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Discussione: Drieu La Rochelle

  1. #1
    vicepres Destra cricetale
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    Predefinito Drieu La Rochelle

    Oggi su Repubblica c'è uno speciale sulla liberazione di Parigi, avvenuta 60 anni fa.

    Nel lungo articolo di "presentazione" di Bernardo Valli, tra le varie cose, si legge:

    "Pier Drieu La Rochelle, autore di Feu Follet e Gilles, divenuto il dandy della collaborazione, si prepra al suicidio, che tenterà più volte invano, prima col veleno poi con un rasoio, e che infine riuscirà con il gas, qualche mese dopo, giudicando troppo vergognoso passare dal fascismo al comunismo come gli suggeriva l'istinto".

    Che La Rochelle avesse simpatie per il comunismo? Qualcuno sa di più su questa storia?

  2. #2
    Figlio d'Europa
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    Predefinito

    STRANE RICONCILIAZIONI E… ANTIFASCISTERIA
    (“Rinascita”, 3 ottobre 2003)
    Claudio Mutti
    “Il ventesimo secolo non finirà senza assistere a strane riconciliazioni”
    Pierre Drieu La Rochelle
    Il 27 dicembre 1942, mentre a Stalingrado infuria la battaglia che segnerà l’inizio della sconfitta dell’Asse, Drieu La Rochelle annota nel suo Diario: “Morirò con gioia selvaggia all’idea che Stalin sarà il padrone del mondo. Finalmente un padrone. È bene che gli uomini abbiano un padrone il quale faccia loro sentire l’onnipotenza feroce di Dio, l’inesorabile voce della legge”.
    Un mese più tardi, in data 24 febbraio 1943, Drieu auspica: “Ah, che muoiano pure tutti questi borghesi, se lo meritano. Stalin li sgozzerà tutti e dopo di loro sgozzerà gli ebrei… forse. Eliminati i fascisti, i democratici resteranno soli di fronte ai comunisti: pregusto l’idea di questo tête-à-tête. Esulterò nella tomba”.
    Il 3 marzo si augura la vittoria dei Russi, piuttosto che quella degli americani: “I russi hanno una forma, mentre gli americani non ne hanno. Sono una razza, un popolo; gli americani sono un’accolita di ibridi”.
    Quanto al marxismo, secondo Drieu si tratta di una malattia passeggera che non compromette la fondamentale sanità dell’organismo russo. L’autocrazia sovietica rimane dunque la sola alternativa all’individualismo e alla democrazia, prodotti della décadence occidentale: “Scompariranno così tutte le assurdità del Rinascimento, della Riforma, della Rivoluzione americana e francese. Si torna all’Asia: ne abbiamo bisogno” (25 aprile 1943). E ancora: “Il mio odio per la democrazia mi fa desiderare il trionfo del comunismo. In mancanza del fascismo (…) solo il comunismo può mettere veramente l’uomo con le spalle al muro, costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal Medioevo, che ha dei padroni. Stalin, più che Hitler, è l’espressione della legge suprema” (2 settembre 1943).
    Considerazioni di questo genere si fanno più frequenti nel corso del 1944, finché, il 20 febbraio 1945, Drieu esprime la fiducia che i Russi possano “spiritualizzare il materialismo” (1).
    Prospettive analoghe a quelle espresse da Drieu in questi brani del Diario si trovano nella lunga lettera che alcuni mesi dopo, il 22 agosto 1945, il capo dell’Unione Fascista Russa Konstantin Rodzaevskij scrive dall’esilio “al Capo dei popoli, Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell’URSS, Generalissimo dell’Armata Rossa, Iosif Vissarionovic Stalin”. Il capo fascista dichiara: “Vorremmo portare sotto i vessilli staliniani, sotto gli ieri odiati e domani adorati vessilli dell’Armata Rossa, sotto i vessilli della Nuova Russia e della rivoluzione, ciò che resta della nostra organizzazione in tutti i paesi del mondo: in Asia, in Europa, nell’America del Nord e in quella del Sud, in Australia, affinché l’ex Unione fascista russa affluisca nell’alveo della riconciliazione con la Patria e il beneamato Governo di milioni di russi ancora disseminati all’estero. (…) Senza rifiutare le mie idee, tanto più che esse in parte coincidono con le idee guida dello Stato sovietico, ma rifiutando decisamente i vent’anni della mia esistenza antisovietica, consegno me stesso, i miei amici, i miei camerati, la mia organizzazione nelle mani di coloro ai quali il popolo sovietico ha affidato i suoi destini storici in questi infuocati anni cruciali. La morte senza la Patria, la vita senza la Patria oppure il lavoro contro la Patria sono un inferno. Vogliamo morire per ordine della Patria o fare in qualsiasi luogo per la Patria un qualsiasi lavoro. (…) Gloria alla Russia!” (2)
