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    Predefinito Rif: Opere in difesa del Papato

    Monsignor Louis-Gaston de Ségur (1820-1881), protonotario apostolico, canonico del capitolo di Saint-Denis.

    Il Papa è infallibile

    (Tratto da Oeuvres de Mgr. de Ségur, tomo VI, Parigi s.d.)[*]

    I
    Come il Concilio Vaticano ha definito l'infallibilità del Papa in nome e per l'autorità di Dio stesso.

    Tutti sanno quel che è appena successo a Roma; per rimediare ai mali della Chiesa e della società, Papa Pio IX ha riunito in Concilio ecumenico a Roma, nella grande Basilica del Vaticano, tutti i Vescovi del mondo, ed il Concilio, allo scopo di fortificare l'autorità della Chiesa e del suo Capo, ha definito, cioè proclamato solennemente, l'infallibilità del Papa.

    L'infallibilità è il privilegio di non poter insegnare l'errore. Quando il Concilio dichiara che il Papa è infallibile, dichiara che tutte le volte che insegna alla Chiesa universale, il Vicario di Gesù Cristo insegna sempre e necessariamente la verità. È Dio, è Gesù Cristo che ha fondato sulla terra e costituito la Chiesa, ed è Lui che ha diviso la Chiesa in due parti, unite ma distinte: la Chiesa docente e la Chiesa discente. La Chiesa discente è formata dai laici e dai semplici sacerdoti, i quali non sono in alcun caso giudici della fede. La Chiesa docente, per mezzo della quale Dio insegna e governa i fedeli sparsi su tutta la terra, è composta dal Papa e dai Vescovi; e siccome è Dio stesso che parla per mezzo di essa, che per mezzo di essa insegna, comanda, condanna, perdona, tutto ciò che la Chiesa docente lega o slega sulla terra è nello stesso tempo infallibilmente legato e slegato nei cieli. In altri termini la Chiesa docente è infallibile; essa non può ingannarsi nè ingannarci, è immediatamente assistita da Dio.

    Ora il Concilio non è altro che la Chiesa docente riunta, ed è perciò che il Concilio è infallibile e che tutti i suoi decreti e le sue decisioni hanno un carattere d'autorità sovrana e divina; tutti devono sottomettervisi, tutti senza eccezione, perchè chi ha il diritto di non sottomettersi a Dio?

    Dunque il Concilio, nel definire, come ha fatto, che il Capo della Chiesa è infallibile nel suo insegnamento, ha parlato in nome di Dio Stesso: lo Spirito Santo per il bene delle nostre anime e per la salvezza del mondo ha parlato per mezzo della grande voce del Concilio e ci ha detto, tra le altre verità salutari: «il Papa, Capo della Chiesa infallibile, è infallibile lui stesso, e giammai i Vescovi, i sacerdoti ed i fedeli possono ingannarsi quando ascoltano la sua parola.»
    II
    Chi è il Papa, e in che modo egli è Capo supremo della Chiesa.

    Un giorno il venerabile Arcivescovo di Rennes, in una delle sue visite pastorali, incontrò un pio contadino che, inginocchiandosi ai suoi piedi, gli chiese la benedizione. L'eccellente Prelato gli fece qualche domanda sul catechismo: era il 1860, quando stavano cominciando le disgrazie di Pio IX e tutti parlavano di Roma e del Papa: «Figlio mio, gli disse l'Arcivescovo, sai chi è il Papa?» Il buon uomo si grattò la testa; lo sapeva più o meno, ma non sapeva esprimere il proprio pensiero. «Il Papa, Monsignore..., il Papa, disse..., in fede mia, è uno che se fosse qua, subito voi non sareste un gran che!» Il buon Arcivescovo sorrise di buon cuore a questa risposta così originale. «Hai ragione davvero, figlio mio, gli disse: Io sono un figlio spirituale del Santo Padre proprio come te;», e lo lasciò dopo avergli dato la benedizione.

    Certo un Vescovo è una grande personalità, un Vescovo è più di un re, ma tuttavia cos'è un Vescovo di fronte al Papa? Non forse una pecorella al seguito del pastore? una stella vicino al sole?

    Il Papa è il Capo supremo della religione cristiana, è il successore di san Pietro, primo Vescovo di Roma e primo Sovrano Pontefice della Chiesa di Gesù Cristo; proprio in quanto Vescovo di Roma e successore di san Pietro, il Papa è il Capo spirituale dell'intera Chiesa, e a questo titolo egli eredita le promesse divine fatte a san Pietro da Gesù Cristo quando dichiarò che avrebbe fondato su di lui e su lui solo tutto l'edificio della Sua Chiesa, che gli avrebbe dato le chiavi del regno dei cieli, che la sua fede non sarebbe mai venuta meno affinchè a sua volta egli potesse confermare i suoi fratelli, ed infine che lo stabiliva al proprio posto Pastore delle sue pecorelle e dei Suoi agnelli.

    Il Papa è dunque l'erede di queste divine e magnifiche promesse, è il Capo, la testa, il centro di tutta la Chiesa, è il massimo intendente della casa di Dio, cioè della Chiesa di Dio, è il Vicario, il rappresentante visibile, il luogotenente generale di Gesù Cristo Nostro Signore; e poichè Gesù Cristo lo conferma nell'infallibilità della fede, egli è a sua volta colui che conferma i suoi fratelli, cioè il Dottore infallibile di tutti i Vescovi, di tutti i sacerdoti, di tutti i battezzati.

    Egli è il Pastore, il Duce, il Vescovo della Chiesa universale, il Vescovo dei Vescovi, il Pastore dei Pastori, il Dottore dei Dottori, il Padre dei Padri, il Capo dei Capi.

    Tutti devono riverire il Papa in quanto rappresentante visibile del Figlio di Dio quaggiù; obbedirgli o disobbedirgli non significa obbedire o disobbedire ad un uomo, ma significa obbedire a Dio o disobbedire a Dio.

    Il papa, o piuttosto Gesù Cristo nel Papa, è dunque il Capo unico della vera religione, è il Padre delle nostre anime, il Padre dell'intero popolo cristiano, e giorno verrà in cui tutti i popoli del mondo riuniti nella stessa fede formeranno un solo gregge sotto il pastorale del Papa, il Vicario di Gesù Cristo.

    Quali grandezze accumulate su di un solo uomo! Perchè è lui il degno rappresentante del Dio-Uomo! E di qual divina maestà Nostro Signore fa risplendere il proprio Vicario!
    III
    Come è normale che il Papa sia infallibile quando ci parla come Capo della Chiesa.

    Quando il Papa insegna, quando dichiara alla Chiesa che una tale dottrina è vera o falsa, che una tale linea di condotta è buona o cattiva, è Gesù Cristo stesso che parla per bocca del Suo Vicario; e siccome Gesù Cristo è la verità infallibile, non può tollerare che il suo Vicario possa insegnare l'errore: Egli l'assiste così potentemente da mantenerlo nella verità secondo la promessa che gli ha fatto: «Ho pregato per te affinchè la tua fede non possa venir meno.»

    Non è del tutto normale che il Papa, per quanto uomo, essendo così assistito da Nostro Signore, non possa ingannarsi?

    Inoltre la fede ci insegna che ogni Vescovo, ogni sacerdote, ogni fedele è obbligato in coscienza, pena la rivolta e lo scisma, a credere con tutto il cuore tutto ciò che egli dice; il silenzio rispettoso non è sufficiente, ma occorre la fede, la fede propriamente detta, la sottomissione piena ed intera della mente, del giudizio e del cuore. D'altronde non è forse evidente che se il Papa potesse ingannarsi, tutta la Chiesa s'ingannerebbe necessariamente con lui? Ma è parimenti di fede che la Chiesa cattolica non può deviare dalla via della verità, che possiede e possederà sempre la vera fede, in breve, che è infallibile.

    Il Papa è dunque infallibile perchè è il Capo supremo della Chiesa infallibile che deve sempre obbedirgli; egli ne è il Capo, vale a dire la testa, che essa segue necessariamente ovunque, proprio come il corpo e le membra seguono ovunque la testa. Perchè il corpo non si smarrisca, è assolutamente necessario che la testa non possa smarrirsi. Il Papa guida la Chiesa: questa è la sua funzione necessaria, la Chiesa deve seguirlo e sempre lo segue: ma se egli si sbagliasse, essa si sbaglierebbe forzosamente insieme a lui. Dunque egli non può sbagliarsi, dunque non può insegnare l'errore, dunque è infallibile: ciò non è forse chiaro come il giorno?
    IV
    Idee ridicole che talora ci si fa dell'infallibilità del Papa.

    Vi sono persone le quali credono in buona fede che, poichè il Papa è infallibile, non può dire una parola che non sia un oracolo.

    Così, un bel giorno, il Papa dirà svegliandosi che ha dormito male, che va a piovere: parola infallibile, dogma di fede!

    Dirà: «Portatemi la tabacchiera che sta sul mio tavolo;» – dogma di fede che occorrerà credere per essere salvati.

    Domanderà al suo cameriere una talare più larga dicendo che quella che gli porge è troppo stretta: oracolo ispirato, parola infallibile!

    Un furbacchione si presenta in udienza; il buon Papa crede alle attestazioni di fedeltà che costui gli fa e dice dell'ipocrita: «È un buon uomo;» – bisognerà crederselo, perchè il Papa è infallibile.

    Ma no, mille volte no! È proprio con queste scemenze che si ridicolizza la fede e si allontanano da essa una gran quantità di persone oneste!

    Occorre allora fare una distinzione: nel Capo della Chiesa vi è il Papa e l'uomo; l'uomo è fallibile come tutti gli altri uomini, dunque quando il Papa parla come persona privata può tranquillamente ingannarsi anche se parla di cose sante. In quanto uomo il Papa non è più infallibile di quanto lo siamo voi e me.

    Ma quando parla come Papa, come Capo della Chiesa e come Vicario di Gesù Cristo allora è un'altra faccenda, allora è infallibile: non è più l'uomo che parla, ma Gesù Cristo che insegna, che giudica per bocca del suo Vicario.

    Ed il Papa, in quanto Capo della Chiesa e Vicario di Gesù Cristo, ha la missione di conservare puro ed intatto il deposito della fede, di mantenere ovunque la purezza della dottrina cristiana e della pratica della religione, di far regnare Gesù Cristo sul mondo, di salvare e santificare gli uomini, di proclamare in ogni situazione la verità e la giustizia, di condannare l'errore, l'ingiustizia ed il peccato; ecco la sua missione, la sua sacra missione, non ve ne è un'altra, ed è la medesima missione della Chiesa, la missione di Gesù Cristo, celeste Capo della Chiesa.

    In tutto ciò il Papa è infallibile, ma al di fuori di ciò non è per nulla infallibile; in altri termini è infallibile quando parla come Papa, ma non quando parla come uomo; ed egli parla come Papa quando insegna pubblicamente ed ufficialmente le verità che interessano tutta la Chiesa per mezzo di ciò che vien detto Bolla, oppure Enciclica oppure qualche altro atto di quel genere.

    In pratica i semplici fedeli sanno che il Papa ha parlato come Papa quando l'apprendono dal loro Vescovo e dal loro parroco, a condizione tuttavia (e ciò non è difficile a sapersi) che il Vescovo od il parroco non sia eretico o scismatico, cioè in evidente opposizione con gli insegnamenti del Capo della Chiesa.
    V
    Come il Papa sia infallibile non per lui stesso ma per noi.

    L'infallibilità del Papa deve esserci cara quanto il dono della fede e la speranza della salvezza: perchè infatti il buon Dio ha voluto che il suo Vicario fosse infallibile se non per assicurare a tutti noi una fede esente da errori ed una luce del tutto certa che guida i nostri passi nella via dell'eterna salvezza?

    Perchè il Papa è infallibile? Lo è forse per la sua soddisfazione personale? Si tratta di un intento d'orgoglio e di dominazione? Evidentemente no. L'autorità è sempre conferita ad un uomo solo per il bene degli altri, e questa regola è, se possibile, ancora più vera nel campo dell'autorità religiosa.

    Il sacerdote è tale per sè o per gli altri? Non è forse per gli altri, unicamente per gli altri che egli riceve il potere di predicare la Religione, di perdonare i peccati, di celebrare la Messa, di amministrare i sacramenti e di dirigere le coscienze?

    Il Vescovo è tale non per proprio vantaggio, ma per i propri diocesani; è rivestito di questa grande e bella autorità episcopale solo per santificare il proprio clero e, per mezzo di questo clero così santificato, per salvare le anime, far regnare il buon Dio in tutta la sua diocesi e, col buon Dio, la pace, la giustizia, la vera felicità: ecco perchè il Vescovo è Vescovo.

    Lo stesso è per il Sovrano Pontefice; la suprema ed infallibile autorità non gli è conferita per se stesso, ma per la Chiesa, per ciascuno di noi. In effetti è proprio grazie alla sua sovrana autorità in materia di religione che la fede è mantenuta pura in tutta la Chiesa, che gli errori sono condannati, che i sacramenti ci sono amministrati, che il culto divino è celebrato come conviene; in una parola, che le vie della salvezza rimangono sempre aperte ed accessibili per ciascuno di noi.

    Il Papa è Papa per noi, e la sua autorità, la sua infallibilità sono il vero tesoro dei Vescovi, dei sacerdoti e dei cristiani; ecco perchè il Papa, pur essendo il Capo ed il Superiore di tutti, è veramente il Servo dio tutti, «il Servo dei servi di Dio».

    A sentire alcuni, si direbbe veramente che il Papa non fosse per loro, ma contro di loro, che la sua autorità diminuisse la loro, che la sua infallibilità servisse solo ad umiliare i cristiani e ad aumentare il suo orgoglio; costoro sono assai poco cattolici, e dimenticano che nella Chiesa tutto è istituito per il bene e la felicità dei figli di Dio. L'autorità è l'infallibilità del Papa sono tra le più grandi prove d'amore, di misericordia e di bontà che la Provvidenza abbia mai potuto dare a ciascuno di noi.

    Dunque il Papa è infallibile per noi e per voi ingrati che l'attaccate.
    VI
    Come il Papa possa essere infallibile pur essendo solamente un uomo.

    Intanto, dal momento che sappiamo che il Papa è infallibile, importa assai poco il saper come lo sia: se lo è, significa che può esserlo, ed è di fede che lo è.

    In secondo luogo come può essere impossibile che il buon Dio illumini ed assista in modo così completo la mente di un uomo in tale e tal'altra data circostanza in modo tale da far sì che quest'uomo non possa insegnare l'errore? Ciò non è evidentemente per nulla impossibile, e dirò di più: non vi è nulla di sorprendente in ciò, dal momento che la Chiesa è il regno di Dio sulla terra e che l'uomo scelto per esserne il Capo è il Vicario, il rappresentante di Dio; non è forse del tutto normale che il Vicario di Dio, il Capo supremo della Chiesa, sia il Dottore infallibile della verità?

    L'abbiamo già detto: il Sovrano Pontefice è infallibile non in quanto uomo ma in quanto Papa, egli è assistito dallo Spirito di verità come Papa e quando parla come Papa; la fragilità naturale della mente umana non cambia nulla e non costituisce un ostacolo all'azione di Dio sul proprio Vicario.

    Aggiungiamo che questa assistenza soprannaturale del buon Dio cade sempre su un terreno meravigliosamente preparato a riceverla, perchè ogni volta che i Sovrani Pontefici hanno dovuto definire, cioè decidere sovranamente un punto di dottrina, hanno sempre fatto uso di infinite precauzioni: preghiere, studi approfonditi, consigli e consultazioni di ogni genere, pareri previi di dotti teologi, di Cardinali, di Vescovi, nulla è stato risparmiato, di modo che, perfino dal punto di vista puramente umano, vi erano già tali elementi di verità, un tale insieme di lumi e di scienza che sarebbe assai difficile sbagliarsi: essendo scesa su tutto ciò l'assistenza divina, l'infallibilità dottrinale del Sommo Pontefice non è forse cosa del tutto banale a comprendersi?
    VII
    Se il Papa sia impeccabile perchè è infallibile

    Assolutamente no. Pur essendo infallibile in quanto vicario di Gesù Cristo, il Papa non cessa di essere peccabile, perchè non cessa di essere uomo.

