....e i bambini

Le giovani donne cecene stanno terrorizzando i russi partecipando a missioni suicide.
Ma s’immolano come martiri spontaneamente, o sono soltanto pedine in una guerra di uomini?
Soltanto una di loro è sopravvissuta per raccontare la sua storia.
Zarema Muzhakhoyeva, ventidue anni, non è riuscita a far scoppiare il chilo e mezzo di esplosivo che portava nel suo zainetto.
Il 9 luglio dello scorso anno, seduta in un bar di Mosca, fece un lungo respiro e mise la mano sul detonatore, prima con calma, poi in modo frenetico. “Ho pigiato il bottone almeno venti volte per far scoppiare la bomba, ma non funzionava”, ha poi raccontato durante gli interrogatori.
Alla fine la bomba è scoppiata: un esperto del servizio di sicurezza federale, il maggiore Georgy Trofimov, di soli 29 anni, ha perso la vita nel tentativo di disinnescarla.
Zarema non corrisponde alla figura di una tipica attentatrice suicida soltanto perché è ancora viva.
Arrestata dalla polizia russa subito dopo il fallimento della sua missione (…), è stata rinchiusa in una prigione di Mosca.
A causa del suo fallito tentativo, di Zarema si sa molto di più che di qualsiasi altra donna-bomba. Ha avuto la possibilità di raccontare la sua storia ai mezzi di informazione russi, non però con interviste dirette ma attraverso i rapporti forniti dalla polizia.

Sulla lista dei passeggeri degli aeroplani
Sulla lista dei passeggeri degli aeroplani che sono caduti martedì 24 agosto c’erano i nomi di due donne cecene, una per ogni aeroplano.
La Russia comincia a essere ossessionata da queste donne, e per buone ragioni: negli ultimi due anni, praticamente in tutti gli attentati suicidi connessi alla questione cecena c’erano donne tra gli attentatori.
Anzi, alcuni di questi attentati sono stati eseguiti soltanto da donne.
Lo scorso dicembre, due donne si sono fatte esplodere a pochi metri dal Cremlino, uccidendo cinque persone e ferendone dodici, soltanto pochi giorni dopo che altre due donne erano state viste fuggire da un treno esploso nel sud della Russia, in cui hanno perso la vita 44 persone.
Nell’assedio del Teatro Dubrovka di Mosca, nell’ottobre 2002, quasi la metà dei terroristi erano donne.
Nel luglio 2003, due attentati suicidi a Mosca sono stati compiuti da donne non ancora trentenni.
Sorprendentemente, Zarema non è una temeraria islamista, aspirante a un posto in paradiso.
La sua è una storia di povertà e disperazione, tipica in un paese che da dieci anni a questa parte non ha conosciuto altro che guerre.
Dal 1994 al 1996, le truppe di Boris Eltsin hanno controllato con grande severità la nuova Repubblica in cui Zarema era cresciuta. La Cecenia è rimasta in condizioni d’instabilità per tutti gli anni 90, e nel 2000, dopo alcuni attentati a Mosca, attribuiti agli estremisti ceceni, il presidente Putin vi ha nuovamente inviato l’esercito.
Achkoi-Martan, la regione in cui Zarema era nata ed era stata cresciuta dai suoi nonni, è stata in gran parte distrutta durante il primo intervento dell’esercito russo.
Il suo destino fu segnato durante il secondo intervento.
Era andata a scuola fino ai quindici anni, poi era rimasta incinta e si era sposata. Suo marito morì combattendo per l’indipendenza cecena, prima che Zarema partorisse.
Secondo la tradizione cecena, lei e sua figlia diventavano in questo caso una “proprietà” della famiglia del defunto marito, che la trattò come una schiava.
Alla fine fuggì, abbandonando la figlia (perché, come lei sapeva benissimo, la famiglia non le avrebbe mai permesso di tenersi la sua bambina). Andò avanti facendo di tutto, anche rubando e prendendo soldi in prestito.