    Prima che nel fascismo russo, già in seno ad altri movimenti analoghi si era manifestata la tendenza a riconoscere ed apprezzare positivamente una certa affinità tra nazionalsocialismo e sovietismo, tendenza che culminò all’epoca del Patto di non aggressione tedesco-sovietico, allorché i partiti comunisti ricevettero da Mosca l’ordine di cessare ogni attività ostile al Terzo Reich e nel campo nazionalsocialista e fascista molti intravidero la possibilità che si costituisse un fronte comune degli Stati proletari contro le plutocrazie occidentali. Emblematico il caso dell’Ungheria: nell’agosto del 1939, nel corso di una manifestazione crocefrecciata, accanto ai ritratti di Szálasi si videro a Budapest quelli di Hitler e di Stalin; e nell’ottobre del 1944 il governo delle Camicie Verdi comprenderà anche un ministro di origini comuniste evoluto in senso nazionalbolscevico, Ferenc Kassai-Schallmayer.
    Anche in Italia, e già diversi anni prima, erano emersi orientamenti simili. Ancora prima che nel 1933 il governo fascista siglasse con quello di Stalin il patto di amicizia (Mussolini aveva firmato nel 1924 l’accordo sul ristabilimento dei rapporti diplomatici e consolari tra Italia e URSS), gli esponenti del corporativismo integrale “ritenevano che l’antitesi fra Roma e Mosca non esistesse e che anzi il fascismo dovesse assorbire l’esperienza sovietica attraverso il corporativismo” (3). Bruno Spampanato, ad esempio, sosteneva che la vera e irriducibile antitesi non era quella che opponeva Roma a Mosca, ma quella che contrapponeva Roma e Mosca alle democrazie plutocratiche dell’Occidente, anche se era fuori discussione che “lo Stato fascista già si avvicina alle conclusioni alle quali dovrà ineluttabilmente arrivare Mosca” (4). E fu sempre nel corso degli anni Trenta che Nicola Bombacci, già fondatore del Partito Comunista d’Italia, poté legalmente fondare e dirigere un paio di riviste: “L’italo-russa”, che propugnava l’amicizia con l’URSS, e “La Verità”, il cui titolo costituiva la traduzione pura e semplice di quello dell’organo del PCUS, “Pravda”.
    Dopo che Nicola Bombacci ebbe terminata sul lungolago di Dongo, al grido di “Viva il socialismo!”, la sua carriera esemplare di nazionalbolscevico, a coltivare le migliori potenzialità della sinistra si provarono alcuni intellettuali di provenienza fascista: la continuità che in molti casi vi fu tra una precedente militanza fascista e un successivo impegno nel PCI o nella CGIL è ben documentata dal racconto autobiografico di Ruggero Zangrandi e dallo studio di Pietro Neglie sui “fratelli in camicia nera” (5).
    Al comunismo occidentale, che, “incapace di sottrarsi davvero a una concezione individualistica della vita”, rimane “intrinsecamente legato alla metafisica borghese e resta ancora al livello illuministico della carta dei diritti” (6), il teorico del corporativismo integrale, Ugo Spirito, contrappose fin dal 1961 l’ideale comunitario esemplificato in quegli anni dalla rivoluzione maoista. Anche Curzio Malaparte, che già aveva indicato in Mussolini “un restauratore dell’autorità, della fede, del dogma, dell’eroismo, contro lo spirito critico, scettico, razionalista e illuminista dell’Occidente”, nel 1956 si recò in Cina, proprio mentre in Italia la “razza marxista nata dalla decadenza del capitalismo” andava in crisi e si convertiva in massa al progressismo democratico. M. Antonietta Macciocchi attesta che lo scrittore “si innamorò dei cinesi, di tutti i cinesi, dall’uomo di Pechino vecchio di mezzo milione di anni, fino a Mao Zedong che intervistò. Ma io – ricorda la Macciocchi – non potevo pubblicarne i reportages abbaglianti (saranno raccolti nel volume Io, in Russia e in Cina), perché gli intellettuali comunisti (compreso, ahimé, Calvino) avevano inviato una protesta a Togliatti contro la collaborazione alla proba stampa del PCI del ‘fascista Malaparte’” (7).
    Quello di recuperare i fascisti o, come minimo, di tenere aperto il dialogo con loro, era per Palmiro Togliatti un progetto di antica data. Primo firmatario di quell’appello con cui il Partito Comunista nel 1936 aveva esortato i “fascisti della vecchia guardia” e i “giovani fascisti” a “prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi” (8), il segretario comunista seguì con “rispettosa attenzione” (9) il tentativo del “Pensiero Nazionale”, intrapreso da Stanis Ruinas al fine di realizzare una convergenza tra il PCI e i “fascisti di sinistra”, e incaricò di coltivare i contatti Gian Carlo Pajetta ed Enrico Berlinguer (10). Quest’ultimo, che nel 1950 era capo della FGCI, “esaltava ‘il patriottismo sincero dei giovani neofascisti’ e auspicava un patto d’unione con loro contro l’imperialismo americano” (11). Il giornale dei giovani comunisti, “Pattuglia” (diretto da Ugo Pecchioli), pubblicò numerosi interventi di ex combattenti della RSI e patrocinò in tutta Italia una serie di manifestazioni congiunte contro il Patto Atlantico.
