il Miles, il Leone, il Persiano, l’Heliodromo e il Pater.
    I sette gradi coincidono con sette iniziazioni e sette, progressive, purificazioni. La purificazione di chi accede al settimo grado, il Pater, è somma e completa. Tutto ciò è stato codificato dai filosofi-Magi che, ellenizzati e romanizzati, si organizzarono in una scuola che disciplinava l’accesso al sapere.
    Mi scusi, professore, questi Magi hanno relazione con i Re Magi della tradizione natalizia cristiana?
    Certo, Commissario. I Magi persiani, esperti in astronomia e astrologia, previdero la nascita di Cristo e si recarono a vederlo. Gaspar, Melchior e Baalthasar furono persino fatti santi dai cristiani, anche se la loro chiesa ha ormai poco a che fare con Cristo e ancor meno con i Magi. Che vuole, i cristiani dopo averci perseguitati e distrutti ci hanno anche saccheggiati!

    Ma mi consenta di riprendere la mia esposizione.
    Dopo i primi quattro gradi iniziatici, presieduti da divinità greco-romane, si accede ai tre gradi “persiani” con i quali l’iniziato riceve il berretto del Perses, la raggiera dell’Heliodromos ed infine la tiara del Pater. Il grado sotto la tutela di Giove, il Leo, segna il punto d’arrivo del primo ciclo, poi inizia il ciclo dei gradi superiori, quelli lunari e solari. I livelli iniziatici “persiani” corrispondono alla triade Cautes, Mitra e Cautopates. La triade (noti le assonanze con trinità e trimurti!) corrisponde a sua volta alle tre fasi del corso del Sole, alba, mezzogiorno e tramonto. Il rapporto tra Mitra e il Sole si risolve nel suo rapporto con la triade Cautes-Helios-Cautopates, della quale egli è creatore e sovrano. Mitra è il Sole (Sol Invictus) ma non si riduce al solo Helios perché da Mitra derivano tutti e tre gli aspetti della divinità solare, dei quali Helios è il più luminoso, il mezzogiorno. Ecco perché Mitra era detto “triplasios”.

    Il male, la tenebra e la morte sono rappresentati da Arimane, raffigurato nell’Aion, uomo dalla testa leonina avvolto nelle spire di un serpente. Il dualismo bene-male si risolve nello zoroastrismo nel dualismo Ahura Mazda, dio della luce e del sapere e Arimanios, dio della tenebra e dell’ignoranza. Tra l’uno e l’altro, intermedio è Mitra, chiamato perciò dai persiani “Mediatore”.
    Un duplice ordine d’implicazioni attraeva i romani antichi ed attrae gli italiani moderni verso questa religione: essa assicura, attraverso la conoscenza, la possibilità di controllare la natura e di stabilire un rapporto armonico con il soprannaturale. L’angoscia di fronte alle potenze demoniache può risolversi entro l’esperienza mitriaca che concede sicurezza attraverso il superamento di prove di coraggio e mediante l’integrazione in un cenacolo di sapienti. Costoro, pervenuti ai massimi gradi di purificazione, possono affrontare e vincere lo stesso Arimane.
    Il professore fece una pausa avvedendosi che Lucio era frastornato.
    Mi segue, Commissario? Ha compreso tutto?
    Lucio aveva capito poco dal punto di vista concettuale ma molto da quello politico: intuiva che questo mitraismo, lasciato libero di prosperare, poteva costituire un’arma formidabile per condizionare e limitare sia il potere della Chiesa Cattolica sia quello dell’Islam. Divide et impera!
    Mi ha convinto, professore, rispose. Le assicuro che il culto di Mitra potrà godere delle stesse libertà e garanzie delle altre religioni tradizionali. Potrebbe anzi essere esaminata l’eventualità di uno specifico concordato.
    Il professore era raggiante. Vuol visitare il Mitreo? disse. Oggi non è giorno di servizio.
    Rapidamente! concesse Lucio che ne avrebbe fatto volentieri a meno. Devo partire per Milano questa sera stessa.
    Abbiamo un Mitreo anche a Milano, osservò il professore. Se vuole, posso darle il recapito del Pater nostro corrispondente.
    Per ora no, non posso scoprirmi troppo, almeno formalmente. Diamo un’occhiata al suo Mitreo, penso che saranno tutti simili.
    Certo commissario. Andiamo.

    In dieci minuti di tranquilla passeggiata attraverso una Frascati degradata e deserta, giunsero sul posto. Uno spiazzo sovrastato da un rilievo sul quale si ergeva, semidiroccato, quello che doveva essere stato un albergo. Una porta ad arco, con battenti di ferro arrugginito, si apriva sul fianco del rilievo. Un’antica targa di pietra, murata a fianco della porta, recava ancora una scritta a stento leggibile: Cantine Comandini. Il professore aprì la porta e la richiuse alle loro spalle. Un andito buio, ingombro di rottami, tavoli tarlati e vecchie botti conduceva ad un locale quadrato, nel quale si apriva uno stretto vano scala. Scesero in una sorta di cantina lunga e stretta, scavata nella roccia. All’ingresso, una vasca colma d’acqua e due statue classicheggianti che raffiguravano, a detta del professore, Cautes e Cautopates. Sul pavimento del corridoio centrale erano visibili simboli zodiacali ed iniziatici, corrispondenti ai sette gradi di purificazione. Ai lati, due serie di tavoli e sedie (per le cene mistiche, precisò il professore). Sul fondo, un’orrenda statua leontocefala (Arimanios) e un gruppo marmoreo che raffigurava Mitra, con berretto frigio, in atto di sacrificare un toro mentre un cane leccava lo zampillo di sangue ed uno scorpione pinzava i testicoli della povera bestia (la rappresentazione mistico-simbolica della creazione, chiarì il professore). Sotto il gruppo marmoreo un tronetto, riservato al Pater del Mitreo (questo seggio è il mio, sottolineò il professore con orgoglio).
    Vi sono parallelismi con i vecchi riti massonici? chiese Lucio.
    Solo nella misura in cui i massoni si appropriarono di tradizioni e formalità iniziatiche mitriache, spiegò il professore. Nella sostanza, nulla.
    Grazie, professore. Il dovere mi chiama. E’ ora di andare.

    Tornarono all’aperto. Giorgio attendeva, tenendo aperto lo sportello della vettura.
    Non si dimentichi di noi, Commissario!
    Non dubiti, professore. Arrivederci!
    Percorsero qualche chilometro in silenzio. Poi, in Giorgio ebbe il sopravvento la curiosità.
    Che c’era nella cantina, signor Commissario?
    Il passato che ritorna, la resurrezione dei culti antichi, caro Giorgio.
    Ma almeno, Commissario, c’era vino buono?
    Lucio non rispose e fece finta di dormire. Poi si addormentò davvero.


    *°*°*°*°*°*°





    Palermo, martedì 6 maggio 2098, ore 06,30.


    Tarick ben Zakat, musulmano d’etnia nordafricana nato in Italia, era alto e magro. Il naso adunco, le sopracciglia cespugliose, gli occhi nerissimi ed infossati, la bocca grande e le labbra sottili che scoprivano denti sgangherati davano al suo volto un’espressione vagamente drammatica.
    E lo stava vivendo il suo dramma personale Tarick, a quell’ora, su un molo del porto di Palermo con la moglie Amina e i cinque figli tutti tra i quattro e i quattordici anni d’età, stanchi e nervosi per aver dovuto trascorrere la notte in macchina, un vecchio pick-up a turbina degli anni ’60.
    Non aveva voluto spendere soldi in albergo Tarick. I pochi risparmi di una vita di lavoro dovevano servire per rilevare un negozietto di tappeti ed artigianato vario a Tiznit, in territorio di Giovane Italia, ceduto da cristiani che rientravano in madre patria.

