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  1. #71
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    Predefinito Re: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    Papa Giovanni XXII fu davvero eretico? - Radio Spada

    Articolo in difesa di Papa Giovanni XXII di Carlo di Pietro

  2. #72
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    Predefinito Re: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    Il rinoceronte indiano di Leone X



    Benedicite, omnes bestiae et pecora, Domino:
    laudate et superexaltate eum in saecula.

    (Dan. III , 81)

    di Giuliano Zoroddu

    Nella definizione di chi sia il Papa, san Bernardo così scrive ad Eugenio IV: “Tu es … gubernatu Noe“. Il Pontefice è un novello Noè e tale per essere il timoniere, il governatore, di quella mistica Arca di salvezza che è la Chiesa.
    Questo accostamento fra l’antico Patriarca che mise in salvo uomini e animali dal diluvio e il Papato, ci introduce bene nella storia che vogliamo raccontare. La storia è ambientata al tempo di Leone X.
    Il primo dei pontificati medicei risultò per l’impegno culturale così splendente che Leone XIII, uomo tra i più dotti del suo tempo, non esitò punto a definire quel bistrattato suo predecessore come “Augustalis aevi instaurator” (Ep. Enc. “Militantis Ecclesiae” de seculari memoria beati Petri Canisii, I Augusti MDCCCXCVII), restauratore del secolo d’Augusto.
    Uno dei suoi aspetti sicuramente più simpatici è certamente l’interesse scientifico per gli animali esotici. Nei giardini vaticani infatti era stato allestito un vero e proprio “bioparco”, per usare un termine moderno, dove si potevano ammirare galline indiane, leopardi, pantere, camaleonti, e soprattutto il famosissimo elefante Annone, cui già dedicammo un articolo.
    A questa riedizione vaticana dell’Arca di Noè “il mare invidiò e tolse – per usare dell’espressioni del Giovio – [una] bestia di inusitata fierezza”: un rinoceronte indiano.
    L’animale fu donato da sultano di Combay Muzaffar II al re di Portogallo Manuele I. Salpato da Goa nel gennaio del 1515, arrivò a Lisbona il 20 maggio dello stesso anno, dove fu osservato dai dotti là presenti. L’arrivo di un animale ancor più esotico dell’elefante destò curiosità in tutta Europa e si videro pubblicati vari scritti a tema.
    Il sovrano portoghese decise che ne avrebbe fatto dopo a Leone X, come già aveva fatto con l’elefante Annone.
    Prima però si volle far la prova di una notizia tradita da Plinio il Vecchio e così, poiché quell’antico scienziato diceva che il nemico naturale del rinoceronte fosse l’elefante, si organizzò un combattimento fra le due grandi bestie. Finiti questi giuochi, e finiti assai presto per la fuga dell’elefante al cospetto del rinoceronte, quest’ultimo, adornato di un collare di velluto verde e di una catena d’oro, fu caricato su una nave diretta a Roma.
    A Roma però non giunse mai. Fermatosi prima a Marsiglia per esplicita di richiesta di Francesco I di Francia, il quale sborsò cinquemila corona, il legno fu sorpreso da una violenta tempesta a largo di Porto Venere ed affondò. E con lui il rinoceronte. Questo, ripescato ed impagliato, fu egualmente portato a Roma dal Papa.
    Due sono le principali raffigurazioni dell’animale: l’incisione del Dürer e la Creazione degli animali nella Loggia di Raffaello in Vaticano.



    https://www.radiospada.org/2020/06/a...te-di-leone-x/

    https://www.radiospada.org/2020/09/i...-di-san-pio-x/

  3. #73
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    Predefinito Re: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    La Strobosfera n. 17: In morte di Joseph Ratzinger, il “migliore dei loro”. Ovvero: quello che pochi scrivono.



    dì Piergiorgio Seveso

    Non sorprenda il silenzio sostanziale di Radio Spada in questi giorni: abbiamo parlato per dieci anni su questi argomenti e potevamo permetterci di tacere, affidando a Dio l’anima del noto teologo bavarese.
    Se però volgiamo intorno lo sguardo, uno spettacolo inequivocabile aggredisce e atterrisce i nostri occhi. Memoria corta, relativismo di ritorno, volatilità sentimentale, logorrea apocalittica, non essere mai sul pezzo al momento giusto: il “tradizionalismo cattolico medio” di lingua italiana mostra in questi giorni tutti interi i suoi limiti, la sua miccia corta nella triste evenienza ormai prevedibile ed ineludibile della morte di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI).