    Se fosse stato necessario al bene della Chiesa ed alla salvezza del mondo che il Capo della Chiesa fosse impeccabile, non vi è dubbio che Dio l'avrebbe reso impeccabile come lo ha reso infallibile: ma non l'ha fatto.

    Infatti che cosa occorre alla Chiesa? che abbia una regola certa ed infallibile in materia di fede, e questa ce l'ha per mezzo dell'infallibilità del suo Capo; e poi che abbia un'autorità sovrana, indiscutibile, certamente santa in materia di direzione e di conduzione; e quest'autorità la Chiesa la trova nella suprema autorità alla quale non è mai permesso di disobbedire: ecco ciò che è necessario alla Chiesa. Tuttavia non si comprende a che le servirebbe l'impeccabilità del suo Capo; se il Papa fosse impeccabile, questa grazia gli sarebbe certamente assai preziosa, ma servirebbe esclusivamente a lui. Per condurre la Chiesa gli sono completamente sufficienti la sua infallibilità e la sua autorità sovrana.
    VIII
    Come un Papa cattivo possa essere e sia infallibile proprio come un Papa buono.

    Mi sembra che ciò che è già stato detto lo spieghi perfettamente: il Capo della Chiesa non è infallibile perchè è buono e santo, ma lo è perchè è Papa, perchè è Vicario di Dio e Capo supremo della Chiesa.

    Così come un prete cattivo non cessa per questo di essere prete, per cui la sua Messa, le sue assoluzioni ecc. sono valide, allo stesso modo un Papa che avesse la disgrazia di non essere virtuoso e santo non cesserebbe per questo di essere Papa ed in quanto tale di godere di tutti i privilegi accordati dal buon Dio al Pontificato. Per quanto lo si possa supporre cattivo, egli rimarrebbe Papa, il rappresentante visibile di Gesù Cristo, il Pastore e Dottore infallibile di tutta la Chiesa; sebbene spregevole in quanto uomo, egli sarebbe pur sempre venerabile in quanto Papa, e Nostro Signore, le cui promesse sono immutabili, lo renderebbe infallibile con la stessa facilità con cui lo farebbe se avesse a che fare con un uomo santo e puro.

    Nella lunga serie di duecentocinquantotto Papi che, da san Pietro fino ad oggi, hanno governato la Chiesa di Dio vi sono stati due Papi i quali sono stati notoriamente indegni della loro santa missione; e Dio ha permesso che questi due indegni non avessero a definire alcuna verità durante il loro pontificato [1].

    Mai un Papa si è ingannato nell'insegnare la fede, perchè il buon Dio ha provveduto a mantenere il suo Vicario, chiunque fosse, buono o cattivo, al di sopra della naturale infermità dell'intelligenza umana, la quale può sempre ingannarsi, può sempre venir meno.

    Così, dal punto di vista dell'autorità e dell'infallibilità, importa assai poco che il Papa sia buono o cattivo, giusto o peccatore.
    IX
    Se si possa essere cattolici senza credere all'infallibilità del Papa.

    No, perchè per essere cattolici bisogna credere tutte le verità che la Chiesa cattolica insegna al mondo da parte di Dio; ora la Chiesa cattolica, riunita in Concilio in Vaticano, ha appena proclamato infallibilmente, come dogma di fede, l'infallibilità del Papa; chi si rifiutasse di credervi sarebbe eretico.

    L'infallibilità del Capo della Chiesa è una verità rivelata originariamente da Nostro Signore ai Suoi Apostoli, una verità che è stata creduta praticamente lungo tutti i secoli, una verità di cui la Chiesa ha vissuto e che il Concilio Vaticano ha appena definito perchè alcune menti perverse avevano stravolto le coscienze attaccandola violentemente. Non si tratta di un «dogma nuovo», come qualcuno ha preteso che fosse: non vi è alcun dogma nuovo nella Chiesa: di nuovo vi è solo il decreto col quale la Chiesa dichiara solennemente che tale o tal'altra credenza fa parte del deposito delle verità rivelate.

    Poichè il Concilio, cioè la Chiesa docente, ha definito come dogma di fede l'infallibilità del Sovrano Pontefice, non crederla significherebbe negare l'infallibilità del Concilio, l'infallibilità della Chiesa docente, ma questa infallibilità è stata già dalle origini un dogma indiscutibile, indiscusso ed assolutamente certo. In fondo il decreto del Concilio Vaticano che ha definito l'infallibilità del Papa non ha fatto altro che meglio precisare, meglio determinare il grande dogma dell'infallibilità della Chiesa.

    Di conseguenza tutti sono obbligati, sotto pena di peccato mortale, d'eresia e d'apostasia, a credere dal profondo del cuore, senza alcuna restrizione, che il Sovrano Pontefice non può errare quando insegna alla Chiesa. Si deve credere ciò perchè si tratta di una verità divina e rivelata, una verità definita dalla Chiesa. Si deve crederla con tutto il cuore e professarla con le labbra, come si credono tutte le altre verità di fede: la Trinità, l'Incarnazione, la Presenza reale ecc.

    Chi rifiutasse quest'atto di fede non potrebbe più ricevere i sacramenti: non sarebbe più figlio di Dio e ella Chiesa.

    Attenzione a tutti coloro che hanno avuto l'imprudenza di leggere quegli opuscoli, quei libelli e quei giornali in cui l'autorità del Sovrano Pontefice era indegnamente attaccata e ridicolizzata in mille modi, in cui la libertà del Concilio Vaticano era giornalmente messa in dubbio con tanta leggerezza quanta audacia, in cui la storia era sfigurata e la scienza falsificata, in cui il veleno dell'eresia era abilmente distillato al fine di avvelenare le anime.

    Oh, quanto sono colpevoli coloro che hanno condotto questa cospirazione, o almeno ciechi! Quante migliaia di anime hanno sviato! Di quante bestemmie contro la fede costoro sono e saranno responsabili, forse ancora per lungo tempo, davanti a Dio!

    Lasciamoli dire, essi si ingannano, non prestiamo orecchio ai loro discorsi più o meno capziosi; forse che non vi è sempre stata una caterva di argomenti al servizio delle cause più malvagie?

    Chiunque siano, laici o ecclesiastici, sacerdoti, Religiosi, perfino Vescovi (Dio non voglia!), separiamoci da loro senza discutere e rimaniamo fedeli a Dio ad ogni costo col rimanere fedeli al suo infallibile Vicario.
    X
    Se sia vero, come si è osato affermare, che il Concilio vaticano non sia stato nè veramente ecumenico nè veramente libero.

    Quando gli avversari dell'infallibilità del Papa si sono resi conto che la discussione non era favorevole alle loro pretese, qualcuno fra loro, per sfuggire al decreto che stava per condannarli, cominciarono a dire: «Il Concilio non è veramente ecumenico; il Concilio non è veramente libero.»

    Questa doppia pretesa è veramente priva di buon senso.

    Mai Concilio fu più ecumenico nè più libero del Concilio Vaticano. Cosa rende infatti un Concilio veramente ecumenico? quattro condizioni: 1° che sia convocato dal Papa; 2° che tutti i Vescovi vi siano convocati; 3° che sia presieduto dal Papa in persona o dai suoi Legati; 4° che i suoi decreti siano confermati dal Papa.

    Ma allora non è chiaro come il sole che il Concilio vaticano ha soddisfatto pienamente a queste quatto condizioni? Esso è dunque perfettamente ecumenico.

    E d'altra parte questo Concilio è stato anche perfettamente libero; la libertà può essere impedita solamente dalla violenza o dalle minacce di qualche nemico del Papa o dei Vescovi; ma al Concilio Vaticano non si è verificato nulla di simile. I governi non vi si sono immischiati (grazie a Dio) ed i rivoluzionari non hanno osato muoversi: non vi è stata quindi nemmeno l'ombra di una qualche pressione esterna.

    Ma nemmeno si sono avute pressioni all'interno: il regolamento del Concilio, vero e proprio capolavoro di prudenza, di saggezza e di previdenza, lasciava a tutte le opinioni la piena libertà di espressione, sia per iscritto sia a viva voce; solo gli abusi erano prevenuti e scartati. Una pazienza veramente mirabile ha presieduto a tutte le discussioni, e si è osato affermare il contrario solo per partito preso dovuto alla passione.

    Per quel che riguarda la sola discussione sull'infallibilità, già maturata per mezzo di una quantità di scritti pro e contro, più di cento Vescovi hanno parlato per un'ora, un'ora e mezza, due ore; la questione è stata presentata sotto tutti i suoi aspetti, e la chiusura dei dibattiti, sempre richiesta e votata secondo tutte le regole, non ha mai impedito ad alcun contributo di esprimersi.

    Il Papa, Capo del Concilio, ha rispettato fino in fondo la libertà dei Vescovi, ed i Vescovi hanno rispettato con giusto amore l'autorità del Papa. Che dunque di più libero di questo grande Concilio! L'autorità vi ha represso solamente la licenza.

    Coloro che pretendono che il Concilio vaticano non sia stato nè libero nè ecumenico o sono persone che non sanno ciò che dicono o sono dei ribelli che cercano di eludere le decisioni della santa Chiesa: o ignoranti o traditori.

    Non è consentito ad alcun cattolico di avanzare questo genere di obiezioni: in questo modo sarebbe veramente troppo comodo sfuggire all'ubbidienza, e mai nessun eretico potrebbe essere accusato e condannato.
    XI
    Come la causa del Papa sia la nostra causa, quella di tutti.

    Non ci si rifletta abbastanza: la causa del Papa è, per ciascuno di noi, una causa personale, una causa dalla quale dipende direttamente la nostra felicità o la nostra disgrazia, prima quaggiù e poi nell'eternità. Piuttosto considerate:

    Senza il Papa non vi è la Chiesa, come non vi è corpo vivente senza testa ed esercito senza capo. Senza Chiesa non vi è cristianesimo: la Chiesa è la divina guardiana del cristianesimo, della fede, del Vangelo, della morale cristiana, dei sacramenti, di tutti i canali della grazia.Infine, senza la religione cristiana il mondo intero ricadrebbe nella barbarie pagana, cioè nell'odiosa dominazione dell'uomo sull'uomo, nel culto e nella pratica di tutti i vizi ed in tutti quegli orrendi abusi chiamati cesarismo, schiavitù, poligamia, culto del demonio.

    In pratica la pace e la felicità dell'umanità si fondano sulla religione cristiana, che è la sola vera religione, sulla Chiesa cattolica, che è la sola vera Chiesa, ed in cima alla Chiesa sul Papa, unico Capo supremo della Chiesa.

    Ciò che riguarda il Papa interessa tutti, fino all'ultimo dei fedeli. Le società segrete, che estendono le loro ramificazioni nel mondo intero, al giorno d'oggi stanno facendo una guerra mortale al Papato; se riuscissero nel loro intento, anche se per un certo periodo di tempo, tutti i Vescovi, tutti i cristiani sarebbero immediatamente colpiti, così come tutte le membra, tutti gli organi di un uomo sono colpiti a morte dal colpo che ha appena abbattuto o spezzato la testa. In pratica il Papa è per noi la pace nel servizio di Dio, la sicurezza nella fede, la luce sulla via del dovere e della salvezza; è il tranquillo possesso ed il godimento delle cose sante, delle consolazioni divine della Religione, sia durante la vita sia nell'ora suprema della morte; è il Battesimo dei nostri piccini; è la gioia ineffabile della prima comunione, è la predicazione regolare della parola di Dio, la celebrazione del Santo Sacrificio e delle nostre belle feste religiose: è Gesù Cristo che dimora con noi nei suoi tabernacoli, è il consolante perdono del confessionale, è la conservazione della famiglia cristiana, è l'educazione religiosa della gioventù, è la conservazione dei veri principî e dei buoni costumi, in breve è la felicità pubblica, è la pace, la salvezza delle società cristiane, delle famiglie e degli individui. Ecco ciò che per noi è il Papa, ecco quel che il Papa rappresenta per noi, ciò che ci apporta, ciò che ci conserva. Ecco ciò che è la sua causa.

    Per negare tutto ciò bisognerebbe negare la fede, negare la missione divina della Chiesa, negare Gesù Cristo, negare Dio; cioè perdere la testa.

    Noi cattolici, siamo noi i grandi benefattori del mondo, per ciò solo che manteniamo con forza i diritti e la sacra causa del Papa verso e contro tutti.

    Questa causa è la causa di Dio, la grande causa della salvezza pubblica; non potremmo esagerare nel dedicarci a ciò. Costi quello che costi, bisogna farla trionfare, altrimenti il mondo è perduto.
    XII
    Perchè la questione del potere temporale del Papa è una questione religiosa alla quale ogni cristiano si deve vivamente interessare.

    Ebbene, è assai semplice: il potere temporale del Papa è la garanzia dell'indipendenza del suo potere spirituale; il Papa è Re solo per poter esercitare liberamente il proprio ministero di Papa: ecco perchè la questione del potere temporale è in fondo, checchè se ne dica, una questione meramente religiosa, una questione assai più spirituale che temporale.

    Ecco perchè i nemici della Chiesa attaccano ad oltranza questo potere temporale, cercando di farlo passare per un affare puramente politico. Essi sanno bene che non è così, sanno quello che vogliono: rovesciare il Capo della Chiesa e pertanto la Chiesa stessa; ma, per non spaventare i popoli, secondo loro ancora troppo cristiani, avviluppano il loro complotto nel mantello della politica credendo che così sia loro tutto permesso contro il Santo Padre.

    È doloroso vedere milioni e milioni di brave perone che ci cadono credendo ingenuamente a ciò che i loro seduttori hanno sussurrato ai loro orecchi e che fanno causa comune con gli empi, e quando il crimine sarà consumato (se mai Dio permetta che lo sia) sarà troppo tardi per un utile pentimento.

    Uniamoci allora come soldati di uno stesso esercito, e non permettiamo che il nemico spogli il Re delle nostre anime: uniamoci come membri di una stessa famiglia e non permettiamo che i ladri rubino i beni del nostro padre. Il Papa ha bisogno di essere protetto e circondato dalla maestà del potere regale perchè egli è il padre spirituale della grande famiglia umana, che ha il dovere di mantenere il proprio Capo in uno stato di libertà e di grandezza proporzionata alla sua dignità suprema. Il Papa ha diritto all'assistenza efficace di tutti i cristiani in quanto Re, e non solamente in quanto uomo o in quanto Vescovo, assistenza che deve essere grande, deve essere regale come conviene ad un Pontefice Re; e non si esalteranno mai abbastanza l'importanza, l'eccellenza e la necessità della somma Opera cattolica dell'Obolo di san Pietro.

    L'Obolo di san Pietro è bensì un'elemosina, ma un'elemosina cattolica e regale, l'elemosina gloriosa che i figli di Dio hanno l'onore ed il piacere di offrire ogni anno al Vicario di Gesù Cristo per aiutarlo a vivere in maniera degna della santa Chiesa cattolica, cioè da Re.

    Rifiutiamo le assurde calunnie della cattiva stampa relative al potere temporale ed agli abusi dell'Obolo di san Pietro, non smettiamo di dare al Santo Padre, che avrà bisogno di noi fintanto che i suoi nemici avranno in pugno i quattro quinti dei suoi Stati, i quali in precedenza erano largamente sufficienti a soddisfare tutti i bisogni del Re Pontefice; soprattutto non lasciamoci mai sedurre dalle belle parole di quei signori, e non scordiamo che a più riprese, ed in particolare nelle grandi solennità del Centenario, nel 1867, il Papa, e con lui tutto l'episcopato, ha proclamato solennemente la necessità del potere temporale dichiarando che, nello stato attuale in cui versa il mondo, il potere temporale è la sola vera garanzia d'indipendenza del suo ministero spirituale e fulminando con la scomunica tutti coloro che in un modo o nell'altro, con le parole, con gli scritti o con le azioni, direttamente o indirettamente, osassero attaccare il potere temporale della Santa Sede.

    Da ciò potete comprendere quanto questa causa debba essere cara ad un cuore cristiano!
    XIII
    Perchè la Rivoluzione è il nemico mortale del Papa e della Chiesa.