    Non era stato facile convincere Amina. Figlia orfana di padre musulmano e di madre d’etnia italica, conservava buone relazioni con i parenti italiani.
    Amina era bassa e grassoccia ma di carattere aspro a dispetto dell’apparenza paciosa. Si era opposta duramente alla decisione di Tarick di abbandonare l’impiego presso l’Ufficio Annonario di Asti e di tentare la ventura in terra d’Africa.
    Convinta non era ancora, Amina. E persisteva nel rimbrottare il marito per una decisione che lei si ostinava a definire scellerata.
    E Tarick a ripetere gli argomenti di sempre: in Italia non c’era futuro, lo stipendio era misero e non bastava nemmeno a vestire i figli e a pagare le spese di riscaldamento durante i lunghi, freddi inverni astigiani, a Tiznit avevano la possibilità di rilevare un’attività ben avviata e di ottenere un mutuo senza interessi restituibile in ben quindici anni…
    L’Italia è miseria, l’Africa è il futuro, affermava. In fondo, gli italiani che un tempo erano ivi emigrati non avevano fatto tutti fortuna? Ora toccava a noi, Tarick ed Amina!

    L’uomo si guardò attorno, ad osservare tutta quella gente accampata come loro, ad attendere il traghetto che doveva condurli verso il sogno, forse verso l’illusione.
    Vedi quanti bravi musulmani attorno a noi? disse ad Amina. Tutti attendono la nave, ed è così ogni volta, due volte la settimana. Che ne dici? Tutti stupidi, tutti vigliacchi, tutti fuggiaschi?
    Amina, donna di profonda fede religiosa non sembrava ancora convinta.
    Parlò, con voce tagliente.
    Tarick, tu ti sei fatto bere il cervello. Ora stai attendendo la nave come se fosse Al Buraq, la creatura volante con viso di donna, zampe di cammello, coda di bovino e un rubino al posto del cuore che Maometto, sia gloria a lui, cavalcò per volare al Tempio di Gerusalemme e poi ascendere al settimo cielo. Solo che noi a Gerusalemme non andiamo, e tantomeno al settimo cielo, ma in un paese lontano al quale siamo ormai estranei.
    Ma quali estranei! ribatté Tarick. Là sono le nostre radici. La nostra patria è dove vige la legge di Allah, il protettore misericordioso. E’ volere di Allah che i buoni musulmani si riapproprino delle terre fertili e ricche che appartennero ai loro progenitori. Lo ha detto anche il nostro Imam, che Allah lo benedica!

    Tale argomentazione ridusse al silenzio, almeno per un poco, Amina, che tuttavia continuò a borbottare.
    E’ il tuo sangue misto, la parte infedele del tuo sangue che ti sobilla!, proseguì Tarick, nel tentativo di sfruttare il successo.
    Fu troppo. Amina, visibilmente offesa, si rinchiuse nel più assoluto silenzio. I bambini più piccoli, con gran tempismo, iniziarono a piangere in coro. Probabilmente avevano fame. In mare aperto mangeremo!, promise Tarick. Ma loro non intesero ragione.

    Il traghetto stava arrivando, finalmente. Una vecchia carretta del mare dall’aspetto poco rassicurante, battente bandiera della Confederazione Islamica. Ormai il dado era tratto, era troppo tardi per tirarsi indietro. S’imbarcarono con qualche esitazione. La nave era strapiena. La traversata per Algeri doveva durare un giorno e una notte, e il mare era un po’ mosso.
    Tarick andò a confabulare con un marinaio e poi si rivolse ad Amina.
    Dice che per avere una cabina bisogna pagare un extra.
    Vorrai dire un baksish. Ecco i tuoi nuovi fratelli!, sbottò la donna.
    Niente cabina allora. Risolsero di sistemarsi sul ponte. Tarick prese dalla macchina un rotolo di coperte per la notte.
    Una volta salpata la nave, la stiva sarebbe infatti rimasta chiusa, fino all’arrivo.

    Si organizzarono in un angolo di ponte, semicoperto, vicino alla porta del servizio igienico. C’era vento, l’aria era frizzante. Una famigliola si era accampata di fianco a loro. Marito e moglie giovani, un bambino di tre anni.
    Hassan Osman, si chiamava l’uomo. Aveva gestito un chiosco di piadina e kebab sul litorale di Rimini. Un lavoro prevalentemente stagionale, disse, che tuttavia permetteva di sopravvivere tutto l’anno.
    La moglie Irina faceva lavori di piccola sartoria per arrotondare, come la moglie di Tarick. Le due donne fraternizzarono, isolandosi a parlare fitto, a bassa voce.
    I due uomini invece parlarono a voce alta di prospettive, d’affari.
    Hassan non aveva un progetto preciso. Pensava di raggiungere Giobertide e di guardarsi attorno, di cercare lavoro. Avendo ceduto il chiosco disponeva di un gruzzolo sufficiente ad aprire una piccola sartoria o a chiedere l’assegnazione di un pezzo di terra da coltivare. Hassan si fidava del suo Imam, e l’Imam aveva assicurato che gli italiani stavano abbandonando in massa case e terra in Giovane Italia, e che ce ne sarebbe stato abbastanza per tutti i buoni musulmani.

    Ci sarà da lavorare, commentò, ma sarà sempre meglio che in Italia dove i prezzi aumentano e i denari calano! E poi hanno promesso i mutui. Abbastanza per avviare una piccola attività! E poi, concluse, è il volere di Allah, così ha detto l’Imam. Allah il misericordioso ci proteggerà e il fiore della terra sarà finalmente nostro!
    Hassan era di lontane origini albanesi.
    Perché non vai in Albania? chiese Tarick.
    Ci ho pensato, rispose Hassan, ne ho parlato anche con l’Imam. Ho deciso per il Norfdafrica, l’Albania fa parte dell’Unione Europea, non ci sono più buoni musulmani perché si sono integrati nelle corrotte usanze europee. Il mio Imam, che Allah e Maometto proteggano sempre quel sant’uomo, mi ha detto che bevono vino e mangiano prosciutto! E poi Maometto, a lui la benedizione e la gloria di Allah, è stato uomo d’Asia e d’Africa, non d’Europa, che Allah lo protegga e l’abbia in gloria.

    Tarick assentì, pensieroso.
    Il discorso si spostò sulla critica situazione economica italiana.
    Tutta colpa dei cristiani miscredenti, affermò Tarick che, lavorando nell’Ufficio Annonario aveva potuto costatare il progressivo azzeramento della produzione agricola.
    Nessuno conferisce più alcunché all’ammasso! proseguì. Cani cristiani che non hanno voglia di lavorare. Si tengano pure la loro Italia rovinata e la loro miseria, e ci rendano le ricche terre di Giovane Italia da loro usurpate.

    Ma quale Giovane Italia!, ribatté Hassan. Appena se ne saranno andati via tutti saremo noi i padroni, e rinomineremo quelle terre “Antico Islam”!

    Risero assieme, a lungo. La nave era ormai in mare aperto. I ponti alle spalle erano tagliati, non c’era più ritorno. Un misto di paura e d’eccitazione era evidente in tutti.
    Era ora di preghiera, ed un Muezzin intonò i versetti del Corano dai gracchianti altoparlanti di bordo. Tutti stesero sul ponte le preghiere e si prosternarono in direzione della Mecca.
    Allah non può abbandonarci, non può deluderci, pensò a voce alta Tarick.
    Amina, prosternata accanto a lui, rimase in ringhioso silenzio.
    Almeno non protesta più, meglio di niente, rifletté Tarick.
    In silenzio, questa volta.