    Una prima premessa è che certamente qualunque parola scritta, men che meno da un privato cattolico non si possa sostituire al Giudizio di Dio che solo “conosce le reni e i cuori” di ognuno ma questo non esclude che si debbano proferire giudizi adeguati e secondo giustizia (non secondo i nostri gusti o simpatie) su personaggi pubblici che tanto hanno inciso sulla vita della Chiesa e sui destini escatologici dei singoli.

    Una seconda premessa è che, malgrado Ratzinger abbia fatto “scoprire” il “cattolicesimo” e la “tradizione” a molti (e di tutti rispettiamo, almeno per affettuosa cortesia, il percorso di “conversione” individuale), verrebbe però da domandarsi a quale cattolicesimo, a quale tradizione abbia chiamato, a quale “straordinaria” Messa, a quale mensa teologica abbia invitato, a quali fonti abbia fatto abbeverare. E se tanti piangono (alcuni sinceramente, altri in maniera nettamente coccodrillesca), bisogna che qualcuno non pianga affatto e tenga ciglia asciutte e occhi aperti sulle attuali contingenze e su “canonizzazioni” e “addottoramenti” forzati e forzosi, sui “santi subito” che ci riportano alla mente il terrificante aprile 2005. E quelli siamo noi, dobbiamo essere noi, dovremmo essere almeno noi di Radio Spada, insieme ad altre poche benemerite eccezioni.

    Anche allora, dopo la morte di Giovanni Paolo II furono in pochi a rimarcare i gravissimi errori dottrinali, di prassi ecclesiologica ed ecumenista, di weltanschauung filosofica e di azione di governo del polacco, in mezzo ad universale e avviluppante oceano di melassa. Il medesimo spettacolo si ripete diciassette anni dopo, implementato dai social media, da una rapidità dello scrivere che raggiunge il parossismo, da un web che diventa la via di mezzo tra un bagno pubblico ove scrivere sconcezze o ridicolaggini col lapis o un circolo di cuori infranti all’americana dove piangersi addosso. A questo si aggiunga l’unicum di un successore, apparentemente diverso ed “estroverso” ma sostanzialmente contiguo, già appoggiato alla Cattedra di San Pietro da quasi dieci anni, che sta per funerare, sotto ogni punto di vista, il predecessore sotto l’abside del Bernini, sfigurata da tanto sfacelo.

    Anni e anni di articoli, conferenze, saggi, convegni per denunziare la “strana teologia” del bavarese, le Assisi rinnovate, gli amori ancillari con Sinagoghe e templi protestantici, la papicida e reale abdicazione, più di cento pagine di approfondimento solo sul nostro sito, debbono forse impallidire di fronte ad uno triste e frettoloso catafalco stile Ikea, imbastito nella basilica Vaticana? Ci deve essere qualcuno a dirlo? Ci deve essere qualcuno a scriverlo o a tutti trema la mano e si intorbida lo sguardo? Qui si gioca la partita tra un tradizionalismo o meglio un integrismo che non cessa di essere bambinesco, disfasico, ciarliero, inconcludente, puramente accademico o distratto e con un inconfessabile complesso di inferiorità verso le “gerarchie moderniste” o uno maturo e sensato che ribadisca senza pressapochismi, velleità narcisistiche o avventurismi inutili (e capite benissimo a che cosa mi riferisca) la crisi abissale e verticale che stiamo vivendo.