    La cosiddetta Rivoluzione è una somma ed universale rivolta della società contro Nostro Signore Gesù Cristo e contro la Sua Chiesa, un insieme di sedicenti principî, d'idee e sistemi prospettati nel secolo scorso da Voltaire, Rousseau ed alcuni altri empi al fine di scristianizzare la società: ecco cos'è, nè più nè meno, la Rivoluzione. È la guerra alla Chiesa eretta a principio, è la guerra a tutte le istituzioni sociali della Chiesa e di conseguenza alla monarchia cristiana quale era stata data dalla Chiesa al mondo sulle rovine del cesarismo pagano e della schiavitù.

    Un rivoluzionario è perciò un uomo che adotta tali principî ed idee detestabili, che si lascia accalappiare da questi sistemi illusori come dai denti di un ingranaggio; può non essere una persona cattiva, un rosso, come si dice, ma, lo sappia o no, lo voglia o no, è un rivoluzionario, una persona dai falsi principî, dai principî anticattolici, un soldato della Rivoluzione che milita nel campo dei nemici mortali di Gesù Cristo, della Chiesa e della fede. Certo, non vi è da scherzare, e bisogna farvi attenzione.

    Vi sono rivoluzionari in tutti i ranghi della società, ve ne sono molti fra gli uomini di Stato, nelle Camere, nei palazzi e perfino sui troni; più sono altolocati, più sono pericolosi.

    Nessuno pensa di negare che la Rivoluzione sia il nemico accanito del Papa, ciò non solo è evidente e clamorosamente professato, ma è anche necessario: la Rivoluzione infatti respinge il Papa e la Chiesa come la notte respinge il sole e la luce, e reciprocamente il Papa respinge la Rivoluzione come il giorno respinge e combatte la notte.

    Da quale parte ci schiereremo? Sotto quale capo, in quale esercito vogliamo combattere? E non c'è dubbio che bisogna combattere, nessuno può rimanere neutrale. «Colui che non è con me è contro di me» ha detto Gesù Cristo. Il Papa, suo Vicario, ripete questo medesimo grido di guerra e di salvezza: «Chi non è con me, è contro di me.» Tale è anche, del resto, la parola d'ordine della Rivoluzione e di Satana, suo degno padre.

    Se non vogliamo apostatare dal nostro battesimo, dalla nostra fede e dal nostro Dio, se vogliamo salvare la nostra anima e contribuire a salvare la Francia ed il mondo, comportiamoci da veri cattolici e detestiamo con tutte le nostre forze, respingiamo tutte queste idee malsane e mortali che la Rivoluzione va seminando a piene mani in tutti gli strati della società in nome della politica per mezzo della maggior parte dei governi moderni, che hanno perduto la fede; la Rivoluzione dissemina le sue idee nel nome sacro «della Legge» che mette così al servizio del male e dell'ingiustizia, le dissemina per mezzo della stampa, di migliaia di giornali, di milioni di romanzi, di libelli e di cattivi libri che infiltrano i principî rivoluzionari nelle campagne come nelle città, tra i poveri come tra i ricchi, nelle officine, nelle capanne come nei palazzi e nelle accademie; la Rivoluzione va infettando la nostra gioventù per mezzo di sistemi d'insegnamento e di educazione privi di religione, e penetra dappertutto, vuol tutto invadere.

    Talvolta si dà la maschera della religione, dicendo di essere cristiana, che ama e venera la morale evangelica e che attacca la Chiesa ed il sacerdozio solo per sopprimere gli abusi ed offrire ai popoli una religione più pura; questo è anche il gergo delle Logge della massoneria, istituzione essenzialmente anticattolica che nasconde il suo vero spirito sotto apparenze di beneficenza e di fraternità.

    Resistiamo a tutti questi perfidi maneggi, comportiamoci da buoni cristiani, manteniamo la purezza dei nostri principî, che vengono da Dio, sono veri, e che soli portano alla felicità; facciamo attenzione alle nostre letture, soprattutto ai giornali, ascoltiamo docilmente la voce dei nostri sacerdoti.

    La Rivoluzione è la principale nemica di Dio e dei figli di Dio: combattiamola ovunque facendo del nostro meglio sotto la guida del Vicario di Dio e dei ministri di Dio.
    XIV
    Come amare e rispettare il Papa.

    Prima di tutto bisogna ubbidirgli e rimanere fedele alla santa Chiesa; il Papa può dire, come Nostro Signore: «Colui che mi ama osserva le mie leggi.»

    Amare e rispettare il Papa è credere con fermissima e purissima fede tutto ciò che la Chiesa insegna, e particolarmente ciò che il Papa, Capo della Chiesa, insegna relativamente agli errori del secolo in cui vive; la purezza della fede cattolica è la base del religioso amore che tutti noi dobbiamo avere per il Papa.

    Amare e rispettare il Papa significa prendersi a cuore gli interessi della Religione, della Chiesa, della Santa Sede; la devozione è inseparabile dal vero e proprio amore, si ha devozione perchè si ama. L'indifferenza religiosa è segno certo che non si ama è il Papa ne Colui del quale il Papa è Vicario.

    Quando si ama, quando si rispetta il Papa, si parla di lui solo con riverenza, non ci si permette di giudicare la sua sacra persona nè i suoi atti, si accoglie con cuore filiale tutte le sue decisioni e non si permette a nessuno di contraddirlo, ed ancor meno di sbeffeggiarlo. Quale buon figlio permetterebbe tranquillamente che suo padre fosse insultato? Se non sempre si può imporre il silenzio alle persone, si può almeno, e sempre si deve, dissociarsi da loro; vergognarsi del Papa davanti a chiunque sarebbe una debolezza indegna di un vero cattolico.

    Infine, colui che ama e rispetta il Papa non risparmia nulla per la sua causa e cerca di guadagnargli le simpatie di tutti quelli tra cui vive. Se tutti i cattolici adempissero a questo grave dovere, la Chiesa non avrebbe per così dire nulla da temere dai complotti degli empi. Uniti ai nostri sacerdoti, ai nostri Vescovi ed al Vicario di Gesù Cristo formeremmo un'armata veramente invincibile.

    Che la Vergine Maria si degni di spargere in tutti i nostri cuori questo spirito d'unione, di fede e d'obbedienza! Che ella si degni di ottenerci da suo Figlio un sincero e vero amore per l'infallibile Vicario di suo Figlio! Soprattutto di questi tempi, questa è la grazia delle grazie; ed è quello che desidero per voi, amico lettore.

    Per approfondire: R.P. A. Gallerani: L'infallibilità pontificia ragionamenti tre.

    NOTE:
    [*] Il breve scritto "Il Papa è infallibile" [«Le Pape est infaillible»] fu composto e pubblicato immediatamente dopo la definizione dell'infallibilità pontificia (18 luglio 1870).

    [1] Recenti scoperte storiche dovute al dotto abbé Darras hanno stabilito che questi due indegni, Giovanni XII e Benedetto IX, sono stati degli intrusi, dei falsi Papi imposti con la violenza e la cui elezione non ha avuto nulla di canonico, e che quindi costoro di Papa hanno avuto solo il nome.

    Mons. De Ségur: Il Papa è infallibile
    Ultima modifica di Luca; 05-06-11 alle 00:56

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    Predefinito Rif: Opere in difesa del Papato

    La Civiltà Cattolica, anno XXI, vol X della serie VII, Roma 1870 (pag. 724-734).

    RIVISTA BIBLIOGRAFICA

    I. Del soggetto e dell'oggetto dell'infallibilità.

    1. Opuscolo del P. Ludovico da Castelplanio –– 2. del P. Knox.

    1. De controversia infallibilitatis, per Fr. Ludovicum a Castroplanio, ex Ordine minorum de Observantia, Episcopi Tarracinae, Setiae ac Priverni theologum. Neapoli, ex typ. Accattoncelli, 1870, In 8.° di pag, 68.
    immagine
    Papa Pio IX.

    Nell'annunziare, a pag. 607 del volume precedente, un altro opuscolo del P. Ludovico da Castelplanio, Il Concilio ecumenico vaticano e i cattolici liberali, dicemmo con semplici e sincere parole: «Noi non conosciamo altro libro che in sì poche pagine abbia detto tanto e sì bene intorno al liberalismo cattolico». Il simigliante si dice ora da molti di questo opuscolo, De controversia infallibilitatis; specialmente per l'ordine delle idee nel fissare lo stato della quistione intorno al soggetto della infallibilità, procedendo, quasi per via regia, a notioribus ad minus nota. La via regia, dice il chiaro Autore, che conduce a definire la controversia della personale infallibilità del romano Pontefice, sono i principii dogmatici della infallibilità della Chiesa. Il dogma della infallibilità della Chiesa docente, cioè del Capo e del corpo dei Pastori, è come la chiave per aprire il Santuario del Pontefice. Però egli comincia dallo stabilire questi principii dogmatici.

    È dogma di fede che nella Chiesa vi è una potestà di magistero, pieno, universale, infallibile. L'infallibilità del magistero è una proprietà attiva della Chiesa, la quale costituita maestra da Gesù Cristo colla sua stessa missione ed autorità, insegna col suo attivo magistero infallibilmente; e da questa infallibilità attiva procede l'infallibilità passiva, che conviene a qualsiasi fedele, il quale fermamente si attiene alla Chiesa. Quindi la distinzione tra la Chiesa docente e discente. Or quanto alle parti o agli elementi di questa attiva infallibilità, benchè essa sia in sè una prerogativa semplicissima e indivisibile, che essenzialmente consiste nel divino diritto del magistero, contiene però, come elementi integrali, la testimonianza autorevole della verità e il giudizio nel dirimere le controversie e condannare gli errori; che però la Chiesa suol dirsi: testis, iudex et magistra.

    Qui il ch. Autore distingue l'infallibilità dall'impeccabilità; l'assistenza dello Spirito Santo dall'ispirazione; ed assegna la causa efficiente dell'infallibilità, che non è altra che la promessa assistenza dello Spirito Santo, Spirito di verità; la causa finale prossima ed immediata, che è la cognizione della verità per ottener l'eterna salute, e quindi la causa finale ultima, che è la gloria di Dio e del suo Cristo: definisce inoltre secondo la volontà dello stesso Cristo la materia o l'oggetto dell'infallibilità: ma venendo specialmente al soggetto, senza parlare fin dal principio della infallibilità personale, dichiara che il soggetto collettivo della infallibilità non è altro che la Chiesa docente, cioè il romano Pontefice e con lui i Vescovi, sia dispersi nelle lor sedi, sia uniti in Concilio. Molti sono i dottori, ma il soggetto dell'infallibile magistero è uno ed indivisibile; e l'infallibilità non dipende dal numero dei dottori e dei suffragi, ma sì dall'assistenza della Spirito Santo, e così ella riman sempre la stessa o si cresca o si diminuisca il numero dei Vescovi: che anzi sarebbe eresia, egli dice, far dipendere dal numero quella infallibilità che dipende dall'assistenza dello Spirito Santo. Il soggetto adunque della infallibilità è la Chiesa docente, secondo la divina costituzione gerarchica, che è composta di Vescovi e del sommo Pontefice, che insieme formano un corpo mistico, di cui è capo indiviso il romano Pontefice: questo è quel soggetto moralmente uno ed indivisibile, a cui si addice l'infallibilità una ed indivisibile, la quale però si conviene inseparabilmente e indivisibilmente al Capo e al corpo dei Pastori per modum unius.

    Pertanto siccome è proprio delle membra di concorrere attivamente a formare il corpo, ma pur questo si denomina primariamente dal capo; così i Vescovi partecipano attivamente dell'infallibilità; ma primariamente il romano Pontefice, senza di cui come non può concepirsi il corpo de' Pastori, così neppur può concepirsi l'infallibilità. Sicché posto il caso di separazione di Vescovi anche in maggior numero dal Capo, l'infallibilità resterebbe al minor numero col Capo, e non al maggiore senza del Capo; giacchè l'assistenza dello Spirito Santo è promessa al corpo col Capo. Di qui l'Autore decide facilmente la controversia in caso che in un Concilio ecumenico sorgesse dissidio e division di suffragii, se debba starsi al numero anche maggiore senza il Pontefice, o al minore col Pontefice [1]: e ricapitolando i principii dogmatici che sono la via regia per isciogliere la proposta quistione dell'infallibilità del Papa, conchiude questa prima parte del suo lavoro con dire, che il soggetto dell'infallibilità, in quanto è dote e proprietà della Chiesa docente, è il Pontefice e i Vescovi che uniti con lui fanno un sol corpo morale.

    Così aperta e spianata la via, passa alla quistione della personale infallibilità del Pontefice ed entra a dimostrare che il Capo della Chiesa, come tale, è pure personalmente infallibile, ossia il soggetto dell'infallibilità, senza perciò duplicare l'infallibilità, e senza spogliarne i Vescovi, anzi senza neppur propriamente duplicarne il soggetto: giacchè non si tratta di un soggetto nuovo, ma solo di una modalità dello stesso soggetto, come i Vescovi uniti al Capo partecipano all'infallibilità in due modi, e dispersi nelle lor sedi e uniti in concilio.

    Però a ben chiarire lo stato della questione l'Autore ferma alcuni punti intorno al soggetto dell'infallibilità, prima in riguardo dei Vescovi, e poi in riguardo del sommo Pontefice. I Vescovi 1.° non concorrono attivamente all'infallibile magistero, come membra separate dal capo 2.° Vi concorrono bensì come membra unite al capo, ma pur distinte e tra sè e dal capo. Tutti i Vescovi, benché col capo, pure per divino diritto insegnano e definiscono singolarmente. Così tutti e singoli, con unione morale, e con personale distinzione concorrono attivamente al magistero infallibile, benchè il giudizio dei Vescovi non sia irreformabile, se non appresso il giudizio del Pontefice. 3.° Benchè i singoli Vescovi possano separarsi dal Pontefice in un giudizio dogmatico, perchè l'infallibilità non è propria dei singoli; pure tutti i vescovi, ossia il corpo episcopale non può mai separarsi dal Capo, perchè l'infallibilità viene dall'assistenza divina, la quale è promessa al corpo dei Pastori, che è formato dal Capo e dalle membra, ossia dal romano Pontefice e dai Vescovi. La quistione adunque della possibilità d'una separaziòné totale, se può concepirsi in astratto, in concreto è assurda.

    Posto tutto ciò intorno alla infallibilità della Chiesa docente, si sciolgono facilmente i dubbii intorno al soggetto dall'infallibilità in riguardo del romano Pontefice. E primieramente si vede in che non è posta la quistione della infallibilità personale. 1.° Non si cerca se il Pontefice concorra non solo attivamente, ma anche principalmente, all'infallibile magistero, essendo ciò troppo chiaro, appunto perchè egli è Capo: 2.° neppur si cerca se un tal concorso all'infallibilità debba attribuirsi al Pontefice, come a capo, unito bensì al corpo dei Pastori, ma pur personalmente distinto; essendo troppo chiara la distinzione tra il capo e le membra nella unità del corpo morale; 3.° neppur si cerca se sia possibile la separazione del capo da tutte le membra dei corpo episcopale; essendo parimente troppo chiara l'assurdità di tale separazione in concreto, poste le divine promesse. Il romano Pontefice resterà sempre congiunto coi Vescovi (più o meno, non monta; giacchè il corpo della Chiesa docente non dipende dal numero, ma dal capo e dalle membra); e come non si dà corpo senza capo, così neppurc si dà capo senza corpo. Adunque i difensori dell'infallibilità personale del Papa, non fingono una separazione del Papa dalla Chiesa, come i gallicani fingono una separazione della Chiesa dal Papa anche in concreto, quando concepiscono una Chiesa docente senza il Papa, anzi contraria al Papa e a lui superiore. Pertanto quei che difendono l'infallibilità personale del Papa non trattano del Papa separato, e molto meno avverso ai Vescovi; ma solo del Papa, qual capo distinto dalle membra, il quale sopra i fondamenti delle scritture e della tradizione definisce in rebus fidei et morum conn giudizio personale, qual Capo e Dottore della Chiesa universale, senza previo consenso o concomitante giudizio dei Vescovi, sicchè i suoi decreti dogmatici siano al tutto irreformabili per ciò stesso che son fatti dal Capo supremo e Dottore universale della Chiesa Cattolica. Posta così la quistione, neppur si deve ella ingombrare d'altre quistioni astrattee ed estranee; se il regime della Chiesa sia assolutamente monarchico o temperato, se la Sede debba distinguersi dal sedente, ed altrettali; checchè fosse di ciò, la quistione si è, se difatto il divin Redentore come ha dato la prerogativa della infallibilità alla Chiesa, l'abbia pur data personalmente al maestro universale, qual è certamente il romano Pontefice. E poichè la causa efficiente dell'infallibilità è l'assistenza dello Spirito Santo, che è nella Chiesa e le insegna perennemente ogni verità, dee definirsi se questa assistenza come fu promessa al magistero della Chiesa, cioè al capo e al corpo dei Pastori, così sia stata promessa al Vicario di Cristo personalmente, non già come a persona privata, ma come a capo della Chiesa, onde è sempre la stessa infallibilità della Chiesa. Huc igitur controversia dogmatica de infallibilitate personali Pontificis tandem reducitur, ut definiatur; num extet promissio assistentiae Spiritus Sancti personaliter Petro facta et in Petro eius successoribus romanis Pontificibus ad arcendos errores, ut pontificali magisterio catholica Ecclesia res fidei et morum infallibiliter doceretur (pag. 32). Or questa promessa personale si contiene chiarissimamente nelle testimonianze dell'Evangelio e dei Padri. Quindi la soluzione della quistione, che dal ch. Autore compendiasi in questa forma: La cagione efficiente dell'infallibilità in rebus fidei et morum è l'assistenza dello Spirito Santo; ma questa assistenza secondo le scritture e la tradizione dei Padri, è promessa a Pietro personaliter, come a Pietro e agli Apostoli, per modum unius; dunque l'infallibilità in rebus fidei et morum conviene a Pietro e per modum unius cogli Apostoli, e personalmente. Ciò che si dice di Pietro, si dica dei romano Pontefice, successore di Pietro; e si avrà l'infallibilità del romano Pontefice tanto collettiva coi Vescovi per modum unius, quanto ancor personale. Nella sacra Scrittura e nella tradizione si trova rivelato questo doppio modo, o duplice modalità (duplex modalitas) della stessa assistenza dello Spirito Santo; la prima riguarda Pietro e i suoi successori personalmente, l'altra la successione apostolica, ossia il corpo episcopale per modum unius. Modalitas duplex cernitur in una infallibilitatis dote; quia duplex modalitas in una assistentia Spiritus Sancti reperitur: modalitas personalis pro Petro, et modalitas collectiva pro Petro et Apostolis (pag. 43).