    *°*°*°*°*°*




    Verona, 24 maggio 2098, ore21,00.


    Una bella serata di maggio, tersa e frizzante sotto il cielo stellato.
    La tavola era imbandita in modo rustico ma dignitoso nel portico della casa di Mauro. L’illuminazione era assicurata da candele steariche, come nei tempi antichi. Fiammelle guizzanti aggiungevano mistero al buio circostante.
    Commensali erano Maryam, Acabo, Loretta, naturalmente Mauro con sua moglie Antonia ed il fratello minore Ezio che era riuscito a sedersi accanto a Loretta, della quale era speranzoso e timido corteggiatore.

    Il vino rosso della Valpolicella non mancava nelle brocche anche se il menù era semplice e rustico, in linea con le ristrettezze economiche che colpivano ormai un po’ tutti.
    Cibi prodotti in casa più che altro. Pane scuro di fattoria, tortellini in brodo di pollo e manzo e relativo lesso condito con il kren, salsa fortissima ottenuta mescolando radice di rafano grattugiata, olio, aceto e sale. Salame per antipasto, erbette di campo bollite di contorno.

    Com’era cambiata la situazione dal tempo dell’ultimo incontro conviviale, anche se erano trascorsi solo tre mesi!
    Gli effetti dell’emigrazione di numerose famiglie musulmane e della contemporanea immigrazione, altrettanto sostenuta, dei “profughi” (così si cominciava a chiamarli, con loro dispetto) di Giovane Italia cominciavano a farsi sentire.
    Non era solo una riunione occasionale di vecchi amici desiderosi di cenare assieme e commentare i fatti del giorno. Si doveva anche discutere di un’iniziativa di Acabo che aveva l’occasione di rilevare una cartolibreria con rivendita di sali e tabacchi che i proprietari musulmani, in procinto di emigrare in Africa, avevano messo in vendita.
    Il prezzo richiesto era consistente e Acabo aveva intenzione di ottenere un mutuo a lunga scadenza e bassissimo interesse.

    Tale tipo di mutuo, che rientrava nel piano d’assistenza e riconversione finanziato dall’Unione Europea, veniva concesso dalla Banca Comunitaria di Bruxelles tramite le locali Casse Mutue Artigiane.
    Quale garanzia non solo economica ma anche politica era richiesta la firma del Commissario, cioè di Lucio. E Lucio non firmava senza il previo assenso del locale Responsabile Provinciale cioè, nella fattispecie, di Mauro.

    La cena aveva avuto inizio ed il secondo giro di bicchieri aveva fatto rosse le guance di Loretta e diluito un poco la timidezza di Ezio.
    Tua mamma ti ha fatta bella! osò dire.
    La bocca carnosa di Loretta si aprì sui denti bianchissimi lasciando sgorgare una risata compiaciuta.
    Sei galante! Ma Maryam è più bella di me.
    Tu sei…speciale, Loretta! azzardò Ezio.
    E tu corri troppo! lo gelò Loretta.
    In fondo Ezio le piaceva, ma il suo carattere giocoso, eccitato dal vino, la induceva allo scherzo, alla schermaglia.
    Ezio arrossì e rimase in silenzio.

    Mauro notò l’imbarazzo del fratello del quale si sentiva protettore, e tentò di sviare il discorso.
    A quanto sembra, le cose si stanno mettendo bene! I musulmani se ne stanno andando sempre più numerosi e l’immigrazione da Giovane Italia è ormai massiccia. Molte attività industriali, commerciali, artigiane ed agricole stanno tornando in mano cristiana. I non molti musulmani che intendono restare tra noi sono i meno radicali, penso che finiranno con l’integrarsi molto bene nella nuova realtà che si sta delineando. Il Commissario mi ha fatto sapere d’essere molto contento ed è soddisfatto del nostro lavoro. Le libere elezioni generali si terranno forse prima del previsto, non oltre il prossimo anno. Ci sarà chiesto un ultimo, definitivo sforzo. Dobbiamo vincerle e non sarà facile come potrebbe sembrare.
    E allora brindiamo! lo interruppe Antonia.

    Mai invito fu accolto con maggior entusiasmo.
    Ezio si mise di lena a scalcare il pollo e il “taglio reale” bolliti. Le porzioni di lesso e kren cominciarono a girare tra i commensali e l’intensa attività masticatoria produsse un subitaneo silenzio, interrotto solo dagli starnuti provocati dalla potenza del rafano.
    Acabo giudicò giunto il momento.

    Mauro, bofonchiò con la bocca semipiena, dovrei parlarti di quel mutuo…sai, la cartolibreria di cui ti avevo accennato…
    Mauro finì di vuotare il bicchiere di vino, sciacquandosi la bocca rumorosamente prima di deglutire. Il dorso della mano passato sulle labbra, in perfetto stile contadino, concluse l’azione.
    Ne dobbiamo parlare con un po’ di calma, caro Acabo. Sai, i mutui sono concessi più facilmente e a condizioni migliori se beneficiaria ne è una coppia di giovani sposi, insomma una famiglia già formata e feconda.
    Tu e Maryam dovreste esaminare la situazione…dovreste decidervi!

    Il vino andò quasi di traverso a Maryam che in realtà, pur amoreggiando da tempo con Acabo, non aveva mai pensato seriamente al matrimonio.
    Chi ha detto che voglio sposare Acabo…che voglio sposarmi? Non mi sento ancora pronta, non sono sicura…
    Mauro riteneva in cuor suo che il possibile matrimonio d’Acabo con Maryam avrebbe favorito le aspirazioni amorose di Ezio nei confronti di Loretta, ed infierì, sogghignando.
    Niente matrimonio, niente mutuo!

    Acabo si rivolse a Maryam, supplichevole.
    Maryam, io ti voglio bene, dobbiamo parlarne in privato…
    Viva gli sposi! sbraitò Ezio, cui il vino aveva ormai sciolto la lingua e il cervello.
    Loretta lo guardò con aria che voleva sembrare severa, ma finì con l’unirsi alla generale sghignazzata.
    Mauro comprese che non era il caso di forzare la situazione.
    Su ragazzi! Siamo qui per mangiare e bere. Questa sera non si combinano né matrimoni né mutui. Acabo e Maryam, ne parliamo domani a mente sobria e fredda.

    Tutti si sentirono sollevati. Qualcuno propose una partita a tombola, gioco antico tornato da qualche tempo in auge. Il gioco si fece ben presto caldo e Antonia servì torta sabbiosa e vino dolce.
    Loretta teneva il banco.
    Tombola! gridò Ezio, sventolando una cartella.
    Dammi che controllo, ribatté Loretta con aria professionale.
    Mi spiace, il 48 non è ancora uscito.
    Ma come, col casino che stiamo facendo!
    La battutaccia di Mauro suscitò nuove risate.

    Giocarono fino a notte fonda, con cuore lieto.
    Domani sarà una bellissima giornata, disse Acabo indicando il cielo stellato, mentre si congedavano.
    Fissò Maryam con intenzione ma la giovane, che parlottava fitto con Loretta, non se n’accorse.
    Forse.



    *°*°*°*°*°*°





    Milano, 10 giugno 2098, ore 23,30.


