Originally posted by nuvolarossa 06-07-04
LA SVOLTA NELL’ECONOMIA
Allievo di La Malfa e Spadolini, ha costruito la sua credibilità nel segno del rigore - Piace al centrosinistra, ma su fisco e pensioni non è distante da Berlusconi
ANTONIO GALDO
I segreti del dicastero del Tesoro, oggi dell’Economia, li conosce bene: già nella metà degli anni Settanta il giovane professore
Mario Monti scriveva appunti e relazioni indirizzate a Ugo La Malfa, il ministro del rigore. E per quanto non sia mai stato iscritto a un partito, ma sempre assegnato dalle schede biografiche alla riserva indiana dei supertecnici,
Monti ha un profilo politico che lo avvicina molto ai codici genetici del vecchio mondo repubblicano.
La sua carriera universitaria inizia e finisce alla Bocconi, il regno di Giovanni Spadolini. Qui Monti si è laureato in Economia a ventidue anni (è nato a Varese il 19 marzo del 1943), ha fatto l’assistente fino alla conquista dello status di professore ordinario all’università di Trento, il titolare della cattedra di Economia e Politica, il direttore di istituto, e infine, il rettore e il presidente, proprio in sostituzione di Spadolini.
Negli stessi anni Monti si è insiediato nel cuore dell’establishment finanziario ed è diventato editorialista del Corriere della Sera e consigliere di amministrazione di alcuni colossi dell’economia nazionale, come la Fiat, le Generali e la Comit, dove è stato vicepresidente dal 1988 al 1990.
La svolta arriva nel 1995. Delle due poltrone che spettano all’Italia nella Commissione europea guidata da Jacques Santer, una è assegnata a Monti: un chiaro segnale distensivo di Berlusconi nei confronti di quei poteri forti che guardano il capo del governo, con il suo partito di Forza Italia, come un marziano, tanto da prenderne nettamente le distanze. A Bruxelles Monti arriva con il suo stile. Misurato, cauto, freddo. La casella che occupa (mercato interno e servizi finanziari) non è una delle più importanti, eppure basta al professore per costruire una sua credibilità di tecnocrate europeista. Da qui la promozione, con il governo di Romano Prodi, nella trincea della direzione generale della concorrenza dove nasce il mito di SuperMario. Monti, infatti, con il suo aplomb stoppa, nel nome delle legge del mercato, importanti fusioni come quelle tra la General Eletric e Honeywell, condanna alla maximulta l’intoccabile Bill Gates con la sua Microsoft e non si inchina di fronte al mondo pallonaro italiano quando respinge al mittente il decreto salvacalcio. La sconfitta che più gli brucia è nella battaglia contro gli ordini professionali, che inchioda con puntuali relazioni alla loro dimensione di feudali corporazioni.
Con un curriculum così prestigioso diventa naturale l’uso del nome di Monti come uno dei possibili uomini di prima linea dei moderati italiani. Nel 2001 l’ex rettore della Bocconi rifiuta l’offerta di Berlusconi di ministro degli Esteri, anche perché è stato proprio il leader del Polo a giocargli un brutto scherzo. Quando Berlusconi cadde con la trappola parlamentare durante la sua prima esperienza di premier, l’allora capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, gli offrì proprio il nome di Monti come possibile successore. E Berlusconi preferì il suo ex ministro Lamberto Dini: una scelta della quale non ha mai finito di pentirsi.
Adesso la scena si ripete, anche se in condizioni molto diverse. Tra Berlusconi e Monti, dal punto di vista delle scelte di fondo, c’è una buona sintonia. Il commissario europeo condivide l’abbattimento della pressione fiscale («in Europa è troppo forte, e una politica di riduzione delle tasse mi vede favorevole» ha detto fino al maggio scorso); invoca interventi per stimolare la crescita, «altrimenti l’Italia corre il rischio di non agganciare la ripresa economica»; è favorevole alla ripresa delle pensioni, anche «per tutelare le nuove generazioni»; considera la legge Biagi un «passo importante, nella giusta direzione, per modernizzare il paese». E quando Giulio Tremonti è andato alla scontro frontale con il governatore Antonio Fazio, Monti non si è tirato indietro, censurando il doppio ruolo della Banca d’Italia che allo stesso tempo regola il mercato bancario e vigila sulla sua trasparenza.
Strada in discesa, dunque, per l’investitura di Monti a via XX Settembre? In teoria, sì. In pratica, anche l’incertezza del commissario si comprende meglio alla luce di un elemento: il ministero dell’Economia sarà l’epicentro della battaglia politica nei prossimi due anni. Altro che ruolo tecnico. Già con Tremonti, attorno alla difficile gestione dei conti pubblici, si è costruito l’asse privilegiato Forza Italia-Lega dell’alleanza del centrodestra. Con le dimissioni del ministro quella linea è stata sconfitta e non mancheranno le scosse prima che si formi attorno al ministero dell’Economia un nuovo equilibrio. Squisitamente politico.