Dopo un po’ i suoi debiti divennero così grandi che un gruppo di uomini dai quali si era fatta prestare denaro le disse che non aveva altra scelta che pagare con la vita: se avesse portato a termine una missione suicida, i suoi debiti sarebbero stati cancellati e la sua famiglia avrebbe anche ricevuto dei soldi. Rimase per un mese in un villaggio di montagna con alcuni guerriglieri ceceni, che la riempirono di racconti sulle atrocità russe.
Alla fine era “pronta” per la sua missione, e fu mandata in una casa a Mosca, dove si occupò di lei una donna che aveva il nome in codice di “Fatima nera”.
Zarema ha detto che voleva compiere l’attentato suicida per vendicare la morte del marito, ma ha anche ammesso che, ogni giorno, le veniva messa droga nell’aranciata.
Il giorno fissato, fu mandata in un bar nel centro di Mosca; ha cercato di far scoppiare la bomba in tre locali diversi prima di essere arrestata dalla polizia in un quarto ristorante. (…)
Zarema era davvero pronta a sacrificare la sua vita, o era soltanto una vittima sfruttata?
La sua storia probabilmente dimostra che per molte “vedove nere” della Cecenia la ragione della loro scelta sta a metà strada tra la volontà e la coercizione.
Fino a poco tempo fa, le donne-bomba della Cecenia sono state descritte come martiri religiose che hanno scelto di morire per il loro paese e la loro fede, come alcune note donne palestinesi:
Wafa Idris, paramedico ventisettenne, prima donna-bomba al mondo, e Ayat al-Akhras, diciotto anni, la più giovane palestinese a farsi esplodere.
In realtà, la situazione cecena è diversa da quella dei paesi arabi, dove il terrorismo è strettamente legato al fondamentalismo islamico: ben lungi dall’essere combattenti per la libertà con un uguale diritto di morire in nome delle loro convinzioni, le donne martiri della Cecenia si offrono di morire probabilmente solo perché costrette con la forza e il ricatto o perché convinte con una specie di lavaggio del cervello. (…) Nella maggior parte dei casi, come in quello di Zarema, sono pedine in una guerra di uomini.
Nell’assedio del Teatro Dubrovka, in cui sono morti tutti i 41 terroristi che vi avevano partecipato (18 donne), oltre a 129 ostaggi, si segnala il caso di due donne-bomba cecene: le sorelle Fatima e Khadzhad Ganiyeva.
Si è poi saputo che il loro fratello Rustam Ganiyev, guerrigliero ceceno non coinvolto nell’assedio del teatro, era stato pagato 1.500 dollari per sorella dal signore della guerra ceceno Shamil Basayev.
Dopodiché, una terza sorella, Raisa, si è consegnata alle autorità russe per evitare lo stesso destino.
La giornalista Maria Zhirkova, quarant’anni, cura la rubrica delle lettere su Zhizn (“Vita”), il quotidiano più venduto a Mosca. Affronta spesso il tema dei terroristi donna.
I russi sono terrorizzati dalle “vedove nere” della Cecenia, ma Zhirkova è convinta che molte di queste donne abbiano subito un lavaggio del cervello:
“In Russia, la chiamiamo ‘zombizzazione’; ci sono molti modi per drogarle e schiavizzarle, in modo che non si rendano conto di quello che fanno… E’ molto difficile comprendere l’infima posizione che la società cecena assegna alla donna: la loro vita non conta nulla. Gli stupri sono una scottante questione: se lo stupro di una donna è filmato, la donna può essere ricattata e costretta a fare qualsiasi cosa, perché lo stupro è considerato un disonore per lei e la sua famiglia. Sono certa che questo sia capitato ad almeno alcune delle donne che hanno compiuto attentati suicidi. Sono anch’esse vittime, al pari delle persone che hanno ucciso”.