    Nama Patribus, ab Orientem ad Occidentem, tutela Saturni…
    Nama Heliodromus tutela Solis…
    NamaPersis tutela Lunae…
    Nama Leonibus tutela Jovis...
    Nama Militibus, tutela Martis...
    Nama Nymphis tutela Veneris...
    Nama Coracibus, tutela Mercuris…

    La litania mistica, salmodiata in cadenza monotonale da voci profonde e roche nell’antica cantina buia fumosa adibita a luogo di culto Mitraico in Milano, nel quartiere di Porta Romana, s’interruppe bruscamente.
    Il pesante velario che occultava il fondo del locale si era alzato bruscamente rivelando un gruppo marmoreo raffigurante Mithra Tauroctono, illuminato a giorno da un faretto acceso con sapiente sintonia.
    Il grido di meraviglia, sfuggito al piccolo gruppo di neofiti, uomini e donne, che assistevano per la prima volta al rito non poté soverchiare l’invocazione pronunciata a voce altissima dal Pater Eugenio Tarallo, imponente e sfavillante in manto e tiara dorati.
    Noi ti preghiamo, o dio eterno, per la terra e il mare divino, per ciò che di buono creasti, per i sacri campi seminati, di salvarci attraverso l’aspersione del sangue eterno!

    Il Pater, che nel secolo esercitava la professione di farmacista, si rivolse al gruppetto dei novizi, imponendo il silenzio con gesto imperioso.
    Amici, vi abbiamo qui invitati per completare la vostra preparazione prima di iniziarvi al grado di Corax, primo nella scala Mitraica. Non assisterete pertanto al rito completo che è riservato a coloro che già sono stati affiliati (il Pater indicò con gesto ampio e teatrale le figure ammantate schierate nelle nicchie laterali della cantina, che un tempo dovevano aver contenuto botti di notevoli dimensioni). Vi unirete tuttavia a noi, in secondo tempo, per la cena mistica, in modo da poter familiarizzare con gli iniziati e trarre dai loro conversari motivi d’esempio e meditazione.
    Siamo principalmente qui riuniti, questa sera, per rispondere alle vostre domande, per soddisfare, nei limiti del lecito, le vostre curiosità.
    Non temete dunque, parlate!

    Seguì qualche minuto d’imbarazzato silenzio. Nessuno dei neofiti osava parlare per primo.
    Crizia, giovane avvenente ragioniera impiegata di banca, col pallino della storia antica, prese alla fine l’iniziativa.
    Eminentissimo Pater, chi ha concepito per la prima volta il sistema delle sette iniziazioni Mitriache quali noi le conosciamo?
    Bella domanda! rispose il dott. Tarallo, lisciandosi la folta barba.
    Fu probabilmente a Tarso, da parte di un “Mago” ellenizzato, non di un militare romano come taluno sostiene. Egli fu certamente una personalità carismatica perché un uomo comune non fonda una nuova religione, ma non fu neppure un gran taumaturgo perché se tale fosse stato la tradizione letteraria, i papiri magici o i monumenti mitriaci ne avrebbero conservato memoria. Egli dunque non fece altro che adattare alla mentalità romana la sapienza dei Magi-filosofi ellenistici tramite il sistema delle iniziazioni: così facendo rese accessibile ai soldati delle legioni romane e ai doganieri imperiali quel sapere universale che l’Oriente aveva elaborato attraverso i secoli. Forse Ostane fu il suo nome, il primo apostolo della religione persiana in occidente.

    Crizia si sedette, soddisfatta.
    Altre domande?
    Si fece avanti Rodolfo, bigliettaio alla stazione centrale. Era uomo semplice, e da uomo semplice parlò.
    Signor Pater, io conosco molta gente per il mio lavoro. Dei ragazzi del Centro Sociale erano in coda per il biglietto e parlavano di un evento, una di quelle porcate che chiamano commedie collettive, che dovrebbe andare in scena prossimamente. Dicevano che sarà uno sballo, tutti travestiti da antichi romani e che alla fine sarà un’orgia magari con accoppiamenti bestiali tipo sacerdotesse con cani, serpenti e giovani manzi. E nominavano il dio Mitra…ne sapete niente, signor Pater?

    Un silenzio pesante calò sul consesso, mentre il dott. Tarallo assumeva un atteggiamento di costernazione.
    Non pensavo che potessero giungere a tanto…bofonchiò.
    Poi, con voce insicura: effettivamente, amici e confratelli, un emissario del capo dei Centri Sociali, sapete, quel tale Ataulfo Tomaia, si è presentato a me un paio di settimane fa…mi ha detto che gli animatori e i teorici del Centro sanno del rifiorire del culto di Mithra e sono interessati a conoscerlo…ed eventualmente a partecipare. Mi dissero che avevano intenzione di approfondire, di aprire qualche tavolo di studio, di analizzare la nostra liturgia. Mi hanno chiesto spunti, materiale informativo e io li ho forniti di buon grado, perché, sapete…il seme deve essere gettato ovunque, perché ovunque può essere la buona terra.
    Il Pater si guardò attorno e si avvide che non tutto l’uditorio manifestava consenso.
    Riprese il suo dire, con piglio più deciso.
    Non pensavo che m’ingannassero, che potessero giungere a tanto. Tomaia, novello Commodo, si propone dunque di profanare il culto del sublime Mandriano delle stelle, dell’arbitro del tempo. Dobbiamo fare qualcosa. Ma cosa?

    Un confabulare concitato si diffuse nell’antro. I neofiti si limitavano a guardare gli iniziati, attendendo che fossero costoro ad esprimere, per primi, il loro pensiero.
    Bastiano Maggiore, il più anziano dei due Eliodromi presenti, si aggiustò la raggiera e parlò in nome di tutti.
    Dobbiamo fermarli! disse. Non so il come, ma dobbiamo fermarli.
    Tra la sorpresa e la costernazione generali, Rodolfo fece un passo avanti e prese nuovamente la parola, senza chiedere permesso. Era un uomo semplice ma deciso, Rodolfo.
    Signor Pater, disse, ho un’idea. Uno dei miei amici, un musulmano, è maresciallo delle Guardie della Virtù della Fede. Se gli dico che al Centro Sociale stanno mettendo in scena una porconata delle loro, mettiamo sulla vita privata di Maometto, harem, mogli, concubine e tutto il resto, quello mi crede. Quello raduna le sue guardie, fa irruzione e spacca tutto. Botte da orbi saranno. E’ un tipo che se gli monta il sangue alla testa neanche chiede il permesso ai suoi superiori. Fa irruzione e, mi scusi la parola, signor Pater, gli fa un culo tanto. Basta sapere il giorno esatto.

    I mormorii di costernazione si mutarono in risate soffocate. L’idea era un po’…basica, ma piaceva. Faceva presa.
    Il Pater guardò gli iniziati e notò cenni d’assenso.
    Sta bene, Rodolfo. La tua dedizione e il tuo spirito d’iniziativa, anche se non del tutto ortodossi, sono apprezzati. Anche se dubito che il tuo progetto possa giungere a buon fine, vale la pena di tentare. Interroga i tuoi informatori, vedi se conoscono la data della…diciamo rappresentazione, e procedi. Ho ragione di ritenere, sulla base di indizi in mio possesso, che l’evento possa aver luogo il primo sabato di luglio. Gli appartenenti ai tre gradi superiori, Patres, Heliodromi e Perses, con il decano dei Leones, sono convocati in riunione informale presso la mia residenza per domani alle 21. Discuteremo ulteriori misure, altre soluzioni.
    Nama a Mithra, Signore delle grotte! La riunione è finita, andate in pace.