    Joseph Ratzinger è stato quasi certamente il migliore dei LORO, un Ecolampadio del neomodernismo, un nuovo Hegel per la filosofia cristiana post “Vaticano II”, uno Swedenborg della spiritualità cristianoide, una figura, pur se umanamente gentile e affabile, sinistramente titanica e culturalmente imponente: ora gli è succeduto e gli succede un neomodernismo più agile, volgare e dozzinale, un neomodernismo per rudi e plebei, per rotocalchi e per parrucchiere delle periferie esistenziali che certamente ha modulazioni diverse, tratte però dal medesimo spartito. E cessata la sbornia esequiale, la Rivoluzione conciliare riprenderà il suo naturale cammino.
    Appunto però è dovere morale ribadirlo: era il migliore dei LORO, non dei nostri. Se la Corte celeste, la persona unanime del Papato Romano, i dottori e i theologi probati del passato prossimo e remoto sono parte integrante della nostra Acies (quella vera, non quella in doppiopetto grigio), spesso (e oggi più che mai) può sembrare che le nostre fila siano caratterizzate da soverchia e regressiva debolezza, endemica rissosità, confuse glossolalie, autocefalie grottesche. Non costringeteci quindi a dire come il maggiore Kruger nell’ultima scena del ponte di Remagen: “Chi è il nemico?”.

  4. #74
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    Predefinito Re: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    [Guelphica lapilla] La Sibilla e Merlino guelfi neri



    Nota di RS: riprende con oggi e con un nuovo nome una rubrica storica e la collaborazione di un grande amico di RS con il nostro blog. Ne sono ovviamente onorato e auguro a quest’appuntamento di crescere e fiorire sulle nostre pagine virtuali. Sono certo che, data l’acribia e la DEDIZIONE del suo curatore, essa manterrà una moderata continuità, malgrado questi tempi bellici e infelici, frantumati e irregolari. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE della Fondazione Pascendi ETS)

    di Cardinale Albus

    A metà del Duecento l’Europa cristiana era lacerata dal brulicare di sette catare e dall’arroganza di Federico II – palese anticristo –, si temeva per giunta l’arrivo sempre più imminente delle orde mongoliche, così simili a quelle popolazioni conosciute nelle Sacre Scritture con i nomi di Gog e Magog (Apoc 20, 8). La Provvidenza, mai abbandonando i suoi figli nelle tempeste del secolo, mandò a difesa della Cristianità i grandi Ordini di san Francesco e di san Domenico, preconizzati nelle visioni di eremiti e profeti del calibro di Gioacchino da Fiore. Ma c’è di più. Scrutando negli antichi manoscritti e nelle fonti superstiti dell’epoca, fanno capolino tra i sostenitori dell’onore del papato e della Chiesa romana due figure assai singolari: la Sibilla Eritrea e Merlino. Segnatamente, tra i membri di vertice della curia di Gregorio IX (1227-1239), il tetragono pontefice che inflisse due scomuniche a Federico II, iniziarono a circolare arcani scritti, le cui tracce si erano perse nell’oblio dei secoli.

    Il primo di questi è il cosiddetto Basilografo, chiamato così perché custodito nel tesoro imperiale di Bisanzio: il testo non è altro che il resoconto di quanto rivelato ai Greci prima della Guerra di Troia da parte della Sibilla Eritrea di Babilonia, già elogiata da Sant’Agostino come profetessa del Cristo (De civitate Dei XVIII, 23). Il testo, diviso in tre libri, narra le vicende relative alla fondazione di Roma in accordo con l’Eneide virgiliana e l’assunzione da parte dei pontefici dell’eredità imperiale (Non in bello gladiove orbem Eneadenque subiciet, sed in hamo Piscantis), la conseguente decadenza e mollezza di Bisanzio (Virescet Danaum mollicies), per poi giungere ai tempi dello scontro con lo Svevo, dove attraverso rimandi numerici e allusioni zoomorfe se ne descrive la sconfitta.

