Vi posto questo interessante articolo che ho trovato nel Web:

C’era una volta un sindacato liberista


In tempi di scioperi selvaggi e di sindacati politicizzati, fa bene leggere un po’ di letteratura di “nicchia”. Riprendendo la breve ma intensa ricostruzione della storia dei sindacati fatta da Guglielmo Piombini nel “Libro grigio del sindacato” (edito da Il Fenicottero due anni fa), si scoprono due piacevoli realtà: il sindacato non è mai stato così autoritario e invadente nella vita dei cittadini così come lo è oggi. Antenati dei sindacati, non bisogna dimenticarlo, sono le corporazioni. Nel medioevo si trattava di associazioni libere a cui aderivano volontariamente i lavoratori di un particolare settore, soprattutto per aiutarsi reciprocamente. Con la nascita degli Stati nazionali, dal XVI secolo in poi, le corporazioni si sono fatte proteggere dal re, che emetteva leggi durissime a loro tutela e protezione. Puntualmente sono diventate caste chiuse, gerarchiche, oppressive, con cariche ereditarie, che hanno provocato un notevole rallentamento del progresso scientifico e una disoccupazione sempre maggiore fra quelli che non ne facevano parte. Nel XVIII secolo, i lavoratori si sono ribellati. Prima aggirando le corporazioni, recandosi a lavorare nelle prime fabbriche, che erano al di fuori di ogni ordine costituito, poi ribellandosi apertamente. Parlare di ribellione dei lavoratori contro i sindacati, oggi sembra solo un delirio, ma tre secoli fa, la ribellione contro le corporazioni fu un fenomeno rivoluzionario quanto popolare. Il frutto di questa ribellione furono leggi anti-corporative, come la Legge Chapelier del 1791 o le leggi contro il diritto di sciopero inglesi del 1799. Chi picchettava le fabbriche e sabotava i macchinari, allora, era bollato come un conservatore: i membri delle vecchie corporazioni che avevano perso i loro privilegi, appoggiati dai politici più conservatori, i Tories in Inghilterra, i monarchici in Francia e nel resto dell’Europa continentale. I lavoratori, per tutto il XIX secolo, erano dalla parte degli industriali: combattevano la stessa loro battaglia liberista contro i privilegi dell’aristocrazia. “Ripudiamo qualsiasi interferenza governativa nelle associazioni dei lavoratori” scriveva il giornale operaio Bee-Hive nell’Inghilterra dell’800 “…credendoli sufficientemente capaci, onesti e intelligenti da controllare i loro affari senza l’aiuto di funzionari del governo e di burocrati”. Parole che ora sarebbero bollate come “estrema destra” dai sindacalisti. Lo stesso marxismo, al di là della Manica, era visto come una dottrina delirante generata da sistemi autoritari malati. Le idee del marxismo, sempre secondo la rivista operaia Bee-Hive erano definite “rabbiose scemenze”. Negli Stati Uniti dell’800, dove non c’era una monarchia, difensori dei lavoratori sfociavano direttamente nell’anarco-individualismo. Un pensatore di “sinistra” come Tucker poteva perfino permettersi di dare lezioni di liberismo a Herbert Spencer (oggi studiato con orrore come un “darwinista sociale liberista”). Violenza e lotta di classe erano ripudiate e considerate parte della degenere scena politica europea. Anche in Italia, i proto-socialisti del Partito Operaio erano sostanzialmente un movimento anti-statalista il cui programma “era più vasto e radicale. Per essa (la rivoluzione, ndr) si trattava non già di esser governati da tale o tal’altro padrone, da tale o tal’altra classe, ma di non esser più governati; si trattava di aumentare il potere e la libertà dell’Individuo, diminuendo il potere e la libertà dello Stato” si leggeva sul giornale “La Plebe” del 1872. I sindacati erano più liberisti e le leggi con cui la loro attività era (anzi: non era) regolata erano quelle di una legislazione liberale. “Ammetto la libertà delle coalizioni e quindi anche quella per gli scioperi” - dichiarava Quintino Sella nel 1868 - “La fissazione del salario è per me un contratto come un altro. Se il fabbricante e l’operaio si accordano sul prezzo, bene: se no si lasciano, né più né meno come se si trattasse di un acquisto ordinario. E io vorrei anche che il governo e gli agenti governativi non si ingerissero punto negli scioperi, purché non si eserciti violenza”. Non si parlava di contratto collettivo. Non si parlava di alcuna legge a tutela dei lavoratori. Quelli erano solo privilegi del passato che andavano combattuti. Patti chiari e amicizia lunga, dunque. Mica come adesso!