    Se n’andarono tutti alla spicciolata. I neofiti, che ormai guardavano a Rodolfo come loro leader, espressero il loro entusiasmo gratificandolo con gran pacche sulle spalle.
    Lui si schermì. State calmi ragazzi!. Adesso ci penso io!
    Sei grande Rodolfo, disse Crizia con occhi sognanti.
    Che fai domani? Te la faresti una pizza con me? rispose l’eroe della serata.
    Crizia era una gran bella ragazza e Rodolfo era scapolo. Non si sa mai, pensò.
    Va bene, disse Crizia. Mi passi a prendere a casa?


    *°*°*°*°*°*°





    Milano, sabato 5 luglio 2098, ore 21.30.



    Fadel Abbas Nader abbassò sul viso il passamontagna. La giornata era stata calda e piovosa, con visibilità limitata. Quel che ci voleva, insomma. I ragazzi avevano già badato a rompere a sassate alcuni lampioni e la strada stretta e poco frequentata che conduceva ad uno degli ingressi secondari del Centro Sociale era quasi completamente buia.

    I “fedajn”, tutti volontari, erano una trentina. Spalle larghe, tute mimetiche, passamontagna sotto la kefiah a losanghe bianche e nere, unico segno della loro appartenenza al Corpo delle Guardie della Fede. Spranghe, catene e randelli erano le sole armi visibili. Coltelli e pistole non erano in mostra, ma probabilmente non mancavano. I sei capo-squadra erano muniti anche di fumogeni e di petardi stordenti.

    Fadel si accostò alla porta, solitamente adibita all’ingresso di derrate e bussò secondo un codice prestabilito. Alcuni buoni musulmani lavoravano all’interno del Centro quali uomini di fatica o gestori dei banchi di vendita del piccolo bazar. Uno di loro si era offerto di aprire la porta di servizio, che di norma era sprangata dall'interno. La porta infatti si aprì, con uno scatto leggero.

    Tutti pronti? chiese Fadel. I capi diedero conferma, dopo il brusio del passaparola.
    Entriamo allora. Mi raccomando, non voglio morti. Spaccate tutto, per la maggior gloria d’Allah, il Signore dei Mondi. Ma niente morti se possibile. L’ultimo chiuda la porta alle sue spalle. Muhammad, tu che conosci il posto, guidaci alla sala del teatro.
    Muhammad, uno dei capi, che aveva lavorato in passato presso il Centro, si avviò con sicurezza lungo un corridoio semibuio ingombro di casse e scatole di cartone.
    Un brusio indistinto si fece sempre più forte, mentre avanzavano. Suoni, musiche, grida, sghignazzate. La “recita” stava evidentemente iniziando, o era già iniziata.

    Giunsero alla fine ad una porta imbottita, munita di spioncino. Rumori e schiamazzi erano ormai fortissimi dall’altra parte. Fadel socchiuse lo spioncino e diede un’occhiata. Ciò che vide in primo piano lo fece arretrare di colpo, il volto contratto dall’indignazione e dall’orrore.
    Tre figuranti vestiti da Re Magi (questa almeno era l’intenzione del regista, ma i costumi di foggia fantasiosa potevano ben farli apparire quali principi o dignitari arabi d’epoca alto-medievale) palpeggiavano i posteriori sconciamente scoperti di alcune pretese cortigiane persiche, addobbate alla maniera di Salomé con relativi veli che ben poco celavano.
    Fadel non ebbe alcun dubbio, prevenuto com’era.
    Stanno disonorando il Profeta e i suoi Califfi! , sbraitò. Addosso agli infedeli blasfemi!

    Non ci voleva altro per scatenare quegli esagitati, cui da tempo prudevano le mani. Abbattuta la porta si scagliarono all’interno, lanciando petardi ed urlando come ossessi.
    La confusione divenne subito enorme e qualsiasi resistenza impossibile. Randelli e catene mulinati all’impazzata nel mucchio fecero il loro effetto. La folla dei figuranti e degli improvvisati attori si aprì, ondeggiò e si diede a caotica fuga verso le uscite principali del teatro, insufficienti a smaltirne l’impeto.
    I buttafuori del servizio d’ordine furono travolti e lo stesso Ataulfo Tomaia, esanime con i denti rotti e la faccia spaccata da un fendente di spranga, fu trascinato via per i piedi dal suo guardaspalle.
    Si udirono alcuni colpi di pistola, mentre un principio d’incendio, appiccato dai petardi ai pesanti tendaggi, stava facendosi minaccioso.

    Ritirata! urlò Fadel Abbas. I suoi giannizzeri, ben addestrati, imboccarono di corsa, in fila indiana, la porta da cui erano entrati, mentre la retroguardia difendeva il passaggio e lanciava candelotti fumogeni. Non tutti purtroppo. Uno di loro, Ismail ben Yussuf giaceva a terra morto tra i materiali scenici fracassati, con il petto trapassato da un colpo di pistola.
    In buona compagnia, però: erano a decine gli avventori a terra, calpestati a morte o con la testa spaccata.
    Il sistema antincendio, entrato tardivamente in azione, inondava il tutto d’acqua e schiuma.

    Una cosa era certa: la festa era irreparabilmente rovinata e Mitra, il mandriano delle stelle, era stato ben vendicato.



    *°*°*°*°*°*°*




    Bologna, lunedì 4 agosto 2098, ore 16,00.


    Ataulfo Tomaia si sentiva molto, molto nervoso. Era trascorso solo un mese dall’infausta serata di Milano e lui ne portava ancora segni evidenti. Erano stati necessari due interventi chirurgici per sistemargli zigomo, mascella e denti, ed avrebbe dovuto sostenerne un altro in autunno per eliminare la brutta cicatrice e per sostituire la protesi provvisoria con capsule definitive.
    Si guardò nello specchio che, si faceva per dire, abbelliva la parete di fronte della spoglia saletta d’aspetto. Tentò di sorridere. Effetto disastroso! La bocca sembrava deformata, la dentiera faceva schifo. E quanto ai segni dei punti…

    Signor Tomaia! La voce dell’usciere suonò perentoria. Il dottor Piscaturi l’attende.
    Ataulfo entrò nell’ufficio del Capo della Polizia e, ad un cenno dello stesso, si sedette su una delle due poltroncine accanto al caminetto.
    Nihat Piscaturi lo squadrò, assorto.
    Ma cosa le è successo? esordì infine, senza nemmeno sforzarsi troppo di nascondere il fatto che sapeva, ovviamente, tutto.

    Il Coordinatore dei Centri Sociali lo guardò con odio altrettanto malcelato.
    Non mi dica, dottore, che lei non ne sa niente! Ha mai sentito parlare dell’irruzione di un mese fa, a Milano, della devastazione del Centro Sociale e dei morti e feriti che ci sono stati? Avevamo un patto che è stato violato.
    Maledetti teppisti! inveì il Capo della Polizia. Mi informerò… provvederò, glielo assicuro.
    Macchè teppisti e teppisti! La voce d’Ataulfo ora era un ringhio. Uno degli aggressori è morto, si trattava di tale Ismail Ben Yussuf, noto componente delle Guardie della Fede. Ci avete aggrediti e rovinati, il patto è infranto!
    Rovinati, rovinati…via non esageriamo. Non mi risulta che le Guardie della Virtù della Fede compiano azioni del genere. Ne parlerò con il collega reverendo mullah Abdelaziz. Sa, le Guardie della Fede non dipendono da me…sono accertamenti che richiedono cautela…e tempo…
    La voce del dottor Piscaturi suonava ora paciosa, quasi remissiva.

    Ma che tempo del cazzo! sbottò Ataulfo, istericamente.
    Lei sa benissimo cosa è successo. E’ stata un’azione politica, una scelta di campo. E’ lei il mandante, inutile che si nasconda dietro ad un dito. Ci avete rovinato, nessuno più si fida di intervenire ai nostri eventi. Danni per milioni di dollari! Pretendiamo un congruo risarcimento altrimenti il patto d’ottobre è rotto e noi passiamo dalla parte del Commissario!