    E qui appunto consiste il pregio speciale di questo scritto del P. Ludovico da Castelplanio; nel mettere in luce questa doppia modalità, personale e collettiva, della stessa infallibilità per l'assistenza dello Spirito Santo, e nell'illustrare la controversa infallibilità personale del Capo della Chiesa colle dottrine non controverse della infallibilità collettiva della Chiesa docente. Come questa si prova evidentemente dalle parole dette da Cristo agli Apostoli, così quella si prova dalle parole dette da Cristo personalmente a Pietro, ne' famosi testi di S. Matteo, di S. Luca e di S. Giovanni. Egli mette in luce speciale che come le parole evangeliche per confessione di tutti provano la pienezza della potestà in regendo data personalmente a Pietro, così pure provano essenzialmente ed inseparabilmente la stessa pienezza di potestà in docendo; sicchè il primato personale e l'infallibilità personale vanno necessariamente insieme; dacchè il primato personale del romano Pontefice comprende come due parti, regimen et magisterium, ed egli è ugualmente Capo sì nel reggere come nell'insegnare. A lui pertanto è promessa personalmente l'assistenza dello Spirito Santo, e per lui collettivamente alla Chiesa docente: Cuncta personaliter procedunt a Patre in Christum, personaliter a Christo in Petrum, personaliter a Petro in Ecclesiam. (pag. 39); il che ripete più fortemente appresso (pag. 52): additando con ciò, che sebbene l'infallibilità nella Chiesa docente sia prior et notior quoad nos, nell'ordine della cognizione, pure dee prima concepirsi l'infallibilità nel Papa, nell'ordine oggettivo e reale.

    Laonde confrontando queste due modalità, personale e collettiva, dell'infallibilità per l'assistenza dello Spirito Santo, l'infallibilità del Pontefice non si deriva dal consenso tacito o espresso, previo o susseguente dell'Episcopato; piuttosto il Papa comunica l'irreformabilità al giudizio dei Vescovi e non viceversa: e la ragione si è perchè l'influsso della infallibilità non ascende dal basso in alto, ma discende piuttosto dall'alto in basso; e benchè lo Spirito Santo assista anche ai Vescovi (non solo per credere, ma anche per insegnare), pure il segno certo che i Vescovi siano collo Spirito Santo, è il Pontefice. Quando poi i Vescovi siano discordi in un giudizio dommatico, il Pontefice decide personalmente tra i contendenti, e definisce con irreformabile giudizio in quanam parte veritas sit (pag. 52).

    Dimostrata così questa doppia modalità dell'infallibilità e dell'assistenza dello Spirito Santo, il chiaro Autore tratta brevemente della definibilità dogmatica della personale infallibilità del Papa; e qui pure a sciogliere tutte le quistioni intorno all'infallibilità personale del Papa, prende luce dalle dottrine non controverse dell'infallibilità della Chiesa; ripetendo qui pure che clavis quae aperit sanctuarium Pontificis est infallibilitas Ecclesiae docentis (pag. 56).

    Il dotto Francescano illustra tutto il suo scritto con alcuni bei testi del dottore serafico S. Bonaventura; e dà anche un piccol saggio di tutta la scuola francescana in favore dell'infallibilità pontificia; finalmente conchiude con ossequiose parole a monsig. Vescovo di Terracina; e al Rmo Ministro generale dell'Ordine dei Minori, per cui consiglio il religioso teologo scrisse questa teologica disquisizione.

    2. When does the Church speak infallibly? or the nature and scope of the Church's teaching office by Thomas Francis Knox, of the London Oratory: Second edition, enlarged. London, Burns. In 16.° gr. di pag. 124.

    Del Magistero infallibile della Chiesa –– Opuscolo di Tommaso Francesco Knox, dell'Oratorio, tradotto dall'Inglese. Torino, P. Marietti, 1870 In 16.° di pag. 97:

    Annunziamo con gran piacere la seconda edizione inglese, accresciuta e migliorata, dell'aureo opuscolo del P. Knox, e vorremmo annunziare anche presto la seconda edizione della versione italiana, esaurita che sia la prima, da noi lodata a pag. 349 del volume precedente. Come ivi dicemmo, benchè l'opuscolo abbracci tutte le quistioni intorno all'infallibilità, pure più specialmente tratta la quistione dell'oggetto, che è evidentemente il medesimo e pel Papa e per la Chiesa docente.

    Stabilito una volta il soggetto dell'infallibile magistero, egli ha posto in bella luce il principio, che l'oggetto della infallibilità della Chiesa non può sapersi autenticamente da altri che dalla stessa Chiesa, cioè dallo stesso soggetto dell'infallibilità. Siccome la Chiesa, provata la sua divina missione coi motivi di credibilità, propone praticamente a credere, come rivelata, tra l'altre sue prerogative la sua infallibilità, così a lei si appartiene d'insegnare qual sia l'oggetto, quali i limiti, quale l'estensione di tale infallibilità; ossia fin dove si estenda la promessa assistenza dello Spirito di verità, tanto più che ciò dee pur contenersi nel deposito della rivelazione a lei affidato.

    E qui appunto consiste il merito speciale di questa operetta del P. Knox. Egli a sapere quando e come e con quali condizioni la Chiesa insegni infallibilmente, interroga specialmente la pratica della Chiesa, e da questo magistero vivente, più che dalle varie opinioni dei teologi, egli deduce le risposte alle diverse quistioni intorno all'oggetto dell'infallibilità.

    Qual è la materia, egli chiede (ci serviremo delle parole della bella versione italiana, pag. 27), qual è precisamente l'estensione della infallibilità della Chiesa nell'insegnamento? Per dar giusta risposta è necessario consultare la Chiesa, che è ambasciatrice di Dio e sola conosce l'estensione della sua potestà. Ammesse le sue credenziali, e riconosciuta la Chiesa come un inviato da Dio, ragion vuole che crediamo alla parola di lei , quando ci significa l'oggetto e lo scopo della sua missione. Ciò che, come maestra, dichiara esser compreso nel campo della sua infallibilità, vi è certamente compreso; provato dunque che la Chiesa asserisce la sua infallibilità intorno a qualche punto, è provato che in quello è certamente infallibile. La Chiesa non desume la sua potestà da un documento scritto; essa nacque istituzione vivente e vigorosa; quindi non ebbe bisogno di cominciare col definire accuratamente l'estensione della sua autorità, ma dichiarò la potestà che possedeva coll'esercitarla. Così, secondo i disegni della Provvidenza, il corso degli avvenimenti ha giovato a mostrare con precisione sempre maggiore l'estensione intera dell'infallibile autorità della Chiesa, come maestra, e per indicarne il campo con esattezza maggiore.

    Quindi, secondo il senso pratico della Chiesa, egli addita generalmente l'oggetto della infallibilità compreso in quella formola generale, in rebus fidei et morum. Per le parole stesse dette da Cristo agli Apostoli, tutte le verità (Io. XVI, 13); tutto quello che ho detto a voi (Io. XIV, 26 ); tutto quello che v'ho comandato (Matth. XXVIII, 18); cioè tutta l'economia della salute eterna, tutto quello che gli uomini debbono credere e fare per giungere alla beata eternità, cade sotto l'autorità della Chiesa insegnante, e però sotto la sua infallibilità. Di qui è nato il detto comune, che la Chiesa è infallibile in tutto ciò che insegna in rebus fidei et morum, intorno la fede e la morale; perché la fede si riferisce a ciò che dobbiam credere, e la morale a ciò che dobbiamo operare. E il detto è vero, se si spieghi che per oggetto della fede e della morale non s'intendono solamente le verità rivelate direttamente dal Redentore agli Apostoli in modo implicito od esplicito; ma inoltre tutti gli altri rami di verità, speculativa o pratica, che s'intrecciano in qualche modo colle verità rivelate; ma riuscirebbe falso e pericoloso se si prendesse in guisa che le parole fede e morale restringessero l'infallibilità della Chiesa alle sole verità rivelate, come vollero fare i Giansenisti (pag. 30). Quindi apparisce manifesto che il campo dell'insegnamento infallibile della Chiesa è vastissimo e comprende molte e diverse materie; perchè sono ben pochi i rami del vero che non abbiano qualche legame col dogma rivelato. Lo che diviene ancor più palpabile per l'esame particolareggiato delle materie, che spettano all'insegnamento della Chiesa (pag. 32).

    Qui il ch. Autore (da pag. 33 a pag. 56) esamina particolarmente capo per capo la materia dell'insegnamento infallibile della Chiesa, considerando specialmente il fatto e la pratica della Chiesa, sempre fermo nel principio, che se la Chiesa si attribuisce l'infallibilità nell'oggetto del magistero, ella certamente non la usurpa, ma la possiede. L'oggetto primario e immediato della infallibilità, è certamente la verità rivelata; ma per la relazione con questo la Chiesa porta infallibile giudizio sopra altre verità, come oggetto secondario e mediato. Il ch. Autore le classifica in questo modo: 1° verità contenute esplicitamente o implicitamente nella rivelazione, 2° principii generali di moralità anche sol naturale, 3° fatti dogmatici e morali, come sono il senso di un libro in riguardo alla fede, la canonizzazione dei Santi, le costituzioni intorno alla disciplina ecclesiastica e al culto universale, l'approvazione di Ordini religiosi, la condanna di certe società, l'approvazione o condanna di certi sistemi d'educazione, ecc., 4° verità e principii di sana politica, 5° conclusioni teologiche, 6° conclusioni filosofiche e di scienze naturali, per la relazione che hanno col dogma o colla morale; e dopo di aver discorso di tutti questi capi partitamente compendia il tutto in questa formola generale. Materia dell'insegnamento infallibile della Chiesa è primieramente ogni verità rivelata, contenuta nel deposito della fede esplicitamente o implicitamente; e secondariamente e per modo indiretto sono tutte le verità naturali, sia di fatto sia speculative, connesse in tal guisa colla verità rivelata , che l'errore in quelle tenda a corrompere la purezza della fede nella mente dei cristiani e a mettere in pericolo la loro eterna salute (pag. 56). In tutto questo esame particolareggiato dell'oggetto dell'infallibilità l'autore ragiona sì teologicamente, ma sopra tutto mira il fatto e la pratica della Chiesa, ch'egli ha sempre dinanzi come maestra, non a guisa d'astrazione incerta, ma come persona vivente.

    Nel discorrere dei varii capi fa osservare le relazioni più o meno evidenti, che molte parti dell'insegnamento della Chiesa hanno col deposito della fede, sul quale è fondato il diritto della Chiesa di ammaestrarcene infallibilmente; e sopra tutto fa rilevare che il deposito della fede è sempre la norma e la regola che la Chiesa tiene per giudicare della verità o falsità di dottrine non rivelate, o filosofiche o politiche, che però ella non riguarda altrimenti che sotto l'aspetto dommatico e morale. Essa per darne il giudizio (ei dice) non comincia dal rifare il processo tenuto dai filosofi onde scoprire dove sia l'errore, ma paragona quei risultati colla verità rivelata, e secondo questa li giudica. Un uomo che ha la vista sana dando un'occhiata alla forma e alla posizione degli oggetti, corregge in un momento le conclusioni erronee, a cui un cieco è venuto lentamente, toccando ed ascoltando; perchè non è necessario a tal uopo per chi vede, adoperare il tatto e l'udito, ma gli basta il senso che manca al cieco. Così la Chiesa che ha occhi aperti alla luce della fede, può, soccorsa da questa luce superna, dichiarare infallibilmente ciò che un sistema filosofico, una proposizione, un libro, contengono di vizioso; e spesso secondo che richiedeva il bisogno dei suoi figli ha esercitato nel corso de' secoli questa potestà (pag. 52).

    Egli torna ad inculcare lo stesso principio parlando della natura delle condanne dottrinali. La regola, ei dice, con cui la Chiesa paragona e secondo cui condanna le dottrine erronee, non può essere se non il deposito della fede, che comprende anche i principii della legge e dei costumi. Il deposito della fede è infatti unica norma ai giudizii della Chiesa; nessuna dottrina è considerata da lei, come soggetta alla sua propria giurisdizione, se non in quanto ha rapporti colle verità rivelate, cioè secondoche è commensurabile con queste. Però le condanne dottrinali della Chiesa equivalgono a sentenze, che dichiarano formalmente come queste o quelle proposizioni riprovate, sono in uno o in altro modo discrepanti dalla fede cattolica. I diversi gradi e modi di discrepanza sono indicati dalle varie censure teologiche, chiamandosi censura teologica la sentenza proferita intorno ad una proposizione, per indicarne la divergenza dalla rivelazione (pag. 71, 72).

    Qui viene in acconcio di cercare se l'oggetto dell'infallibilità in dar tali censure, debba restringersi alla censura d'eresia o estendersi alle censure minori: e la risposta deducesi dall'Autore dallo stesso principio del magistero pratico della Chiesa. La Chiesa insegnante ha sempre affermato di potere non soltanto dichiarare infallibilmente che qualche dottrina determinata è opposta al deposito della rivelazione, ma anche di poter definire, se le piace, il grado preciso e la specie di una siffatta opposizione. In altre parole, essa si attribuisce la potestà di assegnare a ogni proposizione condannata qual censura a buon diritto le convenga; il modo però, con cui ha esercitato questa potestà, è diverso secondo i diversi tempi (pag. 123).

    Gli stessi argomenti, dice il ch. Autore, che ci convincono dell'obbligo di uniformarci coll'animo nel ritenere per direttamente opposto alla fede ciò che la Chiesa dichiara tale, mostrano del pari che dobbiamo sottometterci nella stessa guisa al suo giudizio, quando proferisce che una dottrina, deviando solamente per modo indiretto dalla fede, merita una censura minore a quella d'eresia. La distinzione dell'un caso dall'altro manca d'ogni ragionevole fondamento; bisognerebbe, negare gare alla Chiesa insegnante intorno alle deviazioni minori dalla fede l'infallibilità che le si concede intorno alle deviazioni di più funesta specie. La Chiesa stessa ripudia praticamente quella distinzione, esigendo da noi sotto pena di peccato la sommissione nell'un caso e nell'altro. E poichè essa ha diritto di esigere ciò che esige, dalla pratica di lei si inferisce che la Chiesa non può errare, neanche in queste condanne minori (pag. 78, 79).