Ritratto di Zulikhan Elikhadzhiyeva
La storia di Zulikhan Elikhadzhiyeva lo dimostra chiaramente. Zulikhan, diciannove anni, era una delle due donne che si sono fatte esplodere durante un concerto rock a Tushino, appena fuori Mosca, il 5 luglio 2003.
Nell’attentato hanno perso la vita 20 persone e altre 40 sono rimaste ferite. I genitori di Zulikhan sono stati intervistati due volte: dicono che la loro figlia era stata rapita dal fratellastro Danilbek, guerriero ceceno, e condotta a Mosca.
Quando scomparve dalla circolazione, cinque mesi prima dell’attentato, Zulikhan aveva una bella vita e stava prendendo il diploma di ostetrica. (…)
La giornalista russa Anna Politkovskaya, che in Cecenia ha incontrato decine di donne che si proclamano pronte a compiere missioni suicide, dice che, ironicamente, le più famose donne-bomba (le ragazze diciottenni che hanno partecipato all’assedio del teatro) sono considerate “vere eroine”, anche se, con ogni probabilità, l’hanno fatto perché costrette.
Politkovskaya ritiene anche che uno dei principali motivi che spingono queste donne sia la vendetta per la morte dei loro cari. Raramente hanno un motivo religioso: “In Cecenia, migliaia di donne sono ‘zombizzate’; ma sono zombizzate dalla loro pena e dal loro dolore”. (…)
I sopravvissuti russi all’assedio del teatro hanno detto di avere provato una certa simpatia per le donne cecene.
Tamara Starkova, pediatra di 42 anni che ha perso il marito e la figlia, ha detto:
“Degli uomini ceceni mi ricordo soprattutto che andavano di qua e di là gridando. Ma le donne ci chiedevano ‘per piacere’ quando volevano qualcosa. Ho in qualche modo compreso queste donne. Una ci disse che aveva perso il figlio e il marito, e probabilmente qualsiasi donna nella stessa condizione sarebbe capace di fare la stessa cosa”. (…)
Il polacco Andrej Zaucha, autore di un libro sull’assedio del teatro (Moscow: Nord-Ost), ha incontrato i sopravvissuti e ha chiesto quale fosse stato il loro rapporto con le terroriste durante i quattro giorni in cui erano rimasti ostaggi.
“C’erano alcune terroriste che aiutavano gli ostaggi”, dichiara Zaucha. “Portavano nel teatro medicine, cibo e acqua. Permettevano ad alcune persone di andare al bagno senza dover fare la coda. Un ostaggio mi ha detto: ‘erano delle specie di suore’”.
Numerosi ostaggi si ricordavano in particolare di una donna chiamata “Asya” (molto probabilmente Aset Gishnurkayeva, la cui casa è stata poi bombardata dall’amministrazione cecena come ritorsione per la sua partecipazione all’assedio). Aiutava molti ostaggi, e li rassicurava sul fatto che le ragioni dei terroristi erano pacifiche. Diceva che aveva partecipato alla missione “affinché i nostri bambini possano crescere in pace”. Zaucha ha qualche dubbio sulla tesi della coercizione, delle droghe e degli stupri. Ritiene che tutte le donne abbiano partecipato all’operazione di propria spontanea volontà, e che fossero spinte da motivi di vendetta personale. “Al governo russo conviene dire che tutto si spiega con le droghe, il lavaggio del cervello e il ricatto”, sostiene Zaucha. “Ufficialmente, secondo le autorità russe la situazione in Cecenia non è affatto grave, e perciò non vogliono che qualcuno pensi che queste donne potrebbero avere delle ragioni concrete per commettere i loro crimini; vogliono invece che si creda che sono state costrette o drogate…”.
Quale che sia la verità, vale a dire se queste donne scelgano autonomamente il loro destino o se vi siano invece costrette, finché il loro paese rimarrà in guerra contro la Russia è probabile che ve ne saranno molte altre.
Viv Groskop
© New Statement - Il Foglio
(traduzione di Aldo Piccato)

saluti