    Adagio, adagio… si calmi! Si calmi o è peggio.
    La voce di Piscaturi pretendeva d’essere suadente, ma il tono lasciava trasparire una crescente nota d’irritazione.
    Mi è stato detto che…voi avevate messo in scena un, ehm, spettacolo blasfemo!
    Ma quale blasfemo? ribatté con veemenza Ataulfo. I misteri di Mitra erano, porco cazzo! Giusto per prendere per il culo quella nuova setta. Uno spettacolo in costume, dottore, ecco cos’era. Mai sognati di offendere l’Islam o anche il Cristianesimo. Ci avete attaccato per una scelta politica, per distruggerci. Ora dovete pagare profumatamente, oppure ve lo aspettate il nostro appoggio, quando ci saranno le elezioni, quando il Commissario vi salterà alla gola!

    Nihat rimase a lungo in silenzio, gli occhi bassi.
    Alla fine parve aver adottato una decisione, una linea di condotta definitiva. Si appoggiò allo schienale della poltrona volgendo verso Ataulfo Tomaia uno sguardo scopertamente ostile.
    E va bene, disse. Giochiamo a carte scoperte. Non c’è stata nessuna decisione politica. Se qualche scheggia impazzita delle Guardie della Fede ha partecipato alla salutare batosta che vi siete presi e meritati, la responsabilità non è del governo. Quanto a soldi, non ne abbiamo e comunque non intendiamo darvene.

    Ataulfo era livido.
    Ci vedremo alle elezioni! sbraitò.
    Non me ne può fottere di meno, lo rimbeccò il Capo della Polizia.
    Voglio essere chiaro, questo è un paese a perdere, un paese che affonda, un relitto. Vinca pure le elezioni, il vostro Commissario, e si prenda questo letamaio che si chiama Italia, con tutti i pidocchi infedeli che lo abitano come le zecche un cane. Noi ce n’andiamo appena sistemati i fedeli figli di Allah il Misericordioso, per la maggior gloria di Maometto suo Profeta. Non ci avete meritato, non avete accettato la vera fede e Allah vuole che vi lasciamo al vostro putrido destino. E ora fuori, cane infedele, fuori di qui, ruffiano disonorato!
    Ataulfo si alzò, il viso contratto dal furore. Io…ti ammazzo! sbraitò.

    Ma il dottor Piscaturi aveva già premuto un pulsante rosso sul margine del tavolino. Una decina di poliziotti nerboruti irruppe nell’ufficio.
    Legate questo cane infedele, ordinò seccamente Nihat. Dategli una buona dose di scudisciate e buttatelo in strada. E…stesso trattamento per i suoi scagnozzi che attendono al Corpo di Guardia. A loro fate assaggiare anche il randello.
    Gli sbirri afferrarono il malcapitato, schiumante, e lo trascinarono fuori della stanza.
    Insci Allah, rifletté il dottor Nihat Piscaturi, con aria rassegnata.




    *°*°*°*°*°*°*°*°




    Roma, lunedì 8 settembre 2098, ore 18.00



    E se fosse una trappola?
    Lucio non si sentiva tranquillo e, in fondo al suo cuore, malediceva il momento in cui aveva accettato l’invito.
    Succeda quel che succeda! mormorò infine tra sé e sé, rassegnato ad affrontare anche il peggio.
    L’occasione era troppo importante, forse decisiva.
    Rifletté sugli avvenimenti dell’ultimo mese.
    La notizia della fustigazione del coordinatore dei centri sociali si era diffusa rapidamente suscitando, tra cristiani e musulmani, reazioni di malcelata soddisfazione.
    I Centri avevano organizzato manifestazioni di protesta in molte città, capofila Milano, ma senza l’impeto ed il concorso di un tempo. Era chiaro che essi avevano perso nerbo e presa sociale, e l’unico risultato ottenuto era stata una repressione durissima da parte di una polizia la cui azione pareva aver riacquistato, per una volta, l’antico vigore.
    La successiva devastazione e chiusura dei Centri erano apparse ai più quale conseguenza logica ed inevitabile di una situazione ormai consolidata e, in fondo, accettata.
    Di Ataulfo Tomaia e dei suoi più fidi manutengoli non si aveva più notizia.
    Morti ammazzati o, come sostenevano i malevoli, fuggiti all’estero con la cassa?
    Chissà.

    Era ora di avviarsi.
    Lucio chiamò il fido segretario.
    Giorgio, provvedi per un taxi. Si va alla Grande Moschea.
    Erano attesi, ad un’entrata secondaria.
    L’usciere li guidò lungo un corridoio tortuoso ed una rampa di scale.
    La porta dell’ufficio del Gran Muftì era aperta.
    Selim Abdel Khader fece cenno di entrare. Al suo fianco, Ali Rashid.
    La porta si chiuse alle loro spalle.
    Sediamoci e discutiamo! disse Selim indicando un tavolo già provvisto di bicchieri, bottiglie d’acqua e blocchi per appunti.
    Fatte le presentazioni, si sedettero.

    Signori, l’oggetto di quest’incontro è altamente confidenziale, esordì il Gran Muftì. E’ tempo di scoprire le carte e di trattare con reciproca lealtà e comprensione. Nulla di quanto sarà detto e convenuto dovrà trapelare all’esterno. Posso avere la vostra parola?
    Un generale cenno di consenso indicò accettazione.
    Bene! continuò Selim.
    Sappiate che l’eccellentissimo Presidente, Ahmed ben Effendi, che Allah il misericordioso lo protegga, è gravemente malato. Le irreversibili conseguenze di un ictus gli impediscono di svolgere le sue funzioni... la notizia è stata tenuta segreta per opportuni e comprensibili motivi, giustificati dalla nota situazione in corso.
    Il Gran Muftì colse il gesto di sorpresa di Lucio e interruppe brevemente il suo dire, quasi nell’attesa di una domanda che non venne.
    Bene, se così si può dire!, riprese.
    I vertici della Sublime Confederazione Islamica, investiti del caso, hanno deciso di affidare alla mia umile persona i pieni poteri, con il mandato di formare un governo di coalizione provvisorio che gestisca la transizione verso un nuovo assetto politico contemplante l’uscita dell’Italia dalla Confederazione, a fronte di precise garanzie per quei cittadini di religione islamica che intendano permanervi. Pochi, ritengo.

    Cosa intende per coalizione? Coalizione composta di chi? azzardò Lucio.
    Coalizione composta di funzionari islamici di fiducia del Gran Muftì, intervenne Ali Rashid, e da elementi cristiani da lei nominati, Commissario! Lei stesso dovrà farne parte, con un incarico significativo.
    Ma…e le elezioni politiche generali? La mia gente le attende e le pretende anche!
    La voce di Lucio si fece stridula, concitata. Le elezioni sono state oggetto d’accordi riservati…lei m’intende, Gran Muftì!
    Elezioni, elezioni…nessuno le vuole veramente. La campagna elettorale, la convocazione dei comizi sfocerebbero inevitabilmente in disordini, in violenze, in una spaccatura profonda che è possibile evitare. Le teste calde, di parte nostra e di parte vostra, prenderebbero il sopravvento. La Sublime Confederazione preferisce una soluzione…indolore, silenziosa. Il fatto è, Commissario, che noi ce ne vogliamo andare, la volontà di Allah il misericordioso guida verso altri confini il suo popolo. Noi vogliamo restituirvi questa vostra Italia e riprendere possesso delle terre dei nostri avi. Non occorrono elezioni per questo. Basta creare…ecco, uno stato di fatto!