    Così pure per lo stesso principio della diversa pratica della Chiesa non si vuol restringere l'oggetto dell'infallibilità a certe formalità e condizioni, per esempio di anatema, poste da alcuni teologi, per le definizioni sia del Pontefice sia della Chiesa docente. La forma delle definizioni e le formalità che le accompagnano sono circostanze meramente accidentali, che ammettono modificazioni notevoli. Ciò che rende infallibili quegli oracoli, e insieme la nota che ce ne indica l'infallibilità, è l'intenzione manifestata dal Pontefice d'istruire con quelli tutta la società dei fedeli per l'autorità che gli spetta come a loro Pastore costituito da Dio (pag. 65).

    Parimente dipende dalla Chiesa l'obbligazione che s'impone ai fedeli: talora sarà meramente una obbligazione disciplinare di silenzio, senza definir la questione; ma se la Chiesa o il Papa porta definitiva Sentenza dottrinale, già non basta un silenzio ossequioso, o un assenso, come dicono, provvisorio; ma sotto pena di grave colpa si richiede l'assenso interno, il quale sarà assenso di fede divina immediatamente, se la cosa si propone a credere come rivelata, e sarà assenso di ubbidienza d'intelletto al divino magistero della Chiesa e però di fede divina solo mediatamente, se la cosa si propone a credere come vera pel nesso che ha colla rivelazione, di cui la Chiesa è custode infallibile.

    Così da questo principio fondamentale del magistero pratico della Chiesa, il P. Knox con grande semplicità e sodezza scioglie tutte le quistioni intorno all'oggetto dell'infallibilità e agli obblighi dei fedeli verso la Chiesa insegnante. Non siamo noi che abbiamo scelto la Chiesa per maestra e le abbiamo conferita l'autorità d'insegnare; però non possiamo restringerla con limiti a nostro arbitrio, nè liberarci dall'obbligo di obbedire: non avendo Gesù Cristo posto termini all'obbedienza dovuta alla Chiesa, debito nostro è fare ciò che la Chiesa ci comanda di fare e credere ciò che ci ingiunge di credere; senza domandarne il perchè: la voce della Chiesa è voce di Dio (pag. 75).

    Il P. Knox ha voluto esporre in modo semplice, positivo, e non polemico, tutta la dottrina intorno all'infallibilità, e vi è riuscito a meraviglia. Più che a raziocinii e a controversie e ad opinioni di teologi, egli si è tenuto agli atti della Chiesa docente e del Papa, sino a' dì nostri: cioè egli ha raccolto ciò che la Chiesa docente e il Papa, ossia il soggetto dell'infallibilità, insegna intorno all'oggetto e alle quistioni connesse. Quindi non si è ristretto, come fanno talora alcuni teologi, massime per convenienze polemiche, dentro stretti ed arbitrarii confini, or limitando l'oggetto dell'infallibilità, ora le condizioni, ora le obbligazioni, or lasciando le quistioni indecise; ma ha esposta tutta intera la verità secondo il magistero pratico della Chiesa. Egli dimostra infine l'importanza pratica di tener tutta la dottrina della Chiesa intorno all'infallibile suo magistero, e di quanto danno intellettuale e morale sia il restringere l'autorità della Chiesa nell'oggetto dell'infallibilità alle cose strettamente di fede, e di riguardare la filosofia, la politica, l'educazione, siccome cose affatto profane, estranee del tutto al magistero infallibile della Chiesa. Per verità la quistione dell'ampiezza dell'oggetto dell'infallibilità sotto alcuni rispetti è di maggiore importanza pratica che non la quistione, ora tanto agitatata, intorno al soggetto; benchè amendue siano d'importanza, vitale. Quindi il libretto si stende più intorno all'oggetto primario e massime secondario dell'infallibilità, che non intorno al soggetto, cioè l'Episcopato ed il Papa; benchè in questa seconda edizione il punto della infallibilità pontificia sia trattato di nuovo con maggiore ampiezza, secondo che volevano le circostanze presenti. Ma di ciò parleremo, se verrà in luce un'altra versione italiana: intanto abbiam già troppo parlato dell'oggetto, or compendiando, or dando estratti della prima versione, non sapendo come esprimere quelle dottrine con più compendiose o con più acconce parole.

    [...]

    NOTE:

    [1] Di qui si vede tanto esser lungi dal vero la pretensione di coloro, i quali vogliono che per le decisioni di controversie almeno di fede si richieda nel Concilio l'unanimità morale dei suffragi, che anzi da questo evidente discorso dell'Autore (pag. 18, 20, 52) risulta neppur richiedersi la maggioranza, ma bastare anche la minoranza col Papa.

    Del soggetto e dell'oggetto dell'infallibilità.

  3. #13
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    Predefinito Rif: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    Complimenti agli amici di "Progetto Barruel" per il loro lavoro indefesso al servizio della Fede cattolica.

  4. #14
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  5. #15
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    Predefinito Rif: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    La Civiltà Cattolica, anno LVIII, vol. I, Roma 1907 pag. 712-717
    La questione di Papa Liberio. Nuove ricerche.

    [Per approfondire l'argomento si veda il seguente testo:
    Fedele Savio S. I., Punti controversi nella questione del Papa Liberio, Roma 1911. N.d.R.]

    La questione della caduta di papa Liberio nel sottoscrivere od accettare una delle formole ariane o semiariane di Sirmio è antica quanto Liberio stesso. Essa nacque dalle calunnie e dagli scritti falsificati di Liberio, sparsi dai vani nemici che ebbe egli, o per meglio dire, la dottrina della Chiesa in lui personificata. Lasciando stare i testi dubbi e controversi di S. Atanasio e di S. Gerolamo, è noto come lo storico Rufino, alla distanza di quarant'anni incirca da Liberio, protestasse di non sapere se il suo ritorno a Roma dall'esiglio si dovesse al fatto d'una sua condiscendenza alla volontà di Costanzo nel sottoscrivere, oppure alle suppliche dei Romani [1].

    Dei moderni eruditi cattolici non pochi, e forse i più, finirono con accogliere il racconto di Sozomeno, secondo il quale Liberio avrebbe sottoscritta la 3a formola di Sirmio, cattolica in tutto, eccetto che taceva la parolai omousios. Pochi tuttavia (e tra questi si pone pure chi scrive le presenti righe, e lo mostrerà tra poco in un suo opuscolo) seguono l'opinione difesa primamente dal Corgne nel 1732, poi dal bollandista Stilting e da altri, che Liberio niun atto commettesse, tale da essere interpretato come contrario al concilio Niceno.

    Le incertezze che ancora esistono tra i moderni, dopo tante ricerche e tanti studi, dimostrano quanto sia stata profonda la ferita, che i nemici di Liberio recarono alla sua memoria, e quanto perciò debba tornare gradito ai sinceri amatori della verità qualsiasi contributo nuovo si porti per illustrare le oscurità con cui si annebbiarono gli atti di quel Pontefice.

    Ed un contributo assai pregevole l'ha portato ultimamente il sig. ab. Luigi Saltet, professore di storia ecclesiastica nell'Istituto cattolico di Tolosa, con la scoperta da lui fatta e provata di varie falsificazioni dei Luciferiani, di cui alcune dirette appunto ad infamare la memoria di Liberio.

    Il lavoro del Saltet è compreso in due articoli comparsi nel Bulletin de littérature ecclésiastique de Toulouse, il primo col titolo La formation de la légende des papes Libère et Félix [2], e l'altro sotto il titolo di Fraudes littéraires des schismatiques Lucifériens [3].

    Anzitutto il Saltet ci parla delle quattro lettere, ch'ebbero corso in passato come opera di Liberio e che ora generalmente sono riconosciute come apocrife ed opera degli ariani.

    Egli si domanda quando furono composte le quattro lettere, e se realmente S. Ilario le abbia accolte nella storia degli ariani (il così detto Opus historicum) ch'egli preparava e che è giunta a noi in istato frammentario. Riguardo al tempo, osserva il Saltet che il Loofs, il quale collocò l'opera del falsario al tempo di Liberio, non dà ragione di tal collocamento. A noi la ragione sembra chiara; poichè dopo Liberio essendo cessato l'impegno degli ariani di far accettare con tutti i mezzi, non esclusi quelli dell'inganno e della violenza, le loro formole, non si vede chi avesse ancora interesse a supporre quelle lettere.

    Quanto alla genuinità dell'Opus historicum di S. Ilario, son note le obbiezioni che insigni scrittori cattolici le mossero, specialmente a cagione delle suddette false lettere e di certi commenti ed osservazioni che vi avrebbe fatto sopra il compilatore.

    Ogni difficoltà sarebbe ora tolta, accettando l'ipotesi del Saltet che l'Opus historicum sia bensì primitivamente opera di S. Ilario, ma essa sia giunta a noi rimaneggiata da un luciferiano, nemico di Liberio e di Osio, il quale vi avrebbe soppresso una lettera genuina di Liberio ed una del concilio di Parigi del 360-361, introducendo in loro luogo la falsa lettera Studens paci di Liberio agli Orientali, ed una falsa lettera di S. Eusebio a Gregorio d'Elvira e di più le altre tre lettere false di Liberio e i commenti sfavorevoli a Liberio.

    La prova più forte che lo scismatico manipolatore dell'opera ilariana, introducendovi la falsa lettera Studens paci (nel frammento IV), soppresse una genuina lettera di Liberio agli Orientali, la trae il Saltet dal contrasto evidente e palpabile tra la detta lettera pseudoliberiana e le osservazioni che la seguono, le quali sono certamente di S. Ilario.

    Nella lettera Liberio annunzia agli Orientali d'aver intimato ad Atanasio di venir a Roma sotto pena di scomunica e poichè egli ha positivamente rifiutato di obbedire, il Papa avverte i vescovi d'Oriente di considerarlo come scomunicato «alienum esse a comunione mea sive ecclesiae romanae et consortio litterarum ecclesiasticarum».

    Le osservazioni di S. Ilario (per quanto il loro testo sia stato guastato dai copisti) presuppongono una lettera con sentimenti del tutto contrarii a quelli della lettera presente. Comincia ivi in effetto S. Ilario a lodare la lettera come modello inarrivabile di santità e di timore di Dio: «Quid in his litteris non sanctitatis, quid non ex metu Dei eveniens est ?». Indi censura Potamio ed Epitteto, i quali, come si vede dagli atti del concilio di Rimini, si gloriano di condannare il Papa e non vogliono sentire ciò che si contiene nella lettera surriferita. Questa poi fu bensì mandata da Fortunaziano (vescovo d'Aquileia) a varii vescovi, ma senza profitto. Afferma poscia che il papa nella sua lettera o per addossare a coloro a cui scriveva la responsabilità di negare ad Atanasio la comunione, oppure protestando egli di non volersi assumere tale responsabilità [4], citava le lettere dei vescovi egiziani, i quali, come avevano pregato papa Giulio di restituire la comunione ad Atanasio esule, così ora pregavano Liberio di conservargliela, come si capisce, dice S. Ilario, dalle lettere seguenti, ut de subiectis intelligetur.

    Questo è ben il linguaggio rude e incisivo di S. Ilario, e l'appello ch'egli fa alle lettere seguenti, come testimoni delle lettere dei vescovi egiziani a Liberio, è confermato da quanto dice la lettera genuina di Liberio a Costanzo, la quale subito segue (nel frammento V), e in cui si parla appunto della petizione di 80 vescovi egiziani in favore di S. Atanasio.

    Ha quindi pienissima ragione il Saltet quando afferma, che la falsa lettera Studens paci fu sostituita nell'opera di S. Ilario ad una vera e genuina lettera di Liberio, che diceva tutto il contrario della lettera presente, e che solo a questa lettera (ora perduta) si possono riferire le suddette osservazioni di S. Ilario. A proposito delle quali rileveremo noi pure il fatto, finora poco considerato, che in esse S. Ilario disapprova Potamio (vescovo cattolico debole che aveva ceduto agli ariani) ed Epitteto, aperto ariano, d'aver condannato Liberio nel concilio di Rimini. Autore della sostituzione crede il Saltet sia il medesimo che aggiunse alla fine di altre tre lettere false di Liberio gli anatemi a Liberio, e l'ingiurioso titolo di apostata, e che inserì nella collezione di S. Ilario una lettera di S. Eusebio di Vercelli a Gregorio vescovo d'Elvira.

    Questa il Saltet prova essere falsa da capo a fondo. Noi non intendiamo seguirlo nella sua dimostrazione; ma ci basterà dire ch'egli analizza e notomizza periodo per periodo la supposta lettera eusebiana, e fa vedere che il falsario prese non pochi pensieri ed espressioni dalla genuina lettera, scritta da S. Eusebio ai suoi Vercellesi dall'esiglio di Scitopoli.

    Agli indizii di falsità recati dal Saltet vogliamo aggiungerne due altri. Il 1° è che S. Eusebio, il quale è noto essere stato sempre mitissimo, sebbene inflessibile nei principii della fede, e che approvò nel concilio di Alessandria del 362 la regola di perdonare ai vescovi caduti a Rimini, purchè si ritrattassero, doveva già certamente avere queste disposizioni nel 360-361 (prima del novembre 361), quando si suppone scritta la sua lettera al vescovo di Elvira.

    Perciò è poco credibile ch'egli si esprimesse con tanta forza contro i Padri di Rimini (ch'egli pur dovea sapere aver ceduto per debolezza, ed ingannati), quanta si vede nella suddetta lettera.

    Il 2° indizio ci vien suggerito da una nota che troviamo nell'eccellente studio, edito testè da F. Cavallera, sullo scisma d' Antiochia. Egli osserva che secondo i tre storici greci, quando morì Costanzo, Eusebio e Lucifero stavano esuli in Egitto presso Tebe. Ma i tre storici dipendono da Rufino, il quale non si esprime con troppa chiarezza riguardo al luogo dove stavano, mentre poi per ciò che in particolare concerne Eusebio, Rufino ripetutamente afferma che Eusebio prima di venire in Alessandria stava ad Antiochia coi partigiani di Eustazio, e che invitato al concilio di Alessandria promise ai cattolici antiocheni di ottenere che fosse loro dato un vescovo: «Sed Eusebius cum redisset Antiochiam, quia digrediens inde promiserat se acturum in concilio ut eis ordinaretur episcopus».

    Il passaggio di S. Eusebio ad Antiochia apparisce molto naturale, se lo si supponga in viaggio per Alessandria, venendo dalla Cappadocia, luogo del secondo esiglio, mentre se lo si supponesse a Tebe o in Egitto alla morte di Costanzo, bisognerebbe per render vera l'affermazione di Rufino, supporre altresì che dall'Egitto si recasse ad Antiochia e poi di qui ritornasse ad Alessandria, per ritornare poi una seconda volta ad Antiochia, cose tutte non poco inverosimili. Perciò il terzo esiglio di S. Eusebio a Tebe (dopo gli esigli di Scitopoli e di Cappadocia) accettato finora da tutti gli storici sulla sola autorità della supposta sua lettera a Gregorio d'Elvira (nos vero tui consacerdotes, tertio laborantes exilio), ora che questa è dimostrata falsa, diventa per lo meno assai dubbio, e ci dà nello stesso tempo un nuovo argomento per sospettare della lettera stessa.

    Nè si contentò il manipolatore luciferiano della raccolta di S. Ilario d'introdurvi la detta falsa lettera di S. Eusebio, ma l'avrebbe anche sostituita ad un'altra, la quale probabilmente seguiva il primo dei due documenti che vedonsi ora nel frammento, ed è una lettera del concilio di Parigi del 360-361 ai vescovi di Oriente.

    Sappiamo, dice il Saltet, da S. Agostino (contra Parmen. I. 7) che i vescovi delle Gallie in un concilio giudicarono benignamente della caduta di Osio, mentre assai severamente ne avevano giudicato gli Spagnuoli.

    È probabile perciò che i vescovi delle Gallie (che non consta essersi allora adunati altrove che nel concilio di Parigi 360-361) esprimessero il loro giudizio favorevole ad Osio in forma di lettera all'episcopato spagnuolo. Il compilatore, che da buon luciferiano, odiava non meno Osio che Liberio, avrebbe soppressa questa lettera favorevole ad Osio e l'avrebbe sostituita con la falsa lettera di S. Eusebio a Gregorio d'Elvira, nella quale Osio è detto prevaricatore, e si loda Gregorio per avergli resistito.