    *
    È possibile, nell’Italia di oggi, prospettare una unità d’azione tra le persone, i gruppi, i circoli e i movimenti che, al di là delle loro divergenze di orientamento politico, hanno in comune il rifiuto dell’occidentalismo e dell’egemonia atlantica?
    In più di mezzo secolo, il sistema ha neutralizzato le potenziali opposizioni, facendo ricorso agli strumenti dell’antifascismo e dell’anticomunismo al fine di accentuare e rinfocolare i contrasti che hanno sempre diviso tra loro i suoi antagonisti. Anche nelle ultime settimane, in corrispondenza di progetti miranti a rilanciare sulle piazze un movimento di opposizione all’imperialismo statunitense e al governo collaborazionista di Roma, il sistema ha trovato immediatamente i sabotatori che si sono messi al suo servizio, stavolta nel nome dell’antifascismo.
    Spaventati dall’idea che possa prendere corpo un movimento antimperialista che non discrimini i suoi aderenti sulla base della loro provenienza politica e della loro appartenenza ideologica, i bigotti e le beghine di quella che è stata definita “la religione dell’antifascismo” hanno gridato allo scandalo e hanno lanciato l’allarme contro le infiltrazioni fasciste.
    L’Italia, si sa, è un paese conformista; e il pregiudizio antifascista, spiegabile con la necrosi mentale da cui sono affetti molti italiani, è tra tutti i tabù prepolitici uno dei più duri a morire. Gli idolatri che nel terzo millennio rendono culto a questo mostro sacro dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che aveva perfettamente ragione il buon Amedeo Bordiga, allorché diceva che la peggiore eredità del fascismo è, per l’appunto, l’antifascismo. Che spesso si manifesta in vere e proprie forme di antifasc-isteria.
    (1) Per una più ampia rassegna di tali brani del Diario di Drieu, cfr. C. Mutti, Un solo stendardo rosso, in: AA. VV., Omaggio a Drieu La Rochelle, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1996, pp. 67-83.
    (2) K. Rodzaevskij, Lettera a Stalin, in: Sergej Kulesov – Vittorio Strada, Il fascismo russo, Marsilio, Venezia 1998, pp. 238-239.
    (3) Rosaria Quartararo, Roma e Mosca. L’immagine dell’Urss nella stampa fascista (1925-1935), “Storia contemporanea”, XXVII, 3, giugno 1996, p. 471.
    (4) Bruno Spampanato, Popolo e regime, Bologna 1932, p. 86. Cfr. anche Roma e Mosca o la vecchia Europa?, “Critica fascista”, 15 novembre 1931.
    (5) R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano 1962; P. Neglie, Fratelli in camicia nera. Comunisti e fascisti dal corporativismo alla CGIL (1928-1948), Il Mulino, Bologna 1996.
    (6) U. Spirito, Il comunismo cinese, “Rassegna italiana di sociologia”, 1, 1961; poi in Comunismo russo e comunismo cinese, Sansoni, Firenze 1962, pp. 57-58. Scriveva tra l’altro Spirito, reduce da un viaggio nella Repubblica Popolare Cinese: “Il marxismo è, infatti, una dottrina storicistica di carattere occidentale ben determinata che va dal giudaismo al cristianesimo, dall’illuminismo all’hegelismo, e si concentra nell’analisi della struttura economica di un industrialismo e di un capitalismo che trasformano la società europea. Nulla di tutto questo può avere un effettivo significato per il cinese. (…) Del resto, la rivoluzione comunista cinese solo indirettamente può collegarsi con il marxismo originario e anche con quello russo. (…) Rivoluzione nazionalistica e e rivoluzione contadina, quindi, fuori di ogni schema e di ogni logica marxistica. (…) È la tradizione cinese di sempre, che continua ad esprimersi fuori di ogni legame diretto col marxismo” (op. cit., pp. 87-88). Non dovrebbe dunque sembrare del tutto peregrino il tentativo di conciliazione che noi stessi a suo tempo facemmo tra i termini “maoismo” e “tradizione” (Maoismo e tradizione, “Quaderni del Veltro”, Bologna, settembre 1973).
    (7) M. A. Macciocchi, Chi ha paura dell’ombra di Malaparte?, “Corriere della sera”, 19 luglio 1987.
    (8) AA. VV., Per la salvezza dell’Italia riconciliazione del popolo italiano!, “Lo Stato Operaio”, X, 8, agosto 1936; rist. in “I Quaderni di Storia Verità”, 1, s. d.
    (9) Giano Accade, Da Salò al Pci, “Area”, dicembre 1998.
    (10) Per una ricostruzione del rapporto tra il gruppo di Stanis Ruinas e i dirigenti del PCI, si veda: Paolo Buchignani, Fascisti rossi. Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica. 1943-53, Mondatori, Milano 1998.
    (11) Antonio Socci, Berlinguer voleva allearsi col Msi, “L’Indipendente”, 5 gennaio 1994.