    Concludendo il suo dire, Selim guardò dritto negli occhi il Commissario, quasi come per coglierne anche le più inavvertibili reazioni.
    Lucio si sentì spiazzato. Tutto si sarebbe atteso tranne ciò che stava sentendo. Decise di prendere tempo.
    Reverendissimo…lei capirà…non posso prendere simili impegni di mia iniziativa. Apprezzo la sua ipotesi, ma mi devo consultare con i miei referenti, intendo dire con il governo di Giovane Italia!
    La voce di Lucio, incerta all’inizio, si fece più sicura. Ho anch’io dei capi!
    Non si preoccupi Commissario, ribatté Selim con un sogghigno. Ho già consultato il suo, ehm, governo. Un accordo segreto in merito è già stato raggiunto. Legga questo dispaccio, a firma del Segretario di Stato dr. Rossini, d’ordine del Gonfaloniere!
    Così dicendo, tese un foglio a Lucio.

    Il Commissario lesse, con attenzione.
    Il documento, redatto in lingua inglese, era breve ma denso di significato. Anche troppo. Recitava come segue:

    “Eccellenza, quanto dalla Signoria Vostra esposto è stato attentamente considerato e trovato compatibile con il nostro programma. Il signor Gonfaloniere ed il Governo che ho l’onore di dirigere concordano sul fatto che eventuali elezioni potrebbero rappresentare un effettivo pericolo sia dal punto di vista politico sia da quello dell’ordine pubblico. Si ritiene pertanto che un governo provvisorio di coalizione dalla Signoria Vostra presieduto e composto su base paritetica anche di qualificati elementi designati dal nostro Commissario in Italia, sia lo strumento più idoneo per ultimare l’esodo dei musulmani che intendono trasferirsi nei territori nordafricani e predisporre garanzie e condizioni a favore di chi invece intendesse permanere in territorio italico.
    Resta inteso che detto Governo provvisorio dovrà predisporre, in tempi brevi, l’assunzione dei pieni poteri in Italia da parte del Signor Gonfaloniere e di questo Governo che contestualmente si trasferiranno in territorio italico, cedendo alla Signoria Vostra i corrispondenti pieni poteri sui territori nordafricani attualmente denominati Giovane Italia.
    Resta convenuto che i precedenti accordi segreti già personalmente stipulati da questo Governo con Vostra Eccellenza conserveranno la loro validità e verranno considerati parte integrante, quandanche non pubblicata, del suesposto protocollo.
    Letto, confermato e sottoscritto. Per Sua Eccellenza il Gonfaloniere, il Segretario di Stato, dr. Rossini.”

    Figlio di puttana! mormorò tra sé e sé Lucio. Si è fatto dare un sacco di soldi ed ora anche il potere!
    Sollevò lo sguardo e squadrò fisso negli occhi il Gran Muftì.
    Sta bene, Reverendissimo, anche se non nascondo che mi sorprende il fatto che un accordo di questa portata sia stato stipulato senza…non dico chiedermi un parere, ma nemmeno avvisarmi. Sono un uomo d’azione, non un politico. E come uomo d’azione obbedisco agli ordini dei miei superiori e sono pronto ad offrirle la mia massima collaborazione.
    Non mi attendevo di meno da lei, Commissario! sbottò Selim, evidentemente sollevato.
    Bravo giovane, Allah le ha illuminato la mente! chiosò Ali Rashid.
    Penso di nominare il governo provvisorio entro la prossima settimana, riprese Selim. Un governo agile, composto di pochi ministri. Diciamo…otto, oltre al sottoscritto. Otto portafogli, Interni, Economia, Immigrazione ed Esodi, Trasporti, Lavoro e Previdenza, Giustizia, Sanità e Cultura. Terrò io stesso l’interim degli Affari Esteri. Mi favorisca al più presto le sue segnalazioni, Commissario. Quattro nomi incluso il suo, naturalmente. Ho pensato al portafogli degli Affari Interni per lei personalmente, Commissario.
    Il gran Muftì aveva parlato tutto di un fiato e si fermò per respirare.

    Sta bene, sta bene, interloquì Lucio. Le farò avere i nominativi…diciamo dopodomani, devo sottoporli al Gonfaloniere e consultare rapidamente la base. Lei mi intende…
    Sicuro, sicuro. Comprensibilissimo. Va bene dopodomani. Convocherò il Governo subito dopo. Abbiamo molto lavoro da fare!
    Ne convengo, Gran Muftì. Purché tutto sia finito al più presto.
    E’ mio dovere e mio interesse, Commissario…intendo dire che tutto sia concluso al più presto per la maggior gloria d’Allah e del suo Profeta!
    Per la seconda volta Lucio si trovò a pensar male.
    Gli interessa finir presto per incassare la rata finale, altro che Allah, altro che Profeta. Potere e soldi!
    Il Commissario si alzò, per chiedere commiato.
    Reverendissimo, mi spiace doverle chiedere licenza così bruscamente, ma capirà…questa inattesa accelerazione degli avvenimenti m’impone numerosissime consultazioni. Per rispettare il termine devo mettermi urgentemente al lavoro. Il tempo è contato!
    Vada, vada pure, Commissario. Attendo sue notizie per dopodomani, entro l’orario d’ufficio.
    Il Gran Muftì si alzò e tese la mano. Amici?
    Amici! rispose Lucio, inchinandosi in segno di rispetto e fingendo così di non aver notato il gesto di Selim.

    Commissario, non gli ha dato la mano! osservò Giorgio mentre si affrettavano verso l’uscita.
    Abbiamo un sacco di cose da fare, di dispacci da spedire, rispose bruscamente Lucio. Taci e facciamo presto. Io la mano la do solo a chi mi pare. A chi le ha pulite.
    Capito?
    Capito, concluse Giorgio.

    *°*°*°*°*°*°*°




    Sasso Marconi, giovedì 2 ottobre 2098, ore 12.35.

    Proprio una bella festa.
    A casa di Gaspare, la tavola era imbandita per dodici persone, giusto come un anno prima.
    Fatma aveva addobbato il locale con cura. Fiori di stagione, tralci di vite, candele colorate e, di sottofondo, i classici del Maestro Casadei.
    Proprio una bella festa.
    L’aveva voluta Lucio, il Commissario, ora Ministro degli Interni di fresca nomina nel Governo Provvisorio di Coalizione. O di “Transizione”, come lui preferiva chiamarlo.
    Aveva telefonato una settimana prima, Lucio. Aveva detto che per lui era una ricorrenza importante, l’anniversario della fatwa di Roncobilaccio, la chiusura di un ciclo storico, l’apertura di un altro.
    Aveva sollecitato la presenza degli stessi commensali. Una cerimonia rievocativa, insomma, più che un incontro.

    Erano in dieci ad attendere sotto il portico in mattoni rossi. Mancava Fatma, attardatasi in cucina per seguire la cottura dei cibi. Aveva fatto il possibile per preparare un buon pranzo, pur nelle ristrettezze del momento. Antipasto di salumi e sottaceti, cappelletti in brodo di pollo, spiedini di carne di maiale con purea di patate, gallina lessa con contorno d’erbe di campo, torta margherita.
    Il tutto annaffiato con abbondante sangiovese, e grappa di casa alla ruta per finire.
    Per i brindisi, lambrusco amabile frizzante invece dello spumante, troppo caro e quasi introvabile.

