Un buon numero di russi sostiene che la corruzione che oggi imperversa era cominciata già nell'Urss come, benché in minor misura, la criminalità organizzata. Studi recenti sulla tenevaia economika (l'economia al nero) rivelano cose stupefacenti2. In Occidente si rimproverava alla panificazione sovietica di esser generosa con l'industria pesante a detrimento di quella dei consumi e dei servizi; la corsa agli armamenti aggravava lo squilibrio. Di qui la penuria. Ora la penuria genera delle condotte al vertice e alla base, che anche i pianificatori più qualificati e competenti non riescono a controllare né a prevedere. Essi si affidavano alle organizzazioni del partito e ai soviet locali per il controllo in periferia, mentre sia le une che gli altri di fatto si andavano implicando in attività dubbie o illegali. È in periferia che sono state inventate nuove professioni, come quella di tolkac, equivalente russo di lobbista, ciascuna dotata di una cassa nera per lubrificare i fornitori ritardatari o reticenti. "Tu mi dai più carbone e io ti darò delle macchine da cucire" - la pratica dello scambio era generalizzata. Quel che più conta è che accanto all'economia, per così dire, grigia, non ha tardato a nascere quella nera. Nelle fabbriche, alcuni reparti funzionavano come imprese indipendenti allo scopo di aumentare i fondi per gli investimenti e spesso per pagare meglio i quadri dirigenti. Lo stesso si può dire per i shabashniki, operai che si organizzavano in squadre prima per lavorare nell'edilizia, portando rapidamente a termine lavori mal fatti o fermi, e poi sono dilagati in altri settori. Pagati molto meglio degli altri operai, non godevano di nessuna protezione sociale, né assicurazioni né pensioni, ma la maggior parte ne fruiva grazie al posto di lavoro perlopiù fittizio che conservava in un'azienda. Il loro statuto legale era molto precario ma, come nel caso dei reparti autonomi, in azienda le autorità preferivano chiudere un occhio.
Dove esiste un sistema economico del genere, l'illegalità si sviluppa inevitabilmente in criminalità organizzata. Gli speculatori si sono professionalizzati e neppure più fingono di avere un impiego legale. L'industria leggera forniva a volte l'intera produzione direttamente agli speculatori che la distribuivano meglio dei distributori ufficiali. Ne è nata un'altra nuova professione, i fartsovtciki (trafficanti), grandi e piccoli che, profittando del fatto che nessuna merce era garantita, baravano e ricattavano diventando i precursori dell'odierno racket. E che dire dell'immenso traffico di divise estere? Ufficialmente il rublo valeva più del dollaro, ma qualsiasi straniero poteva comprarlo all'uscita dell'albergo sei o sette volte meno caro.
Per lungo tempo il Cremlino e la Staraia Ploshtciad, la sede del comitato centrale del Pcus, hanno negato l'esistenza dell'economia sommersa e di una criminalità organizzata. Solo dopo la morte di Breznev, il Ministero degli Interni è stato incaricato di un'inchiesta. Compito gigantesco e per molti versi sorprendente: da tempo i film sovietici mostravano le bande di rapinatori e i killer dei quali ufficialmente si negava l'esistenza. Ancora ai tempi di Gorbaciov, un membro dell'Accademia delle scienze sosteneva: "Nel socialismo non può esistere la criminalità organizzata". Di modo che in un regime di polizia neppure esisteva un reparto specializzato nella lotta contro il crimine organizzato, come si legge nel libro dell'allora ministro degli Interni, Vadim Bakatin, che sta per uscire.
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