    Interessante pure è la ricerca del Saltet per stabilire l'autore delle false lettere di Liberio.

    Tre almeno, dic'egli, furono i partiti che si adoperarono per falsare la storia di Liberio, gli ariani, i feliciani, cioè i partigiani dell'antipapa Felice creato contro Liberio nel 355 o 356, ed i luciferiani. Non pare che l'autore delle lettere fosse un luciferiano; egli fu probabilmente un ariano o un feliciano.

    Per compiere la sua trattazione il Saltet fa vedere l'influsso che le false lettere di Liberio ebbero sulla notizia biografica di lui nel Liber pontificalis. Ivi i due vescovi ariani Ursacio e Valente figurano come autori della liberazione del Papa dall'esiglio. Siffatta erronea rappresentazione dei due suddetti personaggi è dovuta alla falsa lettera Quia scio vos, nella quale Liberio si raccomanda a quei due caporioni della setta, affinchè gli ottengano la libertà.

    Quanto ai Gesta Eusebii che il Saltet, insieme col Duchesne, vorrebbe posteriori al Liber pontificalis, ci permettiamo di esprimere qualche dubbio. Dato l'impegno che tutti i titoli di Roma mostrano sin dalla fine del secolo V, come ha provato il Dufourcq (Les Gesta Martyrum romains), o dal principio del VI di avere la leggenda del proprio santo patrono, sembrerebbe più probabile che prima si siano composti i Gesta Eusebii, i quali sono più diffusi, e poi l'autore del Liber pontificalis li abbia compendiati per stendere la sua breve narrazione.

    Nel secondo articolo il Saltet mette in mostra altre falsificazioni dei Luciferiani, cioè:

    1. Due interpolazioni nella versione latina d'una lettera di S. Atanasio ai solitari. Le interpolazioni hanno per fine di confermare coll'autorità di S. Atanasio il principio della setta luciferiana di evitare ogni contatto con gli eretici e con coloro che comunicavano con gli eretici.

    2. Due lettere di S. Atanasio a Lucifero di Cagliari per occasione del trattato di Lucifero contro Costanzo.

    Nella prima lettera S. Atanasio gli domanda il trattato per leggerlo e nella seconda lo ringrazia d'averglielo mandato; e intanto sì nella prima come nella seconda lettera il grande patriarca d'Alessandria abbonda di lodi esagerate verso il capo e l'idolo della setta luciferiana.

    La prima di queste lettere si trova solo nel cod. vaticano 133, nel quale si trovano pure la seconda lettera e tutte le opere di Lucifero; onde si deduce che il codice stesso riproduca un archetipo del secolo IV, scritto per cura di qualche aderente della setta luciferiana.

    3. Un trattato de Trinitate che portò già il nome di S. Atanasio e che dai Maurini fu relegato tra la opere spurie del S. Dottore.

    Di esso esistono due edizioni, una in 7 libri, e l'altra con l'aggiunta di un 8° libro e di numerose interpolazioni o addizioni nel testo, che nell'edizione dei Maurini del 1698 sono indicate con parentesi.

    Il Saltet, dopo aver minutamente confrontata quest'opera col De fide del luciferiano Gregorio d'Elvira, giunge alle conclusioni: a) che l'autore della prima e della seconda edizione del libro De Trinitate era un luciferiano; b) che egli con disegno premeditato appose al suo lavoro il nome di S. Atanasio; c) che l'opera De fide di Gregorio d'Elvira fu composta prima del 383, e fu pure messa a profitto da un altro luciferiano, il prete Faustino di Roma, nel suo libro De Trinitate sive de Fide contra Arianos.

    NOTE:

    [1] Liberius... «Constantio vivente (Romam) regressus est. Sed hoc utrum acquieverit voluntati suae ad subscribendum, an ad populi romani gratiam, a quo proficiscens fuerit exoratus, indulserit, pro certo compertum non habeo». Hist. eccl., lib. I, cap. 28.

    [2] Fascicolo 7-8, luglio-ottobre del 1905.

    [3] Fascicolo 8-9, ottobre-novembre del 1906.

    [4] Il testo e le varianti si prestano a questi due sensi: «Ut autem in negata Athanasio sibi potius essent onerosi (variante esset onerosus) remque omnem sibi periculi facerent (variante faceret), dummodo nihil Sardicensi synodo, quo Athanasius absolutus et ariani damnati fuerant, decerperent; litterae ex Aegypto omni atque ab Alexandria missae admonebant, quoniam quales ad Iulium pridem de reddenda exulanti Athanasio communione erant scriptae, tales nunc, ut de subiectis intelligetur, ad Liberium datae sunt de tuenda.

    La questione di Papa Liberio. Nuove ricerche.
    Ultima modifica di Luca; 25-07-11 alle 01:22

  6. #16
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    Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo
    La Civiltà Cattolica, anno trigesimoprimo, vol. III della serie XI, Firenze 1880 (pag. 485-491)

    RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA

    A. Leonetti D. S. P. Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo. Bologna, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1880. Tre vol, in 16.Leonetti

    Quante peggiori accuse si possono apporre alla vita privata e publica di un sovrano e d'un Pontefice, tutte si son volute accumulare sul capo di Alessandro VI. Simonia nell'elezione al trono pontificio da lui comprato colla corruzione di tutto il Conclave che lo elesse ad unanimità: e, conforme a tale principio, un turpissimo mercato de' beneficii ecclesiastici da lui aperto ogni qual volta sentisse il bisogno di denaro: il bisogno poi sentirlo poco men che di continuo tra per la sordida avarizia e per la sconfinata ambizione di grandeggiare egli e d'ingrandire la famiglia. A questo doppio fine poi subordinare, e come pontefice perfino la santità dei matrimonii da lui sciolti a talento, e come sovrano la fede dei trattati più solenni. Appena mai stringere amicizia o coi Francesi o cogli Spagnuoli o cogli Aragonesi, che al tempo stesso non menasse trattati segreti coi nemici dei suoi alleati, per mancar poi di fede ad ambedue: il Sultano Gem, ospite e guarentigia di pace a tutta la cristianità, avvelenato: il Savonarola mandato al rogo: il Valentino la cui stessa origine è una macchia d'infamia per Alessandro, licenziato dal padre ad ogni maniera di tradimenti e di crudeltà. Nè venga in mente ad alcuno di ravvisare in tanta enormità di scelleraggini quell'ombra di grandezza luciferina che dall'indole e dall'ingegno dei gran peccatori si riverbera ancor sui loro delitti. In Alessandro non solo non s'incontra nulla di buono, non pietà, non dottrina, non vastità d'ingegno, non amore alle scienze, non sollecitudine pel bene dei popoli, ma nei vizii stessi tutto è volgare, a cominciare dalla codardia nei fatti avversi, fino alle dissolutezze sue e dei suoi, che volsero il Vaticano in un teatro di orgie spudorate. Ma si stancò finalmente la divina giustizia di sì mostruose iniquità e a saggio de' più gravi castighi riservati all'altra vita, dispose che l'indegno Pontefice bevesse un veleno da lui preparato a circa una dozzina di Cardinali, e impenitente disperato rendesse l'anima sua al demonio visibile e presente, a cui l'avea già donata al tempo del Conclave come prezzo dell'ambita sua elezione.

    Anche gli scrittori cattolici più autorevoli, diffidati di poter difendere una causa tanto disperata come quella d'Alessandro VI, credettero meglio di mostrarsi imparziali formandone gindizii inauditi. De hoc Pontifice, scrive il Mansi, facilius siletur quam moderati aliquid dicitur. In illo vitia omnia extrema, virtutes moderatae nisi melius dixeris nullae... Qui hunc laudet neminem huc usque scriptorem offendi, non aequalem eorum temporum, non recentiorem. Ma tanto eccesso di accuse esorbitanti per numero e per gravezza, dovea presto o tardi ingenerare sospetto negli animi amanti di verità ed esercitati per lungo studio della storia a scoprire le falsità introdotte in lei dalla passione dei contemporanei o dalla inavvertenza e buona fede dei posteriori. Parecchi scrittori vuoi cattolici vuoi protestanti, il Roscoe, l'Audin, il Ranke, il Christophe, l'Hefele, il Perrens aveano già proferiti intorno a Papa Alessandro VI o ad alcuni dei fatti più rilevanti della sua vita, giudizii o al tutto favorevoli o non del tutto contrarii. Lo stesso Voltaire li avea prevenuti sbertando la favola dell'avvelenamento del Pontefice, e sfatando l'autorità storica del Guicciardini. Si sono poi scoperti in questi ultimi anni parecchi documenti o staccati o raccolti in serie continuate, come i dispacci di Antonio Giustiniani ambasciadore per la Repubblica di Venezia alla corte di Alessandro VI, ed altri. Si è inoltre da varii scrittori cercato d'illustrare i fatti di casa Borgia attenentisi a quelli di Alessandro; come in ispecie ha fatto, sebbene con molte mende, il Gregorovius a riguardo di Lucrezia Borgia, da lui tolta all'infamia onde l'aveano coperta per quasi quattro secoli gli accusatori di Alessandro VI. Era venuto insomma il tempo di rifare la storia di questo Pontefice, come s'è rifatta ai nostri tempi quella di Gregorio VII dal Voit, e d'Innocenzo III dall'Hurter e del Card. Ximenes dall'Hefele: nè mancava se non che qualcuno si mettesse a quest'opera, quanto faticosa per sè, altrettanto certa di approdare a qualche buon effetto.

    Il ch. P. Leonetti delle Scuole Pie vi si dedicò con tutto sè mosso dall'amore di verità e da divozione verso la Sede Apostolica; e vi recò quella sollecitudine nel ricercare tutti i documenti, quella schiettezza nel citarli e quella diligenza nel discuterli, che si richieggono in chi dovendo rovesciare antichi ed universali pregiudizii, sa d'incontrare in ogni lettore non un discepolo ben disposto, ma un giudice mal prevenuto. E in vero, al lume di questa istoria il ritratto di Alessandro VI, quale si mostrava fin qui, ci apparisce qual sarebbe alla luce del sole un ritratto dipinto sotto gl'incerti raggi del crepuscolo da qualche pittore quanto losco degli occhi tanto ardito della mano.

    La sentenza del Mansi, intorno ad Alessandro VI pur ora citata, si riassume in due parole: In questo Pontefice nulla si vide di buono: tutto fu reo, anzi pessimo. Or quanto alla prima parte, già per sè incredibile, il Leonetti non pena a schierarci innanzi, non che una o due azioni e qualità commendevoli di Alessandro, ma tutta una serie, da pregiarsene qualunque successore di S. Pietro: nè ad un animo ben disposto bisognerebbe altro argomento per ripudiare almeno in genere il concetto che egli ebbe finora di questo Pontefice; poichè riesce impossibile, ritenendolo, il conciliare con esso fatti e sentimenti sì virtuosi e sì comprovati. Divozione esimia alla SS. Vergine, dimostrata non pure nelle publiche circostanze, ma nei privati carteggi; assiduità straordinaria alle funzioni sacre, delle quali il pio Pontefice prendeva singolare diletto: zelo per la riforma dei monasteri, per la propagazione della fede fra gl'infedeli e per la conversione degli eretici. Vistisi appena i primi abusi della stampa, che testè nata volgevasi già alla diffusione di libri empii e licenziosi, Alessandro come vigilante pastore vi si oppone con una solenne Bolla che rimase come fondamento alle posteriori disposizioni della Chiesa circa la stessa materia. Un'altra Costituzione avea egli già preparata col consiglio di sei dottissimi e specchiatissimi Cardinali per la Riforma dei costumi nella Chiesa universale, incominciando dal suo Capo; sebbene per difficoltà a noi ignote soprassedesse dal publicarle: ma non s'astenne già dal prendere altri gravissimi provvedimenti, l'efficacia de' quali si vide segnatamente nella riforma della Spagna; e sarebbesi del pari veduta altrove, se altrove fossero vissuti altri Ximenes, che avessero secondata la saviezza e la santità delle leggi col vigore dell'applicazione. E per lasciare di altre opere assai appartenenti al ministero apostolico, come sovrano e sovrano regnante in Italia, Alessandro non solamente mantenne per sè e pel Valentino, in Roma e nelle province sì buon governo, che morto lo rimpiansero i popoli e al Valentino sostenuto prigione si mantennero fedeli; ma egli di stirpe spagnuola altro disegno politico non ebbe più a cuore, nè ad altro si adoperò più calorosamente, che ad unire gli Stati tutti d'Italia in una sola lega intesa alla prosperità comune e all'indipendenza da qualsiasi straniero. Ma non gli venne mai fatto d'associarsi in sì nobile politica i principi e le repubbliche d'Italia, che in risposta agli ufficii del Papa non si vergognavano di protestarsi buoni francesi o di far lega collo Spagnuolo e fin col Turco, con quel frutto per la Cristianità e per l'Italia che ci dicono le storie di quel tempo.

    Or chi crederebbe che Alessandro occupato in sì diverse cure di politica, distratto nella grand'opera di fiaccare l'usurpata potenza dei baroni romani e di francare ad una ad una dalla loro tirannia le terre della Chiesa Romana e ricondurle sotto l'immediato e discretissimo governo dei Pontefici, ridotto inoltre alle ultime angustie dagli stranieri venuti per la sconsigliatezza degli altri Stati italiani non che ad occupare ma a dividersi fra loro le province d'Italia e ad assediare lui stesso in Castel S. Angelo; chi crederebbe, diciamo, che Alessandro avesse avuto o agio o talento di meritarsi ancora il titolo d'insigne protettore delle lettere? Eppure basta al Leonetti di raccogliere le notizie dovuteci trasmettere dalla istoria, quantunque malevola e dai documenti, per rappresentarci Alessandro come uno dei primi autori di quel movimento, che allargato e condotto al sommo grado da Leone X successore di lui e sotto di lui Cardinale, fece denominare da un Pontefice Romano il secolo del Risorgimento delle arti e delle scienze. Aveva già divisato Innocenzo III di ampliare l'edifizio della Università Romana, la cui ristrettezza ne scemava il decoro e, che più è, ne inceppava colla incomodità del luogo il concorso degli scolari e dei professori. Alessandro incarnò il disegno d'Innocenzo, riedificando l'Università Romana; e per di più la dotò di rendite bastevoli al degno sostentamento di lettori d'ogni scienza. Allora vi si videro tenere scuola un Marco Vigerio, un Tommaso de Vio, un Giovanni Argiropulo, ed oltre a moltissimi altri famosi in ogni genere di discipline, lo stesso Copernico provveduto da Alessandro di convenevole pensione quivi insegnò, benchè nella fresca età di circa ventisette anni, le matematiche; e col Retico suo indivisibile compagno vi praticò le sue osservazioni astronomiche.

    Non meno poi de' buoni studii favorì Alessandro e promosse con pontificia munificenza le arti: ma di questa e d'altre sue lodi possiamo tacere; essendo le cose dette fin qui, o piuttosto solo accennate, più che bastevoli a giudicare quanto lontano dal vero errino le storie di Alessandro VI che ci fan credere non ravvisarsi in questo pontefice se non virtù mediocri, o per meglio dire nessuna: non religiosa, non civile, non politica.