  3. #3
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    Parbleu! Questi giornalistucoli da strapazzo ne scrivono di cavolate! Tacciare Drieu La Rochelle prima di codardia e poi di filo-comunismo è veramente il massimo del minimo.
    Ma l'articolo di Mutti pubblicato di seguito è comunque, in parte, chiarificatore.

  4. #4
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    Mi sembra di ricordare che le parole di Drieu la Rochelle per spiegare il suo suicidio furono "abbiamo giocato ed io ho perduto, esigo la morte"
    Insomma, un suicidio "stoico", nè più nè meno.
    L'attrazione per il comunismo, o meglio l'aspirazione alla "riconciliazione", è propria di molti intellettuali fascisti e non c'è assolutamente nulla di strano.
    Lo stesso Beppe Niccolai, nel dopo guerra, amava ripetere che andava ricomposta la scissione del 19 con i socialisti
    Evidente che la forte componente antiborghese del fascismo francese, rendesse preferibile il comunismo a De Gaulle.
    Tuttavia, l'anelito era un altro , e una volta persa la battaglia, Drieu ha deciso di scegliere l'estremo atto di coerenza.
    "Non sempre bisogna cercare di tenere la vita , perchè vivere non é un bene , ma é un bene vivere bene . Così il saggio vivrà quanto deve , non quanto può" (Seneca).

    P.S.
    Ringrazio comunque Enrique di aver introdotto questo interessante tema. Sembra che questi giorni nella testa di molti camerati di DR ci siano solo i marocchini, non mi sfugge affatto l'importanza della questione...ma non è l'unica, non credete?

  5. #5
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    Io aggiungerei che oltre alla pregiudiziale antifascista in Italia, vi è ancora molto forte la pregiudiziale anticomunista da parte della nostra "area" che impedisce alleanze tattiche e nuove forme di strategia politica.
    Ma forse, Cristiano, l'invasione islamica imminente non permette questi voli pindarici.