    Se la verginità e la purezza della sibilla favorirono la rivelazione soprannaturale circa l’avvento del Cristo e il trionfo della sua Sposa, i doni preternaturali dovuti al concepimento per mezzo di un demone e al successivo battesimo consentirono al bretone Merlino non solo di contribuire ad innalzare ai fasti regi il condottiero cattolico Artù, ma anche di conoscere ogni cosa e di prevedere il futuro, tramandando, in questo caso, laconiche rivelazioni sulle persecuzioni inflitte da Federico II, indicato con l’eloquente epiteto Leo rugiens (I Pt 5, 8), tradizionalmente attribuito a Satana.

    L’autorità profetica e di Merlino e della Sibilla godettero di grandissima fama nel Medioevo cristiano: se per il primo è nota la presenza in tantissime opere letterarie latine e volgari, per la seconda basti ricordare il riferimento presente nella sequenza della messa romana per i defunti Dies irae, dies illa / Solvet seculum in favilla / Teste David cum Sibylla, composta peraltro proprio all’inizio del Duecento. Tale fama consentì verosimilmente alla Sibilla Eritrea di essere ritratta da Michelangelo assieme ad altre quattro omologhe e ai sette profeti dell’Antico Testamento nella volta della cappella sistina commissionata da papa Giulio II (1503-1513).

    L’interesse per i testi profetici conobbe un’ultima amplificazione durante i tetri decenni del cosiddetto Risorgimento italiano, allorché nel 1854 monsignor Domenico Cerri, clericale intransigente, pubblicò in Torino – sotto anonimato – una vasta raccolta di testi profetici e rivelazioni aventi a che fare con la fine dei tempi e il papato romano. Si trattava di un’impresa editoriale nel pieno spirito apologetico d’inizio Ottocento, che molto suggeva dalla Weltanschauung esposta nel Du pape di Joseph de Maistre, in ogni caso ben lungi dal rigore razionale della Neoscolastica. Di fatto l’opera del Cerri conobbe un successo strepitoso tanto da essere riproposta, ampliata e commentata, in ben cinque edizioni; inoltre, con ogni probabilità, fu letta pure da san Giovanni Bosco, il quale non solo era contiguo all’ambiente torinese dell’intransigentismo cattolico cui faceva parte il Cerri, ma – come noto – fu destinatario di rivelazioni e sogni profetici sul destino dell’Italia e del Papato.

    L’affascinante vicenda della Sibilla Eritrea e di Merlino conferma un una volta di più la sublimità e l’eccellenza della Sede apostolica, il cui fondamento divino travalica ogni quadro spazio temporale, come testimoniano le solenni voci profetiche sin dall’antichità più remota.

  5. #75
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    Predefinito Re: Fiori di devozione e scienza per il trono di Pietro

    [Guelphica lapilla] Un Papa dall’oltretomba. Echi mirabili e voci misteriose dalla Roma dell’anno Mille.



    Nota di RS: continua con un nuovo nome una rubrica storica e la collaborazione di un grande amico di RS con il nostro blog. Ne sono ovviamente onorato e auguro a quest’appuntamento di crescere e fiorire sulle nostre pagine virtuali. Sono certo che, data l’acribia e la DEDIZIONE del suo curatore, essa manterrà una moderata continuità, malgrado questi tempi bellici e infelici, frantumati e irregolari. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE della Fondazione Pascendi ETS)