    Ma un còmpito assai più vasto avea il Lionetti nel purgare la memoria di Alessandro dalle accuse di mostruosi delitti appostigli ancora da scrittori del suo tempo. Il ch. A. le riassume ad una ad una allegandone fedelmente le prove, che poi discute. Convien leggere ciascuna di coteste discussioni, che formano la materia presso che d'ogni capitolo, per giudicare del grado di evidenza a cui giunge in ciascuno d'essi la difesa. Un sincero lettore vi riconosce con piacere che quasi tutte le accuse vi sono convinte o di sfrontata calunnia o di manifesto errore, in ispecie alcune delle più obbrobriose. Fra queste ve n'è una, di cui si occupò la Civiltà Cattolica in un suo articolo or sono già parecchi anni. Al che riferendosi un giornale cattolico nel dar conto dell'opera del Leonetti, in una sua appendice bibliografica, nominato cortesemente il nostro periodico, entra a dire che la Civiltà Cattolica «rese colla massima calma ed indifferenza il suo omaggio a questa turpe tradizione che ha fatto di Alessandro VI il ludibrio universale, pubblicando una presunta Bolla» eccetera. Le ottime intenzioni del giornale che così parla meritano che talora si passi sopra alla poca consideratezza di certi suoi appunti. Non mette conto disputare, a cagion d'esempio, sulla tinta d'affetto, che a parer suo sarebbe convenuto dare a quella discussione; neanche gli opporremo che chi pubblica un documento, o chi solo lo riporta, già pubblicato, come fece la Civiltà Cattolica, non rende omaggio a una tradizione, ma cerca di risalire alle sue origini; nè gli chiederemo se sia ben evidente che quella bolla fosse presunta. Ci contenteremo di osservare che l'autore dell'Appendice, venuto poco più sotto a giudicare intorno al valore delle difese del Leonetti, mostra di non sentire il difetto di evidenza se non appunto in quella sola a cui si rannoda il soggetto della Bolla: Rispetto a quest'accusa, dice egli «i documenti recati in mezzo... non possono raggiungere lo scopo che si vorrebbe d'una piena ed evidente difesa del Pontefice, sebbene resti il dubbio e dubbio fortissimo, il che è già molto di fronte alla convinzione contraria antecedente.» Verissimo è che il nostro critico trova poco evidente la difesa soltanto a riguardo del Card. Rodrigo. Or che sarebbe se ad altri paresse soverchia anche questa concessione? Gli apprezzamenti degli uomini anche gravi possono esser diversi e qui ci sembra più che mai essere il caso. Ci pare pertanto di dare non piccola lode al Leonetti, encomiandolo d'avere in genere sollevati su questo argomento dei dubbii, che scoteranno in molti le convinzioni antecedenti.

    Checchè sia di ciò, e conceduto che nella lunga e intricata apologia a cui si riduce la presente Vita di Alessandro VI non tutte le argomentazioni e i giudizii del ch. Autore possano apparire egualmente evidenti agli occhi d'ogni lettore; un effetto peraltro crediamo che proveranno in sè quanti la scorreranno; e sarà il concepire in prima e poi a mano a mano sentir crescere in sè la persuasione, che mai più sformato cumulo d'impudenti calunnie, e di menzogne e falsità non fu composto dalla passione degli uomini e dalla credulità, che nella storia di questo Pontefice. Sarebbe mancata una parte sostanziale all'apologia intrapresane, se il ch. Autore non avesse tolto ad esaminare le fonti da cui sgorgò tanta melma di accuse, e scopertele da prima nei numerosi nemici che ad Alessandro procacciò la fortezza nel rivendicare i diritti della Chiesa e nel promuovere gl'interessi della Cristianità e dell'Italia, contro alla rovinosa e codarda politica seguita dagli altri Stati massime italiani. Poeti e storici di corti avverse al Pontefice, solleciti solo del bello scrivere e non curanti di scrivere il vero, si tennero dai posteri in luogo d'autorevoli testimonii. Ma oltre a questi, si vollero citare ancora più gravi documenti: il Diario del Burkardo, e quello dell'Infessura: il Diario di Marin Sanuto; la Relazione di Paolo Cappello. Si legga il Leonetti e si vedrà qual peso abbiano tali scritture, piene le une delle favole più sbardellate, e di ridicole contradizioni; altre prive d'autenticità; altre posteriori di gran lunga ai tempi di Alessandro. E pure son queste le pietre angolari su cui si regge il monumento d'infamia inalzato a quel Pontefice.

    Conchiudiamo. Il Leonetti ha con questa sua opera renduto un insigne servigio alla storia, alla giustizia e a tutti i fedeli, che si rallegrano di veder rivendicato da innumerevoli calunnie l'onore d'un Pontefice Romano.


    Fonte: Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo
    Ultima modifica di Luca; 28-12-11 alle 19:48

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    Predefinito Rif: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    Fonte: Documenti e novità 2011

    Da: Il Concilio Ecumenico Vaticano
    cenni storici ed esposizione delle due sue Costituzioni dogmatiche
    per opera di Paolo Angelo Ballerini[*]

    Dott. in T., Patriarca d'Alessandria
    Canonico ordinario della Metropolitana di Milano
    membro del Collegio teologico di Genova
    Milano 1880
    (pag. 995-1004)

    Articolo IV

    § 30.
    d) La dottrina cattolica della infallibilità prova per sè che nulla dalla storia dei Papi si può dedurre contra di essa.

    I contraddittori alla dottrina dell'infallibilità pontificia segnalano da ultimo una serie di fatti negli stessi romani Pontefici, che attesterebbe contro la verità e la realtà di questa dottrina. Se gli annali della storia ecclesiastica, essi dicono, ci presentano fino dai primi secoli molte cadute dei successori di Pietro in rapporto alla fede, come si può asserire che ne siano essi maestri infallibili, e che questa loro infallibilità sia sempre stata riconosciuta ed insegnata dalla Chiesa? La Chiesa non può professare nè insegnare una dottrina che si trovi smentita da una copiosa sequela di fatti chiari e indubitati; non può aver mai ritenuto come derivante dalla divina rivelazione una sentenza che le pagine della storia facciano evidentemente conoscere come falsa; e quindi se molti fatti accertati ci dimostrano che i romani Pontefici sono caduti in errori contro la fede, ci provano ad un tempo e ch'essi non poterono attribuirsi questa infallibilità, e che tale loro prerogativa non potè mai far parte del vero e certo insegnamento della Chiesa.

    Fu già cómpito particolare dei gallicani, a nulla dire dei protestanti, il rovistare entro tutta la lunga serie degli annali ecclesiastici e nei numerosissimi volumi dei documenti pontificii, per ripescarne quanti mai fatti potessero fornire apparenze onde accusare i Papi di errori dottrinali, e il solo Bossuet nella sua Defensio declarationis Cleri gallicani [1] ne presentò a' suoi ingenui lettori un'imponente raccolta. Il famigerato Launojo e alcuni storici recenti, quali l'Amedeo Thierry e l'Amper, si compiacquero di aggiungervene ancora qualche altro. Ma la foga di ammassarne quanti più fosse possibile, si riaccese ultimamente quando, all'approssimarsi del Concilio ecumenico Vaticano, venne in prospettiva la possibilità che l'infallibilità pontificia vi fosse definita dogma di fede. Quindi comparvero prima i noti articoli della Gazzetta universale d'Augusta col titolo Il Concilio e la Civiltà, a pretesa confutazione della dottrina difesa dalla Civiltà cattolica; poi l'opera Il Papa ed il Concilio dallo pseudonimo Janus, rifusione ed ampliamento di quei medesimi articoli, in cui accumulavansi le pretese difficoltà storiche contro la dottrina dell'infallibilità papale, articoli e libro dei quali prima si sospettò autore o collaboratore il Döllinger, e poi lo si tenne vero autore, non avendo egli mai riclamato contro la fama che a lui gli attribuiva; però seppesi poscia che il Janus fu da lui compilato insieme all'ora defunto Huber, altro professore, ma laico, dell'università di Monaco. Ne sono poi come un estratto le Alcune osservazioni (Einige Bemerkungen) che si ritennero dal medesimo Döllinger proposte ai Vescovi del Concilio sull'opportunità di definire la questione dell'infallibilità pontificia, in settembre del medesimo anno 1869, e furono ricapitate per la posta ai vescovi di Germania appena prima della loro riunione a Fulda. In esse le più appariscenti di queste medesime difficoltà, ossia obbiezioni, venivano riprodotte [2]. Questo opuscolo comparve contemporaneamente anche in inglese, in italiano e fino in lingua spagnuola, e monsignor Dupanloup molto ne trasse nelle sue Osservazioni sulla controversia sollevata relativamente alla definizione dell'infallibilità (novembre 1869). Nell'ottobre vennero pure alla luce a Monaco in tedesco ed in francese le Considerazioni pei Vescovi del Concilio sulla questione dell'infallibilità papale, opuscolo anonimo, ma di cui poi il Döllinger apertamente si confessò autore, ove non si faceva che ripetere più brevemente gli argomenti contro l'infallibilità pontificia sviluppati nel Janus. Tradotto anche in italiano, fu stampato a Firenze nella regia tipografia. Un altro sedicente Prete cattolico, che pure occultò il suo nome, sorse in allora a voler dimostrare L'infallibilità del Papa in opposizione coll'esperienza di mille e ottocento anni della Chiesa, della ragione e del senso morale dell'uomo, e anche in quest'opera doveasi quindi agglomerare quanto nella storia ecclesiastica potea dare appiglio a sostenere che più Papi fossero caduti in errori contro la fede. La petizione dei Vescovi, i quali chiesero che la questione dell'infallibilità fosse proposta alle discussioni del Concilio, diede nuova occasione al Döllinger di riaccennare le così dette difficoltà della storia contro di essa in Alcune parole su quella petizione (19 gennajo 1870) mandate ancora alla Gazzetta universale d'Augusta; però solo di passaggio vi toccò dei supposti errori dei due papi, Vigilio ed Onorio, contro la fede. Ma dopo la definizione della papale infallibilità, il Döllinger, fattosi ancor più pertinace nella sua resistenza all'autorità della Chiesa docente, negò primieramente insieme col Friedrich l'adesione a quel dogma, chiesta dall'Arcivescovo di Monaco ai professori della facoltà teologica cattolica di quell'università, come fu narrato nei Cenni storici precedenti, e dopo una duplice dilazione accordata a quei due che soli rifiutarono la detta adesione, il Döllinger pubblicò una Dichiarazione, in cui recisamente rifiutò l'ingiunta sommessione (28 marzo 1871), e molto dilungandosi nell'esposizione di quei motivi, fallaci e affatto in opposizione colla storia veritiera, dai quali si credeva astretto a negare la richiesta obbedienza tanto al capo terzo quanto al capo quarto della prima Costituzione del Concilio Vaticano intorno alla Chiesa, più volte ancora, ma solo in generale, accennava a quei fatti ch'ei trovava in diretta opposizione colla supposta infallibilità del Pontefice romano. Il Papa ed il Concilio di Janus rimane dunque, insieme colla Defensio di Bossuet, il più grande arsenale da cui estrarre tutti i supposti peccati dei Papi in materia di dottrina; sebbene alcuno se ne accenni da Bossuet o da altri, sul quale il Janus sembra aver pronunciato l'assoluzione. Quindi ci è d'uopo istituire sopra di tutti un esame speciale, al fine di poter conoscere se ve n'ha alcuno che veramente non possa assolversi in nessun modo, o a meglio dire, che sebbene debba riconoscersi per vero errore, non possa ammettersi come errore di dottore privato, che punto non pregiudicherebbe la tesi dell'infallibilità pontificia, ma debba riconoscersi come pronunciato veramente coll'intenzione di proclamare un solenne ammaestramento da valere come legge per la Chiesa universale.

    Se non che, si fece quì giustamente una questione pregiudiziale, che è veramente della massima importanza, e perciò non possiamo passare all'esame diretto dei fatti segnalati dai contraddittori dell'infallibilità pontificia, senza metterla sott'occhio ai nostri lettori. È la questione generica della relazione della storia umana colla verità divinamente rivelata, e dei documenti scritti col vivente magistero infallibile della Chiesa. Siccome fu egregiamente esposta dal cardinal Manning nella sua Storia del Concilio Vaticano [3], ne riferiremo quì in buona parte le sentenze ed anche le parole.

    Non solo all'obbiezione che contro l'infallibilità dottrinale dei Papi si pretese dedurre dai veri o supposti errori da loro professati; ma a qualunque altra difficoltà che contro di essa si pretenda ritrarre da fatti e documenti entrati nel dominio della storia, «la risposta vera e concludente, dice il sullodato Cardinale, consiste non già in una confutazione particolareggiata delle allegate difficoltà, ma in un principio di fede. Vale a dire, ogni qualvolta una dottrina si trova nella divina tradizione della Chiesa, tutte le difficoltà desunte dalla storia umana restano eliminate da ciò che con Tertulliano si chiama la prescrizione. Il solo fonte della verità rivelata è Dio, e la Chiesa è il solo canale di questa rivelazione. Dunque nessuna storia umana può dichiarare ciò che in questa è contenuto, ed alla sola Chiesa appartiene di determinarne i confini, e quindi il suo complesso.

    Perciò quando la Chiesa, attingendo ai fonti genuini della verità nella parola di Dio, scritta e non scritta, dichiara che una dottrina è rivelata, non v'ha difficoltà di storia umana che possa prevalere contro di essa». E la ragione ne è evidente, poichè se ammettiamo Dio fonte d'ogni verità, e la Chiesa infallibile interprete delle verità che a Dio piacque di rivelarci, come lo deve ammettere ogni cattolico; quando la Chiesa ci ha dichiarato che un articolo dottrinale fa parte del sacro deposito della divina rivelazione, qualunque obbiezione che dal campo della storia gli si voglia opporre, viene a discioglierglisi innanzi, ed altro non resta a dire se non che o la storia fu falsata nei fatti che narra, ovvero i documenti che ci ha trasmessi, non sono da noi rettamente interpretati. «L'obbiezione tratta dalla storia (prosegue il dotto Arcivescovo Cardinale) così vien presentata: Vi hanno grandi difficoltà che risultano dalle parole e dagli atti dei Padri della Chiesa, dai documenti autentici della storia e della dottrina stessa della Chiesa, difficoltà che importa di sciogliere innanzi che la dottrina dell'infallibilità del Pontefice romano possa essere proposta ai fedeli come una dottrina rivelata da Dio». Ma non è da questo esame o processo storico, egli prosegue a dire, che dipende la regola della fede: essa non deve aspettare la sua conferma dalla storia; ma questa piuttosto deve ottenere la propria conferma dalla regola della fede. Altrimenti si porrebbe come un principio teologico che l'autorità dottrinale della Chiesa, e di conseguenza la certezza del dogma, è basata almeno in parte sulla storia umana, e ne conseguirebbe che «quando degli storici critici e scientifici trovano o suppongono di trovare quelle difficoltà negli scritti dei Padri o in altre storie umane, le dottrine proposte dalla Chiesa come derivanti dalla divina rivelazione devono essere rivocate in dubbio finchè quelle difficoltà non siano risolte». Ma la Chiesa insegnante, vale a dire il corpo dei vescovi uniti sotto il Pontefice romano, Pastore supremo, è il depositario, il testimonio, il maestro divinamente assistito per custodire e per trasmettere intemerato sino alla fine dei secoli tutto il complesso della divina rivelazione. «Le fonti da cui essa trae le sue testimonianze circa la fede, non si trovano nella storia umana, ma nella tradizione apostolica, nella Scrittura, nei simboli di fede, nella liturgia, nella pubblica ufficiatura, nei canoni ecclesiastici, nei concilii, e nell'interpretazione di tutte queste cose mediante la suprema autorità della Chiesa stessa.

    La Chiesa ha, per vero dire, una storia, poichè il suo procedere ed i suoi atti furono registrati da mani umane. Essa ha i suoi annali come l'impero romano ed il britannico. Ma la sua storia altro non è che la traccia de' suoi passi nel tempo: richiama i fatti, ma non è causa di nulla, e nulla crea. La tradizione della Chiesa può essere trattata storicamente; ma v'è poi sempre una nettissima distinzione fra la storia e la tradizione della Chiesa. La scuola degli storici scientifici, s'io ben la comprendo, stabilisce come principio che la storia è la tradizione, e che la tradizione è la storia; ch'esse non sono che una sola e medesima cosa sotto due nomi diversi. Questo sembra essere il πρῶτον ψεῦδος, la prima illusione del loro sistema; è la tacita eliminazione del sopranaturale e dell'autorità divina della Chiesa». Infatti nella tradizione si comprendono due elementi totalmente divini, cioè la dottrina da Dio rivelata, e la divina assistenza per cui questa dottrina viene inalterabilmente conservata e trasmessa dalla Chiesa, e che costituisce infallibile il magistero in essa pure divinamente istituito. Ma la storia per sè non è che umana, soggetta ad errori, ad incertezze, a corruzione. Dunque le sue testimonianze non potranno giammai prevalere a fronte delle asserzioni del magistero della Chiesa.