    Giampaolo Cufino

  6. #6
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    Guarda Cornelio, sul problema dell' immigrazione ci possono essere diverse valutazioni, e questo è piuttosto normale.
    Tutte le posizioni, quando rivendicate con civilità, hanno la loro dignità: la posizione "filoislamica" che considera l'area dell Islam, in questo momento, l'alleato naturale dell' Europa, è tutt' altro che peregrina, io leggevo alla fine degli anni '80 Avanguardia (so che l'amico Outis è un loro collaboratore) e va riconosciuto che già allora quella rivista molto lucidamente lavorava intorno a questa ipotesi.
    D'altra parte, la componente più "identitaria" di questo Forum, ha preoccupazioni che io comprendo sullo snaturamento dello "spirito europeo" (sempre che esso esista ancora e non sia morto definitivamente nel '45, ma questa è un' altra storia ancora).
    Le due posizioni sono inconciliabili? Non necessariamente..probabile anzi che in un Islam lasciato vivere in pace diminuirebbe il numero di persone che decidono di giungere in Europa.
    Quello che, forumisticamente, mi preoccupa, è l'escalation di thread dedicati all' argomento immigrazione che rendono abbastanza difficile affrontare altre questioni.
    Da qui la mia proposta di sottoforum, che dovrebbe servire anche a riconsegnare questo spazio al dibattito politico a 360 gradi, ma che, a quanto pare, è passata del tutto inosservata.

  7. #7
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    In origine postato da cristiano72
    Guarda Cornelio, sul problema dell' immigrazione ci possono essere diverse valutazioni, e questo è piuttosto normale.
    Tutte le posizioni, quando rivendicate con civilità, hanno la loro dignità: la posizione "filoislamica" che considera l'area dell Islam, in questo momento, l'alleato naturale dell' Europa, è tutt' altro che peregrina, io leggevo alla fine degli anni '80 Avanguardia (so che l'amico Outis è un loro collaboratore) e va riconosciuto che già allora quella rivista molto lucidamente lavorava intorno a questa ipotesi.
    D'altra parte, la componente più "identitaria" di questo Forum, ha preoccupazioni che io comprendo sullo snaturamento dello "spirito europeo" (sempre che esso esista ancora e non sia morto definitivamente nel '45, ma questa è un' altra storia ancora).
    Le due posizioni sono inconciliabili? Non necessariamente..probabile anzi che in un Islam lasciato vivere in pace diminuirebbero il numero di persone che decidono di giungere in Europa.
    Quello che, forumisticamente, mi preoccupa, è l'escalation di thread dedicati all' argomento immigrazione che rendono abbastanza difficile affrontare altre questioni.
    Da qui la mia proposta di sottoforum, che dovrebbe servire anche a riconsegnare questo spazio al dibattito politico a 360 gradi, ma che, a quanto pare, è passata del tutto inosservata.
    Il problema è proprio questo: lo "spirito europeo": esiste ancora in qualche forma o è definitivamente morto e sepolto e quindi non rimane nulla da difendere in questa Europa Occidentale?
    Allora bisogna riiniziare da zero, da posizioni che sembrano perdute, da eredità dimenticate, da nuove forme di linguaggio politico, queste sono caratteristiche che contraddistinguono la Comunità Politica di Avanguardia, che come giustamente fai notare considera l'Islam un alleato naturale dell'Eurasia, senza volere nessuna islamizzazione.

    Giampaolo Cufino

  8. #8
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    In origine postato da cristiano72

    L'attrazione per il comunismo, o meglio l'aspirazione alla "riconciliazione", è propria di molti intellettuali fascisti e non c'è assolutamente nulla di strano.
    Lo stesso Beppe Niccolai, nel dopo guerra, amava ripetere che andava ricomposta la scissione del 19 con i socialisti
    Evidente che la forte componente antiborghese del fascismo francese, rendesse preferibile il comunismo a De Gaulle.



    ma non c'è una differenza, anche piuttosto netta, tra i fascisti nostrani, probabilmente esuli del partito socialista, repubblicani e genericamente "rivoluzionari", e La Rochelle che - credo - appartenga a una tradizione più "aristocratica" e antimodernista? Insomma, se i primi discendono da Sorel, il secondo non viene da Burke?
    E come mai, quindi, La Rochelle sembra aver maturato una simpatia filo-sovietica sul finire della guerra?

