Provette scambiate, dopo il caso di Torino una storia successa
quattro anni fa al policlinico di Modena. "Siamo addolorati"
Figli di colore a una coppia bianca. "Ora l'ospedale ci deve risarcire".
di PAOLA CASCELLA
MODENA - La colpa è di una provetta "sporca", una provetta che doveva essere buttata via dopo l'uso, come si fa sempre. E che invece rimane su un tavolo e viene utilizzata due volte. Così, probabilmente, una donna italiana con problemi di sterilità ha ricevuto gli spermatozoi di una coppia di nord africani, un uomo e una donna anche loro alla ricerca di un bambino attraverso la fecondazione assistita, e non quelli del marito. Nove mesi più tardi partorisce due gemelli con la pelle scura, mentre oltretutto, per uno scherzo del destino, gli stranieri vedono svanire le speranze di diventare genitori: l'intervento di fertilizzazione al quale si sono sottoposti, per loro non ha funzionato. Niente figli.
E' il secondo caso, il secondo "errore della provetta", dopo la vicenda di Torino. Un errore banale, un paradosso, che ha prodotto effetti gravissimi. Si può solo immaginare il terremoto che ha investito la famiglia dopo la nascita dei due gemellini mulatti. E' accaduto al Centro di riproduzione medicalmente assistita del Policlinico di Modena, una delle strutture pubbliche più rinomate nel panorama italiano, proprio per la serietà del protocollo di garanzia messo a punto per l'utenza già da una quindicina d'anni. Stavolta però le regole non sono servite.
La storia risale a quattro anni fa, ma soltanto ora, a metà luglio, la famiglia italiana si è decisa a presentare una richiesta di risarcimento all'azienda ospedaliera modenese. Nessuna denuncia penale, solo una citazione civile dopo l'esame del Dna che ha confermato l'errore. Non si sa perché la coppia abbia aspettato tanto, ma è probabile che dietro il ritardo ci sia stato un lungo travaglio personale di marito e moglie.
Immediatamente sono partite due indagini da parte della direzione generale dell'Asl, che è assistita dagli avvocati Massimo Jasonni e Giancarlo Pazzaglia. Sono state nominate una commissione interna ed una esterna per cercare di appurare cosa sia realmente avvenuto quel giorno di quattro anni fa. "Sono profondamente addolorato. E anche esterrefatto.
Purtroppo l'errore umano è possibile. Lo può fare chiunque. Quando abbiamo saputo, ci siamo precipitati a recuperare le cartelle cliniche - spiega il responsabile del centro Annibale Volpe - ed è subito venuto fuori che quel giorno avevamo fatto tre interventi. Due su coppie italiane, il terzo su una coppia di nordafricani". Una conferma per il professore, che già ora è convinto di aver capito qual è stato l'errore della sua equipe, tre medici, due biologi e un'ostetrica. "Normalmente trattiamo una sola coppia al giorno. Preleviamo l'ovulo giunto a maturazione, lo buchiamo e inseriamo lo spermatozoo. Tre giorni dopo trasferiamo l'embrione nell'utero della donna". Ma a volte le procedure saltano perché la natura fa di testa sua, spiega Volpe. "I tempi di maturazione degli ovuli femminili sono diversi. Quel giorno dall'ecografia si capì che erano pronte le uova delle donne di tre coppie. E così facemmo tre interventi. Usiamo procedure puntualissime, ma evidentemente una pipetta "sporca", già usata una volta, non fu buttata via. L'abbiamo utilizzata una seconda volta e dentro dovevano essere rimasti alcuni spermatozoi della coppia precedente".
Un'altra spiegazione, fa capire il professore, è praticamente impossibile. Le procedure d'intervento sono molto rigide, "una quindicina di pagine di regole", spiega Volpe. Ciascuna provetta porta il nome dell'uomo e della donna che sono alla ricerca di un bambino, i tappi usati sono di un colore diverso per le coppie trattate. E in ogni fase del prelievo e del trasferimento del materiale genetico il medico interroga la coppia per farsi confermare l'identità corretta, anche quando la conosce personalmente da molto tempo.
dal sito www.repubblica.it