E’ ora di studiare la Monarchia italiana
«A i Bergamaschi che mi ricordano». Firmato: Umberto.
Il saluto proviene da un ritratto-ricordo datato 1947. E il personaggio effigiato risponde al nome di Umberto, appunto, II, più precisamente: Re d'Italia. Parlare di Sua Altezza Reale significa aprire un capitolo importante della storia del nostro Paese, ma significa anche richiamare dal silenzio argomenti scomodi.
«I miei studenti - ha esordito ieri Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea all'Università degli studi di Milano, nel corso di un incontro nella ex sala consiliare cui hanno partecipato tra gli altri il consigliere regionale Carlo Saffioti, il presidente del movimento monarchico bergamasco Franco Malnati, il presidente dell'associazione combattenti e reduci di Montelungo Edoardo Cristofari - mi chiedono spesso: "Che ruolo hanno avuto i Savoia? Come dobbiamo guardarli?". L'argomento desta sempre un certo imbarazzo: l'idea corrente è che le televisioni importanti e le case editrici non se ne debbano occupare».
Insomma, meno se ne parla, meglio è. E il silenzio ha continuato, imperterrito, il suo cammino così a lungo che «il magazzino è vuoto»: «A chi vuole approfondire il tema - ha proseguito il professore - non ho titoli da suggerire».
Ma, a scanso di equivoci, «per me Casa Savoia ha rappresentato un pezzo importante della storia d'Italia, anche se bisogna distinguere tra re e re».
Chiara la premessa, efficace la digressione sul passato monarchico promossa da un comitato di cittadini italiani di diverso orientamento politico. Per la verità qualche reduce ex combattente e monarchico ha fatto vibrare le corde di una nostalgia un po' troppo incline alla retorica. Ma l'intervento di Giorgio Rumi ha saputo riportare il discorso nei binari della riflessione storica. Moderata e argomentata con l'efficacia comunicativa che contraddistingue l'accademico-uomo pubblico. Innanzitutto, spazio alle origini: «I Savoia - ha precisato il professore - non hanno un'origine italiana e neppure francese. Provengono da uno Stato di passo che controlla il passaggio alpino. E quando la capitale si sposta da Chambery a Torino i Savoia si portano al di qua dei monti la cosa più importante: la Sindone, poi venerata da San Carlo Borromeo e ceduta alla Chiesa».
La storia scorre e la Casa Reale «va col tempo e con il Po», com'è espressione corrente tra gli storici. «A differenza dei Borboni che rimasero sempre chiusi tra l'acqua santa e l'acqua salata - ha chiarito Giorgio Rumi - i Savoia hanno sempre avuto un progetto nazionale. Nessuna dinastia italiana è mai stata così avventuriera, espansiva e conquistatrice».
Un sogno di gloria e di potere? Niente affatto. «Non sono mai stati ricchi, non hanno mai pensato né ai soldi né allo splendore. Cavour era più ricco del suo re». Come dire, la patria prima di tutto. Con un'idea cardine, trasmessa di padre in figlio: non si regna con lo stato d'assedio. Ne era convinto Vittorio Emanuele III: nella fase più felice della sua monarchia, quella giolittiana, democratica e progressista, la Corona non fu nemica delle masse popolari. Quando Umberto II comincia a volare con le proprie ali raccoglie la lezione: «Umberto - ha spiegato lo studioso - non ha mai fatto propaganda per la monarchia. Svolse un ruolo di garante superiore alle cose, dimostrando sempre un disinteresse per il trono in sé, rarissimo in un re».
E se la dinastia scomoda lascia ancora aperte molte piste di indagine per gli storici, sul valore di Umberto II Giorgio Rumi conferma: «Fu un uomo moderno pieno di dubbi, anche religiosi. Non metteva la Corona sopra tutto, bensì l'Italia, che non doveva fare una guerra civile». E con l'esortazione «Onore ai Savoia» è calato il sipario sull'incontro voluto in occasione del centenario della nascita di Umberto II.
Sara Locatelli
(da: "L'Eco di Bergamo", 7 novembre 2004)