    PS: può essere che sto parlando a vanvera, dato che appartengo a tutt'altra "area" politica della vostra. Mi limito a formulare ipotesi, magari totalmente infondate

    PPS: grazie a te e a tutti quelli che sono intervenuti nel thread per chiarire

  9. #9
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    POVERA EUROPA!




    --------------------------------------------------------------------------------

    Questo articolo apparve su "Revolution Nationale" il 15 Maggio 1944. In realtà sul giornale fu pubblicata solo una parte del suo scritto, poiché la censura tedesca ne tagliò quasi metà. Quella qui riportata, è la versione integrale. Lo spazio divisorio indica la parte che fu censurata.


    --------------------------------------------------------------------------------

    Povera Europa, ti abbandoni ai quattro venti del tuo disastro. Vento asiatico, vento slavo, vento ebraico, vento americano. E non lo sai. Sarai morta senza saperlo. Questo perché non hai coscienza di te, o hai perso questa coscienza, o non l' hai ritrovata. Hai avuto una coscienza, ma ne hai perso man mano gli strumenti. Coscienza cristiana: coscienza per il papato, la Chiesa, i grandi ordini. Coscienza per l'espansione franca, per l'espansione germanica, per la feudalità, per l'Impero. Coscienza per l'arte francese, l'arte italiana, ancora l'arte francese, l'arte tedesca, l'arte inglese. Coscienza per i Rinascimenti, la Riforma, la Rivoluzione. Coscienza per la filosofia, la scienza. Coscienza per la monarchia, l'aristocrazia, la borghesia, il proletariato. Coscienza per il socialismo. Coscienza per la sofferenza del 1914-1918, coscienza per Ginevra. Coscienza per il fascismo e l'antifascismo, il comunismo e l'anticomunismo. Non hai ancora acquisito la tua nuova coscienza per l'internazionale delle nazioni, per la federazione delle tue potenze grandi e piccole che eleggevano una egemonia per l'unità del tuo socialismo. E, senza dubbio, l'acquisirai troppo tardi. Europa, tu che non sei un Impero, sei invasa da due Imperi. Quello russo e quello americano. Questi due Imperi vogliono la tua sconfitta e tu non lo sai. Addirittura, ti presti al gioco di questi imperi tramite le tue forze disgiunte. Molti europei sono partigiani dell'Impero russo e molti sono partigiani dell'Impero americano. Essi chiamano, con tutta la loro voce, lo spiegamento e l'esplosione della forza russa e della forza americana sull'Europa. Essi si rallegrano quando le orde asiatiche e slave entrano in Europa, nelle tue province di Romania e di Polonia, quando le flotte americane bombardano la patria delle tue patrie: l'Italia, dove, dopo lustri di decadimento, conservavi una delle tue più preziose e antiche immagini in quasi completa integrità fisica. Già dal 1941 una delle tue isole avanzate, l'Irlanda, era calpestata dagli americani e tu non te non te n'eri preoccupata. L'impero britannico era, nel mondo, una presenza dell'Europa (una compensazione al decentramento, alla stravaganza dell'Inghilterra fuori dall'Europa). Ora questo Impero è subordinato in maniera umiliante agli Imperi americano e russo. In America esso ha perduto quasi tutto ciò che vi aveva, in un certo senso in nome dell'Europa. E' una sconfitta e una umiliazione europea il fatto che le isole inglesi della costa americana siano occupate dalle guarnigioni americane; c'è da aggiungere che il Canada scivola nella versatilità americana. Risulta una minaccia per l'influenza europea nel mondo il fatto che le repubbliche sud-americane, così legate all'Europa, si pieghino sotto il giogo americano l'una dopo l'altra, e che anche l'Intelligence Service sia costretto, causa quel giogo, ad intrighi deboli e nascosti contro lo sbarco yankee. Stessa situazione nel Pacifico e in Asia, dove ciò che l'Inghilterra non ha ceduto ai giapponesi o ai cinesi, deve abbandonarlo alle iniziative difensive e offensive degli americani. Ed ecco che l'Inghilterra deve dividere con la Russia e con l'America anche l'Africa, il Vicino e il Medio-Oriente. Si può dire la stessa cosa per l'Impero francese, per l'Impero portoghese, per l'Impero spagnolo, per l'Impero olandese. E più di tutti gli altri europei, gli inglesi fanno i furieri degli americani e dei russi. Le isole britanniche, infatti dopo Guglielmo il conquistatore, sono affollate da milioni di americani ignoranti e sprezzanti. L'Inghilterra è occupata dagli extra-europei ancor prima che lo sia tutta l'Europa.