    Tre idromobili blu apparvero dalla curva, sulla strada bianca che costeggiava il pioppeto.
    Eccolo!
    Era infatti il ministro, preceduto e seguito dalla scorta.
    Viva il Ministro, Viva il Commissario!
    Lucio appariva affaticato ma felice.
    Giorgio, il fido autista, scaricò dal bagagliaio della macchina un cartone d’autentico champagne francese. Un piccolo tesoro. Da mettere in fresco, disse. E’ per i brindisi.

    Lucio riconobbe subito Petronio e Lazzaro, e li salutò con effusione.
    La festa è quasi solo per voi. E’ la festa della fatwa! Vi ricordate?
    Certo, certo…esordì Lazzaro. Grazie, signor Ministro! Concluse Petronio.
    Lucio si guardò attorno, con sguardo ispirato. Poi parlò, tutto d’un fiato.

    Oggi è un gran giorno. Il giorno in cui il destino idealmente si compie. Un giorno che a noi, ora, può sembrare simile ad altri. Ma oggi la porta della storia si chiude sul passato. E se ne apre un’altra, la porta del futuro. E’ ormai iniziato un processo rapido ed inarrestabile, quello del nostro riscatto, quello della rinascita del nostro amato Paese. E come accade per gli avvenimenti ineluttabili, nulla sembra più opporsi alla realizzazione del nostro sogno. Coloro che potevano essere, ed erano, i nostri avversari collaborano di fatto con noi per il perfezionamento della loro sconfitta, incruenta ma definitiva. Se ne vanno desiderosi di andarsene. I nostri fratelli esuli ritornano. Il nuovo secolo sarà il secolo del nuovo rinascimento. Noi, l’Italia, risorgiamo più forti di prima, mondati dei nostri errori, dei nostri tradimenti, liberati dei falsi profeti, delle false illusioni. Ci sarà da lavorare duramente e da vivere di poco almeno all’inizio. Ma ce la faremo. L’Italia tornerà a contare in Europa e nel mondo. Col favore di Cristo e, per una volta, di quello di Allah!


    Lucio si fermò, per riprendere fiato. L’eloquente, appassionato pistolotto aveva fatto effetto. Lazzaro si mise a piangere, di consolazione.
    Lo perdoni, Commissario…mio fratello è un po’ semplice! lo scusò Petronio.
    A tavola, a tavola! gridò Gaspare anche per sdrammatizzare la situazione. Parleremo e piangeremo a tavola, ma prima bisogna riempire la pancia!
    Hai ragione Gaspare, convenne Lucio. Mangiamo, beviamo, stiamo allegri. Dopo, potrete farmi tutte le domande che vorrete.

    Mangiarono voraci, senza parlare ma rumorosamente, come se il risuonare delle posate sui piatti, il tintinnio dei bicchieri, il gorgoglio del vino abbondantemente versato e il fragore delle mandibole potessero surrogare parole non dette, domande non poste, inquietudini non espresse…
    E finalmente fu la volta del dolce, dei brindisi con champagne.
    Fu la volta delle domande.

    Iniziò Doralice, una graziosa brunetta bolognese, studentessa di medicina.
    Signor Ministro, molti musulmani se ne sono andati o stanno per andarsene, ma ve ne sono altri, anche conoscenti miei, che vogliono restare. Cosa ne sarà di loro?
    Grazie per la bella domanda, rispose sorridendo Lucio. E’ vero, alcuni cittadini d’etnia e religione islamica hanno dichiarato di voler rimanere in Italia. Sono bene integrati, lontani da qualunque forma di fondamentalismo. Sono disposti ad accettare formalmente di adeguarsi alle leggi ed ai costumi del nuovo Stato che va a nascere. Perché l’Italia sarà uno Stato nuovo, amici miei! A queste condizioni siamo lieti che restino. Anche alcuni italiani hanno espresso l’intenzione di rimanere in nordafrica, nei territori dell’ex Giovane Italia.
    Cazzi loro! sbottò uno dei convitati più giovani, subito zittito.

    Fu la volta di Gaspare.
    Andremo sicuramente incontro a tempi difficili per l’economia. Dobbiamo ricostruire, anzi costruire uno Stato, assicurare buone condizioni di partenza ai fratelli immigrati, rilanciare industria, commercio, agricoltura che sono a pezzi. L’Europa e l’America sono veramente pronte ad aiutarci?
    Si, certo, rispose Lucio con voce suadente. L’Occidente considera importante che la penetrazione della Confederazione Islamica in Europa venga finalmente…corretta. Il nostro Paese per posizione geografica, storia, tradizione è componente cruciale, insostituibile della civiltà occidentale. L’Unione Europea ha sempre considerato la secessione dell’Italia quale vulnus insopportabile. E’ stato per evitare un conflitto devastante che ciò fu tollerato, ma ora le cose devono tornare al loro posto! E con l’avvento del nuovo secolo tutto tornerà effettivamente e definitivamente al suo posto.

    Lazzaro alzò il braccio, per chiedere la parola. Sapeva d’essere, e di essere considerato, un sempliciotto. Era abituato a venire zittito. “Lazzaro, non dire cazzate!” Consueta, quasi automatica risposta a qualsiasi sua osservazione o sortita.
    Ma questa volta voleva dire qualcosa d’importante, fare una domanda intelligente. Era tutta la sera che ci pensava. Almeno una volta…in un’occasione come questa!
    Si fece coraggio.
    Signor Lucio, esordì fingendo di non udire i ridacchiamenti e di non vedere le strizzatine d’occhio dei commensali, il petrolio si vende sempre di meno e i paesi islamici stanno andando in malora. Lavorare non sanno, fabbriche grosse non ne hanno. Torneranno a fare i cammellieri o tra un po’ d’anni si ricomincia con l’immigrazione clandestina?


    La domanda era tuttaltro che peregrina. Nell’improvviso silenzio dei commensali Lucio parve pensieroso, quasi imbarazzato.
    Lazzaro, Lazzaro, disse, hai detto una cosa importante.
    Vedi, questo pericolo esiste, questa eventualità è prevedibile. La storia si ripete, è fatale. Ma questa volta l’immigrazione, l’invasione clandestina non saranno tollerate. Il nostro fronte interno ora è compatto, forte e coerente. Abbiamo acquisito una coscienza nazionale. Quinte colonne ideologiche e massimaliste non ce ne sono più, la storia le ha spazzate via. Saranno i paesi islamici a doversi…occidentalizzare. Quelli che vorranno venire da noi dovranno farlo per la porta maestra ed alle nostre condizioni. Abbiamo imparato la lezione, Lazzaro, una lezione che è costata cara. Ogni tentativo d’immigrazione clandestina individuale sarà considerato quale grave reato passibile d’arresto ed espulsione effettiva ed immediata. Quello di gruppo, collettivo, verrà considerato quale atto di guerra, e come tale respinto anche con la forza, se necessario.
    Grazie, Lazzaro, per la bella domanda, e Viva l’Italia!

    Viva l’Italia!, gridò a sua volta Lazzaro arrossendo per l’emozione e la felicità, mentre tutti gli davano gran pacche sulle spalle.

    Poi fu festa, solo festa.




    FINE

  8. #68
    in silenzio
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    Grazie per il testo, zio Cirno!
    E' disponibile anche su carta stampata, in modo da immetterlo in un RING di bookcrossing?
    di necessità virtù

  9. #69
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    Carissima, è disponibile nel senso che bisogna stamparselo. Sono 80 cartele dattiloscritte, è meglio avere una stampante laser o dischettare e portare a chi stampa tesi ecc. Io me ne sono stampate un paio di copie per me. Ovviamente sei autorizzata a stampare ed a immettere nel tuo crossing. Non è stato mai pubblicato: è un inedito, e tale resterà per ora.
    Ciao!
    Cirno

 

 
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