    «Il Concilio Vaticano, per esempio, afferma come una verità rivelata la dottrina dell'immutabile stabilità di Pietro e suoi successori nella fede, e per conseguenza l'infallibilità del romano Pontefice nelle materie di fede e di morale, in virtù d'una divina assistenza promessa a S. Pietro, e nella persona di Pietro a' suoi successori. Che cosa può dire la storia umana circa questa dichiarazione, mentre non è nè il fonte nè il canale della rivelazione?

    La storia scientifica può, senza dubbio, studiare scientificamente la tradizione divina e i documenti autentici della Chiesa. Ma prima che questi oggetti possano essere così trattati scientificamente, bisogna che passino dalle mani della Chiesa in quelle dei critici. In tal caso si è come dire: Voi siete realmente la Chiesa cattolica, e tenete questi documenti e questa storia del vostro passato. Ma, o voi non ne conoscete il senso, perchè non siete scientifica, o non volete dichiararne il vero senso, perchè non siete onesta. Noi, noi siamo uomini: l'onestà e la scienza sono con noi, per non dire che morranno con noi. Rimetteteci i vostri documenti, e falsi e veri: noi scopriremo i falsi, interpreteremo i veri, e mercè della scienza proveremo che voi, o Chiesa, vi siete ingannata, e avete indotto il mondo in errore, e che, per conseguenza, le vostre pretensioni a una tradizione divina e ad una divina autorità non sono che un'impostura. Basta la questione d'Onorio. Voi dite che papa Leone e papa Agatone hanno interpretato il concilio di Costantinopoli in guisa da mostrare che, qualunque fallo o debolezza si riscontri in Onorio, questo papa non fu eretico nella sua dottrina. Ma noi, trattando scientificamente la storia, abbiamo provato che i vostri Papi contemporanei si sono ingannati; e noi siamo scientificamente in diritto di dichiarare che Onorio fu eretico, non nel senso largo, ma nel senso stretto della parola; non solo come privato, ma come Papa parlante ex cathedra, e che, in conseguenza, l'infallibilità del Papa è una favola».

    Ma, come aggiunge l'illustre Prelato, sotto questa pretensione della storia scientifica si nasconde una pretensione positivamente ereticale, e come la forma ultima e più sottile del protestantismo. «Questa scuola d'errore è uscita in parte dalla Germania pel contatto col protestantismo, in parte dall'Inghilterra per l'azione di quelli che, nati in seno al protestantismo, sono entrati nel seno della Chiesa cattolica senza essersi abbastanza distrigati da certe abitudini erronee di pensare.

    La prima forma del protestantismo consistette nell'appellare dalla divina autorità della Chiesa al testo della Scrittura, cioè dall'interpretazione delle sante Scritture, com'era data dalla Chiesa, all'interpretazione fatta dal giudizio privato. È questo il protestantismo puro, luterano o calvinista.

    La seconda fu di appellare dall'autorità divina della Chiesa alla fede della Chiesa non ancora divisa, innanzi alla separazione dell'Oriente dall'Occidente; qual fu il protestantismo anglicano di Jewell e d'altri eretici.

    La terza fu di appellare dall'autorità divina della Chiesa al consenso del Padri, ai canoni dei Concilii e ad altro. È la forma più moderna dell'anglicanismo.... Fin quì noi abbiamo avuto a fare con quelli che non sono in comunione colla Santa Sede.

    Ma d'onde deriva di veder sollevarsi, tanto in Germania come in Inghilterra, una scuola, se posso cosi chiamarla, che non è numerosa, e che probabilmente non avrà durata, la quale si mette costantemente in antagonismo coll'autorità della Chiesa, e che per giustificare tale atteggiamento fa appello alla storia scientifica? Il Papa e il Concilio di Janus, e gli attacchi contro Onorio [4], sono produzioni di questa scuola. Tutto ciò, lo si confessa, fu scritto per prevenire la definizione dell'infallibilità del romano Pontefice; fu un tentativo fatto per arrestare, in nome della storia scientifica, il progresso del magistero della Chiesa.

    Nulladimeno, innanzi alla definizione del Concilio Vaticano, l'infallibilità del romano Pontefice era già una dottrina rivelata da Dio, trasmessa mediante la tradizione universale e perpetua della Chiesa, riconosciuta nel concilii ecumenici, presupposta negli atti dei Papi di tutti i secoli, insegnata da tutti i Santi, difesa da tutti gli Ordini religiosi e da tutte le scuole teologiche, una sola eccettuata; ed anche in quest'unica scuola essa non era impugnata che da una minoranza, e soltanto durante un periodo della sua storia; finalmente essa era creduta, almeno implicitamente, da tutti i fedeli, e per conseguenza era attestata dall'infallibilità passiva della Chiesa, in tutti i tempi e in tutti i paesi, colla sola particolare e transitoria eccezione or ora indicata.

    La dottrina dell'infallibilità era dunque già di fede oggettivamente, ed obbligava soggettivamente in coscienza tutti quelli che la conoscevano come rivelata.

    La definizione nulla aggiunse alla sua certezza intrinseca, perchè questa certezza deriva da una rivelazione divina. Essa non ha fatto che aggiungervi la certezza estrinseca di una promulgazione universale fatta dalla Chiesa insegnante, che impone a tutti i fedeli l'obbligo di credere.

    Gli autori del Janus e di altre opere simili, che facevano appello alla storia scientifica, in realtà appellavano dall'autorità dottrinale della Chiesa in materia di rivelazione: però, ed è a Dio che appartiene di conoscere la loro buona fede, essi potevano ripararsi dietro il motivo che quella dottrina non era ancora stata promulgata con una definizione. Ma checchè ne sia, il modo ond'essi procedettero nella loro opposizione, era essenzialmente ereticale, poichè era un appello dalla dottrina tradizionale della Chiesa cattolica, tramandata mediante il suo comune e perpetuo insegnamento, alla storia interpretata da loro stessi.

    Non si diminuirebbe per nulla la gravità di simili atti col dire che non si appellava già alla storia puramente umana, nè alla storia scritta da avversarii, ma agli atti dei concilii ed ai documenti della tradizione ecclesiastica. Questo non rende che più formale l'opposizione, perchè riesce a pretendere che la storia scientifica conosce lo spirito della Chiesa più di lei stessa, ed è più idonea a interpretarne gli atti, i decreti, le condanne, i documenti, sia per la superiorità del criticismo scientifico, sia per la superiorità della sua onesta morale. Ora la Chiesa conosce certamente meglio la sua propria storia e il vero senso de' suoi proprii atti e dei documenti che provengono da lei.... I critici moderni suppongono essi dunque che la questione di Onorio sia così nuova per la Chiesa quanto l'è per loro stessi, o che la Chiesa non abbia una conoscenza tradizionale del valore e dell'importanza di tal questione dal punto di vista della dottrina di fede?

    Per degli acattolici questo non implicherebbe che il loro difetto ordinario di conoscenza in ciò che concerne il carattere divino e la funzione della Chiesa; ma per cattolici ciò implicherebbe, se non eresia, per lo meno uno spirito ereticale».

    Ora che la definizione dell'infallibilità dottrinale del romano Pontefice fu solennemente pronunciata dal Concilio Vaticano, è veramente eresia il dire od il supporre che, sia nei fatti storici, sia in altri solenni pronunciati o di Papi o di concilii ecumenici, esistano delle vere difficoltà contro questa dottrina; poichè è certo di certezza divina che la Chiesa non ha mai contraddetto, nè potrà giammai contraddire a sè stessa. Ma neppure anteriormente alla definizione era lecito il dire che non si sarebbe potuto proporre ai fedeli, come dogma, l'infallibilità pontificia, se prima non si fossero risolte quelle gravi difficoltà derivanti dalle parole o dagli atti dei Padri, e dai documenti autentici della storia e della dottrina cattolica, che vi ostavano. «Imperocchè, continua il sapiente Cardinale, questa dottrina, prima della definizione, era compresa nell'insegnamento universale e perpetuo della Chiesa come una verità rivelata. Chi è il giudice competente per dichiarare che tali difficoltà esistono realmente, e quale ne è il valore se esse esistono? Chi giudicherà se sono gravi o leggiere, straniere o no alla questione? È certamente alla Chiesa che appartiene di giudicarne. Esse sono in un contatto così inseparabile col dogma, che il deposito della fede non può essere custodito o spiegato senza giudicarle e pronunciare a loro riguardo. E sarebbe singolarmente strano che la Chiesa fosse incompetente a giudicare di tali cose, e che gli storici scientifici fossero i soli competenti; vale a dire che la Chiesa fosse fallibile in materia di fatti dogmatici, nel mentre che gli storici scientifici sarebbero infallibili. È questo altro che il luteranismo nella storia? Quelli che sono fuori della Chiesa sono conseguenti in sostenere questo sistema; ma quelli che sono nella Chiesa non possono sostenerlo senza inconseguenza, e senza eresia». Ciò è confermato dalle dichiarazioni del medesimo Concilio Vaticano nella prima Costituzione de Fide catholica, ai capi III e IV.

    NOTE:
    [*] Paolo Angelo Ballerini (Milano, 14 settembre 1814 – Seregno, 17 aprile 1897), dal 1848 direttore de L'Amico Cattolico, nel 1853 fu canonico ordinario del Duomo e nel 1855 pro vicario. Accompagnò a Vienna l'arcivescovo di Milano Bartolomeo dei conti Romilli di Bergamo per il concordato dell’Austria con la S. Sede ma, dal 1859, alla morte dell’Arcivescovo Romilli, si erano creati dei forti attriti per la sua successione tra il governo di Torino e la Santa Sede: a questa situazione contingente della città di Milano si deve l’origine dell'Osservatore Cattolico, il giornale a cui don Davide Albertario, sacerdote e giornalista cattolico intransigente, legherà il suo nome negli anni successivi; peraltro Mons. Ballerini fu amico e protettore dell'Albertario.

    L'arcivescovo Romilli era morto il 7 maggio del 1859 in corrispondenza dello scoppio della guerra (II guerra d’Indipendenza), e su proposta dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, secondo il concordato vigente, fra la battaglia di Magenta del 4 giugno (1859) e la pace di Villafranca dell’8 luglio, Pio IX aveva preconizzato alla sede milanese proprio Mons. Ballerini, già vicario generale del defunto arcivescovo, conosciuto come molto devoto alla S. Sede. Il nuovo governo piemontese rifiutò di riconoscere la nomina con la scusa che la proposta imperiale non aveva valore in quanto gli austriaci non erano più padroni di Milano, ma Mons. Ballerini fu consacrato in segreto presso la certosa di Pavia da Mons. Caccia Dominioni, già vicario capitolare della diocesi e ausiliare del Romilli. Ballerini, la cui consacrazione restò segreta, fu oggetto di una violentissima campagna di stampa e fu anche minacciato di morte, si ritirò a Cantù aiutando il parroco nel ministero delle confessioni, dopo aver nominato suo vicario episcopale Mons. Caccia Dominioni che governò la diocesi in sua vece, per lunghi anni obbedendo al Ballerini al quale il governo rifiutava sempre l'exequatur. Contro Caccia Dominioni e Ballerini si scatenerà la stampa cattolico liberale e conciliatorista filo-governativa.

    La difficile situazione della diocesi di Milano si risolse nel 1867 quando Pio IX venne a compromesso con il governo (che si era già trasferito a Firenze): Mons. Ballerini rinunciò all'arcivescovado di Milano e fu promosso Patriarca latino di Alessandria in Egitto, con dimora a Seregno, e mons. Luigi dei conti Nazari di Calabiana fu traslato dalla sede vescovile di Casale Monferrato a quella di Milano. Precedentemente nel '66 era morto il vicario Caccia Dominioni e il Ballerini aveva dovuto manifestare pubblicamente la sua qualità di vescovo di Milano rendendo nullo (almeno per un po'…) il tentativo del governo di porre sulla cattedra di S. Ambrogio un personaggio dell’area liberale e conciliatorista.

    Mons. Ballerini, difensore dell'infallibilità e del Sillabo, morì a Seregno in fama di santità.

    [Fonti: Con il Papa e per il Papa: vita di don Albertario, in Sodalitium, anno XXIII, n° 1, febbraio 2007 pag. 37 sgg.; Luigi Biraghi - Lettere alle sue figlie spirituali vol. III, Brescia 2005, pag. 161-162 (nota). N.d.R.]

    [1] Nella parte terza, cioè particolarmente nel libro IX della redazione riformata.

    [2] Questo Einige Bemerkungen è l'opuscolo che sul principio della pag. 94 nell'articolo settimo dei Cenni storici abbiamo indicato col nome compendioso di Memorandum. A proposito poi delle Osservazioni suindicate di mons. Dupanloup, ricordate anche a pag. 96 nei predetti Cenni, dobbiamo notare che nel giorno precedente alla loro pubblicazione, cioè il 10 novembre, l'illustre prelato aveva diramato una lettera pastorale relativa alla prossima sua partenza pel Concilio, per prendere commiato dai suoi diocesani, invocare il soccorso delle loro preghiere per sè e pel buon esito del Concilio, animare la loro fiducia nell'assistenza divina a questo promessa, ecc. I due documenti non devono essere confusi.

    [3] Seconda edizione della traduzione francese del Chantrel, Parigi 1872, pag. 159 e segg.

    [4] Allude su ciò principalmente ad opuscoli inglesi.

  8. #18
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    Predefinito Rif: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    Un ringraziamento speciale all'equipe di "Progetto Barruel" per aver inserito questo forum tra i propri links. Non facciamo fatica a dire che "Progetto Barruel" è tra le POCHE cose veramente DEGNE di nota che questi anni abbiano prodotto nel "web cattolico".
    Ultima modifica di Luca; 28-12-11 alle 19:54

  9. #19
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    Predefinito L'infallibilità pontificia per Marin de Boylesve s.j.

    Dal libro L'Eglise et le Pape (1862) di padre Marin de Boylesve s.j. (1813-1892):

    "Appliquez la comparaison. Rome a parlé. Quand je dis Rome, j'entends le Pape.
    Que les peuples et les rois, que les fidèles et les prélats, réunis ou dispersés, ajoutent ou n'ajoutent pas à la définition romaine l'approbation expresse ou tacite de leur consentement, le refus ou l'accession du reste de l'Église ne saurait pas plus accroître qu'amoindrir la solidité de la parole fondamentale.
    Cette parole du Pape est la pierre et la base de l'infaillibilité catholique.
    Si vous ne consentez pas, si vous n'êtes pas d'accord avec Pierre, ce n'est pas lui qui se trompe, c'est vous; ce n'est pas lui qui croulera, c'est vous.
    - Consentez-vous, êtes-vous d'accord, pensez-vous, parlez-vous comme Pierre ?
    Tout change; par votre consentement, ou plutôt par votre soumission, vous devenez infaillible, mais infaillible par l'infaillibilité de Pierre, et non par la vôtre.
    Or ceci s'adresse à quiconque n'est pas le Pape, à tous les fidèles, à tous les Évêques, à tous les Patriarches, dispersés, ou réunis en concile."


    Traduzione grezza:

    Applicate la comparazione. Roma ha parlato. Quando dico Roma, intendo il Papa.
    Che i popoli e i re, che i fedeli e i prelati, riuniti o dispersi, aggiungano o non aggiungano alla definizione romana l’approvazione espressa o tacita del loro consenso, il rifiuto o l’adesione del resto della Chiesa non può accrescere o indebolire la solidità della parola fondamentale.
    Questa parola del Papa è la pietra e il fondamento dell’infallibilità cattolica.
    Se non prestate il vostro consenso, se non siete d’accordo con Pietro, non è lui che si inganna, siete voi; non è lui che crollerà, siete voi.
    Acconsentite, siete d’accordo, pensate, parlate come Pietro?
    Tutto cambia; con il vostro consenso, o piuttosto con la vostra sottomissione, voi divenite infallibile, ma infallibile per l’infallibilità di Pietro, e non per la vostra.
    Ora questo è rivolto a chiunque non sia Papa, a tutti i fedeli, a tutti i Vescovi, a tutti i Patriarchi, dispersi o riuniti in concilio.

    L’Eglise et le Pape: http://ddata.over-blog.com/xxxyyy/0/...et_le_pape.pdf

  10. #20
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    Predefinito Rif: L'infallibilità pontificia per Marin de Boylesve s.j.

    Grazie Timoteo. Purtroppo non c'è peggior sordo (gallicano) di chi non vuole sentire.

 

 
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