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    Predefinito AZ - Il Sole 24 Ore - 07 set

    La rotta del mercato

    di Dominick Salvatore


    L'Alitalia può essere salvata, ma si richiedono profondi sacrifici per ristrutturarla e renderla competitiva. Sono molte le compagnie aeree in crisi per la concorrenza dei low-cost carriers, per l'incremento del costo del carburante e per il costo della protezione contro il terrorismo internazionale. Tuttavia, quasi tutte - sia quelle ancora sotto il controllo dei governi, sia quelle private - hanno attraversato periodi di crisi negli scorsi anni e hanno dovuto effettuare profonde e dolorose ristrutturazioni che hanno permesso alla gran parte di loro di ritornare a essere competitive sui mercati internazionali e nazionali. L'Alitalia invece, che da anni si trova in una situazione più precaria rispetto a quasi tutte le sue concorrenti, ha visto progressivamente peggiorare la propria situazione economica, fino ad arrivare, ora, sull'orlo del fallimento. Inesorabile è il tempo perso di cui si devono pagare adesso le pesanti conseguenze.
    Le ragioni della situazione attuale sono molteplici. La gestione politica dell'Alitalia ha generato un grado d'inefficienza economica paurosa e incredibile in un Paese avanzato. Poi ci sono i sindacati che hanno ottenuto salari, orari e regole di lavoro del tutto ingiustificabili dal punto di vista della produttività e dei costi del lavoro.
    Adesso, i sindacati sarebbero disposti a negoziare sul piano di ristrutturazione, sia sugli esuberi, sia sugli orari e le altre condizioni di lavoro. Ma è troppo tardi! Nella disperata situazione odierna, il tempo è scaduto e la compagnia fallirà fra qualche settimana se il piano non sarà adottato immediatamente. Ha ragione Giancarlo Cimoli (il nuovo e altamente qualificato presidente e amministratore delegato dell'Alitalia) a non volere utilizzare il prestito di 400 milioni di euro che il Governo (con l'approvazione di Bruxelles) ha messo a disposizione della compagnia.
    Senza la dolorosa ristrutturazione, tale somma sarebbe sperperata per poi far ritrovare la compagnia in breve tempo al punto di partenza. Se si vuole proteggere almeno parte dei posti di lavoro, Alitalia deve subito attuare il piano di ristrutturazione, come hanno fatto negli anni recenti le altre grandi compagnie aeree europee. Solo in questo modo sarà possibile recuperare la credibilità necessaria a ottenere i due miliardi di euro necessari entro il prossimo anno per effettuare una valida ristrutturazione della compagnia.
    Nel 2002, British Airways ha lanciato un programma di ristrutturazione che ha tagliato 13mila posti (più del 20%) e che le ha permesso di ridurre i costi di gestione per circa un miliardo di euro nel giro di due anni. Anche Lufthansa, Air France, Iberia, Klm e Swissair (quest'ultima dopo essere passata sotto le forche caudine del fallimento ed essere risorta come Swiss) sono state forzate a mettere in atto profonde ristrutturazioni per poter rimanere competitive.
    L'Alitalia invece, il cui livello di inefficienza era ed è di gran lunga superiore a quello dei suoi competitori più vicini, non è riuscita a fare quasi nulla per ridurre i suoi costi di gestione. Stime riportate su queste pagine nei giorni scorsi indicano che gli esuberi del personale Alitalia sono addirittura superiori a quelli di British Airways, ma finora la gestione non aveva potuto nemmeno porre sul tavolo questi numeri.
    Ma il diritto al lavoro si ottiene attraverso politiche economiche che incentivano la crescita nazionale e non forzando le imprese a subire pesanti esuberi di forze lavorative e costi. Altrimenti l'impresa fallisce. Il periodo durante il quale un governo poteva intervenire direttamente per mantenere in vita un'impresa inefficiente attraverso sussidi pubblici è finito, sia perché il debito pubblico nel caso italiano è insostenibile sia perché Bruxelles non lo permette più.
    Questo non solo per Alitalia, ma per qualsiasi altra impresa italiana ed europea. Sebbene ci sia stata qualche eccezione in passato (come nel caso di Chrysler negli anni 80), questo è ancora più vero negli Stati Uniti, dove il Governo è molto meno disposto a fare prestiti o sostenere imprese inefficienti. Proprio nel settore aereo, in questi giorni, il Governo ha rifiutato un prestito di 1,6 miliardi di dollari alla United Airlines, per facilitare la sua ristrutturazione e quindi uscire dallo stato fallimentare in cui versa. Questo, in ogni modo, coinvolgerebbe una riduzione del suo personale di almeno 6mila unità dopo i più di 42mila posti di lavoro (circa 40% del totale) gia eliminati dall'11 settembre 2001. Se un'impresa va male e la colpa è del management, lo si cambi; altrimenti si lasci all'impresa il compito della gestione senza vincoli di proteggere i posti di lavoro, perché altrimenti si otterrebbe a medio termine l'effetto esattamente l'opposto.
    Quando negli anni scorsi, ad esempio, si trovò in forte difficoltà competitiva, la Mercedes dichiarò ai sindacati di non avere due diverse contabilità, una segreta e l'altra pubblica. Se il sindacato aveva delle proposte per migliorare la situazione, che le rendesse note al management, altrimenti lasciasse all'impresa la possibilità di produrre motori nella Repubblica Ceca e di costruire molti dei veicoli per il mercato americano negli Stati Uniti, anche se tutto questo comportava una forte riduzione dei posti di lavoro in Germania. L'alternativa sarebbe stata di chiudere l'impresa o trasferirsi completamente all'estero, eliminando quindi non alcuni, ma tutti i posti di lavoro in Germania. I sindacati furono d'accordo e la Mercedes poté riprendersi e sostenere la competizione estera, specialmente quella giapponese.
    Nel caso della Fiat, nessuno può accusare l'Italia di non saper costruire macchine belle e di ottime prestazioni. È la patria delle brillanti Ferrari! E allora perché anche la Fiat deve lottare per uscire da una situazione precaria, mentre la Renault, che non opera in un mercato meno rigido di quello italiano, costruisce macchine belle ed efficienti, produce ingenti profitti e ha anche salvato la Nissan dal fallimento (e per di più ha ripagato decine di miliardi di euro del debito di Nissan)?
    Questi fatti devono far riflettere profondamente tutti i cittadini, non solo gli uomini politici e i sindacalisti. Come scritto sul Sole-24 Ore il 17 agosto, le regole economiche non possono essere abrogate, specialmente nel mondo globalizzato di oggi. I diritti dei lavoratori devono essere salvaguardati, ma non a scapito dell'efficienza. Altrimenti, non si protegge niente e nessuno.
    L'Italia è diventata una nazione ricca per la sua capacità di creare nuovi prodotti e introdurre e utilizzare nuovi metodi di produzione. Questi punti di forza, e non la ricerca di protezioni dalla concorrenza, hanno permesso alle sue imprese in passato di affrontare e vincere la sfida della concorrenza internazionale. E questa rimane la strada vincente per il futuro.

    7 settembre 2004

  2. #2
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    Predefinito

    Ma sto qui fa parte del forum .
    E' un articolo , per quanto mi riguarda , perfetto .
    Ciao
    Italex

 

 

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