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    Se l'Inghilterra è terribilmente colpevole contro l'Europa, anche la Germania lo è. Abbandonando il proprio impero, l'Inghilterra abbandona i suoi beni, i possedimenti e i prestigi dell'Europa all'estero, scatena la doppia invasione della Russia e dell'America; d'altro canto, la Germania impedisce alle comunità europee di confederarsi intorno ad essa, non sapendo oltrepassare il suo nazionalismo, il suo imperialismo, non sapendo trasformare la sua rivoluzione particolare in una rivoluzione universale, non sapendo eliminare tutti gli elementi arretrati che veicola ancora in sé: essa, pura forza socialista, brucia sull'altare della patria europea. Nel 1940 la Germania non ha capito il proprio compito, l' ha solo presentito oscuramente: ha pronunciato la parola Europa senza mettervi niente di più di un vago fremito istintivo. Assorbito dalla sua giusta visione del pericolo russo, il preveggente Hitler ha sempre agito con saggezza in funzione di questo pericolo. Ma non ha capito che i gesti da lui compiuti fuori della Russia non potevano non essere scorti dagli interessati nel loro rapporto con quel pericolo ignorato, nato in una vasta zona dell'Europa. Credeva che le "occupazioni" fossero solo una tappa verso qualcos'altro, verso la ripresa della marcia ad Est, forse solo parate secondarie e accessorie rispetto a quel movimento essenziale. Ma esse non sono state considerate tali dagli interessati, i quali vi hanno visto solo il preludio a volgari conquiste. Abbiamo dunque una serie di territori occupati che si ritengono gli elementi virtuali di un accatastamento imperialista; non si può trasformarli nelle trasposizioni viventi di una dichiarazione scritta, volontariamente orientate verso una egemonia elettiva, se non si spande ovunque un soffio comune, un movimento comune, che coordinino in una azione e in una speranza comuni gli abitanti sconcertati di questi territori. A queste popolazioni, le quali in quanto occupate si considerano in procinto di essere conquistate, non si può chiedere di offrire operai e soldati se non si propone loro al tempo stesso un impegno interiore. Impegno che, essendo simultaneamente interiore ad ogni popolo d'Europa, si riveli comune a tutta l'Europa. Le genti di Polonia e di Bretagna, di Norvegia e di Grecia non possono aver voglia di difendere l'unione dei loro paesi in quanto Europa, a meno che non si dia loro qualcosa di nuovo da difendere; qualcosa che in quanto europei, li sta ora interessando. L'Europa non può interessarsi a se stessa come un ricordo da resuscitare, un ricordo ignorato dalla maggioranza; si può interessare solo ad un nuovo impegno, il quale potrà renderle tangibile la sua esistenza, che questa inizi o che ricominci. Può capire la guerra esteriore solo nelle opere di una guerra interiore; può capire una guerra contro il comunismo solo nella realizzazione della guerra socialista. La Germania poteva suscitare l'interesse dei popoli alla sua presenza, permettere loro di vederla sotto una angolazione diversa da quella dell'occupante, solo facendo di questa presenza una presenza rivoluzionaria. I tedeschi non interessano in quanto tedeschi, non più degli inglesi, americani o russi; ciò che interessa è quello che gli uni e gli altri possono apportare. Gli uni il comunismo, gli altri la democrazia capitalista; i tedeschi dovevano imporre il socialismo. Ogni occupazione tedesca doveva trasformarsi in una rivoluzione nazionale; sarebbe stata una palpitazione della rivoluzione europea. Inizialmente i popoli sono rimasti delusi dalle occupazioni tedesche, proprio perché sono state delle occupazioni; ci si rassegnava nel bene o nel male; ci si rassegnava ad essere rovesciati. C'era un'invocazione in quel terrore che, nel 1940, aveva preceduto l'arrivo delle armate tedesche: si credeva che fossero delle armate rivoluzionarie, più rudi, ma al tempo stesso più innovatrici. Purtroppo non è successo niente: erano solo armate d'altri tempi e, in un primo momento, solo più gentili di quelle. Dapprima sono apparse rassicuranti; poi si è