    di Cardinale Albus

    nella festa della Dedicazione delle Basiliche dei Ss. Pietro e Paolo in Roma

    Mentre il primo millennio di storia cristiana volgeva al crepuscolo una lucerna irradiava il fulgore dalla Roma eterna: il grande e dottissimo papa Silvestro II, sedente sulla cattedra di san Pietro dal 999 al 1003. Di stirpe aquitana Gerberto attinse alla sapienza sacra e classica presso i monaci di St-Géraud d’Aurillac. Il conte catalano Borrel, ammirato dalla sua inusitata cultura, patrocinò il soggiorno del giovane chierico nella sua terra: Gerberto vi apprese con particolare ardore le arti aritmetiche e astrologiche di marca greca e araba, tanto che gli si deve la messa a punto dell’abaco e del primo orologio nell’Europa cristiana. Divenuto maestro (scholasticus) della cattedrale di Reims e successivamente abate di Bobbio, fu dunque elevato alla dignità pontificia nel 999 grazie al sostegno della corte imperiale del giovane Ottone III di cui fu precettore. Pur conducendo la barca di san Pietro con prudenza e attenzione nei confronti delle istanze del sovrano sassone, fu fermo nel garantire le prerogative della Chiesa romana sia nell’Urbe sia nell’orbe; in particolare risalta il legame con gli Ungari e massime con santo Stefano, primo re di quel popolo convertito, battezzato e incoronato nell’alveo della religione cristiana.

    Degno di riverenza e stima per quanto operato nel corso della sua vita terrena, purtuttavia, mirabile e strabiliante è quanto concerne la morte e le vicende delle sue spoglie. Il 3 maggio 1003, mentre cantava messa nella basilica di S. Croce in Gerusalemme, fu colto da un forte malessere. Il 12 maggio morì e fu sepolto nei pressi del Laterano, fino al secolo seguente vera e propria necropoli pontificia. Quando il corpo si spense si accese la fiaccola della leggenda, al cui baluginio contribuirono non solo le credenze popolari dell’Urbe, ma anche le calunnie contro la Sede romana proferite da scherani e cani da guardia dei partigiani imperiali prima e dei mesti e lugubri falsari di marca protestante poi. La maldicenza giunse al tal segno che Silvestro fu accusato di praticare le arti magiche e la negromanzia. Taluni cronisti del XII secolo narrano, addirittura, che il papa dell’anno Mille fosse uso consultare un cranio abitato da un demone: questi avrebbe predetto a Silvestro la morte in Gerusalemme, cosa che in un certo qual modo accadde, giacché morì, udendo voci giunte dall’Inferno, nella basilica di S. Croce, sita sulla terra proveniente dalla Palestina e dove sono custodite le reliquie della Vera Croce –. La testa parlante era con ogni probabilità uno strumento di origini antichissime: un eliopila. Essa consisteva in una sfera riempita di acqua i cui bollori producevano fischi e sibili che certamente ricordano voci dall’Oltretomba.

    In ogni caso, misteriose e inspiegabili risultano alcune questioni riguardanti la sua sepoltura in Laterano. Per lungo tempo si è creduto che le sua ossa tremassero ogni qualvolta si fosse avvicinato il pio transito di un pontefice; allo stesso modo, dal suo sepolcro è testimoniata una stillata di acqua in prossimità del decesso di un papa o di un cardinale: nel primo caso si trattava di poche gocce che inumidivano il terreno, nel secondo un vero e proprio profluvio. Fededegno è certamente quanto riportato dal canonico lateranense Cesare Maria Antonio Rasponi, nel 1648, durante ampi lavori che coinvolsero il sotterrano dell’antico patriarchio: Trovammo il corpo di Silvestro racchiuso in un’urna di marmo, interrata alla profondità di dodici palmi: era intatto, avvolto nelle vesti pontificali, le braccia disposte in croce, il capo coperto dalla sacra tiara;

    ma in un istante quel corpo si dissolse nell’aria, che ancora restò impregnata dei soavi profumi posti nell’urna: null’altro rimase che la croce d’argento e l’anello pastorale.

    E, ancora oggi, come sa chi ha la ventura di vagare tra le maestose vie dell’Urbe, non meno che la radiosa magnificenza delle vestigia antiche, l’ombra della Roma che ormai più non si vede sussurra storie come quella di Silvestro II, dalla cui figura umana, caduca e passeggera, traluce come in filigrana il sempiterno lume dell’origine divina del sommo pontificato.

    Fonte: Pope Silvester II. and the Devil. Miniature from Martinus Oppaviensis’ Chronicon pontificum et imperatorum, Cod. Pal. germ. 137, Folio 216v, ~1460.

 

 
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