iniziato a dare voce alle lagnanze, divenute sempre maggiori. Avremmo preferito essere più scossi all'inizio, sconvolti. Si è trattato solo di una occupazione militare la quale, contro le varie difficoltà, ha potuto reagire solo con i mezzi militari e, poi, polizieschi. Non abbiamo conosciuto il nazional-socialismo, abbiamo conosciuto solo gli eserciti e la polizia. Non abbiamo conosciuto il contenuto della Germania hitleriana, ma solo i suoi strumenti esteriori. La Germania ha voluto rispettare l'antica convenzione delle autonomie, delle sovranità nazionali. Allora ha dovuto impiegare i mezzi, non meno convenzionali di quelli che si usavano in passato, per circuire e assediare queste autonomie: mezzi di pressione diplomatici, finanziari, economici, militari, politici. Ma c'era bisogno dei mezzi più nuovi, più rispettosi, più vitali della conquista rivoluzionaria. Fare appello alle grandi alleanze intime, dirette, tra il genio del popolo tedesco e il genio degli altri popoli, tra le forze rivoluzionarie di Germania e di altre nazioni. Per poggiare l'egemonia militare sulla federazione delle rivoluzioni. E' ciò che, invano, avevano cercato di fare gli anglo-americani; è ciò che, di sicuro, faranno i russi. Gli americani hanno dei veri alleati: i democratici; i russi hanno i comunisti; i tedeschi non hanno riconosciuto i loro alleati naturali, i socialisti europei. Ma questi, pochi all'inizio, potevano sviluppare le loro forze solo in un clima di tumulto generale, di convergenze ardenti. La Germania ha avuto paura. Temendo per la coesione e l'efficacia del suo esercito, la Germania ha avuto paura di farne un'arma rivoluzionaria; ma i soli eserciti che hanno fatto la storia nel mondo sono stati quelli delle rivoluzioni armate. La Germania ha avuto paura di cessare d'essere se stessa per divenire l'Europa; la sua aquila non è divenuta una fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri. E' dunque troppo tardi? La comunità delle sofferenze per i massacri russi e americani, gli incendi, le rovine: tutto ciò va forse a confondere occupanti e occupati, conquistatori e conquistati, difensori e difesi? Ci sono ancora frontiere, in Europa, per i nugoli di aerei americani, per le orde asiatiche? Ci sono ancora dogane tra le folle ridotte alla miseria? Può esserci forse una bandiera diversa da quella rossa, sulla superficie di un continente interamente ridotto al socialismo marxista, volente o nolente? Chi mai potrà risollevare l'Europa delle rovine, se non il socialismo? Non saranno certo le banche o i trusts. Ora è tempo non solo che i tedeschi proclamino, ma realizzino il socialismo europeo sulle rovine dell'Europa. Perché in mezzo a queste rovine, c'è ancora la nostra anima da difendere. Il momento peggiore è il momento migliore. Le trasmutazioni sociali decisive si compiono in piena guerra. E' stato in piena guerra che l'Inghilterra puritana, la Germania luterana, la Francia giacobina e la Russia leninista, hanno compiuto i passi decisivi nella lotta all'interno. E' in piena guerra, quando i russi avanzano, che bisogna compiere i gesti decisamente europei e socialisti.

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    In origine postato da cristiano72
    Mi sembra di ricordare che le parole di Drieu la Rochelle per spiegare il suo suicidio furono "abbiamo giocato ed io ho perduto, esigo la morte"
    Insomma, un suicidio "stoico", nè più nè meno.
    Tuttavia, l'anelito era un altro , e una volta persa la battaglia, Drieu ha deciso di scegliere l'estremo atto di coerenza.
    "Non sempre bisogna cercare di tenere la vita , perchè vivere non é un bene , ma é un bene vivere bene . Così il saggio vivrà quanto deve , non quanto può" (Seneca).
    Mi sembra che il compendio migliore per la vicenda La Rochelle sia la frase di Seneca, che ha in sé la traccia ideale che ognuno di noi dovrebbe seguire.
    Difficile, arduo, ma esaltante, nobile, eroico!
    Che io abbia questo coraggio, se mai vedrò che la mia vita non val la pena di essere vissuta.
    Raffaella

 

 
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